XVI
SOSPETTO
“E
così..” commentò Ares, a gambe
incrociate e con aria annoiata “..è
nato”.
“Già”
confermò Persefone, sorseggiando il tè offerto da
Atena.
“Quanta
allegria, zia!” ridacchiò il Dio.
La sposa
di Hades non rispose. Fulminò con lo sguardo il nipote e
continuò a bere.
“Allora
è un maschietto?” domandò la padrona di
casa, raggiante.
“Sì.
Abbastanza carino” borbottò Persefone
“Gli occhi scuri del papà, i capelli
biondo cenere della mamma. Niente di che..”.
“Ma
è un
evento straordinario!” continuò Atena
“Mai fino ad ora Hades aveva avuto
eredi!”.
“Rilassati,
mia cara” continuò la compagnia del Dio
dell’oltretomba.
Alle sue
spalle, l’ospite si era fatta scortare da Hypnos e Thanatos,
che parevano
annoiati tanto quanto lei.
“Vorrei
tanto vederlo” mormorò la Dea della saggezza, con
gli occhi che brillavano.
“E che
problema c’è? La strada la conosci” le
rispose Persefone.
“Lo
so.
Ma non posso andarci da sola ed i miei cavalieri sono un po’
titubanti. Sono
tutti così sospettosi nei confronti di Hades ed i suoi
sottoposti!”.
“Portati
il gran sacerdote. Non mi pareva avesse problemi”.
“Non
posso! Sai..lui ed Eleonore..”.
“Ah
già,
dimenticavo! Ma pure lui..è un mortale! Dovrebbe smetterla
di pensarci, che la
sua vita è breve e inutile!”.
“Che
vuoi farci..”.
“Ma
poi..Ares! Tuo figlio Eros non può far niente a
riguardo?”.
“Guarda
che mio figlio non spara a comando!” storse il naso Ares
“E poi..lasciate in
pace Arles, che ha già casini di suo, senza che interferiate
voialtre
pettegole!”.
“Ma
quanto sei permaloso! Tranquillo, non te lo tocco il tuo
pulcino” sorrise
Persefone “Comunque Atena, tornando a noi, se lo desideri
posso accompagnarti
io. Sono certa che i neogenitori saranno felici di vederti”.
“Perché
no? Siamo alleate, non dovrebbero esserci problemi”.
“Poi
ti
riaccompagno qui, così faccio un giro. Gli inferi un
po’ mi stancano”.
“Ma
adesso è primavera. Non dovresti stare alla luce del
sole?”.
“Dovrei
ma non ho un vero posto dove stare, quindi vado un po’ qua ed
un po’ là”.
“Capisco..”.
Ares
scosse la testa. Non capiva tutta questa agitazione! Era solo un
moccioso in
più. Anche se figlio divino, non era sta gran cosa!
“Fratello,
vieni anche tu?” domandò Atena, interrompendo i
pensieri del Dio.
“No,
grazie. I marmocchi non fanno per me. Urlano, sbavano,
puzzano..”.
“Anche
tu urli, sbavi e puzzi! Però non te lo facciamo
pesare!” sbottò la padrona di
casa.
“Preferisco
restare qui. Ho dei guerrieri da addestrare, io! Altro che
cazzate”.
“Ma se
stai tutto il giorno a poltrire e grattarti il pacco!”.
“E tu
perché stai a guardare?”.
“Che
cosa stai insinuando?”.
“Niente.
Pure io ti guardo le tette..”.
Atena
colpì il Dio con una poderosa sberla.
“..e
il
culo” aggiunse Ares, con un mezzo ghigno.
La Dea
lo colpì di nuovo, questa volta con il bastone.
“Maniaco!”.
Deathmask
sorrise, mentre Shaina gli passava rapidamente accanto con una brocca
di vino
fra le mani. Stava riempiendo le coppe di varie divinità
romane, fingendosi una
serva. Un paio di loro allungarono un po’ troppo le mani. Lei
si voltò verso il
compagno, cercando aiuto, ma lui non si mosse. Il Cancro, travestito da
una
delle guardie dell’Olimpo, trovava la scena divertente.
“Anvedi
che pezzo de gnocca! Nun sei de Roma” commentò
Marte, palpando per bene il
sedere a Shaina “Un culo come er tuo nun se po
scordà!”.
“No,
vengo da fuori”si stizzì Shaina.
“C’hai
‘n culo che parla da solo. M’attizzi una cifra. Che stai
aspettà, che te se fa lo
spirito santo? Viè co mme che te faccio diventà
na Dea!”.
“Non
sono libera!”.
“Da
ndo arivi, gran pezzo de
fregna?”.
“Io ed
il mio compagno veniamo dalla
Sicilia”.
“Me
stai a cojonà!”.
“No.
Io e la guardia che mi fissa
veniamo proprio da là”.
“Davero?
Allora aspetta che te faccio
conosce u' amico! Vulca', questi so delle parti tua!”.
Marte, indicando
Shaina e Deathmask,
che nel frattempo si era avvicinato, richiamò
l’attenzione di Vulcano, Dio
fabbro ed un po’ ebbro.
“Senti
mpo? Dunne viniti (da dove
venite)?” si stupì Vulcano, avvicinandosi e
sfoggiando il suo siciliano.
“Dalle
parti dell’Etna” rispose
Shaina.
“Veru
è ?! Minchia, ma è dunne abbito
eo! Baciamo la mano!” sorrise il Dio fabbro, abbracciando
entrambi i greci.
“Visto?”
si compiacque Marte “So sì
er Dio d'a guera, ma faccio anche nasce l' amicizie!”
Milo stava per
terminare il suo
solito giro di ronda. Era piuttosto rilassato, anche perché
quasi nessuno aveva
il coraggio di attaccare un cavaliere d’oro. Solitamente i
nemici fuggivano
appena vedevano lo scintillio dell’armatura. Lo Scorpione lo
sapeva bene e
camminava, tronfio e fiero, fermandosi ad annusare l’aria
densa di profumo di
fiori. La primavera!
“Vieni
fuori!” sbottò, senza girarsi
“Ti percepisco! Chiunque tu sia, vedi di farti vedere. Non
puoi sfuggire ai
sensi di Milo dello Scorpione!”.
Non ottenne
risposta e la cosa lo
irritò.
“È
buona educazione..” continuò il
cavaliere “..presentarsi e non spiare la gente. Sei stato
scoperto e, se non
vuoi una Scarlet Needle nel culo, ti consiglio di smetterla di
nasconderti!”.
Lo Scorpione ora
era decisamente
infastidito e mantenne quanto detto: lanciò il suo colpo.
Qualcosa si mosse
rapidamente, infrangendo uno strano alone ed apparendo.
“Ti
eri celato dietro ad una
barriera, eh?” domandò lo Scorpione “Ma
io, Milo, ti ho sgamato subito. Chi
sei? Togli quel cappuccio e parla. Non li sopporto i
silenziosi!”.
“Che
tanto che parli!” si sentì
rispondere.
L’intruso
tolse il mantello,
mostrandosi. Era un giovane, con indosso un’armatura che
pareva troppo grande
ed ingombrante per lui.
“Sei
solo un moccioso! Ma il tuo
potere è notevole..chi sei in realtà?”
si insospettì Milo.
“Mercurio
è il mio nome, mortale
logorroico. E sei pregato di farti da parte”.
“Farmi
da parte?! Ma tu sai chi hai
davanti? Io sono Milo dello Scorpione e non mi faccio da parte dinnanzi
a
nessuno!”.
“Come
preferisci. Vorrà dire che ti
farò spostare con la forza”.
“Voglio
proprio vedere come credi di
fare..”.
Il Dio sorrise,
quasi divertito. Si
librò in aria e puntò il caduceo contro Milo,
pronto a combattere. Lo
Scorpione, per nulla turbato dal fatto che il suo avversario volasse,
ghignò e
preparò la sua unghia.
“Non
sei andato con Atena?” si stupì Arles,
nel vedere il padre a zonzo per la tredicesima.
“E
perché avrei dovuto?” ribatté il
genitore.
“Non
so. Galanteria?”.
“Mi
prendi in giro?”.
“No.
Era per dire..”.
Il Dio si
avvicinò al sacerdote e
questi lo fissò, un po’ confuso.
“Che
hai fatto alla faccia?” domandò,
notando un segno pesante e bluastro in mezzo ad essa.
“Niente.
Atena mi ha bastonato”.
“Oh..”.
Arles non
aggiunse altro, non volendo
entrare nei dettagli. Il Dio sogghignò.
“Vieni
a fare un po’ di allenamento
con me?” propose il genitore “Ti farebbe
bene”.
“Lo
so. Ne avrei bisogno. Ma ho prima
delle scartoffie da sistemare”.
“Posso,
prima, farti una domanda?”.
“Sei
proprio un impiccione! Che vuoi
adesso, vecchio pettegolo?”.
“Niente
di che. Volevo solo sapere se
certe voci erano vere”.
“Quali
voci?”.
“Atena
ti piace?”.
“Piace
in che senso?”.
“Quanti
sensi esistono?!”.
“Dipende
dai casi, variano dai cinque
agli otto, che io sappia. Comunque, chi mette in giro certe
voci?!”.
“Si
dice che in realtà non sia
vergine, perché te la sei scopata tu”.
“Cosa?!
Senti..anche se lei ora ha il
suo vero corpo ed ha 3000 anni, più o meno, non lo so con
esattezza, per me
sarà sempre e comunque la bambina a cui cambiavo il
pannolino e davo il latte.
Questo prima di cercare di ucciderla..”.
“Avevi
quindi anni. Era comprensivo
che volessi liberartene”.
“Se
poi lei non è vergine perché
cavalca in giro, non te lo so dire..”.
“Ma tu
la ami?”.
“La
amo come si ama una Dea. E
nemmeno tanto, sinceramente. La trovo alquanto fastidiosa, a volte. E
mi da sui
nervi”.
“Capisco..”.
“Ma
che idea rivoltante!” quasi gridò
Arles, dopo qualche istante di silenzio “Io che vado a letto
con..QUELLA?!? Ma
piuttosto me lo taglio alla base e mi faccio chiamare
Arlesina!”.
“Rilassati”.
“Dimmi
chi è che dice ste cose, che
lo faccio esplodere!”.
“Calmati!
Sei buffo..”.
“Io
non sono buffo! E non mi scopo le
ragazzine”.
“Non
è una ragazzina. È la Dea del
mito..è più vecchia di Atene!”.
“Può
anche essere più vecchia
dell’intero cosmo. La vedrò sempre come una
ragazzina..”.
“Peccato.
Io una ripassata gliela
darei..”.
“Accomodati!”.
“Certo.
Come se fosse semplice! Però,
lo devi ammettere, è una bella donna”.
“È
un’irritante fastidio. Un brusio
continuo che non fa che ricordarmi che la devo servire”.
“È
il destino di voi mortali..”.
“Già.
Bella schifezza..”.
“Andiamo
ad allenarci. Meglio, no?
Così non ci pensi. Né a lei né
ad..altro..che immagino abbia già saputo..”.
“La
presenza di Persefone qui mi ha
fatto capire. È maschio o femmina?”.
“Eleonore
ed Hades hanno avuto un
maschietto”.
“Lei
voleva tanto una bambina..”.
Lo sguardo del
sacerdote si era fatto
malinconico. Sospirò, sfoggiando un sorriso di circostanza,
di una falsità
percepibile.
“Non
ci pensare” lo ammonì Ares.
“Lo
so. Non dovrei. Sono così
fottutamente debole nell’animo! Mi basta una frase, un
profumo, una musica..e
torna il ricordo. Mi tormenta e non mi fa concentrare”.
“C’è
sempre la freccia nera di
Eros..”.
“Forse
dovrei. Mi sento così
stupido..”.
“Arles..tuo
fratello è la divinità
più potente che esista. Riflettici. Cosa muove il mondo?
L’odio e l’amore. E
lui governa questi due aspetti. Perciò non devi sentirti
sminuito o debole,
perché ci siamo caduti tutti, prima o dopo”.
“Perché
mi consoli?”.
“Perché
ricordo tutte le cazzate che
ho fatto in vita mia, accecato dall’amore o
dall’odio. È da stupidi, ma
purtroppo le sue frecce ti incasinano il cervello.
C’è solo una forza più
potente di lui ed è il Fato, che tutti temono. Tutti,
compreso Zeus, hanno
paura del Fato. Per fortuna è un Dio che si mostra poco. Se
dovesse scegliere
di combattere contro chiunque di noi..”.
“Però
potrebbe combattere dalla
nostra parte!”.
“Il
Fato non può essere di parte.
Scoprirai solo alla fine per quale delle due fazioni
patteggia”.
“Stronzo”.
“Già..”.
Milo sparava le
sue Needle a raffica,
cercando di colpire lo svolazzante Mercurio. Ormai era sceso il
tramonto ma il
cavaliere, volendo affrontare il suo avversario da solo, non aveva
lanciato l’allarme.
“Vedi
di scendere, piccione!” ringhiò
lo Scorpione “Ed affronta il guardiano dell’ottava
casa! Colui che hai
dinnanzi! Il possente cavaliere dall’unghia velenifera che,
con le sue punture,
può paralizzare i tuoi sensi e portarti alla morte dopo
lunga agonia ed atroce
dolore! Io..”.
“Tu
cianci troppo! DOMINUM VERBUM!”.
Dal bastone del
Dio, una luce
aranciata si espanse ed avvolse Milo, che non riuscì
più a parlare.
“Smettila
di tentare di proferir
parola!” lo schernì Mercurio “Ora non
potrai fare altro che stare zitto.
Lentamente, questo mio colpo brucerà l’aria dai
tuoi polmoni e morirai
boccheggiando come un insulso pesce rosso”.
Il Dio rise,
aspettandosi una
reazione di disperazione o paura da parte dello Scorpione, che
però non mostrò
nessuna delle due sensazioni. Il cavaliere strinse i pugni e, con un
ringhio,
ricominciò a sferrare attacchi a ripetizione. Alcuni
andarono a segno e
Mercurio gridò, infastidito. Milo ghignò. Sapeva
che il veleno delle sue
punture provocava un forte dolore. Il cavaliere continuò ad
attaccare,
nonostante la sensazione sempre più forte
d’affanno che provava. Cominciava a
mancargli l’aria ma di certo questo non lo avrebbe fermato!
“Muori!”
pensò, e lanciò l’Antares.
Alla prima casa,
Mur, ormai ripresosi
del tutto dallo scontro con Marte e Minerva, si guardava attorno
spazientito.
Era un cavaliere molto calmo, solitamente, ma in quel momento non lo
era per
niente. Cercava Kiki già da un sacco di tempo, senza
risultato. Il ragazzo
riapparve solo la sera, verso il tramonto. Mur lo guardò con
rimproverò,
aspettandosi delle spiegazioni.
“Dove
sei stato?” parlò poi, dato che
il fratellino non apriva bocca.
“A
fare delle cose” rispose, con fastidio,
il giovane.
“Quali
cose? E dove?”.
“Non
devo dirti sempre tutto, sai?”.
“Ma..che
ti sta succedendo? Sono
preoccupato. Un tempo eri pieno di entusiasmo e di voglia di aiutare.
Adesso,
invece, devo fare tutto da solo e sei sempre in giro!”.
“Scusami.
Lo so, lo ammetto. È che ci
sono delle cose che non posso dirti”.
“E
perché? Sono il tuo fratello
maggiore! Ti ho cresciuto io, non mi hai mai nascosto
niente!”.
“A
questo proposito..non ti ho mai
chiesto una cosa. Posso?”.
“Riguarda
i nostri genitori?”.
“Anche..”.
Mur attese
qualche istante. Non era
un argomento che amava affrontare. Poi annuì, dando il
permesso a Kiki di
parlare.
“Tu
parli sempre di Shion..” iniziò
il giovane “..ma mai di nostra madre. Tu devi averla
conosciuta, perché io sono
nato molti anni dopo di te”.
“Certo.
Cosa vuoi sapere?”.
“Però
dici anche che eri fin da
piccolo a fianco di Shion. Quindi?”.
“Shion
è sempre stato il mio maestro,
fin da quando ero un bambino di pochi anni. Mi teneva con
sé, al tempio, per
insegnarmi a riparare le armature”.
“Quindi
ti ha tenuto lontano dalla
tua vera famiglia. Quando mamma è morta, non ti sei
arrabbiato con lui?”.
“Quando
mamma è morta, Shion era
stato ucciso da anni”.
“Ma
nemmeno un po’ di rancore? Non
hai avuto un’infanzia!”.
“Nemmeno
tu. Sei sempre stato al
grande tempio o nello Jamir ad aiutarmi. Questo ti fa
arrabbiare?”.
“Un
po’. Specie perché alla fine
l’armatura è la tua, non
l’avrò mai io”.
“Potrei
morire, Kiki. Ed in quel
caso..”.
“Non
potrei mai augurarmi una cosa
del genere! Solo che, capiscimi..non potendo avere
un’armatura d’oro, posso
anche prendere con più leggerezza gli allenamenti”.
“E se
mi dovesse accadere qualcosa?
Poi..è questo il problema? Hai quasi diciotto anni e ancora
non hai
un’armatura, dopo una vita di allenamenti?”.
“No..”.
“Sono
preoccupato. C’è chi viene qui
a parlarmi di te, sospettoso perché teme che tu stia
tramando chissà che cosa”.
“Io?!”.
“Mi
sono giunte voci a riguardo, sì!”.
“Siete
tutti pazzi, ecco cosa siete.
Un gruppo di vecchi pazzi”.
“Bada
a come parli..”.
“Altrimenti
che fai? Mi sculacci? Lo
dici al gran sacerdote? E poi..chi è che pensa che io sia un
traditore?
Dimmelo, così che possa rispondere a tono a certa
gente!”.
“Non
sfidare persone di gran lunga
più forti di te e torna ai tuoi doveri. Fila ad
allenarti!”.
Con un gemito,
lo scorpione cadde in
terra. Gli mancava il respiro ed la vista gli si appannava. Ma
l’orgoglio gli
imponeva di mantenere il controllo e non richiedere l’aiuto
di nessuno. Con sua
somma soddisfazione, Mercurio sanguinava in più punti, anche
se non accennava a
voler smettere di svolazzare in aria. Poi un vento improvviso
colpì il Dio, che
fu colto alla sprovvista e cadde in terra, sibilando una bestemmia.
“Cosa
è stato?” si chiese Milo e
sorrise dopo qualche secondo: nel cielo era apparso qualche fiocco di
neve.
“Tutto
bene, Milo?” si sentì
domandare e lo Scorpione annuì: non era mai stato
così felice di vedere Camus
in vita sua!
“Come
hai osato?” sibilò Mercurio “Sai
chi sono io?”.
“Certo
che so chi sei” rispose Camus “Sei
Mercurio, l’equivalente del nostro Hermes”.
“Io
sono migliore di lui!”.
“Sei
la sua copia, con un nome più
stupido!”.
“E tu
chi saresti?”.
“Il
mio nome è Camus. Chi altro io
sia, e cosa io faccia, non ti cambia la vita saperlo”.
Il Dio si
apprestò a colpire di
nuovo.
“ALCHEMICAL
REACTION!” gridò.
I due cavalieri
d’Atena videro
reagire l’aria attorno a Mercurio, che mutò,
prendendo fuoco.
“Per
la grande madre Russia!” si lasciò
sfuggire Camus, spingendo via Milo.
L’Acquario
lanciò una rapida occhiata
al collega. Era strano non sentirlo cianciare continuamente e, dopo una
frase
come la sua, si aspettava qualche commento. Notò che lo
Scorpione era
lievemente cianotico e decisamente poco reattivo.
“Che
gli hai fatto?” domandò Camus a
Mercurio.
“Ciò
che ho fatto, non ti cambia la
vita saperlo” ghignò il Dio.
L’Acquario
alzò un sopracciglio. Era un
uomo estremamente calmo, ma in grado di esplodere
all’istante, se qualcuno
osava prenderlo in giro.
“Aurora
Execution!” attaccò il
cavaliere.
Il Dio rise e
fece un piccolo balzo,
con l’intento di volare via, ma gemette per il dolore e fu
colpito in pieno.
“Hai
sottovalutato il veleno dello Scorpione”
lo sfotté Camus “Ti paralizzerà ogni
nervo, sempre se il mio amico Milo non ti
aiuta..”.
“Aiutarmi?
Non ho bisogno del suo
aiuto!”.
Mercurio
tentò di rialzarsi ma, fra
il colpo di Camus e le cuspidi di Milo, era in preda al dolore e non ci
riuscì.
“Dimmi
cosa hai fatto al cavaliere
dell’ottava casa e come posso aiutarlo”
ordinò l’Acquario “Io, in cambio, ti
prometto
che ti verrà tolto il veleno”.
“Io
non posso morire per un veleno
simile..”.
“Ma
puoi soffrire per giorni e
giorni. È questo che vuoi?”.
Mercurio
rifletté qualche istante e
poi si arrese. Spiegò a Camus quanto accaduto e subito il
cavaliere si avvicinò
a Milo, per aiutarlo. Con il gelo che governava, il saint
dell’undicesima casa
placò il calore che bruciava i polmoni dello Scorpione.
Subito il cavaliere
parve star meglio.
“Pezzo
di merda!” furono le sue prime
parole, rivolto a Mercurio.
“Calmati!”
lo rabbonì Camus “Un patto
è un patto. Ora gli toglierai il veleno delle tue
cuspidi”.
“Devo
proprio?”.
“Sì,
devi!”.
Milo si
avvicinò controvoglia. Allungò
un dito verso il nemico ma un grido agghiacciate si udì
nell’aria e Mercurio
cadde di lato, con la testa che lentamente ne abbandonava il corpo.
“Milo!
Che hai fatto?” esclamò l’Acquario.
“Non
sono stato io! Te lo giuro!”.
“Nessuno
fa male al mio scorpionotto
e resta impunito!” parlò una voce di donna,
apparendo con indosso l’armatura.
“Mirina!”
la riconobbe Milo “L’hai
ucciso tu?”.
“Io e
mia cognata” rispose lei,
indicando dietro di sé “Niente di che. Era
già ferito ed inerme. Voi, piuttosto,
siete dei mollaccioni. Il colpo di grazia va sempre dato a certa
gente!”.
“Cognata?”.
“La
chiamo così. Colei che prima ha gridato.
Si chiama Enyo e la
sua fama la precede.
È l’amichetta di Phobos e Deimos, anche se
c’è chi dice che in realtà sia
nostra sorella. Non lo so, non si capisce. Sta di fatto che in
battaglia, se c’è
lei, tutti tremano”.
“Vero..”
annuì Camus, intravedendo
fra le rovine una figura di donna e conoscendo bene come, fin dal tempo
del
mito, Enyo fosse
sempre stata assetata di
sangue.
Atena stringeva
fra le braccia il
piccolo di Hades ed Eleonore. Con un grande sorriso, la Dea lo guardava
con gli
occhi che brillavano.
“È
bellissimo, zio” disse
“Congratulazioni”.
“Grazie,
Atena” rispose il Dio “Siamo
felici che tu sia passata a trovarci”.
“Non
potevo non vedere il tanto
sospirato figlio di Hades!”.
“E
tu?” commentò Eleonore “Mai
pensato di averne uno?”.
“Io?
Io sono la Dea vergine!”.
“Anche
io ero una vergine a servizio
di Artemide. Le idee si cambiano”.
“Sì
ma..io non..cambiamo argomento!”.
“Già,
forse e meglio!” rise Eleonore.
Il neonato
lanciò un piccolo vagito
di protesta, perché preferiva dormire tranquillo. Atena
capì e lo rimise nella
culla. Molti altri Dei si erano riuniti nel regno di Hades, per rendere
omaggio
al nuovo arrivato. La Dea Era, accanto al neopapà, pareva
piuttosto seria. Si
mosse, mormorando qualcosa alle orecchie di Hades, ed il Dio
parlò:
“Atena..dato che sei qui..c’è una cosa
di cui noi avremmo discusso, e di cui
vorremo parlarti”.
“Cosa
è successo?” esclamò il sacerdote,
vedendo entrare alla tredicesima Camus, con fra le braccia un fagotto
ingombrante.
“Ci
stava spiando. È stato eliminato”
si limitò a dire l’Acquario, mostrando il corpo di
Mercurio.
“Spiando?
A tal punto..”.
“Mentre
voi perdevate tempo a parlare
di femmine e stronzate, noi lo abbiamo abbattuto” si
esaltò Milo.
“Phobos!
Deimos!” chiamò Ares, che
era in piedi accanto al trono del figlio “Fate immediatamente
un giro di
ricognizione. Scovate altri possibili intrusi romani. Poi..”.
Il Dio si
fermò, notando lo sguardo
minaccioso di Arles.
“Non
volevo rubarti il lavoro” si
affrettò a dire.
“Vorrei
ben dire”borbottò Arles, poi
rivolgendosi ai suoi compagni “Avete fatto un ottimo lavoro.
Ora andate pure a
riposarvi, ne avete bisogno. Prenderò provvedimenti
affinché le ronde vengano rafforzate
e riorganizzate. D’ora in poi, non lascerò un
singolo cavaliere, anche se d’oro,
a svolgere tale attività. Sarete sempre in due, in modo da
affrontare meglio un’eventuale
emergenza”.
“Grazie,
Signore. Va bene, Signore”
annuì Camus.
“Ora
andate”.
Acquario e
Scorpione si congedarono,
lasciando il corpo del Dio alla tredicesima.
“Sono
dei valorosi guerrieri”
commentò Ares “Ma non hanno fatto tutto da
soli”.
“Che
intendi?”.
“Riconosco
il tocco delle mie bambine”.
“Se le
tue figlie sono peggio di
cagne sciolte, non ne ho colpa”.
“Non
sono cagne! Sono lupe. Fiere e
feroci lupe. Così come voi, miei figli maschi, siete dei
draghi”.
“Un
branco di bestie, insomma..”.