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Autore: suni    19/12/2008    4 recensioni
Un’ipotetica morte e gli ipotetici pensieri di un allievo lontano che almeno a se stesso non riesce più a mentire.
[500 parole]
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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SENSEI

 

 

 

Com’è strano. Di tutte le cose che mi potevano venire in mente ora, che sia proprio questa a farlo è inaspettato.

Non che abbia mai pensato realmente al giorno della tua morte, ma suppongo che se l’avessi fatto avrei ipotizzato altri ricordi a comparirmi nella mente. Quella sera sull’albero, quando mi hai costretto ad ascoltare verità che non volevo sentire, da ragazzino illuso di ottenere giustizia quand’essa non è che un concetto aleatorio. Oppure la terrazza assolata e la tua voce pacata che pronunciava una presentazione che non voleva dire nulla, mentre ti prendevi gioco dei tre bambini che ti avevano rifilato, nel tuo modo sottile e dissimulato. Il sorriso bonario che mi hai rivolto dopo avermi sotterrato fino al collo, sventolandomi il campanello davanti alla faccia. Oppure mi sarei potuto ricordare che quando hai preso in mano le cose non ho più avuto così tanta paura: c’era quel Sigillo sul mio collo, ma sembrava meno nero quando ci hai aggiunto il tuo.

Invece la prima cosa che mi viene in mente davanti a questa notizia è un pomeriggio nuvoloso, una spianata dissestata a picco sul fianco scosceso della montagna spoglia. Il mio respiro affannoso, le gambe tremanti e il mio braccio che sembra diventare il prolungamento di un qualche dio, tra le mie dita la luce perfetta e assoluta del fulmine, il suo riverbero nei miei occhi e nei tuoi; l’energia ultima che scorre lungo ogni terminazione nervosa, invadendomi di profondo trionfo. Due voci che pronunciano la stessa parola, il doppio bagliore accecante che si diffonde e freme irradiandosi in una luce sovrannaturale, l’esplosione della folgore e il boato.

Il mio sangue che grida vittoria e un sorriso condiviso senza parlare, con la consapevolezza della riuscita estrema.

Forse non è strano. Forse la morte fa ricordare l’attimo massimo di vicinanza con l’estinto, l’istante di completa intimità. Quel giorno ero qualcosa di straordinario, ma non la ero da solo: eravamo in due.

Era un rischio che hai voluto correre, regalarmi la scintilla e sperare di vederla germogliare in un bel fuoco che riscaldasse Konoha e non invece in un incendio devastatore.

Hai perso, completamente perso.

Mi volevi insegnare l’umiltà, ma non ti stavo ascoltando.

Hai provato a spiegarmi il perdono, ma io volevo volgermi soltanto alla vendetta.

Mi illustravi la collaborazione, quando io miravo unicamente all’ambizione personale.

Doveva essere stancante parlare a qualcuno che viveva senza neanche guardarsi intorno.

Ma ti stavo ascoltando. Ti stavo ascoltando, anche se adesso non serve a niente dirlo, e magari è vero che quel che hai seminato darà qualche frutto, un giorno. Ma forse a te non importava davvero, forse essere un maestro era trasmettere e poi auspicare che tutto si evolvesse nella maniera migliore,  guardare dove i nostri passi si sarebbero allontanati dai tuoi e quale percorso avrebbero intrapreso.

Quanto a quella frottola che raccontavi ai tuoi avversari sul poter vedere nel loro futuro, se puoi farlo ancora provaci di nuovo, con me. Risolvi quest’ultimo interrogativo.

Adesso chi risponderà al mio chidori, sensei?

   
 
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