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Autore: Sickophilia    29/03/2015    4 recensioni
E così mi ritrovo a scappare per lunghe settimane perché dopotutto la carne è debole e sono debole anche nell'animo visto che non riesco a starti accanto come meriteresti.
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Non so come ti sentivi o come ti senti durante le mie lunghe assenze, in realtà non capisco proprio se senti qualcosa. Lo sguardo tuo è vuoto e il volto inespressivo.
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-Prima classificata al contest "Introspective & Romantic" indetto da Iamamorgenstern sul forum di EFP.
-Vincitrice del premio speciale “Stupor mundi” al contest ''L'amore è uno stato d'animo'' indetto da Shinkari sul forum di EFP
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Partecipante al contest "Introspective & Romantic" indetto da Iamamorgenstern sul forum di EFP.
Nick: Sickophilia
Titolo: Anedonia
Tipo: One-shot
Genere: Introspettivo
Rating: Verde

Storia partecipante al contest "L'amore è uno stato d'animo" indetto da Shinkari


Quattro piani di scale mi separano da te, pochi rispetto a tutti i gradini che devo salire per entrare nel mio appartamento ogni volta che si rompe l'ascensore, ma nonostante questo cerco di allungare il tempo di attesa, rimando l'incontro più che posso: cinque secondi, un gradino.
Ogni piano ha tre serie di scale, ogni serie dieci gradini; impiegherò seicento secondi per arrivare alla tua porta, solo dieci miseri minuti.
Sono un codardo e non so con che faccia mi ripresenterò da te dopo un mese di assoluto silenzio. Ho paura di quello che vedrò, non so come comportarmi, non so che reazioni avrai.
Ormai sono al terzo piano e l'ansia mi sta divorando e il battito del mio cuore è accelerato a dismisura, vorrei rimandare questo momento all'infinito.
Al gradino numero cinquecentonovantanove sono tentato di tornare indietro e andare a casa e non so cosa mi trattiene dal farlo ma so che ora sto tirando fuori le chiavi inserendo quella più ingombrante nella serratura di casa tua.
Chiudo gli occhi e tirando un lungo sospiro premo la mano sulla maniglia ed entro. 
La prima cosa che sento è un odore di chiuso e fumo, poi vedo le pareti bianche diventate più colorate e, infine, vedo te.
Stai seduta dietro il tavolo della cucina sulla sedia che dà sull'ingresso, la stessa sedia che quattro settimane fa hai buttato contro la parete e che ho faticosamente riparato. Indossi gli stessi vestiti che ti ho messo l'ultima volta su tua insistenza dopo averti fatto il bagno: la lunga canottiera grigia di tuo fratello, i larghi jeans di tuo padre sistemati sull'esile vita con il cordone dell'accappatoio verde di tua madre. Stai seduta immobile guardando con disinteresse le dita sporche di colore mentre una sigaretta sta bruciando tra le tue labbra secche e screpolate. I lunghi capelli biondi, sporchi e disordinati cadono violentemente sulla faccia e per un secondo ringrazio il cielo che mi impedisci di vedere i tuoi occhi spenti.
I sensi di colpa mi stanno divorando e forse in questo momento capisco un po' come ti sia sentita quando tutto il tuo mondo ha iniziato a crollare sopra le tue sottili membra.
Con un movimento lento alzi il braccio affogato di colori e ti sfili la sigaretta spegnendola alla base del tuo polso con un movimento secco e deciso. Io mi riprendo, confuso, impaurito e corro da te nel tentativo di marginare i danni che ti sei provocata, ma tu non fai una piega e sembra che quel dolore non ti riguardi, che sia qualcun'altro a procurarselo, non te, e io trattengo un urlo di orrore nel constatare tre file di undici bruciature che ti partono dal gomito fino al bianco polso. La tua pelle è marchiata, martoriata, bruciata a vita da piccoli cerchi uniformi disposti in un modo altrettanto uniforme e ora mi chiedo cosa sia cambiato nel tuo cervello rispetto al mese scorso tanto da arrivare a segnarti in questo modo così definitivo.
E inevitabilmente mi ritrovo a riflettere sul mio egoismo, sulla grande paura che mi sta allontanando da te, dalla persona che più ho amato nella vita e che mi ha aiutato a scavalcare ogni difficoltà che mi impediva di realizzarmi come persona libera. Ora sei tu quella che ha bisogno d'aiuto, ma ricompaio nella tua vita solo una volta ogni tanto.
Il tuo lento declino psicologico coincide con la disfatta della tua famiglia, con la distruzione delle realtà che ti avevano dato quella sicurezza che ogni persona dovrebbe sempre possedere e con la caduta di ogni punto di riferimento.
Tuo padre morì due anni fa per una morte fulminante a causa di un'aneurisma celebrale e tu, tu avevi diciotto teneri anni. E' stato l'inizio della fine.

Le dita bianche coperte da macchie irregolari sono secche, nodose e piene di calli; hai un taglio sulla guancia sinistra e quello non lo ricordavo, forse è nuovo, forse l'ho rimosso volutamente. Ma quando alzi gli occhi e vedo le irridi verdi circondate da piccole e sottili vene rosse, il mio cuore manca uno, due o venti battiti e capisco che quegli occhi che una volta elogiavo continuamente oggi sono stanchi di dover vedere cose e la stanchezza la osservo anche dalle rilevanti occhiaie che scavano il tuo già magro volto.
Ti vedo ma non so cosa sto guardando perché quella che ho di fronte non penso di poterla definire una vera persona, piuttosto mi sembra di vedere l'ombra o il fantasma della ragazza che una volta ho amato fino a sentirmi male. Ma ora sei tu quella che si sente male, forse perché mi ami ancora, forse per le sventure che hanno incorniciato la tua vita o forse perché il male che ti ha preso alla testa è più forte di qualsiasi male fisico e tu non sai come uscirne e io non so come aiutarti. E così mi ritrovo a scappare per lunghe settimane perché dopotutto la carne è debole e sono debole anche nell'animo visto che non riesco a starti accanto come meriteresti.

Dopo tuo padre, tua madre non ha retto più. E' stata colpita da un'acuta forma di depressione unipolare e ha deciso di lasciare te e tuo fratello al vostro infame destino.
Tu pensavi che una morte saresti stata in grado di reggerla, ma quando è arrivata la seconda ha portato con sé anche la tua di malattia, anche se in modo graduale e non tutta di colpo. Magari sarebbe stato meglio se la tua mente si fosse persa all'improvviso, almeno mi sarei accorto in tempo del problema e avrei agito di conseguenza.
Hai cominciato evitando i problemi, scacciando ogni pensiero nefasto e dedicandoti a mille e mille attività, così tante che era difficile starti dietro. Inizialmente ero felice della situazione, pensavo avessi preso in mano la tua vita decidendo di andare avanti, per te e per me.
Ma cominciai a preoccuparmi quando nei momenti di euforia qualcosa iniziò a comparire sul tuo volto e fra le tue parole: paranoie. Mi dicevi di sentirti seguita, di avere indizi  sul fatto che qualcuno volesse distruggerti completamente iniziando dalla tua famiglia, che possedevi segreti di Stato che i tuoi nemici volevano a tutti i costi.
La prima mia reazione fu una spontanea, la presi sul ridere, pensavo fosse un tuo particolare modo di tirarmi su di morale ma capii che la situazione fosse più grave di quanto sembrasse quando, per paura di una macchina nera che stava dietro di te in autostrada, imboccasti una corsia dal lato opposto andando contro marcia. E io non c'ero, e tu ti salvasti per miracolo.
Quel episodio ti fece cambiare completamente: iniziasti la fase depressiva.
Non mangiavi, non ti lavavi, non parlavi e raramente uscivi di casa. In quelle settimane mi parlavi di morte, della tua vita inutile e vuota e del desiderio di farla finita. Ma mi dicevi anche che non avevi le forze per farlo e io ti credevo visto che spesso dormivi tutto il giorno e ciò, in parte, mi rassicurava.
Anche tuo fratello cominciò a perdersi, droga e alcol erano all'ordine del giorno così come le feste devasto a casa tua ma tu rimanevi chiusa in camera e cosa facevi non mi è dato saperlo.
Le certezze cominciarono a crollare mattone dopo mattone, muro dopo muro e alla fine ci ritrovammo tutti intrappolati in un cumulo di macerie e polvere che ci impediva di respirare, di muoverci, di vivere. Ho cercato in tutti i modi di uscire fuori da quel casino e ce l'ho fatta anche se la polvere ricopre ancora i miei vestiti e la faccia e sopra le spalle porto ancora il mattone più pesante.
Però, ancora non riesco a vivere come vorrei perché tu sei rimasta fra le rovine della tua vecchia vita e io non sono riuscito a tirarti fuori come ho fatto con me, e questo continua a perseguitarmi.
Il delirio completo è arrivato con la morte di tuo fratello, guida in stato di ebbrezza e sotto effetto di droghe pesanti. Guidava contro marcia proprio come avevi fatto tu (evidentemente è una cosa che avete nel sangue), ma non è riuscito a salvarsi e tu non hai speso nessuna lacrima. Le avevi finite tutte, avevi gli occhi secchi.
Ti portai in una clinica psichiatrica: schizofrenia di tipo paranoideo fu la diagnosi.
Ti dettero dei psicofarmaci che ti buttarono ancora più giù fino a toccare il punto di non ritorno: tentasti il suicidio infilando la testa nel forno col gas acceso. Il vicino, sentito l'odore, buttò giù la porta e ti salvò, contro il tuo volere.
Ti portai in un'altra clinica e quello che scoprii mi fece incazzare a tal punto che la rabbia ancora mi bolle dentro. La diagnosi era sbagliata: soffri di disturbo maniaco-depressivo di tipo paranoideo non di schizofrenia. Inizialmente ne fui sollevato perché questo significava che il tuo cervello non era senza vie di ritorno, il tuo era solo un disturbo dell'umore. Ma non capii che cervello e umore fossero due facce della stessa medaglia quindi stavolta fui io a sbagliare sottovalutando il problema.
Sei bipolare, ma non nel senso leggero del termine, è una cosa seria, troppo seria per i miei gusti e maledico me stesso per averti chiamata ''bipolare'' quando eri sana e magari eri solo lunatica a causa del ciclo.
Qui entrano in ballo psicofarmaci, manie, depressioni, tentativi di suicidio e questo di sicuro non può essere un gioco.
Durante le fasi maniacali mi svegliavi nel cuore della notte col casino che facevi a causa delle improvvise foghe che ti portavano a dipingere le pareti di casa, a cucinare alle tre di mattina, a prendere la macchina per andare al mare a dicembre e a fare l'amore per ore e ore di fila senza stancarti anche se il fiato a stento mi permetteva di respirare.
Durante le fasi depressive o dormivi venti ore al giorno o ne dormivi due, o stavi a letto una settimana intera o stavi sveglia sette interi giorni senza crollare. Non uscivi, non parlavi, non dipingevi e starti dietro era maledettamente difficile. Per questo iniziai a stare sempre di meno a casa, a venirti a trovare di rado e a farti il bagno una volta ogni tanto. Non sopportavo questa situazione, mi sentivo soffocare da troppe responsabilità e vidi nella fuga l'unica soluzione a questi problemi.
Non so come ti sentivi o come ti senti durante le mie lunghe assenze, in realtà non capisco proprio se senti qualcosa. Lo sguardo tuo è vuoto e il volto inespressivo. I pochi gesti che compi sembrano dettati da un istinto malato e autodistruttivo e non puoi fare altro che abbandonarti a questo perché ormai hai perso il lume della ragione.

In un momento di lucidità ti giri verso di me e per un secondo mi sembra di vedere nelle tue iridi una fulminea emozione, un segno di vita che a questo punto spero si trasformi in un mutamento di umore.
''Ti ho tradita'' ti dico all'improvviso e altrettanto rapidamente il guizzo di emozione sparisce dai tuoi occhi. Volti la testa di fronte a te, interrompi i nostri sguardi: probabilmente hai capito che non è stata la prima volta.
Non dici niente, forse nemmeno sbatti le palpebre ma non so dirtelo con certezza, il mio sguardo ha raggiunto il pavimento in segno di colpevolezza.
Sento le tue mani prendere il pacchetto di sigarette ed estrarne una poi prendi un fiammifero e accendi entrambi. Poi ti fermi, non fai nulla se non aspirare ed espirare fumo finché, finita, non la spegni nel luogo dove hai spento le altre. Un altro cerchio sul tuo braccio, un altro mattone che ti cade addosso, un'altra delusione da mandare giù.
Ti fermi di nuovo, sembra che tu stia riflettendo su qualcosa, hai le sopracciglia leggermente incurvate verso l'interno; alzi le braccia portandole al tuo niveo collo, armeggi con qualcosa. Solo dopo che ti sei tolta la collana che sfiorava l'adorata valle fra i tuoi seni inizio a comprendere il significato di quel gesto, un gesto pensato da te e non dettato dall'istinto.
''Scusami, per tutto'' mi dici con una voce atona e apatica porgendomi la collana col ciondolo raffigurante l'albero della vita.
Quel gesto, quelle parole, significano tutto ma vorrei diventassero un nulla: mi stai dando la libertà, la possibilità di andarmene e di uscire da questa storia troppo complicata per me, mi concedi la scelta di scappare o rimanere, di vivere la mia vita o di aiutarti a vivere la tua.
Mi guardi con quegli occhi verdi e arrossati e so che dovrei essere io a chiederti scusa per tutto quello che ho fatto, che farò e soprattutto che non ho fatto.
Vorrei essere forte abbastanza per entrambi ma non posso continuare a mentire a me stesso e a te: io sono un debole e da tale ho deciso di comportarmi.
Afferro la collana e mi infilo il giubbotto preparandomi ad attraversare per l'ultima volta la soglia di casa tua. Abbassi lo sguardo e i capelli ti finiscono sulle guance: afferri una sigaretta e te la fumi girandoti verso la finestra. Ha iniziato a nevicare e i bambini corrono per le strade felici come non mai, ridendo come anime pure senza che alcuna preoccupazione o problema gravi sulla loro ancora breve vita.
''Mi dispiace'' ti dico ma so che questo non risolverà le cose, non ti renderà la persona forte e determinata che ho conosciuto tempo fa e non renderà me una persona migliore.
Allora apro la porta e la attraverso con la coda tra le gambe ma prima di richiuderla alle mie spalle getto uno sguardo sul dipinto che hai fatto sul muro orientale del salotto: siamo noi due a letto stretti uno all'altra con un sorriso felice sulle labbra mentre delle candide lenzuola bianche coprono i nostri corpi intrecciati. Poi guardo te e capisco che di quella felicità non sono rimaste nemmeno le briciole.
Chiudo la porta e mi avvio per le scale. Stavolta impiego solamente un minuto a scenderle e questo mi fa riflettere.
Spero tu possa riuscire là dove io ho miseramente fallito. Spero che i morti del passato smettano di vivere il tuo presente e spero che un giorno, rivedendoci, potremo discutere di questa fase della nostra vita con la saggezza di chi le difficoltà le ha superate e ha acquisito finalmente coscienza delle proprie capacità.
Ma il problema è che io mi sento sempre più codardo e uno che scappa sempre non può diventare saggio o coraggioso e so che se mai un giorno ti vedrò per strada non potrei fare altro che girare lo sguardo e far finta di non averti vista.
Ho osservato il tuo lento declino, ho visto le tue lacrime, le tue paure, i tuoi sogni infranti e il tuo cuore spezzato. Ti ho vista nel momento di massimo splendore e in quel periodo ti ho vissuta ogni singolo secondo, ti ho respirata, ti ho divorato gli anni d'oro vivendo con te passioni estreme, piccolo idilli e gioie immense.
Ma ora tutto è finito, e io ti ho abbandonata.


You sit on that broken chair
staring at your coloured fingers
and you try to forget the effects
of that dirty mind hidden by your dirty hair
while the marble of the table
reminds me the colour of our fair love.
  
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