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Autore: Piperilla    28/03/2015    1 recensioni
Mai fermarsi alla superficie delle cose.
Questa è una verità più importante di quanto si possa credere: sotto l'aspetto ordinario, infatti, molte persone nascondono capacità fuori dal comune: quella che permette loro di governare i quattro Elementi fondamentali.
In un luogo sperduto vengono riunite queste persone speciali: separati contro la loro volontà da parenti e amici, segregati in quella che è più una prigione che una scuola, viene insegnato loro tutto sul loro potere e su come padroneggiarlo: gli anni si susseguono in una serie infinita di lezioni e addestramenti fino a quando, nelle mente dei prigionieri, non rimane più nulla delle loro vite precedenti. Fino a quando non diventano strumenti nella scalata al potere bramata dai quattro Maestri che dirigono quel luogo.
Ma proprio come la lava ardente, la ribellione si agita appena sotto la superficie.
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga degli Elementi'
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I passi risuonavano ovattati lungo il corridoio buio.
   Avanzando, la ragazza controllava di sfuggita le porte che si aprivano a intervalli regolari nelle pareti che la circondavano, analizzando le ombre e ascoltando. C’era qualcuno che gridava, molto più avanti.
   All’improvviso, un’ombra più scura delle altre si staccò dal muro e si accodò alla ragazza, che disse senza voltarsi: «Dovresti coprire quei capelli. Di notte sono come un faro nel buio, te l’ho già detto mille volte».
   Il giovane sorrise «Lo so. Come mai fuori a quest’ora, Sofia?»
   «Giovanni mi ha fatta chiamare».
   André aggrottò la fronte. «Così tardi?»
   «Ce n’è ancora uno» rispose Sofia, continuando a camminare.
   «Davvero?». Il giovane era stupito. Da quando si trovava lì – ed erano ormai nove anni – non ricordava che Giovanni avesse mai dedicato così tanto tempo a un ragazzo. Una cosa strana, senza dubbio.
   «Così pare». Sofia tagliò corto. «Dovresti tornare al tuo posto, a sorvegliare le camerate. Se non dovessero trovarti lì sorgerebbero dei problemi e sai bene che non possiamo permettercelo»
   «D’accordo» rispose lui, ben sapendo che la ragazza aveva ragione. «Buonanotte, Sofia»
   «Buonanotte, André».
   Il ragazzo si defilò e poco dopo Sofia giunse alla fine del corridoio. Dietro una porta si sentivano dei singhiozzi soffocati.
   Bussò. Dall’interno una voce secca intimò: «Avanti!».
   «Mi hai fatta chiamare, Giovanni?» chiese la ragazza, entrando nella stanza dopo una breve esitazione e salutando gli altri occupanti della stanza. «Jackson, Tsukiko».
   L’uomo rispose con un cenno del capo, la donna orientale aggiunse un accenno di sorriso.
   Sofia si guardò intorno. Conosceva bene quella stanza, uguale a molte altre in quel posto: forma rettangolare, pavimento di ardesia, pareti grigio fumo e un’intera parete di vetro di fronte alla porta, con un ampio tavolo e alcune sedie. Anonima e fredda, le ricordava le ore trascorse ad addestrarsi con l’uomo bruno che, in piedi al centro della stanza, appariva tanto furioso da non accorgersi di quello che accadeva intorno a lui.
   «Giovanni» chiamò nuovamente Sofia. Lui alzò lo sguardo.
   «Sei qui!» rispose, le sopracciglia contratte, una linea dura al posto delle labbra. La ragazza gli aveva visto quell’espressione sul volto molte volte, troppe, per non sapere da quali pensieri fosse generata. «Devi liberarmi di questo inutile fagotto singhiozzante!».
  Il fagotto in questione era una ragazzina di circa quattordici anni, accovacciata ai piedi dell’uomo nel tentativo di ripararsi dalla sua furia.
   «Devo portarla nei dormitori?» chiese calma Sofia.
   «No, maledizione! Non c’è un briciolo di potenziale in lei. Non so che farmene!» esplose l’uomo, guardando torvo la giovane donna che le stava davanti.
   «Dovresti aspettare e ritentare domani. Sai bene che un corpo rilassato e una mente fresca rendono più facile l’emergere della loro forza» rispose la ragazza.
   «Accidenti, Sofia» si lamentò Giovanni, guardando la sua pupilla «ho perso l’intera giornata con questa insulsa ragazzina e tu mi proponi di sprecare altro tempo!».
   «So bene che la calma non è una virtù che ti appartenga» disse impassibile la giovane «ma ti consiglio ugualmente di fare uno sforzo».
   I presenti trattennero il fiato. Sapevano bene come la collera dell’uomo duro che avevano di fronte potesse esplodere alla più innocua osservazione.
   Giovanni guardò torvo prima la donna che gli stava di fronte, poi la ragazzina accasciata sul pavimento. «D’accordo, portala via. Tenterò di nuovo domani».
   «Bene» rispose Sofia, come se la decisione dell’uomo fosse stata presa senza il suo intervento. Si rivolse alla ragazza. «Alzati». Lei si alzò. «Seguimi e non restare indietro. Buonanotte, signori» disse, rivolgendosi ai tre superiori.
   Le due giovani si avviarono lungo il corridoio.
   «Come ti chiami?» chiese Sofia, notando un livido nero che si allargava sotto l’orecchio destro della ragazza e chiedendosi come Giovanni potesse essere tanto violento. Negli ultimi tempi peggiorava sempre di più e la cosa la preoccupava.
   «Emma» rispose la ragazzina, guardandola di sottecchi con aria timorosa. Bassa, esile e con i capelli castani, gli occhi color dell’ambra e la carnagione chiarissima, la donna accanto a lei sarebbe potuta passare per una sua coetanea, se non avesse avuto quell’espressione fredda e distante.
   «Bene, Emma. Qui ci sono otto dormitori, quattro maschili e quattro femminili. Ogni responsabile ne controlla due. La prima regola, qui, è fare quello che il proprio responsabile ordina». Sofia parlava con voce bassa e chiara, mentre conduceva rapidamente Emma lungo un altro corridoio. «I nuovi arrivati non prendono subito posto nei dormitori, stanno per qualche giorno in una stanza più piccola. Due o tre giorni, di solito. Lì troverai tutto quello che ti serve: abiti, spazzolino da denti, cose di questo genere».
   Emma la guardò titubante. «E…le mie cose? Voglio dire…quello che avevo quando mi hanno portata qui». Ci teneva a riaverle. Erano l’unico legame che le restava con il mondo al quale l’avevano strappata.
   «Troverai lì anche i tuoi effetti personali» rispose Sofia. Poi si fermò di fronte a una porta. «Siamo arrivate. Ti preparerai nell’anticamera e poi raggiungerai il tuo letto. E ricorda che quando le luci sono spente, non è permesso parlare».
   «Va bene». Un po’ rincuorata, Emma spinse la porta ed entrò in quella che sarebbe diventata la sua nuova casa.

*

Mentre Emma e Sofia si dirigevano verso il dormitorio, nella stanza che avevano appena lasciato i quattro fondatori della struttura discutevano animatamente.
   «Non posso credere d’aver perso tutta la giornata con quella mocciosa!» esplose Giovanni battendo un pugno sul tavolo.
   «È inutile arrabbiarsi, caro» disse Prudencia, l’accento spagnolo ben riconoscibile «e dato che hai acconsentito a ritentare domani con quella ragazzina, dovresti concentrarti su come scoprire quale Elemento padroneggia…sempre che ne padroneggi uno» concluse scettica.
   Intervenne Jackson. «Quello che mi stupisce, Giovanni, è che ti sia piegato tanto facilmente al volere di Sofia. So che è la tua prediletta e che ne hai curato personalmente l’educazione e l’addestramento in ogni dettaglio, ma resta pur sempre una sottoposta. Non è opportuno che abbia questo potere su di te… e quindi su tutti noi» concluse duramente l’uomo.
   «Io non mi piego al volere di nessuno!» ribatté l’italiano, l’ombra del Fuoco che gli brillava negli occhi. «Il suggerimento di Sofia era ottimo e non c’era motivo per non seguirlo. Tu non l’avresti fatto?» chiese con aria di sfida.
   «Probabilmente l’avrei fatto, ma prima mi sarei interrogato attentamente sul perché di quella proposta. Sappiamo tutti quanto sia indifferente alla sorte degli allievi e con quell’intervento… be’, sembrava quasi che volesse proteggere la ragazza. Personalmente, non credo sia saggio fidarsi tanto di lei».
   «Stupido americano malfidato, ottuso come la Terra che manipoli» borbottò irato Giovanni.
  Tsukiko intervenne per evitare che la discussione degenerasse. «Calma, Giovanni. Gli insulti non servono. Sono convinta, come tutti qui» proseguì, guardando fissamente gli occhi dell’americano «che Sofia sia degna della massima fiducia. È qui fin da quando abbiamo fondato il Centro e padroneggia il proprio Elemento bene quasi quanto noi. Ci è utile, e se dà buoni suggerimenti, tanto meglio».
   «Quello di cui dovremmo discutere» si intromise Prudencia «è come muoverci da qui in avanti. Abbiamo trovato molti giovani talentuosi e per alcuni di loro il tempo di addestramento sta per finire. Dovremmo inserirli in posti strategici, se vogliamo allargare la nostra area di ricerca: ormai è sempre più difficile trovare persone che abbiano la capacità di manipolare gli Elementi».
   «D’accordo. Consultiamoci con i Portatori all’esterno e aggiorniamoci tra una settimana» decise Giovanni, mettendo fine alla riunione.
   Usciti dalla stanza, tre dei quattro occupanti si diressero verso il corridoio che portava ai loro alloggi. Il quarto si avviò nella direzione opposta, avanzando veloce lungo il corridoio che portava ai dormitori degli allievi. Pochi minuti dopo si fermava davanti a una porta nera, indistinguibile da tutte le altre, e vi poggiava delicatamente una mano. Una sottile lingua di Fuoco corse veloce dalla mano sotto la porta, che un istante dopo venne spalancata.
   «Giovanni!». Sofia appariva solo vagamente sorpresa. «Non ti aspettavo. È forse successo qualcosa? ».
   «È da molto che non parliamo» rispose l’uomo, ignorando la domanda e guardando con affetto la sua pupilla. «Vieni, usciamo».
   Percorsero il corridoio in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Sofia pensava a come quell’uomo fosse sempre riuscito a capire tutto di lei, e temeva potesse scoprire cosa era diventata; Giovanni, da parte sua, cercava il modo per entrare nella mente della donna che Sofia era diventata, allo stesso modo in cui aveva trovato la porta d’accesso alla mente di lei bambina.
   Camminarono così a lungo, lentamente. Giunti a una grande porta a vetri, Giovanni cedette galantemente il passo alla ragazza, tuffandosi con lei nella fresca notte primaverile.
   Il prato del grande parco era interamente illuminato dalla luna, la cui luce argentea veniva spezzata qua e là da panchine e fontane isolate e inghiottita definitivamente dalle tenebre solo molto più avanti, dove gli alberi crescevano fitti e davano vita a un bosco.
   I due si avviarono lungo i viali candidi che riflettevano la luce lunare e, giunti nel punto più basso del prato, abbandonarono i percorsi tracciati e si avviarono verso il bosco, raggiungendone i primi alberi.
   Giovanni sedette sotto un grande ippocastano ai margini del giardino, riparato da eventuali sguardi curiosi. Per loro, quella era una vecchia tradizione: anni prima, quando si erano stabiliti in quel posto, si recavano lì ogni giorno, insieme. Da tempo non ci andavano – la ricerca di persone come loro l’aveva completamente assorbito e, a poco a poco, lui e Sofia erano divenuti due estranei, o quasi. Ripensandoci, l’uomo si chiese come fosse arrivato al punto da non vederla più anche quando l’aveva davanti. Fece un gesto a Sofia che si sdraiò accanto a lui, gli occhi fissi sulla luna piena seminascosta dai rami.
   «Il Fuoco che è in me canta» sussurrò la ragazza, come ipnotizzata dal disco argenteo.
   Lui la fissò. Poi, con un gesto leggero, le spostò una ciocca di capelli dalla fronte. Sofia si voltò verso di lui, pensando quanto le fosse mancato quell’uomo, e come non riuscisse a odiarlo o disprezzarlo completamente nonostante tutto quello che aveva fatto – e faceva – patire a decine di persone… e a lei. Sei una stupida, disse tra sé e sé. Sapeva che ormai tenere le difese alzate contro di lui era l’unico modo per sopravvivere. Decise di non pensare più a nulla: aveva la sensazione che non sarebbero mai più stati insieme sotto quell’ippocastano e voleva approfittare del tempo che ancora restava loro. Stupida, si ripeté mentalmente.
   Proprio in quel momento, Giovanni spezzò il silenzio. «Jackson non si fida di te» disse inaspettatamente.
   La giovane sbuffò. «Sai che novità. Non si fida di nessuno, lui».
   «Mi ha detto che non dovrei accogliere i tuoi suggerimenti».
   «È per questo che mi hai portata qui?». Sofia, sbalordita, di scatto si mise seduta e fissò Giovanni. «Se anche tu non ti fidi di me, parlarne è inutile. Non dovremmo neanche essere qui» aggiunse, sentendosi stranamente ferita. Decise di non indagare su quella particolare emozione.
   «Non ho detto che non mi fido. Dico solo che se ha ritenuto di parlarmene, forse un motivo valido c’è» insisté lui con voce piatta.
   «Bene». Sofia si alzò. «Dato che questa è la tua opinione, non c’è nulla di cui discutere. Se vuoi scusarmi credo sia ora, per me, di tornare al mio posto. Buonanotte» concluse freddamente la ragazza, avviandosi con passo spedito lungo il prato e dentro l’edificio mentre l’uomo da cui si allontanava la seguiva con uno sguardo pieno di sospetti e rimpianti.

*

Il resto della notte trascorse tranquilla. Alle sette del mattino, la vita ricominciava a scorrere in quel luogo fuori dal mondo.
   «Ehi, vuoi spostarti o no? Devo prendere le mie cose!»
   «E allora? Aspetta il tuo turno!»
   «Dov’è finita la mia maglietta? Era qui!»
   «Non guardare me… io non c’entro!»
   «D’accordo ragazzi basta, basta, basta!» disse André entrando nei dormitori. «Ogni giorno è la stessa storia, possibile che dobbiate azzuffarvi per ogni sciocchezza?» concluse con un sorriso accattivante, mettendo fine al caos che regnava tra i ragazzi. Alto, con un fisico scattante e l’aggiunta di corti capelli dorati e occhi color del mare, André aveva tutta le capacità per rasserenare istantaneamente gli animi.
   La stessa scena si svolgeva nei dormitori di Blaze e Laurence, altri due responsabili dei dormitori. Solo nelle camerate sorvegliate da Sofia regnava la calma. Nessuno dei suoi occupanti desiderava farsi notare dalla responsabile, che incuteva loro timore quasi quanto i capi della struttura.
   Nella stanza destinata agli ultimi arrivati, Emma tentava di scoprire qualcosa di più sul posto in cui si trovava.
   «Che posto è questo?» stava appunto chiedendo a una ragazza poco più grande di lei che si trovava lì già da due giorni e che le aveva detto di chiamarsi Ailie.
   «Non so spiegartelo esattamente, sono qui da poco anch’io».
   «Ma cosa vogliono da noi?».
   «A quanto dicono» rispose Ailie «ci sono persone in grado di… comandare gli elementi. Quando trovano qualcuno che credono ne sia capace, lo portano qui e cercano di scoprire a quale elemento è affine».
   «Davvero? E tu quale elemento comandi?» chiese Emma, guardando con ammirazione la ragazza: il corpo leggermente muscoloso e le efelidi sul suo volto facevano sì che Ailie le suscitasse un gradevole senso di tranquillità.
   «Non ne sono sicura, ma credo sia l’Acqua. L’altro giorno sono riuscita a far correre delle gocce lungo le pareti».
   Insieme alla curiosità, in Emma cresceva anche la paura. «Quindi era questo che voleva da me quell’uomo con i capelli neri!».
   «Ti è capitato Giovanni? Accidenti che sfortuna!» esclamò Ailie, le mani infilate tra i capelli ramati. «Dicono sia il peggiore dei quattro, si arrabbia facilmente e non ti dà modo di tentare con la calma necessaria… e poi, tu sembri così delicata» aggiunse, osservando la corporatura esile, i capelli mossi e il viso dolce della nuova arrivata.
   «È vero, Giovanni ha un pessimo carattere» intervenne André, entrando nella stanza. «Ed è anche privo di fantasia. Sapete come ha chiamato questo posto? “Il Centro”. Davvero originale, non trovate?» concluse con una sonora risata.
   «Non dovresti parlare così di un superiore… specie davanti a loro» disse severa Sofia dalla porta.
   «Oh, andiamo… sai bene che è la verità, prendersela non cambia i fatti» la blandì l’altro.
   «È piuttosto tardi». Sofia decise di tagliare corto, prima che André dicesse qualcosa di cui pentirsi. «Porta Ailie nel gruppo di Prudencia e poi va’ a controllare il secondo gruppo dell’Acqua».
   «D’accordo. Andiamo, Ailie».
   Sofia guardò immobile l’alto giovane biondo e l’atletica scozzese sparire nel corridoio.
   Emma la osservò titubante, poi si arrischiò a parlare. «E noi… restiamo qui?» chiese confusa.
   «Certo che no. Devo portarti da Giovanni, lo sai bene» rispose seccamente l’altra, avviandosi verso una porta e facendo cenno a Emma di precederla.
   In breve tempo arrivarono di fronte all’unica porta di un lungo corridoio nell’ala Est dell’edificio.
Apertala, si trovarono in una grande sala semicircolare, quasi completamente vuota, invasa dalla luce del sole che entrava prepotente dalle grandi vetrate.
   Giovanni era già lì ad aspettarle. Sofia entrò con passo deciso, seguita da Emma che aveva tutta l’aria di un condannato a morte che speri di essere inghiottito dalla terra.
   «Ecco la ragazza. Dove sono i gruppi del Fuoco?».
   «A lezione. Non hanno bisogno di te ora… potresti restare e aiutarmi con questa qui» propose incerto l’uomo.
   «No grazie». Con queste parole, Sofia si voltò e si accinse ad andarsene.
   «SOFIA!». Il grido irato dell’uomo alle sue spalle la costrinse a fermarsi. «Non ti sto chiedendo di restare. Te lo sto ordinando!».
   «Avresti dovuto dirlo subito». Impassibile come sempre, la giovane scosse i lunghi capelli castani – seppure raccolti in una stretta crocchia – in un gesto di orgoglio che le era abituale e andò a sedersi su una sedia poco lontana.
   Giovanni le si avvicinò rapido. «Questo tuo modo di fare non mi piace» ringhiò a pochi centimetri dal volto della ragazza.
   «Stranamente, questo mio modo di fare ti irrita solo da ieri sera. Bizzarro, non trovi?» ribatté lei freddamente. «È incredibile come le parole di Jackson possano essere illuminanti» proseguì sardonica.
   «Ti avverto, Sofia…» iniziò minacciosamente l’uomo. Sofia lo interruppe.
   «Mi avverti?» ripeté. Poi scoppiò in una risata cattiva. «Conserva per gli altri le tue minacce, Giovanni. Ho passato con te metà della mia vita, conosco l’intero repertorio ormai» concluse sprezzante.
   «Basta così». Il volto paonazzo, Giovanni cercava di trattenersi dall’inchiodarla al muro con una palla di Fuoco e ricordarle chi comandava. «Porta quella ragazzina al centro della stanza. Adesso!».
   «Come desideri». Con somma indifferenza, Sofia si diresse verso Emma – che aveva osservato quello scambio di battute con aria preoccupata – e l’afferrò per la spalla. La ragazzina strillò e tentò di divincolarsi.
   «Cosa c’è?» chiese Giovanni con aria sospettosa, osservandole.
   «Io… quando mi ha toccata, è stato come se mi avesse bruciata. Fa male» tentò di spiegare Emma.
   «Colpa mia. Non sono riuscita a controllarmi» confermò Sofia tornando a sedersi.
   «Be’, basta perdere tempo. Cominciamo». L’uomo si avvicinò alla ragazzina che, al centro della stanza, cercava di evitare il suo sguardo. La fissò.
   «Come ti ho spiegato ieri» iniziò Giovanni, con voce controllata «sei stata portata qui – come molti altri – perché sei in grado di fare cose particolari, anche se non te ne sei ancora resa conto».
   «Ma io non so fare niente di strano!» protestò Emma, spaventata.
   «È inutile negarlo!» gridò l’uomo, evocando una sfera infuocata per inchiodare a terra la ragazza. «Esamino ogni singola persona che arriva qui e so bene, quando c’è in loro anche solo una scintilla di potere. E non mi sono mai sbagliato!».
   «Per favore, per favore basta!» pianse la ragazza, sentendo il fuoco pesarle sul petto come un macigno e bruciarla.
   «Se vuoi che smetta devi mostrarmi quale Elemento c’è in te!»
   D’un tratto, Emma non sentì più il fuoco bruciarla. Si rialzò, un po’ incerta sulle gambe.
   «Iniziamo con qualcosa di semplice» disse Giovanni, poggiando un foglio su un tavolo. Guardò Emma. «Prova a spostarlo».
   «E come?» chiese lei. Sembrava atterrita.
   Giovanni sbuffò. «Con l’Aria, ovviamente. Devi generare un soffio di vento diretto sul foglio» spiegò impaziente.
   Non sapendo cosa fare, la ragazza si limitò a fissare il foglio, temendo un nuovo scoppio d’ira dell’uomo. Che, un’ora dopo, si arrese.
   «Tentiamo con qualcos’altro» disse irritato.
   Quattro ore dopo – tentate inutilmente le prove per scoprire se uno dei tre Elementi rimasti fosse presente in Emma – Giovanni si arrese. Si rivolse a Sofia. «Portala via e falla sparire. Se c’è del potere, in lei, è nascosto fin troppo bene» disse stizzito. «Devo controllare un nuovo arrivo e poi iniziare la lezione del terzo gruppo. Il secondo è con Evan, quindi appena avrai terminato con questo compito, dovrai andare a controllare il primo gruppo. Fa’ presto» concluse, uscendo dalla stanza.
   «Dove mi porti?» chiese subito Emma, atterrita. Cominciava appena ad intuire il destino che le parole dell’uomo avevano stabilito per lei.
   «Dove Giovanni non si aspetterebbe mai» rispose inaspettatamente l’altra. «Stammi dietro, occhi a terra e fa’ di tutto per sembrare terrorizzata… non che ce ne sia bisogno» aggiunse, notando il pallore della ragazzina.
   Si diressero spedite nel corridoio, facendo un gran giro e passando sempre in corridoi deserti. Parecchi minuti dopo una porta alla loro sinistra si aprì, qualche metro più avanti rispetto al punto in cui si trovavano. Sofia bloccò Emma e la spinse nel vano di una porta.
   «Porta questa ragazza a lezione e poi va’ da Prudencia. Avvertila che abbiamo trovato quella che sembra essere una promettente Apprendista dell’Acqua» ordinò la voce di Giovanni a un sorvegliante di livello inferiore. La porta si richiuse. Sofia fece cenno a Emma di restare dove si trovava e si avviò decisa ma silenziosa verso il ragazzo che, ignaro della loro presenza, camminava alcuni metri avanti a loro, accompagnando una ragazza dai lunghi capelli biondi.
   «Aspetta, Adam».
   Il ragazzo, preso alla sprovvista, si voltò di scatto. «Sofia! Non ti avevo sentita arrivare. Cosa c’è?».
   «Alcuni ragazzi si stanno azzuffando nel quadrante Nord del parco. Va’ a prenderli, accompagnali negli uffici dei rispettivi Maestri, avverti gli stessi e poi fa’ un giro di ronda».
   Il ragazzo sembrò perplesso. «Ma… Giovanni mi ha detto di accompagnare questa ragazza…».
   Sofia ignorò il suo farfugliare confuso. «Ho sentito cosa ti ha detto Giovanni. Penserò io ad accompagnare la ragazza e ad avvertirlo del cambiamento di programma» lo rassicurò. «Ora muoviti».
   «Subito». Il ragazzo s’incamminò veloce lungo il corridoio e in pochi istanti sparì.
   «Perfetto. Come ti chiami, signorina?» chiese alla ragazza che aveva di fronte. Alta una buona testa più di lei, aveva lineamenti regolari, lunghissimi capelli biondi e occhi verdi: una diciottenne davvero incantevole.
   «Elizabeth» rispose lei.
   «Bene, Elizabeth, seguimi e non parlare. Emma!» chiamò poi a bassa voce.
   La ragazzina scattò al suo fianco.
   «Tra poco arriverà la parte più difficile. Statemi vicino e tenetevi pronte a correre» si raccomandò Sofia.
   Percorsero rapidamente altri tre corridoi, captando frammenti di lezioni – francese, matematica, latino e un’infinità di altre materie – e di addestramenti. Giunte vicino all’uscita dell’Ala Sud, udirono dei passi. Con un gesto, Sofia bloccò le due ragazze. Poi, cautamente, poggiò una mano sul pavimento di ardesia. Dal suo indice si staccò una solitaria fiammella, grande quanto un’unghia, che corse veloce verso l’origine del suono. Una volta lì, si sollevò in aria tracciando una spirale e scoppiettò come un fuoco d’artificio in miniatura.
   Sospirando di sollievo, Sofia corse in avanti, trascinandosi dietro Emma ed Elizabeth. Voltato l’angolo, si trovarono faccia a faccia con André.
   «Come mai hai controllato chi stesse arrivando?» chiese il ragazzo.
   «Credo sia ora di dare una volta alla nostra educazione spiccando il volo verso nuovi orizzonti» ribatté bizzarramente l’altra. «Avverti gli altri e recatevi al punto stabilito. Vi lascerò delle tracce».
   Un largo sorriso illuminò il volto di André. «Puoi contarci. Ci vediamo alla Valle» disse, prima di correre nella direzione opposta alla loro.
   Le tre ragazze seguirono il suo esempio. Uscite dall’edificio, però, Sofia costrinse le altre due a tenere un passo più tranquillo, in modo da non suscitare sospetti. Percorso il parco, giungevano ai primi alberi del bosco del quadrante Sud quando un gran frastuono le mise in allarme.
   Si voltarono. Un gruppo di almeno trenta tra studenti e sorveglianti correva verso di loro. Alla loro testa, chiaramente riconoscibili, c’erano il Maestro del Fuoco e quello dell’Acqua. Prudencia rimase indietro, mentre con uno scatto felino Giovanni si avvicinava velocemente al terzetto al limitare del bosco.
   «Accidenti!». Sofia digrignò i denti, osservando gli inseguitori. Si rivolse rapidamente alle due ragazze. «Correte! Dritte nel bosco, seguite i gladioli, fino a una grotta. Nascondetevi lì, qualcuno verrà a prendervi più tardi» ordinò in fretta, con voce bassa ma chiara.
   Emma ed Elizabeth rimasero a fissarla, poi la seconda prese in mano la situazione, afferrando la più giovane e tirandosela dietro nel bosco.
   Sofia scatenò un muro di Fuoco, che non bruciava nulla ma impediva di passare e inseguire le due ragazze tra gli alberi, e si voltò appena in tempo per ricevere una frustata incandescente in pieno petto. Volò a qualche metro di distanza, atterrando pesantemente sul terreno morbido.
   Rialzatasi prontamente, schivò per un soffio un dardo di ghiaccio: Prudencia aveva raggiunto Giovanni e gli dava manforte nel tentare di abbattere Sofia.
   La ragazza reagì prontamente. Bloccata una sfera di Fuoco lanciatale da Giovanni la scagliò violentemente a terra, facendo schizzare scintille e detriti ovunque. Approfittando dell’attimo di smarrimento dei suoi avversari, inchiodò al suolo l’argentina con una catena infuocata. La sentì gridare di dolore, mentre il Fuoco la tormentava e tentava invano di liberarsi. Giovanni, vedendola a terra, non seppe cosa fare: liberare Prudencia o catturare Sofia? La sua indecisione non durò che un istante, ma fu sufficiente. La ragazza colse l’occasione e lo spedì contro un albero, lo stesso ippocastano sotto il quale si erano sdraiati solo la notte prima, imprimendovi col Fuoco una cicatrice permanente e immediatamente, aprendosi un varco nella muraglia di Fuoco che lei stessa aveva evocato, corse via, dileguandosi tra gli alberi mentre allievi e sorveglianti tentavano invano di seguirla.

*           

Durante lo scontro, Emma ed Elizabeth si erano notevolmente allontanate, correndo attraverso gli alberi. Giunte al limite esterno del bosco, sulla cima di una piccola altura, si bloccarono.
   Intorno a loro, si stendeva un campo sconfinato. Di gladioli.

*

Mentre Emma ed Elizabeth si chiedevano confuse da che parte andare, nel quadrante Nord del parco circa duecento allievi e sorveglianti attendevano istruzioni.
   André prese la parola. «Come sapete, abbiamo aspettato a lungo il momento opportuno per andare via di qui. Quel momento è arrivato e dobbiamo cogliere l’occasione ora che gli altri si stanno radunando nel quadrante Sud per inseguire Sofia e le due ragazze che stanno fuggendo».
   Osservò la distesa di volti seri e concentrati che aveva di fronte. Preoccupato, si chiedeva se sarebbero riusciti ad arrivare all’entrata della Valle senza incontrare ostacoli o se sarebbero stati costretti a combattere con coloro che erano rimasti fedeli ai quattro Maestri degli Elementi. Nascose i propri dubbi e si accinse a dare le indicazioni necessarie ad arrivare al punto di raccolta.
   «Ci divideremo in tre gruppi – ogni gruppo col proprio responsabile. Chi era nelle camerate di Sofia?»
   Una cinquantina di persone alzarono la mano.
   «Bene, voi verrete spartiti tra il mio gruppo e quelli di Laurence e Blaze. Laurence, dividili per favore. In fretta!».
   Laurence si mosse rapido ed efficiente, nonostante la sua alta statura e la corporatura massiccia non lasciassero supporre una tale leggerezza nei movimenti. Chi non lo conosceva l’osservava con timore – l’avevano soprannominato “Gigante Nero” per l’aspetto fisico e il colore della pelle, nera come la notte – ma bastava guardare i suoi occhi per percepire la tranquillità che albergava in lui ed esserne totalmente rassicurati.
   Divisi i ragazzi del Fuoco in tre gruppi e assegnatone ognuno a un sorvegliante, Laurence guardò André. «Dovremmo muoverci. Indugiare non è prudente» disse con la sua voce profonda al giovane biondo, che annuì.
   «È ora di andare. Ogni gruppo seguirà un percorso diverso. Ci troveremo al punto di raccolta entro il tramonto. Buona fortuna a tutti» concluse, osservando Laurence avviarsi col proprio gruppo e scrutando Blaze con aria seria. «Niente bravate, Blaze. Ne avrai tutto il tempo quando saremo alla Valle» si raccomandò. Conosceva bene il carattere imprudente del giovane americano e aveva perso il conto delle volte in cui aveva tentato di arginarne la vitalità. André si augurò mentalmente che non commettesse sciocchezze e lo guardò condurre il gruppo della Terra nel bosco, prima di fare un cenno al proprio gruppo e seguirlo.

*

Emma ed Elizabeth continuavano a guardare la distesa apparentemente infinita di gladioli che si stendeva di fronte a loro, e continuavano a non sapere da che parte andare.
   «”Seguite i gladioli!”. Bel consiglio ci ha dato…qui è pieno di gladioli, non si vede altro!» ringhiò Elizabeth, maledicendo Sofia a bassa voce.
   Emma, in silenzio, rifletteva. Non aveva senso che Sofia le avesse fatte scappare per poi spedirle in un vicolo cieco. La risposta alla sua indicazione era certamente lì, di fronte a loro, nascosta quanto bastava da passare inosservata a un osservatore distratto. Decise di guardarsi intorno più attentamente. La distesa di fiori di fronte a lei era un turbinio di colori: gialli, bianchi, arancio, rosa, viola, blu… all’improvviso vide una macchiolina rossa, tra tutti quei fiori.
   Osservò meglio. Era un piccolo grappolo di gladioli rossi, e ce n’erano pochissimi in quella distesa colorata…
   «Elizabeth!» esclamò all’improvviso. L’altra le si accostò, sempre imprecando sottovoce. «Sofia non ha fatto comparire un muro di Fuoco, quando ci ha fatte scappare?».
   «Sì. E allora?» rispose astiosa Elizabeth.
   «E allora… guarda bene il prato! Ci sono gladioli di tutti i colori… ma solo pochissimi rossi!».
   Elizabeth continuava a non capire. Emma la guardò impaziente.
   «Qual è il colore tipico del Fuoco?».
   «Rosso… accidenti hai ragione, dobbiamo seguire i gladioli rossi! Guarda da questa angolazione… sembra che traccino una linea!» disse eccitata Elizabeth, cogliendo finalmente l’intuizione di Emma. «Presto, andiamo!» proseguì, lanciandosi con lei nella distesa variopinta.

*

Correndo, Sofia prese una direzione diversa da quella che aveva indicato alle due ragazze appena strappate al Centro. Seguì il terreno nel punto in cui declinava fino ad arrivare a qualche decina di metri da un’imponente sequoia, segno che stava andando nella direzione giusta.
   Quella parvenza di tranquillità si dissolse immediatamente. Dei passi risuonavano leggeri sul terreno coperto di foglie e rametti. Sofia si guardò intorno e corse a ripararsi dietro una quercia. Sapeva chi si stava avvicinando – ogni Elemento lascia una traccia inconfondibile in chi lo detiene e lei si era allenata a riconoscere quelle sfumature.
   Giovanni avanzò lentamente tra gli alberi, guardandosi intorno con cautela e temendo un attacco improvviso da un momento all’altro.
   Sofia lo sentì avvicinarsi. Premette ancora di più la schiena sul tronco massiccio dell’albero e si sforzò di reprimere completamente il Fuoco dentro di lei, in modo che Giovanni non potesse sentire la sua presenza. Era certa che lui l’avrebbe seguita – era stato il suo mentore, conosceva bene i particolari segni che distinguevano il suo stile e lei aveva deliberatamente creato un muro infuocato non abbastanza forte da resistere ai Maestri: se avessero conosciuto il suo vero livello, quella scoperta avrebbe fornito loro un motivo per catturarla ben più forte della vendetta.
   Il sangue le pulsava bollente nelle tempie. Sapeva di dover attaccare Giovanni prima che lui la individuasse, per avere una possibilità di scappare senza essere seguita, eppure quella consapevolezza le faceva male al cuore. I secondi passavano veloci. Doveva decidersi. Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e attaccò.

*

Giovanni sapeva che lei era lì. Non la vedeva, non la percepiva, ma sapeva che c’era. Come quando, tredici anni prima, aveva iniziato a girare la Spagna per cercarla. Sapeva che era lì che lo aspettava, come tanti anni prima.
   Sapeva anche che lo avrebbe attaccato. Per questo quando una saetta incandescente volò verso di lui fu pronto ad evitarla.
   Fissò la piccola figura vestita di nero che, trenta metri più avanti, sembrava essersi materializzata dal nulla. Aveva sempre avuto un talento naturale per gli agguati e le strategie di battaglia, pensò Giovanni.
   Si studiarono in silenzio per qualche minuto. Poi il Fuoco iniziò a imperversare per la foresta.
   Inizialmente un po’ guardinghi, gli attacchi di Giovanni e quelli di Sofia andarono aumentando di forza e precisione. I colpi si fecero più fitti, le difese a tratti più deboli, sfere e guizzi di Fuoco impedivano l’un l’altra di vedersi chiaramente. A ogni colpo, la distanza tra loro diminuiva. Senza quasi accorgersene si trovarono a poco più di un metro l’uno dall’altra: schivare i colpi era diventato impossibile.
   Giovanni lanciò una lingua di Fuoco tanto sottile da essere quasi invisibile verso Sofia, che non fu abbastanza rapida da evitarla. Si strinse attorno al suo collo sottile, bruciandola, privandola dell’aria. Caduta in ginocchio guardò l’uomo alto e muscoloso che torreggiava su di lei, lasciando vagare lo sguardo sui capelli neri e il volto dai lineamenti decisi. Infine, si perse nei suoi occhi. Come anni prima, quando si era trovata nella stessa situazione, col Fuoco di lui che la torturava e gli occhi fissi nei suoi, indifferente alla sofferenza che le infliggeva, ai segni che stava lasciando sul suo corpo. Sentì le cicatrici bruciare e il Fuoco guizzò nuovamente in lei.
   Fulminea, Sofia afferrò il filo bollente che la soffocava e lo tirò con violenza. La fiamma resistette per un secondo, poi si dissolse in una miriade di scintille simili a piccole stelle. Vide lo stupore negli occhi di Giovanni e lo bloccò a terra con la stessa decisione con cui fino a un istante prima lui aveva cercato di soffocarla.
   Osservò la barra di Fuoco con cui l’aveva bloccato e ne aumentò l’intensità; gli abiti dell’uomo bruciarono dove erano a contatto col Fuoco. La carne iniziò a sfrigolare, mentre Sofia osservava con occhi incupiti e vuoti l’uomo che stava torturando.
   Giovanni gemette. Quel suono sembrò riportarla alla realtà: scosse la testa e, resasi conto della profondità della ferita che aveva inflitto al suo Maestro, capì che poteva scappare senza il rischio di essere nuovamente inseguita.
   Dopo aver lanciato un ultimo sguardo pieno di rancore all’uomo steso a terra, riprese a correre nella foresta.

*

Come poteva avergli inflitto una ferita del genere?
   Abbandonato sul suolo morbido del bosco, incapace di muoversi, Giovanni continuava a porsi questa domanda. Non era riuscito a liberarsi, quando Sofia lo aveva attaccato. Aveva usato contro di lui un Fuoco troppo potente, e solo i Maestri erano in grado di padroneggiare gli Elementi in modo da scatenarli con una tale forza. Poco più di un anno prima aveva valutato Sofia per farla promuovere al rango di Maestro, ma non si era dimostrata capace di padroneggiare il proprio Elemento in modo adeguato. La stessa scena si era ripetuta solo tre mesi prima.
   «Probabilmente non sono ancora pronta» aveva detto lei con un piccolo sorriso, notando la delusione di lui.
   Che, adesso, era furioso. L’aveva ingannato!
   Sprizzando scintille dalla mano sinistra per la rabbia, provò nuovamente ad alzarsi. Non ci riuscì.
   
 
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