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Autore: Doctor Smith    30/03/2015    0 recensioni
"Quella mattina (come tutte le mattine), per prima cosa i suoi occhi si erano posati sulla fotografia che teneva sul comodino di fianco al letto. Impresse nella carta fotografica, due persone si guardano negli occhi nel giorno più felice della loro vita, cercando di trasmettere all'altro la valanga di emozioni che stanno provando. Gioia. Spensieratezza. Allegria. Amore.
Il cuore di Sherlock si spezzò ancora una volta al solo pensiero."
Tratto dal capitolo 1
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John, Watson, Lestrade, Sherlock, Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 10 – DETTAGLI INSIGNIFICANTI



Sherlock si svegliò quando sentì un corpo caldo al suo fianco.
“John?” bisbigliò senza riflettere, la mente ancora annebbiata dal sonno.
“Papà…”
Il moro si riscosse e fissò Hamish, sdraiato di fianco a lui, l’ape peluche stretta tra le braccia e un’espressione triste sul viso.
“Ehi campione” sussurrò, voltandosi verso il figlio e tirandolo verso il proprio petto, “che succede? Stai bene?”
Il bambino si strinse al padre e scosse il capo.
“Hai fatto un brutto sogno?” gli chiese il detective, carezzandogli dolcemente i capelli.
Hamish annuì.
“Vuoi raccontarmelo?”
Il piccolo rimase in silenzio per qualche secondo, pensieroso. Quando parlò, lo fece sommessamente, tanto che Sherlock quasi non colse la sua domanda.
“Papà è vivo?”
Il moro cercò lo sguardo del figlio che, in risposta, si nascose ancora di più nella sua maglietta.
“Sì Hamish. Era qui ieri, per il tuo compleanno. Ti ha letto il primo capitolo del libro che ti ha regalato. Non ti ricordi?” Che sta succedendo? Si chiese, preoccupato.
Hamish sollevò il viso e piantò lo sguardo sorpreso in quello del padre. “Non l’ho sognato allora…”
Sherlock sorrise tristemente. “No, tesoro. E’ tutto vero..”
“Allora resterà con noi? Non voglio che va via di nuovo!”  *
Il detective aveva sperato che, dopo l’accoglienza che aveva riservato a John il giorno precedente, il figlio avesse accettato la nuova situazione senza problemi. Ma non poteva biasimarlo per essere confuso. C’era solo una persona che poteva rassicurarlo… e quella persona non era lui.
“Ho un’idea!” esclamò Sherlock, sorridendo al bambino. “Che ne dici di un picnic al parco? Potremmo invitare anche papà…”
Il viso del piccolo si illuminò, un sorriso enorme sulle labbra. “Sì! Possiamo chiamarlo?”
Il moro sorrise al ritrovato entusiasmo del figlio. “No, Hamish. E’ troppo presto ora. Che ne dici di dormire ancora un paio d’ore? Gli scriverò un messaggio appena ci alziamo.”
Hamish si rabbuiò per un secondo ma poi annuì. “Posso dormire con te?” chiese.
“Va bene, ma solo per questa volta. Stai diventando troppo grande per dormire nel lettone con papà!” lo prese in giro Sherlock. Detto ciò si misero comodi e, nel giro di qualche minuto, si addormentarono.
 
 
Buongiorno John. Hai impegni per oggi? Ad Hamish e me farebbe piacere se ti unissi a noi per un picnic al parco. SWH
 
Ciao  Sherlock. Verrò molto volentieri. JWH
Va tutto bene? JWH
 
Alle 10 a Regent’s Park? Clarence gate? SWH **
Hamish ha avuto un incubo stanotte. Pensava di essersi sognato il tuo ritorno. Ma ora stiamo bene. Tu? SWH
 
Perfetto, ci vediamo lì. JWH
Sto bene, non preoccuparti. Dì ad Hamish che non vedo l’ora di vederlo. JWH
 
Sherlock fissò lo schermo, deluso. John non vedeva l’ora di vedere Hamish. Non lui, solo Hamish. Un dolore al petto cominciò a farsi sentire, prepotente. Un ping lo distrasse. C’era un nuovo messaggio.
 
Di vedere entrambi in realtà. JWH
 
Sherlock sorrise, sollevato. Allora gli importava di lui… A John importava di lui!
Compose velocemente un messaggio di risposta, prima di andare ad aiutare Hamish, che stava cercando di preparare dei sandwich senza successo.
 
 
Seduto sul letto, nella pensione in cui soggiornava, John Watson non riusciva a distogliere lo sguardo dalle parole impresse sullo schermo del suo cellulare. Il cuore gli batteva all’impazzata, una sensazione strana lo pervadeva. Che gli stava succedendo?
 
E’ così anche per noi. Siamo felici di riaverti. A più tardi. SWH
 
 
Alle 10 in punto, Sherlock ed Hamish erano davanti al Clarence gate, il pranzo stipato in uno zainetto sulle spalle del piccolo. Non dovettero aspettare molto prima di vedere John spuntare dall’ingresso della metropolitana, in jeans e scarpe da ginnastica.
Nel guardarlo avvicinarsi, il detective non poté fare a meno di notare come il marito zoppicasse leggermente e tendesse a preferire la gamba sinistra. Gli era successo qualcosa? Ricordava perfettamente come, solo il giorno prima, aveva salito le scale del suo appartamento senza problemi.
Il biondo sorrise appena li vide e li chiamò “Sherlock! Hamish!”
“Ciao papà!” gridò il bimbo, correndo ad abbracciarlo.
John ricambiò dandogli una carezza sui capelli e contemporaneamente si girò verso il moro “Allora, che prevede la giornata?” chiese.
Il moro si girò a guardare l’entrata del parco “Che ne dite di una passeggiata in riva al lago? Potremmo dare da mangiare ai cigni..” suggerì.
“Sì! Possiamo fare un giro sulle barche?! Dai, dai!” esclamò Hamish entusiasta, spostando lo sguardo tra i due genitori.
Il moro fissò il marito: fosse stato per lui avrebbe bocciato l’idea all’istante perché non aveva mai trovato interessante il passatempo di andare in barca, nemmeno quando aveva l’età di Hamish,  ma non voleva dire di no al figlio. E in più John ce l’avrebbe fatta con quella zoppia? Quella novità lo turbava... che fosse un fatto psicosomatico? Il giorno prima gli era parso del tutto normale.
Il medico ricambiò lo sguardo e capì immediatamente ciò che preoccupava l’altro. Gli sorrise ed annuì leggermente prima di rivolgersi ad Hamish:
“Perché no! E’ da tanto che non vado in barca…”
“Yay!” esclamò il bimbo, contento.
 
La mattinata passò velocemente e anche Sherlock dovette ammettere a se stesso, sebbene non l’avrebbe mai fatto ad alta voce, che il giro in barca non era stato così male. Hamish diede della lattuga ai cigni (il loro cibo preferito, a detta di Sherlock), che la divorarono in un batter d’occhio. Passeggiarono in riva al lago, fino ad arrivare ad uno spiazzo erboso.
Sherlock stese la coperta sul prato e cominciò a tirare fuori panini e bibite dallo zaino. Si sedettero e mangiarono mentre Hamish continuava a commentare i vari momenti della mattinata appena passata. Finito di mangiare il moro notò come le parole del bimbo fossero intervallate da sbadigli e capì che presto si sarebbe addormentato. Era stata una mattinata piena. Il detective non vedeva il figlio così felice da molto tempo.
Come previsto, dieci minuti dopo, il bambino dormiva beatamente. Tra John e Sherlock cadde il silenzio.
L’ex soldato si tolse la giacca e la distese sul figlio, come se fosse una coperta.
Quando alzò lo sguardo verso il marito, notò come questi lanciasse occhiate insofferenti verso le altre famiglie di visitatori, sedute a poca distanza da loro.
“Sherlock, tutto bene?” gli chiese.
Il detective annuì distrattamente, totalmente assorto nei suoi pensieri.
“Sicuro?” insisté l’altro.
Finalmente il moro si riscosse. “Si. Perché?” rispose.
“Niente. Mi sembri distratto…” fece il biondo, alzando le spalle e abbozzando un sorriso.
Il detective si passò una mano sulla fronte e si schiarì la voce “Scusa. E’ che non sono molto a mio agio qui. Vedi, non sono abituato a fare certe cose… il parco, il picnic… Ma penso che Hamish ne avesse bisogno”
John sorrise. “Sei un buon padre” affermò.
Sherlock abbassò lo sguardo. “Faccio del mio meglio ma non sembra mai essere abbastanza.”
L’altro gli posò una mano sull’avambraccio, per attirare la sua attenzione.
“Secondo me te la stai cavando bene. Guardalo! E’ un bambino adorabile ed è soprattutto merito tuo, l’hai cresciuto tu.”
Sherlock lo fissò, non del tutto  convinto.
“Ti ammiro, sai ” continuò il biondo “prendersi cura di un bambino così piccolo da solo, continuare a lavorare… non so se io ce l’avrei fatta…”
“Non ero solo” rispose il moro, osservando il figlio. “Mrs. Hudson è sempre stata disponibile per badare a lui se stavo lavorando su un caso. In più si è sempre presa cura di entrambi, stando sempre attenta che ci fosse un pasto caldo pronto per noi. Ed Hamish… Ho sempre pensato che, nonostante sia biologicamente mio, somigliasse tantissimo a te.”
Un piccolo sorriso spuntò sulle labbra del detective.
“A me?” John era sorpreso: come poteva somigliare a lui se era a miglia e miglia di distanza?
“E’ sempre stato un bambino facile da gestire, gentile e spensierato. Tutti aggettivi che non hanno nulla a che fare con me ma descrivono perfettamente te.”
John lo fissò per qualche secondo e, non sapendo come controbattere, annuì e lasciò cadere il discorso.
Fu Sherlock a interrompere il silenzio, qualche minuto dopo.
“John? C’è qualcosa che vorrei chiederti, ci sto pensando da un po’, credo dal primo giorno che ti ho rivisto, ma se non hai voglia di parlarne puoi non rispondere” cominciò il moro dopo qualche minuto.
L’altro sospirò. Aveva la sensazione di sapere di cosa si trattasse: prima o poi dovevano affrontare l’argomento.
“Intendi riguardo l’incidente?”
Il moro  annuì un attimo prima di parlare “Cosa ti è successo dopo? Voglio dire… che cosa ricordi?”
L’altro sollevò lo sguardo a fissare un punto in lontananza, ma non sembrava che stesse davvero guardando qualcosa. “La prima cosa che mi ricordo è del risveglio in ospedale. Il medico mi disse che avevo una brutta ferita alla spalla, che ero fortunato ad essere vivo. Io non mi sentivo così fortunato: voglio dire, svegliarti in un posto sconosciuto, con persone sconosciute e non ricordarti assolutamente nulla degli ultimi anni della tua vita… non lo augurerei al mio peggior nemico.”
Sherlock gli si avvicinò inconsciamente mentre lo ascoltava, finché la sua mano non finì per sfiorare timidamente quella dell’altro. John abbassò lo sguardo al contatto e, lentamente, prese la mano dell’altro nella sua.
“Mi hanno assegnato un nome, visto che non ricordavo il mio. Ho dovuto subire sei mesi di riabilitazione e molto probabilmente non riavrò mai la piena funzionalità del braccio. Dall’accento hanno capito che dovevo essere inglese e mi hanno consigliato di tornare qui, secondo loro rivedere dei posti familiari avrebbe potuto aiutarmi, tanto per me un posto valeva l’altro.”
“Ma …come hai fatto a mantenerti? Insomma, senza lavoro, contanti…” chiese l’altro.
“Prima di tornare qui, ho contattato l’ambasciata inglese in Afghanistan e ho spiegato loro la situazione. Senza documenti è praticamente impossibile avere un aiuto dallo stato. Mi diedero il nulla osta per il ritorno, una delega speciale per richiedere i sussidi statali e mi pagarono il biglietto aereo. In più mi assicurarono che avrebbero iniziato un indagine e avrebbero cercato notizie riguardo la mia identità. Non ci sono state novità fino a che non ti ho incontrato.”
Entrambi rimasero in silenzio. Sherlock, lo sguardo fisso nel vuoto, stava cercando di elaborare quanto aveva appena saputo. Gli occhi di John caddero sul corpicino che dormiva beato accanto a loro. Cercò di focalizzarsi sui movimenti ritmici del torace di Hamish, impedendo così alla sua mente di soffermarsi sulle sensazioni spiacevoli che il proprio racconto gli stava lasciando.
“Perché zoppichi? Sei stato ferito solo alla spalla, giusto?”
“Non so perché. E’ da quando mi sono risvegliato in ospedale. Va e viene. Mi hanno detto che potrebbe essere psicosomatico. ”
Sherlock annuì, più a se stesso che a John. “Lo stress emotivo a cui sei sottoposto ultimamente non aiuta, immagino.”
Il silenzio cadde nuovamente.
 
“Sono un egoista” affermò il moro dopo qualche minuto. John alzò lo sguardo su di lui, perplesso.
“Da quando ti ho rivisto, ho sempre pensato a come l’ultimo anno fosse stato difficile per me e per Hamish, a quanto avessimo sofferto, quanto fosse ingiusto…” gli occhi puntati sulle loro mani, che ancora si stringevano forte. “Non mi sono fermato a riflettere abbastanza su come fosse stato per te, sull’inferno che hai dovuto passare.” Chiuse gli occhi e fece un sospiro. “Scusami, John.”
“Sherlock, io non credo che…” cominciò l’altro per poi interrompersi cercando di raccogliere i pensieri. “Voglio dire, non è necessario che ti scusi. In fondo che colpa ne avete voi? La colpa è mia” terminò, stringendo le labbra in una linea sottile.
Sherlock fissò il marito, gli occhi sgranati. Ma che stava dicendo?  Niente di tutto ciò era colpa sua!
“Mia che non riesco a ricordare un accidente! Se provo a risalire agli ultimi cinque anni della mia vita la mente mi diventa bianca, come un fottuto foglio da disegno! La cosa che mi preoccupa di più è che voi sperate che io torni ad essere me stesso e ricordi il mio passato, e ne avete tutto il diritto, anzi ve lo meritereste” fece un sospiro stanco e guardò l’altro dritto negli occhi, in cerca di comprensione. “Ma io non ci riesco.”
Il medico lasciò la mano del detective e si rannicchiò su se stesso stringendosi le ginocchia al petto, lo sguardo perso nel vuoto.
“So che stai pensando che non è colpa mia, che non potevo sapere cosa sarebbe successo, che ormai non posso farci niente. Non è così! Posso … anzi devo riavere i miei ricordi. Ma tutto quello che sono riuscito a recuperare sono dettagli insignificanti!”
Si portò le mani nei capelli, stringendo forte i pugni all’altezza della nuca.
"Dannazione, è così frustrante certe volte! Ogni cosa è così... così inafferrabile che è come brancolare nel buio!”
Sherlock gli si avvicinò maggiormente, alla ricerca del suo sguardo. Davvero credeva ciò? Pensava davvero che fosse colpa sua?
“John” disse dolcemente “non pensarlo nemmeno per un istante. Sei un essere umano. Non sei in grado di controllare la tua mente in modo così radicale… Nemmeno io posso. Quelli che tu chiami ‘dettagli insignificanti’, per me sono ricordi preziosissimi, fondamentali! Mi mostrano che stai tornando da me.” A quel punto distolse lo sguardo dall’altro e guardò in basso, verso il figlio “Da noi.”
 
 

*Errore voluto, in fondo Hamish ha solo 4 anni!
**Clarence gate è l’ingresso più vicino a Baker Street.
 

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Salve a tutti!! Ecco il nuovo capitolo :)
Avrete sicuramente notato il ritardo di una settimana.. Due sono i motivi:
 - purtroppo ho esaurito i capitoli già pronti...
- questo capitolo è stato particolarmente complicato da scrivere (ringrazio moltissimo la mia beta che mi ha aiutato enormemente!)
Per questi motivi, mi vedo obbligata a postare ogni due settimane, sempre di lunedì se possibile...

Detto questo, fatemi sapere che ne pensate del nuovo capitolo :)
Alla prossima!!
  
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