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Autore: Sally Seton    19/12/2008    0 recensioni
Questa è un'originale che ha partecipato alla sfida con Lilac su "My hero" di Writers Arena. Non ho vinto perchè gli ho dedicato troppo poco tempo, perchè non l'ho presa a cuore fino in fondo. Mi riservo di riscriverla. Tratta di un eroe fuori dal comune che assiste alla sua morte e che è causa principale della morte di una sua carissima amica per volere comunque del Grande Hatar, personificazione mascherata del male. Per quanto riguarda il commento del giudice rimando a Verochina il tutto ;)
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mondo del male e l'eroe sbagliato

Il mondo del male e l’eroe sbagliato.

 

Un’altra giornata si affacciava, un altro sole faceva capolino sul suo volto sempre più provato dall’ignoto.

Iniziava così la giornata di Capitan Sebastian; tra un caffè, un disco di Music Man e il solito giornale che lo aggiornava sulle sciagure che anche oggi avevano colpito la sua beneamata città. Rifletteva oggi su quello che ieri Mrs Blue eyes gli aveva detto. “Tu sei un eroe” gli aveva dolcemente sussurrato all’orecchio. Avrebbe ben presto capito che anche lui era d’accordo con il grande Hatar, probabilmente era lui il grande Hatar, solo travestito da buono.

Non aveva mai voluto esserlo, non avrebbe mai voluto, ma aveva imparato che nella vita bisogna fare delle scelte, soprattutto se arrivi all’empasse.

Poi, semplicemente, non torni indietro.

Guardare avanti era diventato il suo motto dopo quella tremenda notte.

Bevve un sorso di caffè e acconsentì ai pensieri di tornare a fargli visita. Disse sì, ancora una volta quella mattina, e lasciò che la storia delle finanze mondiali passasse in secondo piano rispetto alla sua.

Sentiva freddo, esattamente come quella sera.

Erano in macchina lui ed il suo migliore amico. Rientravano da una serata carina in cui anche lui era riuscito a limonarsi qualcuno e finalmente tutti erano contenti del suo operato quella sera visto che per timidezza lui li batteva tutti.

Non aveva bevuto molto quella sera, ma la sua felicità non fu abbastanza per salvargli la vita.

L’unica cosa che ricorda erano le luci di quella macchina; sempre più forti lo accecavano e lo paralizzavano. Non riusciva a muoversi per sterzare, per chiamare aiuto, per fare qualunque cosa che avrebbe potuto salvarlo.

Si ritrovò così a guardare fisso un’immagine bianca e sfuocata.

Tremava.

Accelerò il passo sempre più, uno dietro l’altro, veloce sempre più; cosa era successo?

Davanti a sé sull’asfalto una bianca scia di polvere non ben identificata.

Corse a perdifiato, corse sempre più forte. La luce si faceva sempre meno fitta e riusciva già a distinguere i contorni di quelle che sembravano i resti di una macchina ormai inesistente.

Non correva più, si bloccò improvvisamente.

Riuscì a intravedere i contorni del volto degli occupanti della macchina.

Uno dei due era lui.

Non capiva.

Si voltò spasmodicamente per cercare di capire cosa stesse succedendo, chi poteva dargli una spiegazione; una qualunque gli sarebbe andata bene, purché non l’avessero lasciato solo a cercar di capire cosa stava succedendo.

Si voltò indietro e vide di nuovo quella luce così soffocante.

Basta.

Avrebbe cercato la sua risposta davanti a lui, quella luce lo infastidiva, ora più che mai.

Si sentì prendere il braccio nel momento in cui si stava avvicinando ai rottami della macchina.

“Cosa vuoi fare?” gli chiesero.

Senza neanche prestare attenzione a quello che stava succedendo: “Devo capire cos’è successo. Quello sono io porca puttana”.

“Vieni te lo spiego”.

Seguì quell’uomo.

Fecero un breve tratto di autostrada insieme e si sedettero poco più avanti sul guardrail.

“Chi sei? Cosa vuoi? Perché non mi lasci?”

Ridacchiando tra sé: “Fai troppe domande per essere un eroe, devi calmarti e saper ascoltare le persone che ti attorniano”.

Abbassò il capo prestando più attenzione al rimprovero piuttosto che a quella parola che avrebbe segnato la sua vita da lì in avanti.

“Hai sentito cosa ti ho appena detto?”

“Se non vuoi che parli perché vuoi che ti faccia domande? Dimmi cosa sta succedendo. Dimmi chi sono quelle persone. Cosa ci faccio io qui? Chi sei tu e cosa vuoi da me?”

Sicuro di sé: “Ti avevo fatto un’altra domanda, tu non mi stai ad ascoltare. Sei preso dalla tua smania di sapere e non presti attenzione alle mie parole. Ti ho detto che da oggi sei un eroe.”

“Ma lasciami, cosa vuoi da me? Soldi? Tieni, ma lasciami in pace”, gettandogli in faccia una banconota da dieci dollari che si smaterializzarono quasi non fossero mai esistiti.

Attonito, si sedette e ascoltò impaurito il racconto dell’alto sconosciuto.

“E’ il tracollo, il mondo rischia il collasso, prevista recessione per l’anno 2008 per l’economia mondiale” tuonava il giornale quella mattina. Beh per questo non avrebbe potuto fare nulla, ma non era ancora detto, chissà cosa gli avrebbe detto oggi il grande Hatar.

In quel momento spalancò la porta ed entrò, quasi l’avesse chiamato.

“Buongiorno eroe, come va oggi?”

“Va.”

“Sei sempre molto loquace tu, eh?”

“Lo sai che non è questo che avrei voluto. Sai che non dovevi chiedere questo sacrificio proprio a me.”

“E tu sai bene, perché te l’ho ripetuto molte e molte volte, che questo incarico non potevo darlo ai miei eletti. Mi serviva qualcuno che fosse molto vicino a loro, che fosse loro amico, ma al contempo non potevo lasciare che vivesse una vita terrena, se no non sarebbe mai stato un mio eroe. Ah, ma perché spreco fiato con te. Tanto non cambierai idea. L’importante è che porti a termine il tuo lavoro e bene!”

“Come puoi chiedermi di rinunciare alla mia vita per salvare l’amicizia di Rose e Daniela? Come puoi venire una sera, lasciare che la mia macchina si schianti contro un palo, lasciare il mio amico illeso e prendere me. Io, che avevo ancora tante cose da fare nella mia vita. Io, che volevo crearmela una vita. Io, che ormai non esisto più, sono un fantasma in questa casa che tutti credono disabitata. Sempre io devo sprecare le ore di quella che una volta potevo chiamare vita per salvare l’amicizia di due mie amiche. Non è affar mio, non mi riguarda, l’ho sempre pensata così e continuerò a pensarla così. Non avrai il mio aiuto fin quando non mi garantirai la vita. Rivoglio la mia quotidianità, rivoglio i miei amici, rivoglio me, tu non puoi impadronirti della mia anima quando e come vuoi, non puoi.”

Mentì il grande Hatar, mentì spudoratamente pur di arrivare al suo fine: “Io non ho preso la tua anima, non potrei e vorrei mai. Ho preso il tuo corpo e ti ho dato la possibilità di salvare le loro vite, la loro amicizia. E sai perché ho voluto te? Non perché tu fossi quello con la vita più monotona del…”

“Io non sono uno sfigato se è questo che intendi!” urlò sbattendo il pugno sul tavolo.

“Infatti, prima che mi interrompessi, stavo dicendo giusto il contrario. Tu sei l’unico che può salvarle, se solo vorrai. Ti voglio far vedere una cosa. Osserva quella finestra, avvicinati, cosa vedi?”

Quando fu prossimo alla finestra, “Le vedo, e allora?”

“Guarda cosa accadrà loro oggi. Osserva con attenzione.”

Sobbalzò ed esclamò: “No! Questo no! Loro…”

“Cosa hai intenzione di fare?”, lo interruppe il grande Hatar osservando i suoi occhi pieni di terrore.

“Cosa devo fare affinchè…”

“Vieni con me.”

 

***

 

Quel pomeriggio Rose e Daniela dovevano incontrarsi per avere un chiarimento, ma i loro sguardi non si sfiorarono neanche perché quel giorno Capitan Sebastian portò a termine la sua missione, quel giorno fece l’eroe, esattamente come una settimana prima su quella macchina schiantatasi sul ciglio di una strada qualunque all’ombra di sole foglie secche.

Il grande Hatar lo aveva portato al caffè Historia.

Le due presenze da fuori guardavano il tavolo che dovevano occupare le due amiche. Capitan Sebastian guardò quel tavolo con stizza; riusciva a vedere di nuovo le scene di ieri alla finestra. Rose e Daniela che litigavano, sempre più forte; le mani erano sempre più alte, le voci si sovrastavano, i visi sempre più paonazzi, la gente incredula le guardava fin quando uno sparo non cancellò ogni tipo di sentimento in quel caffè. Questo aveva visto Capitan Sebastian e non poteva ammettere che tutto ciò diventasse realtà. Sarebbe rimasto eroe comunque, sia che la missione fosse stata conclusa, sia se fosse avvenuto il contrario. Ma egli non prendeva neanche in considerazione l’ultima opportunità. Quello che voleva era evitare questa situazione, evitarla ora.

Si girò verso il grande Hatar e sussurrò impaurito: “Le salvo oggi, ma domani? Accadrà di nuovo, magari non al caffè, ma accadrà.”

Sul volto scese una timida lacrima.

“Il potere di noi eroi è anche questo: fare in modo che il sacrificio di un singolo non vada sprecato, mai. Sta’ tranquillo, fai ciò che ti dico e non avranno più problemi di questo tipo.”

Non riusciva a trarre mai nulla dai discorsi del grande Hatar, non riusciva mai a capire, si perdeva sempre dopo la prima frase e non capiva perché.

Improvvisamente vide arrivare da lontano Rose; si dirigeva verso il caffè.

“Dipende tutto da te, vai e compi la tua missione.”

Le azioni vennero da sé, una dietro l’altra, senza che niente o nessuno potesse fermarle neanche se la volontà si fosse messa in mezzo.

Prese Rose, la trascinò senza che la ragazza potesse capire nulla di ciò che stava avvenendo attorno a sé.

La giovane donna sentiva una forza misteriosa che la tirava per il braccio e alla quale non riusciva ad imporre resistenza, si lasciò andare.

Fu allora che si sentì lo stridio delle ruote di una macchina ed anche Rose adesso era un eroina.

Un eroina del mondo del grande Hatar, il più malefico dei mondi mai vissuti nel cosmo.

Il grande Hatar risucchia l’anima delle persone, la prende con sé e getta il loro corpo all’inferno senza che nessuno mai possa opporsi alla sua forza.

Negli ultimi anni ha mietuto vittime in tutto il pianeta, Capitan Sebastian e Rose erano tra quelle.

La storia insegna che non si può far fronte al male quando quest’ultimo prende con sé la tua anima. Non ti lascia via d’uscita. Non ne avrai mai.

  
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