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Autore: RedLolly    19/12/2008    8 recensioni
In una buia sera, una donna ormai stanca di vivere pronuncia per l'ennesima e forse ultima volta il nome "Mihael". Un'ondata di dolorosi ricordi la travolge, rivelando poco a poco l'infazia di quella persona ormai per molti identificabile solo con lo pseudonimo "Mello". [Nuova fanfiction di Lolly, sulla scia di Reliquae Rosae]
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, Matt, Mello
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Anche se un po’ in ritardo (e me ne scuso molto…) dedico questo capitolo a Elly_Mello in particolare… Visto che ieri era il suo compleanno

Anche se un po’ in ritardo (e me ne scuso molto…) dedico questo capitolo a Elly_Mello in particolare… Visto che ieri era il suo compleanno! So che non vedeva l’ora di leggere questo capitolo, così ho deciso che sarà interamente per lei!<3

Ovviamente ringrazio anche tutte le ragazze che hanno commentato il mio capitolo precedente L i a r, patri_lawliet, larxene, SPLITkosher, _pEaCh_, linkinparkforever (un altra nuova!!! Oleeeeee!XD), KeR, Soruccio e KLMN (Grazie davvero a tutte!<3 Vi adoro!), ma questo è solo esclusivamente dedicato alla mia Elly!<3 Ancora tanto auguri, tesoro!!!

By Lolly

 

 

Memories of a Stolen Childhood

 

 

 

 

Capitolo 15: Remorse

 

Natassia si precipitò giù per le scale a gran velocità saltando i gradini due a due non appena sentì la porta dell’ufficio della sua protettrice aprirsi e richiudersi al piano inferiore. Yin Mei l’avrebbe aiutata, ne era certa. La fuga di Mihael avrebbe potuto mettere in qualche modo in pericolo il suo giro d’affari, ed essendo una donna molto prudente, avrebbe sicuramente fatto di tutto per ritrovarlo.

Spalancò la porta che la cinese non era nemmeno seduta. La guardava con gli occhi spalancati, la bocca tirata per l’impudenza che la sua sottoposta aveva avuto nell’accorrere in quel modo nel suo ufficio senza bussare. Non aveva nemmeno tolto del tutto la pelliccia grigia, sicuramente pregiatissima volpe argentata, e una manica era ancora infilata.

Come al solito, Natassia riusciva a sfigurare pesantemente con i suoi capelli in tempesta, il viso paonazzo e l’abbigliamento mal’assortito per la fretta di indossare qualcosa, contro la solita eleganza calcolata di Yin Mei.

Natassia? Come mai nel mio ufficio in questo modo?” chiese trattenendo lo sdegno.

“Ho bisogno del suo aiuto, la prego!” si affrettò a spiegare “Ho combinato un disastro… Mihael è scappato, bisogna trovarlo! La prego, Mrs. Yin Mei, la supplico di darmi una mano!

“Calmati… Racconta tutto dall’inizio.”

Natassia  emise un sospiro per fare mente locale e rilassarsi, prima di chiarire cos’era successo.

“Ho commesso un terribile errore… Ieri sera ero sconvolta per quella faccenda che lei sa, così quando Mihael è tornato me la sono presa pesantemente con lui… E l’ho cacciato… Io però non volevo! Devo trovarlo, devo ritrovare il mio angioletto…

La donna di fronte a lei sospirò, sedendosi finalmente alla scrivania. La situazione le era chiara, e non avrebbe di certo lasciato che Natassia uscisse da sola a cercare quel moccioso. Se lui fosse andato alla polizia e questa l’avesse rintracciata, sarebbero stati guai seri per la sua organizzazione. No, doveva arginare i danni. Non gliene importava molto di lui, ma non c’erano alternative.

“Tu torna nell’appartamento, da brava, e senza creare scompiglio.” Ordinò con tono secco prendendo dalla tasca il suo cellulare “Io chiamo Kai Cheng, e gli dirò di prendersi altri due o tre uomini per cercare tuo figlio. A piedi, di notte, non può essere andato lontano. Se è ancora vivo, lo troveranno. Ora vai. In silenzio.”

Natassia annuì, e ripercorse al contrario la strada che aveva fatto, cercando di trattenere le lacrime che spingevano prepotenti ai bordi delle palpebre. Non doveva sconfortarsi. Kai Cheng e gli altri avrebbero trovato Mihael, sarebbe andata così, ne era sicura. Doveva sperare, solo sperare che fosse vivo.

Rientrata nell’appartamento si chiuse la porta alle spalle e si diresse in camera da letto. Si inginocchiò lentamente a terra, congiunse le mani, e iniziò a pregare a voce bassissima. Non si mosse per ore, decisa a non mollare fino a che Mihael non fosse stato di nuovo tra le sue braccia. Quanto già le mancava…

Quando dopo un tempo indeterminato e interminabile sentì la porta aprirsi con un cigolio sinistro, il suo cuore prese a pulsare ad un ritmo accelerato. Non poteva essere nessun altro al di fuori di Yin Mei, perché Natassia era sicura di aver chiuso la porta a chiave, e la padrona era l’unica ad avere un passepartout che avrebbe potuto aprirla.

Era ora della verità. Mihael sarebbe tornato tra le braccia di sua madre, o sarebbe stato stretto in quelle della morte?

La donna si alzò e si diresse barcollando verso il salotto. Trattenne il fiato.

Yin Mei era in piedi, mani sui fianchi, l’espressione seria un po’ troppo tirata. Dietro di lei si stagliava la figura imponente di Kai Cheng, l’enorme cameriere del Jade Garden.

Natassia si portò le mani al volto senza trattenere più i gemiti. Tra le spesse braccia muscolose dell’uomo c’era un fagotto informe di coperte. Due gambe sottili ed un braccio cereo penzolavano mollemente verso il basso. Il bambino di cui non riusciva a vedere il volto non si muoveva.

Una bolla di dolore le salì su per lo stomaco fino alla gola. Non era possibile… Mihael non poteva essere morto. La sua vita senza di lui non esisteva, la sua esistenza, il suo scopo al mondo dipendevano da lui! Nulla avrebbe eguagliato il suo piccolo tesoro, nulla sarebbe stato tanto importante quanto lui…

Non riuscì a far altro che balbettare, incredula.

“Lui… Lui è…”

“Vivo.” La interruppe Yin Mei “Anche se ha rischiato la pelle. Kai Cheng l’ha trovato non molto lontano da qui, raggomitolato a terra. Ha preso molto freddo, va tenuto al caldo. Portalo a riposare in camera tua.”

Natassia annuì nuovamente con l’animo gonfio di speranza, e fece strada a Kai Cheng, che posò poi l’involto sul suo letto con una delicatezza che quelle braccia poderose non parevano poter avere.  Lei si chinò sul suo piccolo, potendolo finalmente rivedere in viso. Le si strinse il cuore. Non resistette, si sentì in dovere di baciare quella fronte bianca gelata, e stringere quelle manine altrettanto gelide. I suoi occhi azzurri la fissavano tra le palpebre semichiuse.

Era a casa. Il suo piccolo angioletto era a casa sano e salvo. Ringraziò Dio mentalmente, per non averglielo portato via.

“Vorrei mettere in chiaro alcuni punti prima di lasciarmi soli.” Le giunse alle orecchie la voce di Yin Mei. “Punto uno, niente ospedale, ma ti do una settimana in cui sei esonerata dal lavoro per stare con tuo figlio. Non voglio fare pubblicità alla mia attività alle forze dell’ordine. Punto due, per lo stesso motivo, vedi di mettere il guinzaglio al tuo marmocchio, non voglio essere scomodata di nuovo per una cosa del genere. Non sarò così disponibile e indulgente la prossima volta.

Natassia ringraziò con riverenza, prima di essere lasciata sola con il figlio. Poté così concentrarsi su di lui, piangere, stringerlo, fargli sentire che era al sicuro tra le sue braccia, stretto contro il suo petto caldo.

“Amore… Mi dispiace, mi dispiace talmente tanto… Dio, cosa ti ho fatto! Perdonami! Ti prego, perdonami! Sei troppo importante per me! Io… Io non volevo dirti quelle cose orribili e false!

Continuò ad abbracciarlo, baciandogli le guance, strofinandolo affinché si scaldasse. Si rendeva conto di quanto lo amasse, di quanto senza di lui si sentisse morta dentro. Non poteva stargli lontano. L’idea di abbandonarlo che aveva avuto tempo prima svanì completamente dalla sua mente, perché le sarebbe stato impossibile resistere. Non avrebbe retto alla lontananza.

“Scusami, Mihael, scusami… Non sapevo cosa dicevo, ero ubriaca, stavo molto male… Avevo appena perso un bambino… Cerca un po’ di capirmi…

“Allora è vero, non era un sogno…” furono le sue prime parole strascicate e deboli “Tu hai perso un bambino…

La donna lo strinse più forte, e lo poggiò di nuovo con la testa sul cuscino, asciugandosi le lacrime.

 “Sì, è vero… Ma ora non voglio pensarci, ormai lui è morto, e forse è anche meglio così per tutti… Per me, per te, per lui, per Oscar… Ora io voglio prometterti che cambierò… Io voglio smettere di bere… Solo per te… Non voglio che accadano più disgrazie come quella di ieri…

Mihael si limitò a fissarla con quel suo sguardo vacuo senza risponderle, cosa che la deluse non poco. Si aspettava almeno un “brava” o un “grazie”. Un piccolo e lieve “grazie” sussurrato a fior di labbra che mai arrivò. Il figlioletto era ancora troppo malmesso, troppo arrabbiato per perdonarla e dimenticare. Questo sentimento sdegnato era talmente evidente che la madre lo percepì con estrema chiarezza, come se stillasse goccia a goccia da quel corpicino indebolito.

Si era ormai pentita davvero amaramente per ciò che aveva fatto. Doveva assolutamente rimediare in qualche modo. Decise così di distrarlo, di fare qualcosa che potesse procurargli piacere.

“Ti preparo qualcosa di caldo… Una cioccolata ti va?”

Vedendolo annuire, si diresse un po’ più sollevata in cucina e iniziò a preparare la bevanda richiesta. Mentre era occupata al fornello però, si accorse di una cosa: lo zainetto di Mihael era rimasto lì a casa dalla sera prima. Piena di curiosità decise di aprirlo e di dare un’occhiata alle sue letture. Sapeva infatti che amava molto leggere, ma non si era mai interessata al genere di letture che prediligeva.

Le venne una piccola idea carina, che di sicuro non avrebbe fatto altro che piacere al suo bambino. Visto che lui non stava bene, avrebbe potuto leggergli qualcosa se ne fosse stata in grado.

In questo modo tirò fuori dallo zaino un libro piccolo e spesso come un mattone. Sulla copertina un po’ scolorita e vecchia, dagli angoli smussati, era raffigurato un cavaliere medievale in armatura  con una lancia in pugno su un poderoso cavallo nero che si impennava fiero. Sull’elmo, un pennacchio giallo canarino ondeggiava al vento. In alto era scritto in caratteri goticheggianti “Ivanhoe” e il nome di quello che doveva essere l’autore, un certo Walter Scott.

Natassia ci mise davvero molta volontà, ma si accorse che faceva davvero una fatica immane a leggere l’inglese spiluccando la trama sul retro.

Capì che il libro si svolgeva nel medioevo (Dopo le crociate? Natassia non potè affermarlo con assoluta certezza, anche perché le sue conoscenze sull’argomento erano pressoché nulle.), e che il protagonista era appunto questo Ivanhoe. Che cosa facesse oltre che combattere alla fine in un duello in difesa di una certa Rebecca verso la fine, non riuscì bene a capirlo.

Emise un respiro accorato e ributtò sconsolata il libro nella sacca. Non ce l’avrebbe mai fatta a leggere quella roba a Mihael. Si chiese come fosse possibile che lui ci riuscisse. Ormai non aveva più alcun dubbio sulla sua intelligenza. Avrebbe racimolato tutto il denaro necessario per mandarlo in una degna università quando sarebbe venuto il momento. La sua intelligenza geniale non sarebbe andata sprecata.   

La cioccolata era pronta ormai, e lei la versò in una tazza per portarla in camera. La porse ancora fumante velocemente al figlio quando vi giunse, dopo aver sistemato i cuscini dietro di lui in modo che lo reggessero in posizione seduta. Nuovamente non arrivò neanche un “grazie” da parte sua. Rimase allora a guardarlo con tristezza sorseggiare quel liquido bollente.

“Ho guardato un libro che c’era nel tuo zaino.” Affermò ad un certo punto interrompendo quel silenzio insopportabile per le sue orecchie “Si chiama Ivanhoe, volevo portarlo di qua per leggertelo ad alta voce, ma mi sono resa conto che è troppo difficile per me… Non ho ben capito nemmeno la trama…

“Non importa.” Fu la risposta roca che voleva essere affettata “L’ho quasi finito. Praticamente, il cavaliere normanno Bois-Gilbert…”

“Che cos’è un normanno?”

Mihael emise un lungo sospiro stizzito, arrossendo lievemente sulla punta delle orecchie.

L’ignoranza di sua madre, che mai gli aveva causato un qualche tipo di problema in assoluto fino a quel momento, gli diede improvvisamente una certa irritazione. Certo, non era colpa sua se non aveva avuto la possibilità di studiare e non aveva un cervello come il suo… Ma lì non riuscì proprio a nascondere il disappunto.

“Lasciamo stare… Tanto non è un libro per te.”

Natassia abbassò lo sguardo mortificata da quella frase umiliante. Mai e poi mai aveva osato dire una cosa del genere verso di lei. Non disse nulla però, comprendendo l’insofferenza del figlio. Lo aiutò a ristendersi piano quando ebbe finito di bere, vedendolo molto stanco.

In effetti Mihael non aveva alcuna voglia di sentirla blaterare, non aveva voglia di nulla. Solo di riposare, tanto stava male dopo la peggior nottata della sua vita, passata sul ciglio di un marciapiede al gelo, pregando di arrivare alla mattina successiva.

Natassia rimase assiduamente a vegliarlo, accarezzandolo d tanto in tanto. Pensò che presto si sarebbe rimesso. Che tutto sarebbe pian piano tornato come prima, lei, lui, la vita davanti…

Eppure si sbagliava. In due giorni, quando Mihael iniziò ad avere la febbre alta, a tossire e rantolare, si rese conto che si era illusa, che non era tutto terminato con un lieto fine al suo ritrovamento miracoloso. Quello era stato solo l’inizio, e lei non poteva fare niente. Se avesse chiamato l’ospedale Yin Mei avrebbe trovato il modo di farla pagare ad entrambi… E forse addirittura se ne era accorta fin troppo tardi, quando ormai la malattia, qualunque essa fosse stata, aveva intrapreso la parte finale del suo pericoloso corso. Questo pensiero la dilaniava.

Si ritrovava inginocchiata ed impotente al lume di una piccola lampada da comodino nel cuore della notte senza poter dormire, a vegliare su quel corpicino inchiodato al letto bruciante di febbre e con la gola riarsa. Non poteva curarlo, non poteva fare altro che abbracciarlo, avvolgerlo circondandolo con le sue braccia materne e protettive, dirgli che sarebbe andato tutto bene, senza ricevere mai una parola gentile in cambio.

Sapeva che Mihael stava morendo… E temeva, purtroppo, che l’avrebbe lasciata senza amarla più come prima…

 

  
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