Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Najara    29/03/2015    2 recensioni
Jordan, pilota di carro armato, ha perso tutto, la sua famiglia, la sua casa il suo futuro. Ora combatte e quando si risveglia nel bel mezzo del nulla con la sola compagnia di tre commilitoni dovrà imparare a riempire quel vuoto senza una bottiglia ad aiutarla.
Genere: Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Grazie a tutti quelli che leggono e mille grazie a chi lascia anche un commento! ;-)

Buona lettura!

 

 

 

Primo capitolo: Armamento, protezione e… mobilità!

 

Uno scossone la fece sobbalzare, il dolore si risvegliò prepotentemente assieme alla sua coscienza. Si portò una mano al volto togliendosi la maschera poi osservò i suoi occhiali, la montatura era tutta storta, rimase qualche secondo ad osservarli, poi un secondo scossone la risvegliò definitivamente. La bomba non doveva aver colpito i cingoli perché si stavano muovendo.

“Sten?” Chiamò, mentre si voltava verso il suo copilota, poteva vederne il braccio immobile, parte della torretta di fuoco gli impediva di scorgere altro e lo specchietto era troppo piccolo e inclinato male, “Sten?” provò di nuovo, si ricordava di averlo visto barcollare.

Tentò di guardare fuori ma la piccola feritoia era completamente ostruita. Il computer di bordo che le permetteva realmente di guidare era spento. Improvvisamente fu presa dal panico, si stavano muovendo e lei non sapeva verso cosa. La sua mente le propose in rapida successione un burrone, un mare o più probabilmente un cannone dei nemici. Diede una brusca sterzata, che la mandò a sbattere contro la torretta. Il motore borbottò e sussultò poi si spense.

Scese il silenzio.

“Maledizione, c’è qualcuno che mi sente?” Urlò, la paura che la attanagliava ancora. Non le rispose nessuno, ruotò sul suo seggiolino, il movimento le diede una forte nausea. Si fermò chiudendo gli occhi, aveva freddo eppure stava copiosamente sudando, osservò le proprie mani, tremavano. Le chiuse a pugno, doveva essere in stato di shock. Prese un profondo respiro cercando di controllare la nausea poi si alzò, passò attorno alla torretta e raggiunse Sten, il suo copilota tedesco.

Era riverso sul sedile,

“Sten!” Non aveva ferite visibili, gli tolse la maschera sperando che potesse respirare più liberamente e quindi svegliarsi. “Andiamo Sten, per favore svegliati” lo chiamò ancora lei mentre lo scuoteva, gli tolse l’elmetto che lui teneva sempre allacciato e gli fece aria con la mano. La nausea la assaliva, sudori freddi le scivolavano lungo la schiena. Forse doveva trovare il kit del pronto soccorso, sì, decise infine, lì c’erano sicuramente dei sali. Mentre si alzava però sentì un rumore nella torretta e dimenticò i sali.

“Signore?” Provò.

“Jordan? Sei tu? Lo sapevo io che non dovevo far guidare Bobby ad una donna!”, lei scosse la testa e il dolore le esplose nel cervello, la smise subito soffocando un gemito, non stava bene e non capiva perché… era sempre lo shock?

“Sono io signore, Bobby è tutto intero, prima ci muovevamo”

“Bene, una buona notizia, Sten?”

“E’ svenuto, forse è caduto…”

“Non dirmi che non aveva l’elmetto”

“Ce l’aveva signore”

“Bene bene, allora dopo ci occupiamo di lui, ora esci e vieni ad aiutarmi ad aprire il portellone, è bloccato, credo sia stato il colpo che abbiamo preso. Loewy sta verificando le armi”.

“Sì signore”, il suo portello si aprì senza problemi e lei sgusciò fuori da Bobby, il loro carro armato. Rimase qualche secondo abbagliata dall’intensa luce del sole ormai alto nel cielo, doveva essere quasi mezzogiorno si disse. Poi si guardò attorno, non avrebbero dovuto essere lì, rabbrividì, era un carrista abituata a spazi claustrofobici ed era nata e vissuta a New York, città di milioni di abitanti, tutto quello spazio vuoto era per lei innaturale e alieno. Ricordandosi perché era uscita smise di contemplare il paesaggio e scalò Bobby fino ad arrivare al portellone della torretta da cui entravano il comandante e l’armiere. Capì subito che non sarebbe stato facile, la bomba o qualsiasi cosa li aveva colpiti aveva seriamente ammaccato il fianco dello scafo e della torretta ma anche la parte superiore così da bloccare il portellone e distruggere completamente la torretta d’osservazione con il periscopio. I cingoli erano stati miracolosamente risparmiati, così come il cannone, mentre delle due mitragliatrici solo una sembrava non essere stata colpita. Rientrò nello scafo e comunicò la situazione a Ramirez, il suo comandante.

“Ok, allora Jordan, prendi il kit di pronto soccorso e sveglia Sten, non è da tedeschi dormire sul lavoro, poi aprite questo dannato portello, anche se per farlo dovrete usare la fiamma ossidrica!”

Obbedì tenendo a bada il proprio corpo con fatica, estrarre il kit fu un impresa quasi quanto svitare il tappo dei sali, ma Sten reagì immediatamente svegliandosi e la guardò confuso,

“Come ti senti? Mi riconosci?” Le chiese lei.

“Jordan… ho mal di testa…”

“A chi lo dici…” Lui sorrise ma portandosi la mano alla fronte la sua espressione divenne una smorfia di dolore, “Riesci ad alzarti? Abbiamo bisogno di te per tirare fuori il comandante e Loewy”, L’uomo annuì e se ne pentì all’istante, prese un profondo respiro e poi si alzò, barcollò un pochino ma riuscì ad uscire. Per lei fu leggermente consolante sapere di non essere l’unica a stare così male.

“Dove siamo finiti?” L’uomo si era bloccato e si guardava attorno spaesato.

“Non lo so, dentro è tutto morto, niente radar, niente computer, niente posizione”,

“Ok, tiriamo fuori Ramirez e poi ci guardo io” Sten era il copilota di Bobby da parecchio e più di una volta aveva dato un’aggiustatina a dei circuiti fusi.

Raggiunsero il portello insieme, Sten provò ad aprirlo ma dovette cedere con una smorfia, aveva ottenuto una fessura di qualche centimetro, ma niente di più.

“Va bene…”

“Il comandante ha detto di usare la fiamma ossidrica” Sten la guardò con orrore, era molto protettivo con Bobby,

“Jordan, Jordan, se dico Archimede tu a cosa pensi?” Lei scosse la testa,

“Non saprei…”, lui era sceso dal carro e si era infilato di nuovo nello scafo, sembrava stare già molto meglio mentre lei si sentiva sempre peggio,

“Assecondami”,

“Va bene… un giocatore di football?” Sten la raggiunse con una sbarra di ferro e un aria sconsolata.

“Americani, non sapete pensare ad altro che al football con un eccezione per il baseball…” Lei non si offese, aveva studiato alla scuola statale, l’unica che i suoi zii avevano potuto permettersi, sapeva che la sua cultura aveva molte falle malgrado la borsa di studio che comunque era riuscita ad ottenere. “Archimede era un genio, filosofo, matematico, ottico, ingegnere ed altro ancora, dell’antica Grecia, tra i suoi numerosi lavori figura anche la teoria sulla leva”, mentre parlava dimentico del mal di testa, si muoveva sul dorso di Bobby, provò varie posizioni infilando la sbarra tra il portellone e una delle piastre. Ad un certo punto sembrò soddisfatto, perché si fermò la guardò e proclamò:

“Datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo!”

Poi spinse con forza sulla sbarra, funzionò, il metallo gemette ma si aprì e il comandante Ramirez poté finalmente uscire.

“Sten, lo so che ti piace istruire la nostra newyorkese, ma se non la smettevi velocemente di blaterare invece di aprire venivo fuori dal cannone e ti spaccavo la testa”,

Ramirez, il loro comandante, era uno spagnolo un po’ più basso di lei che aveva un carattere facile da accendere e un spiccato senso dell’umorismo, sapeva che lo chiamavano tutti proiettile Ramirez a causa della sua statura e del carattere infiammabile e amava scherzarci su. L’uomo si guardò attorno con una smorfia nel notare la grande piana priva del più piccolo punto di riferimento. Lei invece guardò Loewy, della donna si vedeva solo la schiena, si era infatti infilata in un vano e ne uscì poco dopo con un aria di trionfo,

“Signori, ecco a voi gli FN P90” detto questo passò loro quattro fucili da assalto, compatti e leggeri e una cassetta poi uscì a sua volta, “Questi sono i caricatori” Aprì la cassetta mostrandoli, “Sapete come usarli?” Chiese poi, senza aspettare una risposta, prese un caricatore e lo infilò al suo posto, voltò il fucile e fece loro notare una levetta, “Potete sparare un colpo singolo, oppure a mitragliatore, nel secondo caso consiglio raffiche brevi se non volete vuotare i caricatori.” Jordan guardò l’arma che le era stata passata, ricordava che avevano fatto una lezione su quelli,

“Non credo che serviranno” Disse guardandosi attorno.

“Sei americana no? Il vostro motto non è: sempre pronti?” Chiese la donna che era israeliana,

“Quelli sono gli Scout” le spiegò lei,

“Forse ti confondi con ‘Semper fidelis’ quello è il motto dei marines americani, significa…” iniziò Sten incapace di lasciarsi sfuggire un’occasione simile.

“Fedeli sempre, grazie Sten, ora truppa, smettetela di chiacchierare, conoscete tutti gli attributi di un carro armato. Armamento, protezione e mobilità, voglio un rapporto su tutti e tre.”

La prima a rispondere fu Loewy,

“Il cannone non ha subito danni, dei quarantadue proiettili imbarcati ne abbiamo ancora cinque KE a perforazione, tre a testata esplosiva e sette granate ad alto potenziale. La mitragliatrice di destra è andata, devo dare un’occhiata a quella di Sten, ma non dovrebbe aver dovuto subire danni visto che era dal lato opposto all’impatto con la bomba e di quella abbiamo ancora due casse di proiettili da 7,62 mm. Avete tra le mani i quattro P90 che servono da ultima difesa, qua abbiamo una trentina di caricatori da cinquanta colpi. Infine comandante avete la pistola da ufficiale con due caricatori e tutti noi abbiamo il pugnale d’ordinanza.” Finito il rapporto ad un cenno di assenso di Ramirez si infilò nel portellone dello scafo per verificare la mitragliatrice superstite.

L’uomo guardò loro due.

“Per quanto riguarda la protezione basta un’occhiata per dire che non siamo messi troppo male, qualche piastra da sostituire e una mano di vernice e Bobby tornerà come nuovo. Ora, mobilità?”

“I cingoli non sembrano avere problemi, ma quando sono rinvenuta il motore si è spento da solo e il computer era già morto” gli rispose lei,

“Per dare un’occhiata al motore dovremmo smontare almeno due piastre anteriori saldate elettricamente, cosa impossibile in questa landa desolata, quindi vedete di riavviare il computer di bordo come prima cosa, l’avviamento lo faremo solo se potremo vedere dove andiamo e senza torretta d’osservazione possiamo farlo solo con il computer.”

“Sì Signore” Rispose lei mentre Sten, che conosceva il comandante da ben prima di quella missione annuiva solamente.

“Jordan, stai bene?” Le chiese il tedesco notando le difficoltà che aveva nel scendere dal mezzo corazzato.

“Nessun problema, un po’ di nausea…” l’uomo la guardò un istante dubbioso poi la lasciò stare.

Lei lanciò uno sguardo verso Ramirez che però non doveva aver sentito perché era rientrato nella torretta, non voleva che sapessero che stava male, avrebbero iniziato a fare domande, poteva gestirlo, doveva…

“Jordan, tieni, ne avevo due nascoste” Loewy le gettò una barretta di cioccolato e le fece l’occhiolino, “A noi donne gli zuccheri a volte servono” le disse, poi si arrampicò agilmente verso la torretta. Era alta, la pelle olivastra, i capelli nerissimi e gli occhi smeraldo che sembravano sorridere sempre. Era entrata nella loro squadra per ultima essendo arrivata con la nave solo due giorni prima della battaglia, ma aveva dimostrato un’eccezionale dimestichezza con le armi e una naturale predisposizione a farsi apprezzare. Jordan guardò la barretta di cioccolato poi, con un senso di nausea, la infilò in una delle molte tasche del giubbotto antiproiettile.

“Grazie” Le disse solo, ricevendo un altro sorriso.

 

Sten era stato un professore universitario prima di arruolarsi, a differenza di Ramirez che era un soldato anche prima, e mentre lavorava amava chiacchierare di filosofia, storia o letteratura. Ma quel giorno Jordan non riusciva proprio ad ascoltarlo, tutta la sua concentrazione andava al pannello elettrico. La sua mente sfuggiva, le sue mani tremavano e lei sudava.

“Che ore saranno?” Chiese a Sten che interrotto dalla sua dissertazione si strinse nelle spalle,

“Le due?” Ipotizzò. Gli orologi si erano tutti scaricati durante il viaggio e lì nessuno ne portava più, c’era il computer per tenerli informati sul procedere delle ore.

“Eccolo qua!” Sten prese un fusibile di ricambio e sostituì quello fuso. Il computer si riavviò immediatamente, “Jordan guardaci tu, io chiudo qui” Lei si alzò con fatica e si sedette al suo posto. Solo allora capì perché stava così male.

Jordan aveva un problema, un problema di cui nessuno sapeva nulla, aveva un dipendenza. Aveva cominciato a bere non appena si era arruolata. All’inizio per darsi forza, per trovare il coraggio, poi semplicemente per affrontare la giornata. Beveva al mattino appena sveglia, poi in ogni momento possibile, ben presto, senza neanche che se ne accorgesse era diventata completamente dipendente. Non ci aveva messo molto a capire che non era lo shock della battaglia o lo svenimento a farla stare così male, no, era la mancanza dell’alcool. Le era già successo: era nell’esercito, non sempre riusciva a bere, poteva essere un’esercitazione troppo lunga, una visita medica o semplicemente una notte lontana dalla base ma non le era mai successo che i sintomi di astinenza fossero così forti. Fino ad oggi.

“Signore!” Urlò. Ramirez arrivò allo sportello seguito da Loewy, mentre Sten si voltava a guardarla stupito. “Signore, siamo a settecento kilometri dal luogo della battaglia, settecento trentatré per l’esattezza…”

“Jordan, è impossibile, non possiamo essere stati tutti e quattro svenuti per così tanto tempo e non possiamo percorrere una simile distanza se non continuando a muoverci per ore e ore…”

“Lo so signore” Lo interruppe lei, le mani che le tremavano con più forza, “Eppure non siamo più il 23, non sono passate due o tre ore, ma ventisette da quando abbiamo incontrato i nemici.”

“Vuoi dirmi che siamo rimasti svenuti per tutto quel tempo?”

“Si signore”,

“Ma… il carburante?” Chiese Loewy che per una volta sembrava preoccupata, Jordan premette sullo schermo e ottenne la risposta che temeva e che tutti già sapevano.

“Il motore si è spento da solo perché non ce n’è più, abbiamo finito il carburante”. Rimasero in silenzio poi Ramirez si voltò a guardare la piana stepposa in cui erano finiti.

“Bene, signori, a quanto pare siamo a secco nel bel mezzo del nulla.”

Dannatamente a secco pensò disperatamente Jordan, e non si riferiva al carburante.

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Najara