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Autore: SagaFrirry    29/03/2015    1 recensioni
La Dea Atena risveglia i suoi cavalieri, condannati nella roccia dopo aver abbattuto il muro del pianto. Tutti gli Dei greci richiamano i loro sottoposti e creano alleanze. Perché? Non me ne vogliano i puritani della mitologia..in questa storia gli Dei greci lottano contro le divinità romane. L'Olimpo è troppo piccolo!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Olympus Chapter'
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XVI

 

SOSPETTO

 

“E così..” commentò Ares, a gambe incrociate e con aria annoiata “..è nato”.

“Già” confermò Persefone, sorseggiando il tè offerto da Atena.

“Quanta allegria, zia!” ridacchiò il Dio.

La sposa di Hades non rispose. Fulminò con lo sguardo il nipote e continuò a bere.

“Allora è un maschietto?” domandò la padrona di casa, raggiante.

“Sì. Abbastanza carino” borbottò Persefone “Gli occhi scuri del papà, i capelli biondo cenere della mamma. Niente di che..”.

“Ma è un evento straordinario!” continuò Atena “Mai fino ad ora Hades aveva avuto eredi!”.

“Rilassati, mia cara” continuò la compagnia del Dio dell’oltretomba.

Alle sue spalle, l’ospite si era fatta scortare da Hypnos e Thanatos, che parevano annoiati tanto quanto lei.

“Vorrei tanto vederlo” mormorò la Dea della saggezza, con gli occhi che brillavano.

“E che problema c’è? La strada la conosci” le rispose Persefone.

“Lo so. Ma non posso andarci da sola ed i miei cavalieri sono un po’ titubanti. Sono tutti così sospettosi nei confronti di Hades ed i suoi sottoposti!”.

“Portati il gran sacerdote. Non mi pareva avesse problemi”.

“Non posso! Sai..lui ed Eleonore..”.

“Ah già, dimenticavo! Ma pure lui..è un mortale! Dovrebbe smetterla di pensarci, che la sua vita è breve e inutile!”.

“Che vuoi farci..”.

“Ma poi..Ares! Tuo figlio Eros non può far niente a riguardo?”.

“Guarda che mio figlio non spara a comando!” storse il naso Ares “E poi..lasciate in pace Arles, che ha già casini di suo, senza che interferiate voialtre pettegole!”.

“Ma quanto sei permaloso! Tranquillo, non te lo tocco il tuo pulcino” sorrise Persefone “Comunque Atena, tornando a noi, se lo desideri posso accompagnarti io. Sono certa che i neogenitori saranno felici di vederti”.

“Perché no? Siamo alleate, non dovrebbero esserci problemi”.

“Poi ti riaccompagno qui, così faccio un giro. Gli inferi un po’ mi stancano”.

“Ma adesso è primavera. Non dovresti stare alla luce del sole?”.

“Dovrei ma non ho un vero posto dove stare, quindi vado un po’ qua ed un po’ là”.

“Capisco..”.

Ares scosse la testa. Non capiva tutta questa agitazione! Era solo un moccioso in più. Anche se figlio divino, non era sta gran cosa!

“Fratello, vieni anche tu?” domandò Atena, interrompendo i pensieri del Dio.

“No, grazie. I marmocchi non fanno per me. Urlano, sbavano, puzzano..”.

“Anche tu urli, sbavi e puzzi! Però non te lo facciamo pesare!” sbottò la padrona di casa.

“Preferisco restare qui. Ho dei guerrieri da addestrare, io! Altro che cazzate”.

“Ma se stai tutto il giorno a poltrire e grattarti il pacco!”.

“E tu perché stai a guardare?”.

“Che cosa stai insinuando?”.

“Niente. Pure io ti guardo le tette..”.

Atena colpì il Dio con una poderosa sberla.

“..e il culo” aggiunse Ares, con un mezzo ghigno.

La Dea lo colpì di nuovo, questa volta con il bastone.

“Maniaco!”.

 

Deathmask sorrise, mentre Shaina gli passava rapidamente accanto con una brocca di vino fra le mani. Stava riempiendo le coppe di varie divinità romane, fingendosi una serva. Un paio di loro allungarono un po’ troppo le mani. Lei si voltò verso il compagno, cercando aiuto, ma lui non si mosse. Il Cancro, travestito da una delle guardie dell’Olimpo, trovava la scena divertente.

“Anvedi che pezzo de gnocca! Nun sei de Roma” commentò Marte, palpando per bene il sedere a Shaina “Un culo come er tuo nun se po scordà!”.

“No, vengo da fuori”si stizzì Shaina.

C’hai ‘n culo che parla da solo. M’attizzi una cifra. Che stai aspettà, che te se fa lo spirito santo? Viè co mme che te faccio diventà na Dea!”.

“Non sono libera!”.

“Da ndo arivi, gran pezzo de fregna?”.

“Io ed il mio compagno veniamo dalla Sicilia”.

“Me stai a cojonà!”.

“No. Io e la guardia che mi fissa veniamo proprio da là”.

“Davero? Allora aspetta che te faccio conosce u' amico! Vulca', questi so delle parti tua!”.

Marte, indicando Shaina e Deathmask, che nel frattempo si era avvicinato, richiamò l’attenzione di Vulcano, Dio fabbro ed un po’ ebbro.

“Senti mpo? Dunne viniti (da dove venite)?” si stupì Vulcano, avvicinandosi e sfoggiando il suo siciliano.

“Dalle parti dell’Etna” rispose Shaina.

“Veru è ?! Minchia, ma è dunne abbito eo! Baciamo la mano!” sorrise il Dio fabbro, abbracciando entrambi i greci.

“Visto?” si compiacque Marte “So sì er Dio d'a guera, ma faccio anche nasce l' amicizie!”

 

Milo stava per terminare il suo solito giro di ronda. Era piuttosto rilassato, anche perché quasi nessuno aveva il coraggio di attaccare un cavaliere d’oro. Solitamente i nemici fuggivano appena vedevano lo scintillio dell’armatura. Lo Scorpione lo sapeva bene e camminava, tronfio e fiero, fermandosi ad annusare l’aria densa di profumo di fiori. La primavera!

“Vieni fuori!” sbottò, senza girarsi “Ti percepisco! Chiunque tu sia, vedi di farti vedere. Non puoi sfuggire ai sensi di Milo dello Scorpione!”.

Non ottenne risposta e la cosa lo irritò.

“È buona educazione..” continuò il cavaliere “..presentarsi e non spiare la gente. Sei stato scoperto e, se non vuoi una Scarlet Needle nel culo, ti consiglio di smetterla di nasconderti!”.

Lo Scorpione ora era decisamente infastidito e mantenne quanto detto: lanciò il suo colpo. Qualcosa si mosse rapidamente, infrangendo uno strano alone ed apparendo.

“Ti eri celato dietro ad una barriera, eh?” domandò lo Scorpione “Ma io, Milo, ti ho sgamato subito. Chi sei? Togli quel cappuccio e parla. Non li sopporto i silenziosi!”.

“Che tanto che parli!” si sentì rispondere.

L’intruso tolse il mantello, mostrandosi. Era un giovane, con indosso un’armatura che pareva troppo grande ed ingombrante per lui.

“Sei solo un moccioso! Ma il tuo potere è notevole..chi sei in realtà?” si insospettì Milo.

“Mercurio è il mio nome, mortale logorroico. E sei pregato di farti da parte”.

“Farmi da parte?! Ma tu sai chi hai davanti? Io sono Milo dello Scorpione e non mi faccio da parte dinnanzi a nessuno!”.

“Come preferisci. Vorrà dire che ti farò spostare con la forza”.

“Voglio proprio vedere come credi di fare..”.

Il Dio sorrise, quasi divertito. Si librò in aria e puntò il caduceo contro Milo, pronto a combattere. Lo Scorpione, per nulla turbato dal fatto che il suo avversario volasse, ghignò e preparò la sua unghia.

 

 “Non sei andato con Atena?” si stupì Arles, nel vedere il padre a zonzo per la tredicesima.

“E perché avrei dovuto?” ribatté il genitore.

“Non so. Galanteria?”.

“Mi prendi in giro?”.

“No. Era per dire..”.

Il Dio si avvicinò al sacerdote e questi lo fissò, un po’ confuso.

“Che hai fatto alla faccia?” domandò, notando un segno pesante e bluastro in mezzo ad essa.

“Niente. Atena mi ha bastonato”.

“Oh..”.

Arles non aggiunse altro, non volendo entrare nei dettagli. Il Dio sogghignò.

“Vieni a fare un po’ di allenamento con me?” propose il genitore “Ti farebbe bene”.

“Lo so. Ne avrei bisogno. Ma ho prima delle scartoffie da sistemare”.

“Posso, prima, farti una domanda?”.

“Sei proprio un impiccione! Che vuoi adesso, vecchio pettegolo?”.

“Niente di che. Volevo solo sapere se certe voci erano vere”.

“Quali voci?”.

“Atena ti piace?”.

“Piace in che senso?”.

“Quanti sensi esistono?!”.

“Dipende dai casi, variano dai cinque agli otto, che io sappia. Comunque, chi mette in giro certe voci?!”.

“Si dice che in realtà non sia vergine, perché te la sei scopata tu”.

“Cosa?! Senti..anche se lei ora ha il suo vero corpo ed ha 3000 anni, più o meno, non lo so con esattezza, per me sarà sempre e comunque la bambina a cui cambiavo il pannolino e davo il latte. Questo prima di cercare di ucciderla..”.

“Avevi quindi anni. Era comprensivo che volessi liberartene”.

“Se poi lei non è vergine perché cavalca in giro, non te lo so dire..”.

“Ma tu la ami?”.

“La amo come si ama una Dea. E nemmeno tanto, sinceramente. La trovo alquanto fastidiosa, a volte. E mi da sui nervi”.

“Capisco..”.

“Ma che idea rivoltante!” quasi gridò Arles, dopo qualche istante di silenzio “Io che vado a letto con..QUELLA?!? Ma piuttosto me lo taglio alla base e mi faccio chiamare Arlesina!”.

“Rilassati”.

“Dimmi chi è che dice ste cose, che lo faccio esplodere!”.

“Calmati! Sei buffo..”.

“Io non sono buffo! E non mi scopo le ragazzine”.

“Non è una ragazzina. È la Dea del mito..è più vecchia di Atene!”.

“Può anche essere più vecchia dell’intero cosmo. La vedrò sempre come una ragazzina..”.

“Peccato. Io una ripassata gliela darei..”.

“Accomodati!”.

“Certo. Come se fosse semplice! Però, lo devi ammettere, è una bella donna”.

“È un’irritante fastidio. Un brusio continuo che non fa che ricordarmi che la devo servire”.

“È il destino di voi mortali..”.

“Già. Bella schifezza..”.

“Andiamo ad allenarci. Meglio, no? Così non ci pensi. Né a lei né ad..altro..che immagino abbia già saputo..”.

“La presenza di Persefone qui mi ha fatto capire. È maschio o femmina?”.

“Eleonore ed Hades hanno avuto un maschietto”.

“Lei voleva tanto una bambina..”.

Lo sguardo del sacerdote si era fatto malinconico. Sospirò, sfoggiando un sorriso di circostanza, di una falsità percepibile.

“Non ci pensare” lo ammonì Ares.

“Lo so. Non dovrei. Sono così fottutamente debole nell’animo! Mi basta una frase, un profumo, una musica..e torna il ricordo. Mi tormenta e non mi fa concentrare”.

“C’è sempre la freccia nera di Eros..”.

“Forse dovrei. Mi sento così stupido..”.

“Arles..tuo fratello è la divinità più potente che esista. Riflettici. Cosa muove il mondo? L’odio e l’amore. E lui governa questi due aspetti. Perciò non devi sentirti sminuito o debole, perché ci siamo caduti tutti, prima o dopo”.

“Perché mi consoli?”.

“Perché ricordo tutte le cazzate che ho fatto in vita mia, accecato dall’amore o dall’odio. È da stupidi, ma purtroppo le sue frecce ti incasinano il cervello. C’è solo una forza più potente di lui ed è il Fato, che tutti temono. Tutti, compreso Zeus, hanno paura del Fato. Per fortuna è un Dio che si mostra poco. Se dovesse scegliere di combattere contro chiunque di noi..”.

“Però potrebbe combattere dalla nostra parte!”.

“Il Fato non può essere di parte. Scoprirai solo alla fine per quale delle due fazioni patteggia”.

“Stronzo”.

“Già..”.

 

Milo sparava le sue Needle a raffica, cercando di colpire lo svolazzante Mercurio. Ormai era sceso il tramonto ma il cavaliere, volendo affrontare il suo avversario da solo, non aveva lanciato l’allarme.

“Vedi di scendere, piccione!” ringhiò lo Scorpione “Ed affronta il guardiano dell’ottava casa! Colui che hai dinnanzi! Il possente cavaliere dall’unghia velenifera che, con le sue punture, può paralizzare i tuoi sensi e portarti alla morte dopo lunga agonia ed atroce dolore! Io..”.

“Tu cianci troppo! DOMINUM VERBUM!”.

Dal bastone del Dio, una luce aranciata si espanse ed avvolse Milo, che non riuscì più a parlare.

“Smettila di tentare di proferir parola!” lo schernì Mercurio “Ora non potrai fare altro che stare zitto. Lentamente, questo mio colpo brucerà l’aria dai tuoi polmoni e morirai boccheggiando come un insulso pesce rosso”.

Il Dio rise, aspettandosi una reazione di disperazione o paura da parte dello Scorpione, che però non mostrò nessuna delle due sensazioni. Il cavaliere strinse i pugni e, con un ringhio, ricominciò a sferrare attacchi a ripetizione. Alcuni andarono a segno e Mercurio gridò, infastidito. Milo ghignò. Sapeva che il veleno delle sue punture provocava un forte dolore. Il cavaliere continuò ad attaccare, nonostante la sensazione sempre più forte d’affanno che provava. Cominciava a mancargli l’aria ma di certo questo non lo avrebbe fermato!

“Muori!” pensò, e lanciò l’Antares.

 

Alla prima casa, Mur, ormai ripresosi del tutto dallo scontro con Marte e Minerva, si guardava attorno spazientito. Era un cavaliere molto calmo, solitamente, ma in quel momento non lo era per niente. Cercava Kiki già da un sacco di tempo, senza risultato. Il ragazzo riapparve solo la sera, verso il tramonto. Mur lo guardò con rimproverò, aspettandosi delle spiegazioni.

“Dove sei stato?” parlò poi, dato che il fratellino non apriva bocca.

“A fare delle cose” rispose, con fastidio, il giovane.

“Quali cose? E dove?”.

“Non devo dirti sempre tutto, sai?”.

“Ma..che ti sta succedendo? Sono preoccupato. Un tempo eri pieno di entusiasmo e di voglia di aiutare. Adesso, invece, devo fare tutto da solo e sei sempre in giro!”.

“Scusami. Lo so, lo ammetto. È che ci sono delle cose che non posso dirti”.

“E perché? Sono il tuo fratello maggiore! Ti ho cresciuto io, non mi hai mai nascosto niente!”.

“A questo proposito..non ti ho mai chiesto una cosa. Posso?”.

“Riguarda i nostri genitori?”.

“Anche..”.

Mur attese qualche istante. Non era un argomento che amava affrontare. Poi annuì, dando il permesso a Kiki di parlare.

“Tu parli sempre di Shion..” iniziò il giovane “..ma mai di nostra madre. Tu devi averla conosciuta, perché io sono nato molti anni dopo di te”.

“Certo. Cosa vuoi sapere?”.

“Però dici anche che eri fin da piccolo a fianco di Shion. Quindi?”.

“Shion è sempre stato il mio maestro, fin da quando ero un bambino di pochi anni. Mi teneva con sé, al tempio, per insegnarmi a riparare le armature”.

“Quindi ti ha tenuto lontano dalla tua vera famiglia. Quando mamma è morta, non ti sei arrabbiato con lui?”.

“Quando mamma è morta, Shion era stato ucciso da anni”.

“Ma nemmeno un po’ di rancore? Non hai avuto un’infanzia!”.

“Nemmeno tu. Sei sempre stato al grande tempio o nello Jamir ad aiutarmi. Questo ti fa arrabbiare?”.

“Un po’. Specie perché alla fine l’armatura è la tua, non l’avrò mai io”.

“Potrei morire, Kiki. Ed in quel caso..”.

“Non potrei mai augurarmi una cosa del genere! Solo che, capiscimi..non potendo avere un’armatura d’oro, posso anche prendere con più leggerezza gli allenamenti”.

“E se mi dovesse accadere qualcosa? Poi..è questo il problema? Hai quasi diciotto anni e ancora non hai un’armatura, dopo una vita di allenamenti?”.

“No..”.

“Sono preoccupato. C’è chi viene qui a parlarmi di te, sospettoso perché teme che tu stia tramando chissà che cosa”.

“Io?!”.

“Mi sono giunte voci a riguardo, sì!”.

“Siete tutti pazzi, ecco cosa siete. Un gruppo di vecchi pazzi”.

“Bada a come parli..”.

“Altrimenti che fai? Mi sculacci? Lo dici al gran sacerdote? E poi..chi è che pensa che io sia un traditore? Dimmelo, così che possa rispondere a tono a certa gente!”.

“Non sfidare persone di gran lunga più forti di te e torna ai tuoi doveri. Fila ad allenarti!”.

 

Con un gemito, lo scorpione cadde in terra. Gli mancava il respiro ed la vista gli si appannava. Ma l’orgoglio gli imponeva di mantenere il controllo e non richiedere l’aiuto di nessuno. Con sua somma soddisfazione, Mercurio sanguinava in più punti, anche se non accennava a voler smettere di svolazzare in aria. Poi un vento improvviso colpì il Dio, che fu colto alla sprovvista e cadde in terra, sibilando una bestemmia.

“Cosa è stato?” si chiese Milo e sorrise dopo qualche secondo: nel cielo era apparso qualche fiocco di neve.

“Tutto bene, Milo?” si sentì domandare e lo Scorpione annuì: non era mai stato così felice di vedere Camus in vita sua!

“Come hai osato?” sibilò Mercurio “Sai chi sono io?”.

“Certo che so chi sei” rispose Camus “Sei Mercurio, l’equivalente del nostro Hermes”.

“Io sono migliore di lui!”.

“Sei la sua copia, con un nome più stupido!”.

“E tu chi saresti?”.

“Il mio nome è Camus. Chi altro io sia, e cosa io faccia, non ti cambia la vita saperlo”.

Il Dio si apprestò a colpire di nuovo.

“ALCHEMICAL REACTION!” gridò.

I due cavalieri d’Atena videro reagire l’aria attorno a Mercurio, che mutò, prendendo fuoco.

“Per la grande madre Russia!” si lasciò sfuggire Camus, spingendo via Milo.

L’Acquario lanciò una rapida occhiata al collega. Era strano non sentirlo cianciare continuamente e, dopo una frase come la sua, si aspettava qualche commento. Notò che lo Scorpione era lievemente cianotico e decisamente poco reattivo.

“Che gli hai fatto?” domandò Camus a Mercurio.

“Ciò che ho fatto, non ti cambia la vita saperlo” ghignò il Dio.

L’Acquario alzò un sopracciglio. Era un uomo estremamente calmo, ma in grado di esplodere all’istante, se qualcuno osava prenderlo in giro.

“Aurora Execution!” attaccò il cavaliere.

Il Dio rise e fece un piccolo balzo, con l’intento di volare via, ma gemette per il dolore e fu colpito in pieno.

“Hai sottovalutato il veleno dello Scorpione” lo sfotté Camus “Ti paralizzerà ogni nervo, sempre se il mio amico Milo non ti aiuta..”.

“Aiutarmi? Non ho bisogno del suo aiuto!”.

Mercurio tentò di rialzarsi ma, fra il colpo di Camus e le cuspidi di Milo, era in preda al dolore e non ci riuscì.

“Dimmi cosa hai fatto al cavaliere dell’ottava casa e come posso aiutarlo” ordinò l’Acquario “Io, in cambio, ti prometto che ti verrà tolto il veleno”.

“Io non posso morire per un veleno simile..”.

“Ma puoi soffrire per giorni e giorni. È questo che vuoi?”.

Mercurio rifletté qualche istante e poi si arrese. Spiegò a Camus quanto accaduto e subito il cavaliere si avvicinò a Milo, per aiutarlo. Con il gelo che governava, il saint dell’undicesima casa placò il calore che bruciava i polmoni dello Scorpione. Subito il cavaliere parve star meglio.

“Pezzo di merda!” furono le sue prime parole, rivolto a Mercurio.

“Calmati!” lo rabbonì Camus “Un patto è un patto. Ora gli toglierai il veleno delle tue cuspidi”.

“Devo proprio?”.

“Sì, devi!”.

Milo si avvicinò controvoglia. Allungò un dito verso il nemico ma un grido agghiacciate si udì nell’aria e Mercurio cadde di lato, con la testa che lentamente ne abbandonava il corpo.

“Milo! Che hai fatto?” esclamò l’Acquario.

“Non sono stato io! Te lo giuro!”.

“Nessuno fa male al mio scorpionotto e resta impunito!” parlò una voce di donna, apparendo con indosso l’armatura.

“Mirina!” la riconobbe Milo “L’hai ucciso tu?”.

“Io e mia cognata” rispose lei, indicando dietro di sé “Niente di che. Era già ferito ed inerme. Voi, piuttosto, siete dei mollaccioni. Il colpo di grazia va sempre dato a certa gente!”.

“Cognata?”.

“La chiamo così. Colei che prima ha gridato. Si chiama Enyo e  la sua fama la precede. È l’amichetta di Phobos e Deimos, anche se c’è chi dice che in realtà sia nostra sorella. Non lo so, non si capisce. Sta di fatto che in battaglia, se c’è lei, tutti tremano”.

“Vero..” annuì Camus, intravedendo fra le rovine una figura di donna e conoscendo bene come, fin dal tempo del mito,  Enyo fosse sempre stata assetata di sangue.

 

Atena stringeva fra le braccia il piccolo di Hades ed Eleonore. Con un grande sorriso, la Dea lo guardava con gli occhi che brillavano.

“È bellissimo, zio” disse “Congratulazioni”.

“Grazie, Atena” rispose il Dio “Siamo felici che tu sia passata a trovarci”.

“Non potevo non vedere il tanto sospirato figlio di Hades!”.

“E tu?” commentò Eleonore “Mai pensato di averne uno?”.

“Io? Io sono la Dea vergine!”.

“Anche io ero una vergine a servizio di Artemide. Le idee si cambiano”.

“Sì ma..io non..cambiamo argomento!”.

“Già, forse e meglio!” rise Eleonore.

Il neonato lanciò un piccolo vagito di protesta, perché preferiva dormire tranquillo. Atena capì e lo rimise nella culla. Molti altri Dei si erano riuniti nel regno di Hades, per rendere omaggio al nuovo arrivato. La Dea Era, accanto al neopapà, pareva piuttosto seria. Si mosse, mormorando qualcosa alle orecchie di Hades, ed il Dio parlò: “Atena..dato che sei qui..c’è una cosa di cui noi avremmo discusso, e di cui vorremo parlarti”.

 

“Cosa è successo?” esclamò il sacerdote, vedendo entrare alla tredicesima Camus, con fra le braccia un fagotto ingombrante.

“Ci stava spiando. È stato eliminato” si limitò a dire l’Acquario, mostrando il corpo di Mercurio.

“Spiando? A tal punto..”.

“Mentre voi perdevate tempo a parlare di femmine e stronzate, noi lo abbiamo abbattuto” si esaltò Milo.

“Phobos! Deimos!” chiamò Ares, che era in piedi accanto al trono del figlio “Fate immediatamente un giro di ricognizione. Scovate altri possibili intrusi romani. Poi..”.

Il Dio si fermò, notando lo sguardo minaccioso di Arles.

“Non volevo rubarti il lavoro” si affrettò a dire.

“Vorrei ben dire”borbottò Arles, poi rivolgendosi ai suoi compagni “Avete fatto un ottimo lavoro. Ora andate pure a riposarvi, ne avete bisogno. Prenderò provvedimenti affinché le ronde vengano rafforzate e riorganizzate. D’ora in poi, non lascerò un singolo cavaliere, anche se d’oro, a svolgere tale attività. Sarete sempre in due, in modo da affrontare meglio un’eventuale emergenza”.

“Grazie, Signore. Va bene, Signore” annuì Camus.

“Ora andate”.

Acquario e Scorpione si congedarono, lasciando il corpo del Dio alla tredicesima.

“Sono dei valorosi guerrieri” commentò Ares “Ma non hanno fatto tutto da soli”.

“Che intendi?”.

“Riconosco il tocco delle mie bambine”.

“Se le tue figlie sono peggio di cagne sciolte, non ne ho colpa”.

“Non sono cagne! Sono lupe. Fiere e feroci lupe. Così come voi, miei figli maschi, siete dei draghi”.

“Un branco di bestie, insomma..”.

   
 
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