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Autore: Piperilla    28/03/2015    1 recensioni
Mai fermarsi alla superficie delle cose.
Questa è una verità più importante di quanto si possa credere: sotto l'aspetto ordinario, infatti, molte persone nascondono capacità fuori dal comune: quella che permette loro di governare i quattro Elementi fondamentali.
In un luogo sperduto vengono riunite queste persone speciali: separati contro la loro volontà da parenti e amici, segregati in quella che è più una prigione che una scuola, viene insegnato loro tutto sul loro potere e su come padroneggiarlo: gli anni si susseguono in una serie infinita di lezioni e addestramenti fino a quando, nelle mente dei prigionieri, non rimane più nulla delle loro vite precedenti. Fino a quando non diventano strumenti nella scalata al potere bramata dai quattro Maestri che dirigono quel luogo.
Ma proprio come la lava ardente, la ribellione si agita appena sotto la superficie.
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga degli Elementi'
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La notte era calata da tempo e tutto era sprofondato nell’oscurità: le strade erano silenziose, fatta eccezione per le scarpe dei rari passanti che scricchiolavano sul selciato e il rumore delle poche automobili che di tanto in tanto passavano, scomparendo rapide come erano arrivate. Le finestre degli edifici erano perlopiù buie, ma ogni tanto un rettangolo luminoso spiccava sulle facciate, a segnalare che qualcuno era ancora sveglio, che la giornata di alcune persone ancora non si era conclusa.
   All’interno di un palazzo antico, corridoi e stanze erano buie e silenti da un pezzo. Solo in una sembrava ci fosse ancora vita. Una stanza al primo piano era semibuia: la poca luce dei lampioni che filtrava dalle finestre si univa a quella soffusa della lampada da tavolo, l’unica luce che l’uomo seduto alla scrivania si fosse concesso di accendere.
   Una voce si levò dalle ombre più lontane della stanza.
   «C’è qualche problema con il progetto?».
   L’uomo seduto alla scrivania, mollemente abbandonato nella poltrona, giocherellò con la penna che stringeva tra le dita. «Potrebbero esserci tra non molto» annunciò dopo un breve silenzio meditabondo. «Il mio socio sta facendo delle difficoltà nell’adempiere a una condizione del patto che abbiamo stretto dieci anni fa».
   L’altro uomo emerse dall’oscurità e fissò con sguardo imperturbabile il proprio superiore. «Vuole che me ne occupi?» chiese, e nonostante la sua voce fosse priva di qualsiasi inflessione, era chiaro che i suoi intenti non fossero pacifici.
   Il capo alzò gli occhi sul sottoposto, anche se solo per un breve istante. «Sembri stranamente propenso a occuparti della faccenda. Direi quasi che per te abbia un risvolto personale…»
   «Cerco solo di rendermi utile». Con questa breve frase pronunciata in tono di sfida, in totale contrasto con l’ossequioso cenno del capo con cui l’aveva accompagnata, il dipendente fece per tornare nell’ombra.
   «Un momento». L’uomo alla scrivania si raddrizzò di scatto e sollevò la mano in un gesto rapido e imperioso, bloccando i movimenti dell’altro. «Anche se non in modo drastico, presto potrebbe rivelarsi opportuno rammentare al mio socio chi ha il potere».
   L’altro non batté ciglio. «Vuole darmi delle istruzioni?»
   Il suo superiore scosse la testa. «No. Voglio raccontarti la storia di questo accordo e di cosa ne è scaturito in un intero decennio».
   Per qualche istante il silenzio regnò sovrano. «Perché?» si decise a chiedere il sottoposto.
   Il primo uomo si lasciò andare contro lo schienale della morbida poltrona che occupava. «Perché non potrei affidare questo incarico a nessuno che non conosca alla perfezione la situazione e le persone che dovrebbe affrontare. E perché questo gioco sta diventando pericoloso, per me: ci sono altri nemici che potrebbero approfittarne per screditarmi». Fece un gesto vago verso una delle due poltroncine dall’altro lato della scrivania. «Siedi, siedi. È una storia lunga, tanto vale stare comodi» disse, sistemandosi la raffinata cravatta di seta in un gesto meccanico.
   Il secondo uomo attraversò la stanza con poche falcate grazie alle lunghe gambe e sedé in una poltrona. «La ascolto, signore».
   Il primo uomo prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, rievocando i ricordi.
   «Tredici anni fa, quando già ricoprivo un ruolo di prestigio ed ero occupato a rafforzare la mia posizione, ricevetti una chiamata da un vecchio amico di cui non avevo notizie da tempo. Ha sempre avuto l’indole del vagabondo, dunque non mi stupì sapere che si trovava fuori dall’Italia. Ciò che mi lasciò senza parole fu la sua singolare richiesta: mi chiedeva con un’urgenza del tutto incredibile di assicurargli un ben preciso posto di lavoro. Ovviamente lo accontentai: a me non costava nulla, e sapevo che fornirgli la mia assistenza l’avrebbe messo in condizione di dovermi spiegare, prima o poi, il perché di tale richiesta.
   «Non dovetti aspettare a lungo: circa un anno e mezzo più tardi il vecchio amico bussò alla mia porta, alla disperata ricerca di aiuto. Mi raccontò la sua storia: del lavoro che mi aveva pregato di fargli ottenere, i legami che aveva stretto, le azioni attentamente calcolate così come le parole e le allusioni, ogni gesto, anche apparentemente insignificante, dipanati nell’arco di un intero anno. Quello che si dipinse di fronte ai miei occhi fu uno sforzo titanico finalizzato a un atto folle: tutto il suo impegno, tutte le sue macchinazioni erano culminate nel rapimento di una bambina. “Una bambina speciale, tanto speciale che non se ne vedrà mai l’eguale” furono le sue parole testuali. Non lo comprendevo: stava rischiando tutto – e mi stava coinvolgendo in una faccenda tanto delicata – per cosa? Qualche disgustosa perversione? Eppure i suoi occhi, per quanto frenetici e disperati, erano quelli di sempre: l’impulsività, la propensione alla rabbia e la ferocia con cui erano sempre culminati gli episodi in cui aveva perso il controllo rivelavano il carattere per certi versi crudele ed egoista che conoscevo bene, ma non c’era traccia del mostro perverso di cui per un attimo avevo sospettato l’esistenza.
   «Tuttavia non volli correre rischi. Se davvero voleva il mio aiuto, dovevo accertarmi di quale fosse la situazione prima di espormi: e non potevo farmene un’idea se non vedendo la bambina stessa. Il mio caro amico esitò molto, ma fui irremovibile: era l’occasione non solo per tutelarmi, ma anche per soddisfare la curiosità nata tanti mesi prima. Sotto la spinta del bisogno, il mio amico cedette. Mi permise di osservarla, di nascosto, da lontano: e anche se in quell’occasione non potei scorgere molto più di un paio d’occhi d’ambra, capii cosa intendesse. C’era qualcosa in lei che bruciava con un’intensità tale che mi fu impossibile non notarlo, così come non potei ignorare il fatto che assieme a lei bruciava anche il mio amico, quell’incauto che si era fatto trascinare al punto da sottrare una bambina alla propria famiglia. L’occasione mi permetteva di osservarlo meglio di quanto potessi fare con la bambina, e vidi una quantità di sentimenti bizzarramente assortiti: nei suoi occhi c’era un ardore implacabile che mal si accompagnava alla premura e alla sollecitudine con cui seguiva ogni mossa di quella ragazzina
   «Ma ormai era fatta. Gli fornii la mia assistenza una seconda volta, aiutandoli a sparire, e li lasciai a loro stessi, nonostante una curiosità tutta nuova mi rodesse come un tarlo fastidioso. Che quella bambina fosse speciale ormai era evidente anche a me; ma nonostante questo, continuavo a non comprendere cosa il mio amico vedesse in lei di tanto unico da giustificare le azioni che aveva compiuto pur di tenerla con sé. Ci ho pensato molto, in tutti questi anni, e mi sono chiesto spesso se quella bambina non fosse unica per lui, se tutto quello che aveva di speciale e che anch’io ho percepito non fosse tanto straordinario agli occhi del mio amico perché era l’unico ad avere gli occhi adatti a vedere tutto ciò che quella ragazzina celava in sé. Purtroppo non ho mai avuto modo di ottenere una risposta chiara e inconfutabile a queste domande.
   «Per alcuni anni non ebbi notizie di quello che oggi è il mio socio: sapevo che viveva qui, ma pur risiedendo nella stessa città non ci incrociammo mai. Intanto la mia ascesa proseguiva senza ostacoli, tu lo sai, eri già ai miei ordini: gli incarichi prestigiosi si succedevano in un vortice che mi spingeva sempre più in alto, e presto fu chiaro che nessuno mi avrebbe fermato. Ero – e sarei stato – il detentore di una quantità esorbitante di potere: era lo scopo che mi ero prefissato fin dalla gioventù, e al posto mio chiunque altro si sarebbe sentito soddisfatto e si sarebbe adagiato sugli allori del vincitore. Io, però, sapevo di non potermi accontentare: il potere è effimero, la sua conquista dura, e le possibilità di perdere ogni cosa, sempre dietro l’angolo, pronto a colpire lo stolto che non sappia conservare ciò che ha faticosamente guadagnato. Ero consapevole di dover investire il potere e le risorse che ormai avevo a mia completa disposizione affinché alimentassero loro stesse e incrementassero ciò che già avevo – prestigio, autorevolezza, potere, denaro. Le quattro cose che ti consentono di tenere in pugno un Paese».
   L’uomo tacque, perso nei ricordi. Il suo sottoposto si arrischiò a spezzare il silenzio.
   «Fu allora che le venne l’idea?».
   Il primo uomo si riscosse.
   «No, affatto. Ammetto, anzi, di aver brancolato nel buio in quell’ora gloriosa, di essermi sentito perduto proprio nel momento di maggiore splendore. Abituato com’ero a prevedere ogni cosa, e sapendo che il potere che detenevo avrebbe presto fatto gola a molti, potevo facilmente prevedere l’arrivo di un antagonista, un giorno non troppo lontano. Ma era una minaccia indefinita, ancora non concretizzata, e non sapere contro chi o cosa avrei dovuto combattere mi impediva di prendere delle contromisure efficaci, in grado di farmi sentire al sicuro.
   «Fu proprio in quel periodo che il mio vecchio amico uscì di nuovo allo scoperto. Venne a sottopormi un’idea nata dalla vicinanza con quella ragazzina, un’idea su cui nessuno si era mai soffermato a pensare: quanti altri bambini, ragazzi e adulti c’erano, in giro per il mondo, in grado di governare un Elemento senza saperlo?
   «Fui affascinato e conquistato da quell’idea. C’era un potenziale illimitato in essa: si parlava di centinaia, migliaia…magari milioni di persone! Abbastanza da costruire un esercito. Abbastanza da formare una guardia privata più folta, da spedire contro nemici e detrattori. Abbastanza da permettermi di conservare il mio potere e magari guadagnarne ancora di più.
   «Non gli fu difficile convincermi della necessità di arrivare a queste persone e istruirle sul loro potere di Portatori degli Elementi, né su quanto fosse indispensabile avere un luogo nascosto e inaccessibile in cui ospitarle. La segretezza era il fulcro di tutta la faccenda: se le nostre capacità fossero di dominio pubblico non avremmo più una vita tranquilla, saremmo osservati, studiati, perseguitati.
   «Mi dichiarai d’accordo. Lo avrei aiutato a far sparire le tracce dei nuovi Portatori in modo che nessuno li cercasse, mentre lui si sarebbe occupato di individuare i potenziali Portatori, prelevarli e addestrarli. Era un accordo perfetto: i Portatori più talentuosi, una volta terminato l’addestramento, avrebbero lavorato per me, e tutti gli altri sarebbero rimasti al suo servizio. Dire che ero soddisfatto della situazione significherebbe minimizzare quello che provavo».
   «Continuo a non capire quale sia il problema» intervenne l’altro uomo. «I Portatori arrivano e sono degli ottimi elementi, intelligenti, capaci, bene addestrati. Cos’è che non la soddisfa?».
   «Il nostro accordo prevedeva un altro punto» rispose il primo. «Dai discorsi del mio caro amico, capii che il suo attaccamento a quella ragazzina era, se possibile, aumentato durante quegli anni in cui non avevamo avuto contatti. Parlava con entusiasmo delle sue capacità di Portatrice, dell’intensità e della forza del suo Elemento; e com’era prevedibile, fui di nuovo incuriosito da lei. Stavolta fu più facile convincere il mio amico a lasciarmi osservare la ragazza, e quello che vidi mi lasciò senza parole: l’unicità che il mio nuovo socio aveva tanto decantato e su cui avevo nutrito numerosi dubbi cominciava a palesarsi anche ai miei occhi. Quell’adolescente, che a prima vista non aveva nulla di speciale, era una Portatrice di grande potenza. Decisi che la volevo.
   «Il mio amico non la prese bene. Non voleva separarsi da lei, ma fui irremovibile: un giorno quella ragazza avrebbe preso servizio nella mia scorta, altrimenti non avrei finanziato il suo progetto.
   «Ebbi la meglio. Dopo parecchie ore di contrattazione, il mio amico acconsentì: io tornai ai miei affari e lui partì per una località che non mi ha mai svelato, per prepararsi a questa nuova sfida. Ci volle qualche anno per vedere i primi frutti del suo lavoro, ma non fui deluso: come hai notato anche tu, i Portatori che si sono uniti a noi sono di chiaro talento.
   «Eppure qualcosa continuava a rodermi il fegato. Gli anni passavano, ma di quella ragazza non c’era traccia: parlai più volte con il mio caro amico, ma non ci fu verso di sapere quello che volevo. Lui ripeteva – e ripete tuttora – che il suo addestramento non è completo, che in lei ci sono ancora riserve di potere a cui attingere, che non è pronta. E se all’inizio potevo prendere per buone le sue affermazioni, di sicuro ora non lo faccio più. Quella ragazza è pronta: più che pronta, ma lui non vuole rispettare il nostro accordo».
   «Per quale motivo non prende provvedimenti?» gli chiese il suo sottoposto.
   «Perché per ora la ragazza non mi serve» rispose calmo l’altro. Non notò come la postura dell’uomo che aveva di fronte si fosse rilassata impercettibilmente. «Ma arriverà il giorno in cui mi sarà indispensabile, e quel giorno sarà difficile ottenerla: temo che il mio attuale alleato diventerà il mio primo nemico».
   «Crede davvero che le volterà le spalle soltanto per una donna?»
   «Lo credo. Negli ultimi anni ha ricominciato i suoi viaggi apparentemente senza mèta: sta cercando qualcosa. Con ogni probabilità, qualcosa che lo renda più potente; e se riuscisse ad avere più potere di me, allora perderò ogni possibilità di avere quella ragazza come era stato pattuito».
   Il sottoposto fissò sul suo datore di lavoro due occhi nocciola in cui si scorgeva solo un barlume di preoccupazione.
   «Perché quella ragazza è così importante?» chiese.
   L’altro sorrise senza allegria. «Perché è al tempo stesso lo strumento della mia salvezza e la chiave per la mia rovina».
   
 
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