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Autore: Fannie Fiffi    31/03/2015    4 recensioni
[Bellarke; Modern!AU]
Clarke Griffin è una diciannovenne alla ricerca di se stessa, ma soprattutto alla ricerca di una verità ancora più grande di lei: quella riguardo la morte del padre.
Costretta a dover abbandonare le proprie ricerche per due anni, il suo mondo verrà nuovamente sconvolto quando conoscerà il suo nuovo vicino di casa, il giovane detective Bellamy Blake.
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon pomeriggio gente! Non ho molto da dire, se non grazie a tutti per il continuo supporto e per le bellissime parole che mi dedicate.


Nel prossimo capitolo: Marcus Kane, L'Ark Corporation e molto di più sui Grounders.




Buona lettura!


 




 

Is It Any Wonder?







« Una pistola? »

Se in quel momento gli occhi di Jasper avessero potuto scivolargli dalle orbite e rotolare sul pavimento, probabilmente l’avrebbero fatto.

Poi sarebbe toccato alla sua mascella.

E forse sarebbe anche potuto essere divertente, in tutt’altra occasione, avrebbe potuto far ridere perfino Clarke, ma ovviamente non era il caso.

La bionda, quindi, annuì, permettendo al suo migliore amico di elaborare il pensiero.

« Intendi… Una vera pistola? Una pistola pistola? » Il giovane Jordan mimò il gesto di uno sparo con il pollice e l’indice, ancora incredulo davanti a quella richiesta, per usare un eufemismo, molto poco ortodossa.

« Sì, Jasper, una pistola. E dovrò imparare ad usarla. Bene. »

« Devo dire che il fatto che tu dia per scontato che io sappia dove procurarmi una pistola illegalmente mi sorprende. Cioè, è questa l’impressione che do? Vieni da Jasper e in regalo avrai una pistola in omaggio? Perché seriamente, Cla- »

« Ok, ok, fermo. Lo so che è difficile da realizzare, so che ti sto chiedendo un gran favore, ma credimi, so quello che sto facendo. »

« Perché non inizi a spiegarmi dall’inizio? » La pregò, sollevando entrambe le sopracciglia e agitando le spalle, ancora piuttosto confuso sul motivo di quella particolare esigenza.

La giovane Griffin annuì di nuovo, poiché poteva solamente immaginare quanto dovesse sembrare totalmente impazzita, e prese per mano l’amico.

Conducendolo accanto al letto della sua camera d’ospedale, si sedette e si voltò verso di lui.

« Pronto? »
 
 



 
*



 
Bellamy era stanco.

Seduto alla sua scrivania, mentre il Dipartimento prendeva pian piano vita e i suoi colleghi iniziavano ad avvicinarsi alle loro postazioni, Bellamy era più stanco di quanto si fosse mai sentito negli ultimi tempi.

Non si trattava solamente di una spossatezza fisica, a quello si era abituato da quando aveva diciotto anni, quando per portare qualcosa a casa per cena lavorava fino alle due del mattino, ma anche di uno sfiancamento mentale che lo affaticava e lo lasciava ad annaspare in cerca di risposte, di una boccata d’aria.

Era ben consapevole di non avere praticamente nulla in pugno: il sospettato che aveva aggredito Clarke aveva tenuto il viso coperto, quindi non c’era modo di identificarlo. Del guidatore non aveva potuto vedere niente, perché si era trovato fuori dal raggio d’azione delle telecamere.

Il mezzo di trasporto, poi, si era rivelata un’automobile la cui denuncia di scomparsa era stata sporta da Jake Griffin anni prima.

Sapeva che quella non fosse semplicemente una coincidenza – raramente l’universo era così pigro – e che poteva perfino trattarsi di una beffa da parte del mandante del rapimento, ma non aveva la minima prova. Certo, il fatto che Clarke fosse stata rapita sull’automobile che in precedenza era appartenuta a suo padre era un chiaro segnale che i due casi fossero collegati, ma lui sapeva di non avere in mano niente.

Forse avrebbe potuto concentrarsi su questa pista, riesumare vecchi fascicoli e leggere il verbale della denuncia di rapina, ma sapeva che si trattava di elementi secondari, troppo superflui.

Il luogo in cui era stata tenuta la giovane Griffin, poi, si era rivelato un altro vicolo cieco: sei mesi prima era stato affittato da un’azienda indipendente di cosmetici, che però aveva abbandonato il progetto di un grosso punto vendita solo qualche settimana dopo.

Agli occhi della legge, quel capannone non apparteneva a nessuno, e per quel motivo non poteva condurlo da nessuna parte.

L’ennesimo e stancante vicolo cieco.

Per la prima volta dopo anni di esperienza in indagini, Bellamy non aveva la minima idea di cosa fare o di quale direzione prendere.
 
 
 

 
*



 
« Wow. Cioè… Wow. »

Jasper era visibilmente senza parole, e Clarke non poteva di certo biasimarlo. Era ben consapevole di quanto dovesse sembrare folle la sua storia, tutto quello che aveva vissuto, ma sapeva anche che, proprio per quel motivo, poteva con facilità sembrare vera.

« Già. » Confermò vagamente.

« Questo è decisamente più divertente delle leggi di Ohm applicate ai fluidi. Decisamente. »

La giovane Griffin accennò un sorriso stanco.

Pochi istanti dopo, però, tornò profondamente seria: « Dico davvero, Jasper, ne ho bisogno. »

« Non ho una pistola. » Affermò lui, scrollando le spalle. « Ma so chi può procurartene una. »

L’amica aggrottò le sopracciglia, cercando di decifrarlo, ma non riusciva a pensare a nulla che potesse darle un indizio per capire.

« Grounders. »





 
*




« Grounders? »

« Grounders. »

Bellamy si guardò intorno, spaesato, e si passò una mano sulla barba incolta che negli ultimi giorni non aveva avuto modo di radersi.

« Vuole mandarmi sotto copertura dai Grounders? » Ripeté nuovamente, come se fosse sufficiente quello a far cambiare totalmente senso alla frase.

C’erano in ballo molti fattori per cui non poteva accettare il caso che il Capitano Sidney gli stava proponendo: primo, non voleva cedere il caso Griffin a nessun altro. Voleva così tanto sbattere in carcere quei dannati bastardi, e non poteva accettare che fosse un agente che non fosse lui ad occuparsene. Non dopo che aveva dedicato un’intera estate a quella ricerca e aveva studiato tanto attentamente il caso.

Una parte di sé gli promise che non si trattava affatto anche di Clarke, che lei non aveva nulla a che vedere con tutto quello, che lui stava facendo solo il suo lavoro,così come l’aveva fatto molte altre volte nelle indagini precedenti.

Secondo, probabilmente la sua copertura non avrebbe retto, perché sapeva che sua sorella aveva frequentato quegli ambienti per qualche tempo, e non c’era modo che nessuno sapesse della sua professione. Sarebbe stato scoperto e avrebbe solamente compromesso l’indagine.

Terzo, inevitabilmente e strettamente collegato ad Octavia, che di certo non avrebbe apprezzato molto il tentativo di suo fratello di distruggere ed annientare il suo ragazzo.

E forse non era pronto a scendere di nuovo in campo, ad adattarsi così completamente al ruolo.

Forse la sospensione lo aveva aiutato a razionalizzare il proprio compito, a rendersi conto che forse non era tagliato per quel tipo di investigazioni.

Quando, però, il suo capo notò la sua esitazione – ormai lo conosceva bene, tanto lo aveva osservato e studiato – annuì brevemente e gli indicò un punto alle sue spalle: seguendo lo sguardo del Capitano, Bellamy non poté impedirsi di alzarsi di scatto dalla poltrona e mettere a fuoco la figura che stava in piedi poco più lontano da loro.

« Lincoln? » Mormorò, incredulo.
 



 
*




 
« Sei sicuro? » Domandò Clarke, una pericolosa scintilla negli occhi blu.

Jasper, che iniziava a dubitare della scelta che aveva appena compiuto, annuì flebilmente.

« Tutto quello che devi fare è aprire il portafogli. »

La giovane Griffin valutò per qualche istante l’opportunità, la prima vera e concreta possibilità di farsi strada e scoprire la verità, poi parlò: « Dovrò avere qualcuno che garantisca per me. Qualcuno che li rassicuri che è sicuro vendermi un’arma, che non sono una spia. La loro protezione sarà strettissima, e non posso di certo rischiare di perdere quest’occasione. »

« Aspetta, aspetta un attimo. Non hai davvero intenzione di usarla, vero? »

Per quanto fosse pronto a supportarla, il suo migliore amico non poteva accettare l’idea che lei si mettesse in guai ben più grandi di quanto stesse già facendo: il solo fatto di mentire e omettere una prova in un caso tanto serio com’era quello del suo rapimento era davvero un grande rischio, uno per cui, prima o poi, avrebbe dovuto pagare le conseguenze, ma procurarsi illegalmente un’arma da fuoco e farlo con la vera intenzione di usarla era tutt’altro conto.

Era qualcosa da cui nemmeno sua madre e le sue conoscenze l’avrebbero potuta proteggere.

« Solo se sarà necessario. »

E c’era qualcosa, nei suoi occhi, che lo inquietò profondamente: sapeva bene quanto Clarke potesse essere determinata e pronta a tutto pur di ottenere quello che voleva, ma stavolta era diverso.

Questa volta, c’era un’ombra nel suo sguardo che lo intimoriva, che non gli faceva presagire nulla di buono.

Jasper aveva paura di dove si sarebbe potuta spingere pur di farsi giustizia.

« Clarke… »

La bionda sembrò immediatamente intercettare il corso dei suoi pensieri, e posò una mano sulla sua: « Andrà tutto bene, Jazz. Risolverò tutto. »

Per un attimo gli sembrò quasi quella di sempre, la ragazza tranquilla che amava leggere libri in veranda ma che non temeva di parlare ad alta voce.

Quando, però, il suo sguardo si oscurò di nuovo, non ne fu poi molto certo.

« Andiamo. »
 
 
 
 

 
*





« Fammi mettere le cose in chiaro. Un’altra volta. »

Bellamy appoggiò le mani sullo schienale della sedia e si protrasse lungo il tavolo degli interrogatori.

Lincoln, seduto davanti a lui, non aggiunse nulla.

« Vuoi tirartene fuori? » Domandò con tono scettico e disilluso.

L’altro annuì, l’espressione seria e contratta priva del minimo segno di incertezza.

A quel punto, il maggiore dei Blake spostò indietro la sedia e si accomodò, appoggiando gli avambracci sulla superficie fredda del tavolino.

« Perché? »

« Credo che tu lo sappia. » Parlò Lincoln qualche secondo dopo, appoggiandosi in avanti a sua volta.

Il suo sguardo era vigile e attento, e gli stava comunicando qualcosa che Bellamy era facilmente in grado di intuire: Octavia.

Non sapeva nei dettagli quanto fosse seria la relazione con sua sorella, o se avessero davvero smesso di frequentarsi quando lui glielo aveva ordinato, ma c’era una scintilla nello sguardo di quell’uomo che lo portava inesorabilmente a credergli.

Era sincerità, reale preoccupazione.

Ma lui era un poliziotto, e non era nella sua natura fidarsi apertamente di chiunque gli mostrasse un minimo di onestà.

« Spiegati. » Disse freddamente, reclinando le spalle contro lo schienale senza porre fine al contatto visivo.

« Vivo in quell’ambiente praticamente da quando sono nato. Mia madre mi ha cresciuto lì, fra quella gente, e mi ha insegnato tutto quello che so oggi. Tutto quello su cui si basa la loro cultura. I Grounders non sono solo bulletti del liceo, Bellamy. C’è un mondo totalmente diverso dietro quelle maschere. »

Prese un respiro profondo e abbassò lo sguardo sulle proprie mani, poi continuò.

« Quando mia madre è morta, sono stato preso sotto l’ala protettiva di Indra. » Indicò con l’indice la foto della donna che era appesa alla bacheca, e il moro non ebbe bisogno di voltarsi per capire di chi si trattasse.

La sua squadra, giù all’antidroga, lavorava su quel caso da mesi, ma non aveva mai avuto prove sufficienti.

« Lei mi ha preso con sé, mi ha insegnato come combattere. È la più anziana, ma non è il capo. »

Il suo sguardo era cupo mentre con tutte le proprie energie si sforzava di tradire la sua gente, il suo popolo. Perché Lincoln sapeva che era così che tutti l’avrebbero visto: un traditore. Un disertore della patria.

« Lexa, invece, sì. »

A quel nome Bellamy scattò lievemente in avanti, sorpreso da quell’affermazione: « Lexa Heda? »

Lincoln annuì.

« Ho visto uomini sopravvissuti agli orrori della guerra farsi da parte sotto la violenza del suo sguardo. Laggiù non c’è nessuno che non morirebbe per lei. »

« O che non ucciderebbe per lei. » Aggiunse il maggiore dei Blake.

« Non succede niente fra i Grounders che non abbia prima ricevuto il suo permesso. Rapine, furti, droga. Tutto le viene riportato in prima persona, e tutto viene progettato da lei. È geniale, e brillante, e astuta. Perché credi che nessuno sia mai stato preso? »

« E tu sei sicuro che l’unico modo per farlo sia un’infiltrazione? » Replicò velocemente il moro, incrociando le braccia al petto e increspando le sopracciglia.

« Solo così avrai le prove. È l’unico modo. »

« Perché sei così determinato ad assicurarti la rovina della tua gente? Se sei cresciuto fra di loro, con quella mentalità, con quegli obiettivi, perché vuoi tanto distruggerli? »

Non poteva fare a meno di essere curioso, di domandarsi e domandargli perché fosse tanto pronto a mettere per iscritto la caduta della sua famiglia.

« Ci sono dei ragazzini, lì. Molto più giovani di me e te, addirittura molto più giovani di tua sorella. Quale credi che sarà il loro futuro? » La voce profonda di Lincoln vacillò per qualche istante, così come la sua espressione grave e seria, e Bellamy fu investito da uno strano sentimento di profonda comprensione.

Sapeva cosa significava desiderare un futuro migliore per qualcuno di cui si aveva la responsabilità, e voler con ogni fibra del proprio essere assicurarsi che quelle persone non vivessero quello che aveva vissuto lui.

Ricordava bene come si era sentito quando, a diciotto anni, con tutta la vita davanti, si era ritrovato il benessere di qualcun altro sulle spalle.

Ricordava bene anche come si era voltato verso i sedili posteriori della sua automobile e aveva guardato la sua sorellina dormire, subito dopo aver comprato la loro cena in uno stupido fast food.

« So quali sono i rischi che sto correndo. Se qualcuno lo scopre, sono un morto che cammina. Ma non posso più fare finta di niente. Riesci a capirmi, Bellamy? »

Il maggiore dei Blake, ancora prima di rendersene conto, annuì brevemente.

« Come faranno a fidarsi di me? »

« Ci penseremo. Questo vuol dire che ci stai? »

Il moro attese qualche istante, mentre le parole che Lincoln aveva pronunciato gli giravano vorticosamente nella mente.

« Non lo so. Ho bisogno di tempo per riflettere. » Si alzò di scatto dalla sedia, gettando un’occhiata allo specchio della sala interrogatori, e si diresse verso l’uscita.

« Voglio fare un giro di perlustrazione per vedere come vanno le cose. Stanotte, a casa mia. »

Detto quello, uscì dalla porta e si allontanò velocemente dalla sua postazione.
 
 
 


 
*




Clarke non era mai stata più felice di tornare a casa di com’era in quel momento.

E non era tanto per il fatto che le fosse mancata la famigliola felice che si era costruita sua madre, o perché fosse impaziente di ritrovarsi di nuovo così vicina a Bellamy – non appena aveva messo piede nel loro vialetto, un sentimento di claustrofobia le aveva circondato il petto – ma perché finalmente era in grado di rinchiudersi in camera sua e pianificare come doveva la sua prossima mossa.

Ora che sapeva dove procurarsi una pistola, aveva solo bisogno di soldi. E quelli di certo non le mancavano.

Dopo aver cenato e aver salutato con un abbraccio Thelonious e Wells – inutile dire che Abby fosse rimasta a lavorare in ospedale – lei e Jasper si fiondarono su per le scale, verso la sua stanza, e si richiusero la porta alle spalle con una doppia tornata di serratura.

La bionda si diresse verso la propria libreria, alzandosi sulle punte per raggiungere il terzo scaffale, e da lì afferrò L’Origine delle Specie di Darwin.

« Per quanto mi farebbe piacere una lettura leggera, non credo che sia il momen- »

« Sta’ zitto, Jazz. »

Clarke aprì il libro davanti a lui e Jasper sbarrò gli occhi: esattamente al centro delle pagine, un piccolo rettangolo di carta era stato ritagliato e al suo interno era custodito un rotolo piuttosto consistente di banconote.

« Sono tremila. Credi che bastino? »

Il suo migliore amico, ancora sconvolto dalla rivelazione, deglutì visibilmente e annuì, sconcertato.

« Tu non finirai mai di stupirmi, Griffin. »

La bionda sorrise e scrollò le spalle, gettando il denaro sul letto e rimettendo a posto il volume.

Prima di sedersi, gettò un’occhiata fuori dalla finestra, solo per accorgersi che le luci di casa Blake erano accese.

Ricacciando indietro qualsiasi pensiero potesse raggiungerla e distrarla in quel momento, si accomodò davanti al ragazzo.

« Ok, ci serve un piano. Come farò a convincerli che è sicuro vendermi la pistola? »
 
 



 
*





Bellamy rientrò a casa quando ormai il sole era calato, ma alcuni intrepidi si godevano ancora la tiepida aria estiva facendo un giro in bici o passeggiando per il lungomare.

Parcheggiò nel vialetto con impazienza, perché erano almeno due giorni che non vedeva sua sorella ed era abbastanza sincero con se stesso da ammettere che era stato difficile affrontare quei momenti di fatica senza di lei.

Ecco cosa succedeva quando si trascorreva la vita a concentrare le proprie attenzioni e convogliare le proprie responsabilità su qualcuno di tanto importante e fondamentale.

Fin dal primo giorno in cui era nata, Octavia era stato il principio di tutte le sue forze e la fine di tutte le sue debolezze, calda e soffice fra le sue braccia come se quelle fossero state la culla perfetta per il suo corpicino delicato.

Il maggiore dei Blake aveva sempre saputo di non poter permettersi di mostrare debolezze agli altri, di dover farsi vedere sempre come il leader carismatico e forte che era sempre stato, ma chiunque con un minimo spirito di osservazione avrebbe potuto capire che non c’era nulla al mondo, né i soldi, il potere, o il successo, in grado di motivarlo e distruggerlo tanto quanto ne fosse in grado Octavia.

Octavia che, fin dal primo momento, l’aveva avuto fra le sue mani, e aveva avuto il potere di modellarlo come ritenesse più giusto.

La piccola e indifesa Octavia, che ora non era più né piccola né indifesa, aveva avuto un privilegio che mai nessun altro avrebbe potuto reclamare: la consapevolezza che suo fratello l’avrebbe seguita in capo al mondo, che per lei sarebbe andato nello Spazio o, più probabilmente, all’inferno, solo per proteggerla.

Solo per vedere quel meraviglioso sorriso esploderle in volto e illuminare ogni cosa attorno a lei.

Caricandosi la ventiquattrore sulla spalla sinistra, Bellamy prese un respiro profondo e azzerò totalmente i pensieri.

Prima di mettere piede in casa, però, un istinto fu più forte di lui – o forse semplicemente non ebbe voglia di contraddirlo – e gettò un’occhiata alla propria destra, verso l’imponente casa Jaha.

Quando il suo sguardo si sollevò, su, al secondo piano, e notò le luci accese, il suo volto cambiò quasi senza che lui potesse rendersene conto, e percepì le sopracciglia aggrottarsi.

Domani avrebbe pensato anche a quello.

Ora, in quel momento, aveva solo bisogno di sua sorella. E del suo divano.

Tirò fuori il mazzo di chiavi dal retro dei pantaloni scuri, e in un attimo si richiuse la porta alle spalle, chiamando Octavia.

« Arrivo! » Gli gridò lei dalla cucina.

Senza attendere oltre, il maggiore dei Blake si fece scivolare la tracolla dalle spalle, poggiandola sul mobiletto all’ingresso, e, passandosi una mano fra i ricci neri, si diresse verso il salotto, pronto a lasciarsi scorrere pigramente il notiziario davanti agli occhi.

Prima che potesse fare anche solo un altro passo in avanti, però, la figura di sua sorella apparve davanti a lui, in compagnia di qualcuno che non si sarebbe mai aspettato di rivedere.

« Raven? »
 
 
 


 
*






« Potremmo chiederlo a Lincoln. » Propose Jasper, incrociando le braccia dietro la testa e lasciando penzolare i piedi fuori dal letto della giovane Griffin.

« Lo direbbe ad Octavia, che in un attimo lo direbbe a Bellamy. E credimi, a quel punto fine dei giochi. »

Clarke continuava a fare avanti e indietro fra la scrivania e l’armadio, come se seguitare a muoversi potesse mettere in moto anche la sua fantasia criminale.

Aveva fatto molte cose durante la sua vita, sì, compreso essere arrestata a sedici anni per aver ficcato il naso negli affari di una società multimilionaria, ma escogitare un modo per comprare una pistola illegalmente doveva ancora entrare a far parte di queste.

Per il momento, almeno.

« Sai, non è che le alternative siano poi così vaste. »

Ed era vero: al The 100 si erano fatti molti amici, fra cui Miller, Roma, Monroe, Harper e Sterling, ma di certo nessuno di questi aveva le conoscenze necessarie per quella particolare esigenza.

Entrambi sapevano bene di aver bisogno di qualcuno che li conoscesse, che sapesse che era sicuro fidarsi di loro e vendergli quello che tanto disperatamente tentavano di acquistare, ma allo stesso tempo di una persona che non potesse essere ricondotta a loro, o che perlomeno con cui non avessero legami tanto frequenti da poter essere collegati.

Fu in quel momento, ragionando e catalogando le varie ipotesi che avevano di fronte, che Clarke sembrò acchiappare il filo d’oro di quel labirinto.

« Anya! » Esclamò tra i denti.


 


 
*



 
« Ehi! Sei la seconda persona a cui faccio un effetto del genere, forse dovrei smetterla di organizzare sorprese. »

La giovane Reyes lanciò un pugno in aria sarcasticamente, alludendo all’ultima volta in cui era scappata dalla sua casa adottiva ed era piombata in quella di Finn.

« È solo che- »

« Lo so, lo so, non eri pronto a qualcuno del genere. Ma mentre ti aspettavo mi sono fatta un’amica », Raven indicò Octavia, ferma poco dietro le sue spalle, ed entrambe le ragazze sorrisero, « con cui potrei uscire a farmi qualche bicchiere, nel caso tu fossi troppo stanco… »

Lasciò cadere la frase a metà, e Bellamy compì un passo avanti.

« No, va bene. Resta. »

La brunetta lasciò immediatamente cadere lo zaino per terra, e gli offrì un sorriso sincero.
 



Un quarto d’ora dopo, quando tutti e tre avevano sommariamente cenato – e con sommariamente s’intendevano tre panini fatti alla bell’e meglio, preparati dalla minore dei Blake con ogni briciolo delle sue praticamente inesistenti qualità culinarie – Raven e Bellamy se ne stavano seduti in cucina, in silenzio, passandosi ogni tanto una sigaretta e osservando i ghirigori di fumo che buttavano fuori le loro bocche.

« È successo qualcosa? » Domandò lui qualche momento dopo, mentre le sue dita sfioravano quelle della giovane nel prendere la cicca, con una particolare tonalità di preoccupazione.

Lei gli sorrise, incoraggiante, e tamburellò per qualche attimo il piede contro il pavimento di linoleum.

« Va tutto bene. Davvero bene, sai? Ho lasciato la mia casa adottiva. Definitivamente, questa volta. Agli occhi della legge sono la mia unica persona, non ho bisogno di nessuno che mi protegga. Non lo voglio più. »

« Ne sono felice. » Ed era sincero. Più sincero di quanto avesse avuto l’occasione di essere con lei.

« Sto cercando una casa in zona. Sai, nulla di eccessivo. Un monolocale andrà bene. Ma… »

Raven prese un attimo di pausa, in cui distolse lo sguardo da quello di Bellamy, e lo lasciò vagare per la cucina.

« Non riuscivo a smettere di pensare a te. » Buttò fuori in un attimo, riportando gli occhi in quelli più scuri del ragazzo davanti a lei.

« Non a te te, ma al modo in cui ti ho trattato. Ti ho usato. E sul momento non gli ho dato troppo peso, perché sapevo che anche tu stavi usando me, che non ero io quella a cui pensavi. Quella che volevi. »

Sollevò le iridi verso le sue solo per accorgersi che le sue labbra erano strette in una linea dritta e la sua espressione lasciava tradire più di quanto fosse disposto ad ammettere.

« Ma solo in seguito mi sono resa conto di come ti debba essere sentito. Ho pensato: “Quel corpo, Dio, è normale che prima o poi gli avrebbe fatto del male”. E poi ho pensato: “L’ho trattato davvero di merda”. Capisci, no? E semplicemente non potevo iniziare una nuova vita sapendo che una persona molto probabilmente aveva sofferto a causa mia. »

Il maggiore dei Blake a quel punto tentò di controbattere, ma lei fu più veloce: « Non che voglia arrogarmi il diritto di farti stare male, o che senta di averne il privilegio, ma dovevo solo dirti che mi dispiace. Mi dispiace per aver trattato di merda te e me stessa. »

La ragazza si zittì in un istante, incapace di guardarlo ancora negli occhi, e afferrò velocemente la sigaretta che lui aveva poggiato sul posacenere.

Se la portò alle labbra con pigrizia, come se avesse ripetuto quel gesto altre mille volte – e tecnicamente era vero, le sigarette erano state la prima cosa che aveva fatto per sentirsi grande, per comunicare in chiari segnali che no, né Florence né il resto della sua famiglia adottiva poteva fare niente per controllarla – e aspettò qualche istante, immobile.

Quando lasciò che il suo sguardo incontrasse finalmente quello di Bellamy, lo trovò a sorriderle.

« Che c’è? »

L’altro scosse la testa. « Niente. Sono solo felice che tu sia qui. E sì, ti perdono. »

Pronunciò quell’ultima parola con una tonalità più leggera, quasi derisoria, perché non credeva nemmeno che ci fosse qualcosa da perdonarle.

Era vero, si era effettivamente sentito una merda dopo essersi risvegliato solo, con le lenzuola ancora impregnate dei loro profumi mischiati, ma quello non era mai dipeso da Raven.

Non era a causa sua che si era sentito in quel modo, ma per tutt’altro tipo di sensazioni che ancora adesso non riusciva ad ammettere completamente.

La giovane Reyes prese un respiro profondo, lasciò ricadere le spalle in avanti, finalmente sollevata da quel peso che per settimane si era portata dietro, e gli passò la cicca quasi finita.

« Bene! » Esclamò soddisfatta, accarezzandosi distrattamente la coda di cavallo, « Perché sei occhio e croce l’unico amico che abbia qui. »

Il maggiore dei Blake colpì il suo piede con il proprio giocosamente.

« Anche tu sei occhio e croce l’unica amica che io abbia qui. »
 
 
 

 
*





« Sei sicura? » Jasper non sapeva nemmeno perché lo stesse chiedendo, dato che si stavano già infilando le felpe nere e preparandosi per uscire, ma decise di tentare per l’ultima volta.

E avrebbe voluto dire che non si sarebbe mai aspettato di dover uscire di nascosto a notte fonda, portandosi in tasca tremila verdoni alla ricerca di una pistola, una vera pistola, come quelle dei film – polvere da sparo e proiettili compresi, quel tipo di pistola – ma sapeva che sarebbe stata una menzogna.

« Sai che non abbiamo alternative. Anya è la nostra unica pista. »

Clarke gettò repentinamente chiavi e soldi in uno zainetto, poi se lo caricò in spalla. Quando si voltò verso di lui e lo fissò, il giovane Jordan ebbe un brivido.

« E se non accettasse? Se chiamasse il suo capo, chiunque sia, e ci facesse pestare per bene? O peggio, se chiamasse la polizia? »

« Potrebbe farlo. » Ammise lei, con più tranquillità di quanto probabilmente fosse lecito. « Oppure potrebbe prendersi i miei soldi e darmi quella dannata pistola. »

L’amico immaginò che, con quel tono, Clarke non avrebbe avuto problemi ad ottenere ciò che voleva. In fondo, era sempre stato così.

« Ok, ripassiamo il piano. » Gettando un’occhiata all’orologio di suo padre, la bionda prese un respiro profondo. « Anya ha accettato di incontrarmi alle due, al ponte dei Grounders. »

Jasper adocchiò la sveglia sul comodino che segnava l’una e quarantacinque del mattino.

« Questo significa che dobbiamo partire ora. Lo scambio dovrà essere rapido e veloce: soldi, busta e ce ne andiamo. »

« Bene. Cosa vuoi che le dica? »

La bionda si mordicchiò il labbro inferiore inconsciamente, e lasciò vagare lo sguardo fuori dalla finestra.

« Tu niente. Tu mi aspetti in macchina, così possiamo ripartire subito. »

« Scordatelo. »

« Jasper… » Lo riprese.

« Non puoi andare da sola. »

Clarke a quel punto si avvicinò, e gli afferrò entrambe le spalle, scuotendolo leggermente.

« Devo andare da sola, così Anya si fiderà di me. Capisci, Jazz? »

E lui avrebbe davvero voluto dire che i suoi occhi, quasi fluorescenti al buio, non gli facevano più alcun effetto. Che per lei non avrebbe fatto nulla, nemmeno la follia più grande che gli venisse in mente.

Ma sapeva che non poteva dirlo. Non era vero.

« Promettimi che starai attenta. Che, se le cose dovessero andare male, tornerai subito in macchina. »

La giovane Griffin lasciò cadere via le sue mani, raddrizzando la schiena, e compì un passo indietro.

« Prometto. » Rispose fra i denti. Non aveva bisogno di dire che era pronta ad infrangere quella promessa da un momento all’altro, pur di ottenere quello che voleva.
 
 
 


 
*






« Voglio venire anch’io. »

« Octavia- » La riprese suo fratello, tentando vanamente di imporsi.

« Bellamy. » Quasi ruggì lei. « Ho detto che voglio venire anch’io. »

« È pericoloso, non capisci? »

Il maggiore dei Blake si voltò alle sue spalle, verso Lincoln, che osservava la scena in silenzio con le braccia intrecciate al petto, alla ricerca di un qualche sostegno.

« Sai che tuo fratello ha ragione. » La sua voce era ferma, calma, perché sapeva bene che quello era l’unico modo per convincere Octavia di qualcosa. O almeno provarci.

La ragazza spostò lo sguardo verso il moro, facendo un passo avanti e afferrandogli il polso destro.

« Non sono più una bambina, Bellamy. Non voglio rimanere qui mentre voi correte un rischio simile. Non rimarrò. »

E lui lo sapeva bene. Negli ultimi mesi se ne era accorto più di quanto avesse mai notato qualcosa: la sua sorellina era cresciuta, e lui non voleva più tenerla nascosta dal mondo e da quello che temeva le avrebbe inflitto.

Una parte di sé, quella che l’istinto di protezione non aveva sommerso del tutto, era ben consapevole del fatto che doveva lasciarle lo spazio per diventare la meravigliosa e forte donna che era sempre stata destinata ad essere.

E lei era molto determinata a fare in modo che quello accadesse presto. Subito.

« E poi loro mi conoscono, non si insospettiranno se mi vedranno con Lincoln. »

Il maggiore dei Blake, incerto, lanciò uno sguardo al suddetto ragazzo, che annuì flebilmente.

Voltandosi nuovamente verso sua sorella, chiuse gli occhi e sbuffò.

« Va bene. »

In quel momento Octavia esplose, saltando contro di lui e abbracciandolo in una stretta quasi mortale.

Quando si staccò, qualche attimo dopo, si diresse verso Lincoln e lo prese per mano, poggiando il capo sulla sua spalla.

« Non penserete di lasciarmi qui, non è vero? »

Alle loro spalle, Raven si tirò su il cappuccio della giacca.
 
 
 


 
*





Clarke parcheggiò a qualche minuto di distanza dal luogo dell’appuntamento con Anya, sicura che avvicinarsi a piedi e da sola fosse il miglior modo per ottenere credibilità.

Jasper, al suo fianco, si irrigidì.

« Andrà tutto bene. » Parlò lei con sicurezza, voltandosi verso di lui e reclinando il capo verso il sedile.

« Non mi piace l’idea che tu vada da sola. Non mi piace per niente. »

« Sai che così le probabilità aumenteranno. »

« È solo che… È davvero necessario? » Alzò la voce, sollevando le mani in aria. « Voglio dire, ti rendi conto di quali sono i rischi che stai correndo? Che tutta questa storia stile paladina della giustizia potrebbe farti passare dei guai seri? »

La giovane Griffin sbuffò pesantemente, distogliendo lo sguardo dal suo.

Quando parlò, la sua voce era fredda e severa. « Sai che non posso andare dalla polizia. »

« Sì, questo lo hai ripetuto tante volte. Hai reso chiaro il concetto. Eppure… beh, potresti lasciargli fare il loro lavoro. Potresti semplicemente dire che Atom e Dax ti hanno rapita e aspettare che siano loro a scoprire la verità. Potresti… »

« Non ti ho portato con me per sentirmi dire quello che potrei o non potrei fare, Jasper. » Lo interruppe bruscamente, e in quel momento il suo migliore amico capì che c’era qualcosa di molto più profondo sotto.

Non era solo ostinazione o un qualche tipo di determinazione. Era sete di vendetta.

« Dico solo che- »

« E io dico solo che puoi andartene subito, se non riesci a reggere. »

Non lo guardò nemmeno. La schiena dritta e lo sguardo fermo davanti a sé, Clarke era più lontana di quanto lui l’avesse mai percepita. Più di quanto potesse provare a raggiungerla.

Il giovane Jordan continuò a fissare il suo profilo per qualche istante, osservando i suoi lineamenti duri e contratti in un’espressione glaciale. Poi, arreso, sospirò.

« Sono le due meno cinque. »

Senza aggiungere altro, senza guardarlo nuovamente, la bionda scese dall’automobile.
 
 



 
*






« Bene, il piano è molto semplice. »

Bellamy e Lincoln, rispettivamente al posto del guidatore e del passeggero, si voltarono verso i sedili posteriori dell’automobile del maggiore dei Blake, dove Raven ed Octavia erano sedute vicine.

« O, tu vai con Lincoln. Non dovete fare assolutamente nulla. Chiacchierate, passeggiate, fate quello che volete, ma non attirate l’attenzione. »

Il moro spostò lo sguardo fra i due, come a voler chiedere conferma, ed entrambi annuirono solennemente.
Poi, indugiò sul volto dell’ultima arrivata.

« Tu devi camminare sulle mie impronte, ripetere i miei passi. Non staccarti dal mio fianco nemmeno per un secondo. »

Bellamy sapeva che quello non era il miglior giro di ricognizione che avesse mai fatto.

Coinvolgere due civili in una potenziale indagine sotto copertura era sbagliato e pericoloso sotto più di un punto di vista, ma era ben consapevole di non aver avuto altra scelta.

Perlomeno, sapeva che sua sorella era al sicuro, e quella era l’unica cosa che contava veramente.

« Devi passare per il ponte. A quest’ora di notte, probabilmente pullula di gente. » Lo informò la voce profonda di Lincoln, che nel frattempo si era tolto la cintura.

Il moro assentì velocemente, poi scesero tutti dall’automobile.

Raven lo raggiunse immediatamente, appoggiando la spalla alla sua, mentre Octavia raggiunse l’altro passeggero.

Da un lato all’altro del veicolo, i due fratelli Blake si scambiarono uno sguardo pieno di tutte le parole che si ripetevano silenziosamente da quand’erano piccoli.

Va tutto bene, dicevano. Non lascerò che ti accada nulla di male. Ci sarò.

Si sorrisero, e fu abbastanza.

« Ci vediamo qui fra mezz’ora. »

« Sarà sufficiente? » Domandò il Grounder.

« Per me sì. »

E si divisero.
 
 

Bellamy non conosceva benissimo il luogo in questione, ma non fu difficile per lui e Raven trovare il ponte che Lincoln gli aveva indicato. Era enorme.

I due giovani si avvicinarono il più possibile, abbastanza perché lui potesse usare il piccolo cannocchiale che aveva portato senza destare sospetti.

« Questo sì che è figo. » Proferì la ragazza, riferendosi al piccolo binocolo.

« Gentile concessione del Dipartimento di Polizia di Los Angeles. »

« Voglio anch’io queste armi in dotazione. »

Il moro le lanciò uno sguardo di sbieco e tornò a concentrarsi sul via vai del ponte.

« Spera di non dover mai usare un’arma vera. »

La brunetta stava per rispondere, per controbattere che sì, avrebbe avuto tutte le capacità per sparare con una di quelle pistole che lui portava nascoste nella cintura dei pantaloni, quando lo sentì trattenere il respiro, al suo fianco.

« Che succede? »

L’espressione di Bellamy, parzialmente nascosta dal binocolo che teneva premuto contro il volto, sembrava già in quel modo estremamente tesa, anche senza il bisogno di guardarlo negli occhi.

Aveva osservato la situazione sul ponte per qualche secondo, ormai, notando le persone che passeggiavano e chiacchieravano in una tipica notte estiva, ma solo in quel momento si era presentata la vera protagonista.

« È arrivata Anya. Una Grounder piuttosto… ostile. Una volta un mio collega l’ha arrestata. » Fece un attimo di pausa, concentrandosi del tutto sulla scena a cui stava assistendo. « Ha passato la nottata al pronto soccorso. »

La donna, disposta a qualche metro di distanza, si appoggiò ad un muretto, limitandosi ad osservare le persone attorno a sé.

« Wow! » Esclamò Raven, colpita. Doveva avere proprio un ottimo gancio destro.

I due rimasero in silenzio per qualche altro istante, il primo troppo assorto nell’ispezione per poter concedersi di fare conversazione, e la seconda abbastanza sveglia da capire che quello fosse l’esatto momento di tacere.

Bellamy passò in rassegna ogni minimo movimento su quel ponte. Avrebbe potuto riconoscere i membri dei Grounders anche a chilometri di distanza, e ne distinse almeno cinque aggirarsi fra il resto delle altre persone. Molto probabilmente erano gli scagnozzi di Anya.

Gli tornarono alla mente le parole di Lincoln, come fosse tutto architettato nel migliore dei modi perché nessuno di loro venisse mai preso per i loro crimini, e dovette combattere l’istinto di raggiungere quel dannato ponte e arrestarli tutti. A partire da Anya, che stava chiaramente aspettando qualcuno.

Quando quel qualcuno arrivò, però, era ben al di là di qualsiasi altra persona si sarebbe potuto aspettare di vedere.

E per un attimo pensò che quel qualcuno non poteva essere chi pensava che lui fosse, che si dovesse necessariamente trattare di una svista. Ma era inconfondibile. L’avrebbe riconosciuta ovunque, anche in mezzo ad altre mille persone.

« Che cazzo… »

Al suo fianco, la giovane non riconobbe niente di buono nel suo tono.

Era pregno di sfumature che lei non pensava di poter distinguere al massimo l’una dall’altra: sorpresa, stupore, ma anche rabbia e delusione.

« Cosa? » Domandò dopo qualche momento, quando il corpo al suo fianco si era irrigidito talmente tanto da sembrare quello di una statua.

Bellamy sembrava perfino aver smesso di respirare.

« Ehi, che c’è? » Provò di nuovo dopo qualche secondo, dato il fatto che lui non sembrasse poter staccare il viso dal cannocchiale che teneva fra le mani. Mani che, avrebbe potuto giurarlo, tremavano.

Il moro deglutì sonoramente una, due, tre volte, prima di essere in grado di parlare con un tono di voce fermo e stabile.

« Clarke. » Disse solamente.

Avrebbe dovuto saperlo. Avrebbe dovuto dannatamente saperlo che non c’era modo che lei si fosse arresa e avesse smesso di portare avanti le sue indagini.

« Clarke? » Ripeté Reyes, sconvolta. « Clarke Griffin? »

L’altro, senza proferire alcun tipo di parola, un’espressione indecifrabile dipinta sul volto, le consegnò l’affare che teneva in mano.

« La Principessa dei Grounders sembra incazzata. » Asserì lei, una volta aver osservato la scena che si stava svolgendo metri più avanti.

« La nostra Principessa fa quest’effetto. » Mugugnò Bellamy fra i denti, ancora incredulo di fronte alla scena che si trovava davanti.

Cosa diavolo doveva significare? Perché Clarke era lì, alle due di notte, e parlava con un individuo tanto pericoloso e lontano dal suo mondo?

Se la conosceva almeno un po’, se in tutte le volte che si era fermato a fissarla aveva imparato a conoscerla almeno un minimo, allora poteva provare ad immaginare cos’avesse intenzione di fare.

Lei era lì per finire il suo lavoro e aveva preferito non dirgli niente, aveva preferito mentirgli e mandarlo via.

« Che facciamo? »

La voce di Raven al suo fianco lo distolse dai suoi pensieri, e l’altro ricacciò indietro qualsiasi pensiero avesse iniziato a formarsi nella sua mente.

Non era quello il momento di comportarsi come un adolescente con il cuore spezzato.

Ci voleva ben altro per ferire Bellamy Blake.

Senza rispondere, il moro tirò fuori il proprio cellulare e chiamò sua sorella.

« Bell? »

« Tornate in macchina, O. Ce ne andiamo. »

Non attese una risposta, perché non le aveva rivolto una domanda. Si trattava più che altro di un ordine, uno a cui non avrebbe permesso a nessuno di disobbedire.

Riponendo via il cannocchiale, Bellamy prese per mano Raven e la condusse via, fuori dalla postazione in cui si erano nascosti e verso la strada principale.

Immediatamente si ritrovarono catapultati in una folla di persone che passeggiavano davanti ai bar, che fumavano sigarette con pigrizia sedute sulle panchine lì vicino, ed entrambi furono abbastanza svegli da capire di dover dissimulare qualsiasi atteggiamento sospetto.

E così, come se fosse il gesto più naturale e semplice del mondo, la giovane Reyes allungò la propria mano verso il moro al suo fianco e gli accarezzò la schiena, facendola scivolare all’interno della tasca posteriore dei suoi jeans.

« Che stai facendo? »

« Non dobbiamo destare sospetti, no? » Gli sussurrò lei, proprio mentre due ragazze che parevano aver scritto Grounders sulla fronte gli passavano accanto.

« Faccio una passeggiata col mio ragazzo, che altro, altrimenti? » Continuò a voce più alta, regalandogli un sorriso innocente e angelico.

Il maggiore dei Blake non fece altro se non annuire celermente, ed insieme si avviarono verso il luogo in cui avevano parcheggiato l’automobile.









 


Curiosità:

#"Raramente l'universo è così pigro." Da Sherlock.

# L'avete riconosciuta la scena del ponte? Scommetto di sì ;)



# Non sappiamo quale sia il cognome di Lexa, quindi ho optato per Heda che, come saprete, nella lingua dei Grounders significa proprio "Comandante".


 
  
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