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Autore: gingersnapped    31/03/2015    2 recensioni
“Respira. Quando non respiri, non pensi.”
Le sue parole l’avevano colpito. Quelle stesse parole, pronunciate dalla sua piccola bocca in un giorno assai lontano da quello, ma chiare come se le avesse pronunciate qualche istante prima, risuonavano nella testa di Hiccup. La ricordava ancora davanti a lui, i lunghi riccioli rossi che si muovevano con la lieve brezza del vento, l’arco (il suo arco) in mano, gli occhi acquamarina sorridenti. Sembrava così lontana in quel momento.
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Circostanze inaspettate, forse fin troppo


 
 
Era come se si fosse fermato il tempo, solo per poco, poi tutto riprese con un ritmo incalzante. Tutti rimasero fermi, gli occhi sbarrati dall’angoscia o dalla sorpresa, le pupille dilatate, la bocca semiaperta. Era come se fossero spettatori di uno scenario orribile e al contempo eccitante. Fu questione di un attimo, e nulla di più. La principessa si era distratta, credeva di aver vinto e si era girata per condividere la sua vittoria con quell’artista con cui nell’arco di mesi aveva costruito un bel rapporto, uno dei pochi amici che aveva, ma aveva sottovalutato l’avversaria. E proprio lei ne aveva approfittato, colpendo con tutta la forza che le era rimasta lo scudo della rossa, rompendolo in due con la sua ascia. L’impatto fu troppo forte. La rossa cadde a terra, chiudendo gli occhi per il dolore all’addome mentre sul volto della bionda un piccolo sorriso dettato dall’euforia del momento spuntò, ma nessun altro lo condivise. Ognuno rimase fermo.
“Merida!”, urlò Gobber, il primo a riprendersi da quello stato catatonico. Alcuni si mobilitarono, non facendo nulla di concreto. Jack iniziò a scuotere Hiccup per le spalle, ma questo sembrava non accorgersi di nulla. In quel frangente colmo di voci concitate Hiccup sentiva solo il respiro affannoso e il suono della gamba di legno di Gobber contro il pavimento di dura pietra, ma anche questi suoni si fermarono. La ragazza in questione, con la mano destra che teneva la spada e l’altra poggiata sull’addome, si era (faticosamente) alzata, assumendo una posizione di attacco. Astrid rimase interdetta, una piccola ruga di preoccupazione sopra le sue sopracciglia, e Hiccup, in quell’esatto momento, riprese a respirare. Jack accanto a lui tirò un profondo sospiro di sollievo.
“Ti sei fatta male?”, chiese la bionda, ansiosa, ma la principessa scosse la testa, con l’ombra di un sorriso.
“La finiamo qui?”
“Sì, la finiamo qui”, rispose Merida, attaccando l’avversaria con mosse così veloci che la ragazza con la treccia, non riuscendo a schivarle tutte, cadde all’indietro, lasciando andare l’arma. Gobber andò loro incontro, porgendo alla principessa la mano buona su cui appoggiarsi, ma lei la rifiutò, aiutando invece Astrid ad alzarsi.
“È stato un bel combattimento”, si congratulò con la ragazza, i cui occhi azzurri erano rimasti spalancati.
“Sei molto brava”, disse Astrid, il respiro veloce.
“Sicura che non vuoi farti vedere da un medico?”, domandò Gobber, e la principessa prima di rispondere guardò in alto, verso gli spalti solitamente vuoti. Hiccup seguì il suo sguardo e si accorse che quella volta molte persone erano presenti, tra le quali suo padre in quanto comandante delle guardie, e i sovrani. Il padre di Merida sembrava avere una strana espressione orgogliosa, con un sorriso soddisfatto e gli occhi che brillavano: la madre, al contrario, era visibilmente scossa e preoccupata, e anche arrabbiata.
“Sicurissima, Gobber”, rispose lei, girandosi.
“Allora ricominciamo.”


 
(Fuori)


 
“Finalmente!”, esclamò seccato Flynn Rider, appena la bionda uscì da quella casa tanto strana. Era rimasto ad aspettarla per più di due ore, un gesto che non aveva rivolto mai a nessuna ragazza –né aveva intenzione di ripeterlo. Rapunzel lo guardò con quei suoi occhi verdi, visibilmente emozionata, e questo lo costrinse ad evitare di apparire troppo infastidito. Ancora non riusciva a capire perché su di lui quella ragazza esercitasse tanto potere, ma solo in seguito capì che sortiva questo effetto a chiunque si trovasse accanto a lei. Man mano che la ragazza si avvicinava, il giovane uomo poteva accorgersi del suo sorriso che lentamente spariva, mentre un pensiero si faceva largo tra gli altri.
“Sei rimasto tutto questo tempo ad aspettarmi?”, chiese, profondamente colpita da quel gesto, e Flynn non poté far altro che sorridere.
“Certo!”, rispose, “Dovevo dirti una cosa importantissima.”
La ragazza si posizionò alla sua sinistra, ed insieme iniziarono ad incamminarsi tra le vie più abitate della città.
“Di cosa dovevi parlarmi?”, gli domandò, non cercando più di dissimulare il fatto che fosse curiosa.
“Ti ricordi quando ci siamo conosciuti e ti ho detto che eri identica alla sovrana di Corona? Beh, ho le prove che sei identica.”
Rapunzel lo guardò scettica, ricordando le parole di Jack su quanto Flynn fosse assolutamente un poco di buono, ma dovette ricredersi quando questi ,sotto ai suoi occhi, srotolò una pergamena che sembrava uscita dallo studio di Hiccup, tanto era disegnata bene. Ad un’occhiata superficiale, la figura ritratta era proprio lei, non lasciava spazio a nessun dubbio, solo che non aveva i lunghi capelli dorati ma più corti, castani, e qualche ruga di espressione. Accanto a se stessa, era rappresentato un uomo più anziano, basso, biondo, con una barbetta ispida. Rapunzel osservò meravigliata quella pergamena: era un invito al ballo che si sarebbe tenuto quella estate, e ovunque sul manifesto vi era il simbolo del regno di Corona, un sole, così come simbolo di Dunbroch era la spada su dei fili intrecciati. Una volta Merida le aveva detto distrattamente che quei fili rappresentassero delle virtù, ma in quel momento non ne era tanto sicura. Anzi, in quel momento Rapunzel era a dir poco sconvolta.
Flynn, d’altro canto, rimase stupito da quella reazione. Si aspettava che urlasse o qualcosa del genere, ma la bionda rimase in silenzio, i grandi occhi verdi intenti a osservare quel manifesto.
“Se vuoi ti ci posso portare questa estate”, disse Flynn, inteso a rompere quel perforante silenzio. La giovane si illuminò.
“Davvero? Sarebbe fantastico! Io non sono mai uscita oltre i confini di Dunbroch, quindi sarebbe un’esperienza assolutamente nuova!”, esclamò, ma dopo abbassò lo sguardo. “Però non so se potrò.”
Flynn la guardò, quasi irritato. “Non sai cosa ho dovuto fare per procurarmi questo invito al ballo!”, disse imbronciandosi.
“Lo so”, annuì lei, accarezzandogli il braccio “ma sai, la guerra..”
Il giovane rimase in silenzio, abbassando gli occhi a terra e Rapunzel fece altrettanto, mordendosi il labbro inferiore per il solo pensiero. Non sapeva neanche se sarebbero entrati in guerra, Merida le aveva detto che non c’erano state trattative ma la tensione era palpabile nell’aria. E lei aveva intenzione di esserci.
 
 

(Quella stessa sera)



“Merida, apri la porta”, disse Elinor, cercando di aprire la porta della camera della ragazza che era chiusa da dentro. Dall’altra parte della porta la rossa sospirò, abbassando gli occhi a terra.
“Merida”, la richiamò la madre con tono di rimprovero, immaginando la tipica espressione scocciata della figlia. Poco dopo Merida aprì la porta.
“Che c’è?”, chiese lei, prevedibilmente non entusiasta di vedere la donna. Questa entrò, osservando con aria di dissenso i vestiti che aveva indossato quel giorno all’addestramento.
“Non posso vedere come sta mia figlia?”, domandò lei innocentemente, lisciandosi  la gonna dell’abito e sedendosi sul letto della figlia.
“Mi hai visto, adesso te ne puoi andare”, disse la rossa, lasciando la porta aperta. Elinor alzò il sopracciglio castano scetticamente, posando i suoi occhi nocciola su un altro angolo della stanza, nel quale teneva il suo arco, le frecce, la spada e lo scudo rotto dall’altra ragazza.
“È stato un brutto colpo?”
“Cosa?”, chiese la figlia spaesata, rassegnatasi dalla presenza della madre.
“Quando ti si è rotto lo scudo e sei caduta.. Stai bene?”
“Sì, sto benissimo. Non è stato così forte, l’impatto”, cercò allora di rasserenare la madre, che si mostrava però ancora preoccupata. “Mamma?”, la richiamò Merida, e proprio in quel momento la donna assunse l’espressione regale che la caratterizzava.
“Ti voglio raccontare una storia”, disse Elinor, alzandosi e cominciando a vagare per la stanza della figlia, mettendo in ordine ciò che era fuori posto. “La storia di come tuo padre diventò re di Dunbroch.”
“Oh, no”, si lamentò la rossa, buttandosi sul letto. “La leggenda di Mor’du!”
“Non è una leggenda!”, esclamò la madre, incrociando le braccia, e Merida la guardò alzando il suo sopracciglio ramato.
E poi dal nulla apparve l’orso più grande che si sia mai visto! Il suo manto portava il segno delle armi di guerrieri caduti, il volto spregiato e privo di un occhio. Sguainò la spada e wash! iniziò a recitare la figlia imitando la voce profonda del padre, interrompendosi per fingere il suono della spada “con una zampata l’orso la frantumò. Poi wap! La gamba di netto gli staccò e giù per la gola del mostro andò.”
La madre non trattenne un sorriso per la pessima imitazione della figlia. “E sai pure come si conclude la storia?”
“Mor’du non è più stato rivisto da allora e si aggira per le lande selvagge in attesa dell’occasione per vendicarsi”, rispose Merida, imitando stavolta lo stile cancelleresco della madre.
“Le leggende sono insegnamenti, in esse vi è la verità”, disse Elinor, ritornando seria. “Specialmente in questa che è vera.”
“Che intendi, mamma?”
“Hai ragione, l’orso Mor’du è soltanto una leggenda che tuo padre si è inventato per giustificare la perdita della sua gamba quando eri piccola, ma Mor’du esiste veramente.”
“Mamma, non riesco a seguirti.”
“Mi seguiresti se avessi studiato la storia delle altre potenze invece di fare l’addestramento!”
La giovane rossa alzò gli occhi acquamarina al soffitto, non potendo evitare di ribattere alla madre.
“Almeno faccio qualcosa di utile! Stiamo per entrare in guerra!”
La donna si fermò, guardando la figlia con aria seria. “Non dovresti saperlo. Nessuno dovrebbe saperlo.”
“Lo sappiamo tutti, ormai. Solo non so con chi e perché”, rispose Merida, sospirando tristemente.
Elinor poggiò una mano sopra quelle della figlia, e posò lo sguardo altrove.
“Lascia che ti racconti questa storia, la vera storia.”


 
(Mi prendi in giro?)


 
Silenzio, era proprio quello che Hiccup cercava disperatamente da tempo, e che non riusciva mai a trovare. L’allenamento con Gobber era finito, gli operai stavano lavorando, il re era contento dei suoi progressi, e la principessa quel giorno non sarebbe venuta per la solita lezione di tiro con l’arco o con la spada. Finalmente aveva ritrovato il silenzio che tanto agognava in quell’ultimo periodo, e un po’ di tempo per se stesso. Fece due passi verso il letto, con l’intenzione di riposarsi serenamente, ma qualcosa lo spinse a far cadere gli occhi verde foresta sul tavolo da lavoro, dove ancora c’erano gli schizzi che aveva usato per la famiglia reale. Il disegno di Merida stava sopra agli altri, e quasi con nostalgia pensava al motivo. Tutta colpa del suo vitalismo, e del voler andare sempre contro la madre. Hiccup sorrise, prendendo tutti gli schizzi e riponendoli dentro uno scrigno dove c’erano tutti gli altri disegni, escluso quello della rossa. Gli mancava la sua vita. Non che quella non gli piacesse: riceveva molti più soldi, il re in persona si congratulava con lui, e le sue invenzioni stavano diventando realtà finalmente, non più relegate a semplici utopie, però in cuor suo gli mancava qualcosa. Forse più di una. Stava per fare andare a letto nuovamente quando un rumore lo incuriosì. Proveniva dalla stanza accanto. Il moro si alzò, e aprì la porta, aguzzando lo sguardo, ma non c’era nessuno. Chiuse la porta, stranito, ma non dando poi così tanto peso alla cosa, si volse in direzione del letto. Proprio in quel momento, sentì quello stesso rumore provenire dalla porta che dava sulla strada. Hiccup, quindi, si diresse verso l’altra porta ma nuovamente non c’era nessuno. Il giovane si strinse le spalle, sdraiandosi finalmente nel tanto desiderato letto. Non arrivò neanche a poggiare la testa sul cuscino che il rumore si ripresentò alla finestra.
“Oh, ma andiamo!”, imprecò il ragazzo, aprendo anche la finestra. Questa volta, qualcuno o meglio, qualcosa si manifestò a lui in tutta la sua bellezza.
“Wow”, sussurrò, mentre un magnifico uccello si accomodò sopra il tavolo da lavoro, guardando incuriosito il disegno di Merida. Abbandonata ormai l’idea di dormire e di recuperare il sonno perduto, Hiccup tese una mano verso il volatile, ma questo, rivolgendogli uno sguardo severo, si ritrasse.
“E tu che cosa sei?”

 
(Perché)


 
“Tutto accadde diciassette anni fa”, incominciò la madre, spostando lo sguardo sul camino. “Sai, me lo ricordo con estrema precisione. Eri nata da pochi giorni, e non eri certo piccolissima come mi avevano detto tutti..”
“Mamma!”, la interruppe Merida, sbarrando gli occhi.
“Ad ogni modo, alla tua nascita il regno era in ginocchio. Drachma era in contrasto con Dunbroch per ragioni che qualunque persona definirebbe futili.”
“Quali?”
“Brama di grandi onori, sete di potere, e un vecchio dissapore con tuo padre.”
Merida attese che sua madre parlò, ma visto che sembrava immersa nei ricordi ne approfittò per chiederle dei chiarimenti.
“E questi sono dei motivi necessari per andare in guerra?”
“No, non sono necessari, però sono sufficienti. Tuo padre ovviamente tentò di difendere il regno contro questi invasori. Erano tre fratelli: il primo, forte più di quanto la mente umana possa immaginare, Mor’du, il secondo, perfido e diabolico oltre l’umana ragione, Pitch, il terzo sembrava essere un’ottima sintesi dei due, Bludvist. Non avevano diviso il regno in tre, no, regnavano contemporaneamente ed erano uniti dall’ambizione di conquista.”
“Hai detto che avevano un contrasto con papà, qual era?”
“Allora mi ascolti!”, commentò sorpresa Elinor, facendo sbuffare la figlia. “Devi sapere che tuo padre, anche se è nato a Dunbroch, non è cresciuto qua, ma a Drachma.”
“Cosa?!”, esclamò la rossa. La sovrana annuì.
“Suo padre non era quello che noi definiremmo un sovrano eccellente, e stava per cedere il regno alla forza dominante, ma aveva degli abili consiglieri, che riuscirono a sancire un accordo: Dunbroch avrebbe pagato un pegno. E questo pegno consisteva in esercito e oro. L’oro fu dato via immediatamente, l’esercito invece bisognava formarlo. Vennero addestrati molti bambini, dall’età di tredici anni fino ai venti e tuo padre, che in quel momento aveva quattordici anni, in quanto figlio del re, doveva essere un exemplum per il popolo.”
“E quindi acconsentì ad andare a Drachma per fare un addestramento? E poi come ritornò qui?”
“In quanto principe, fu trattato meglio rispetto agli altri ragazzi, anzi: da Mor’du, Bludvist e Pitch fu trattato come un vero fratello.”
“Finché?”, domandò Merida, esortando la madre ad andare avanti.
“Come finché?”
“C’è sempre un finché. Qual è il ‘finché’ di questa storia?”
Elinor sospirò. “Finché a tuo padre non venne insegnato come impugnare una spada. Non era affatto bravo come lo sei tu adesso, era veramente maldestro, e ogni giorno si allenava con i suoi fratellastri. Un giorno impugnò male la spada e colpì Mor’du all’occhio sinistro, privandolo della vista. Quel giorno tuo padre fu rispedito qui immediatamente, e gli anni successivi furono relativamente tranquilli. Ci conoscemmo”, disse lei, fermandosi per sorridere, “morì il sovrano precedente, ci sposammo, e alla notizia del matrimonio, l’ira si risvegliò nei sovrani di Drachma, che vollero a tutti i costi frantumare ciò che avevamo costruito di buono io e tuo padre. Sai, volevano frantumare anche te. Eravamo una sera in tenda io, te e tuo padre, ed eravamo entrambi chini su di te, quando tu urlasti all’improvviso. Tuo padre fece in tempo a spostarmi, ma non fu altrettanto veloce per se stesso. Mor’du l’aveva privato della gamba sinistra.”
“Ma è orribile!”, commentò Merida, gli occhi acquamarina sconvolti. “Era stato un incidente, quello di papà.”
“Fortunatamente gli costò solo la gamba e non la vita.”
La ragazza si bloccò, annuendo poi lentamente. “E perché tornare adesso?”
“Forse perché pensano di poter frantumare anche quest’ultima cosa buona che stiamo facendo adesso.”
“E cioè? Il ritratto di Hiccup?”, chiese la rossa, facendo ridere la madre.
“Come sei ingenua! Ovvio che no”, rispose lei, “Dunbroch deve unirsi con un altro regno.”
“E come?”
“Tramite il tuo matrimonio.”
E lì Merida si bloccò, non facendo caso al fatto che non respirava più.


 
(Falco)


 
“E lui che cosa sarebbe?”, chiese Jack, l’indomani mattina, davanti all’uccello, mentre Hiccup sbadigliava sonoramente. Era giorno da appena pochi minuti, e Hiccup era seduto davanti il suo tavolo da lavoro con almeno cinque libri aperti. Prima di rispondere il suo sguardo cadde sul letto, ancora intatto, e sul volatile.
“È un falco biarmicus lanarius”, rispose il moro.
“Che?”
“È un falco bianco!”
“Fin qui c’ero arrivato da solo”, commentò il brunetto, cercando di accarezzare il falco con scarso successo. “Ma perché hai un falco?”
“È entrato da solo.”
“E perché è entrato da solo?”
“Chiediglielo a lui”, borbottò il ragazzo, sarcastico.
“Immagino che hai lasciato di nuovo la cena sul davanzale ed è entrato”, disse Jack, sorridendo.
“Passo dai piccioni ai falchi quindi?”
“Andiamo Hic, parli come se non avessi mai visto un falco! Qua a Dunbroch ce ne sono un sacco, assieme alle aquile.”
“Sai, l’ultima volta che ne ho visto uno..”
“Scommetto che eri con Merida a fare uno dei vostri allenamenti”, concluse lui, facendo arrossire Hiccup fino alla punta dei capelli.
“No, con Merida però.. Insomma, non è questo il punto. Il falco bianco si trova molto più a nord di qua, l’ultima volta che ne ho visto uno è stato quando se n’è andata mia madre.”
Jack rimase interdetto, guardando l’amico. “Ma è successo quando avevi poco meno di un anno.”
Hiccup ricambiò lo sguardo al brunetto, abbassando poi gli occhi verdi al pavimento appena sentì le guance bruciargli. “Lo sai, ho un’ottima memoria. Ed è l’unico ricordo che ho di lei.”
Jack rivolse totale attenzione all’amico, lasciando stare il falco che si stava infastidendo cercando di beccarlo, e allontanandosi dal tavolo da lavoro. Iniziò, come faceva sempre quando cercava di pensare, a camminare avanti e indietro, mentre Hiccup lo guardava leggermente seccato.
“Quindi”, esordì, camminando più velocemente “hai visto questo falco bianco diciassette anni fa e..”
“Dubito fortemente che sia lo stesso falco di diciassette anni fa”, lo interruppe il moro ma Jack era fermamente convinto di quello che stava elaborando.
“..adesso lo vedi. Sembra quasi un segno, non credi?”
Hiccup lo guardò dubbioso, prima di scoppiare a ridere, e Jack si risedette accanto a lui. Entrambi rimasero in silenzio, ad ammirare il magnifico falco, quando al brunetto venne in mente l’idea di ricominciare ad accarezzare il falco, che si mostrava infastidito dalla sua presenza.
“Attento Jack”, lo avvisò Hiccup, intuendo cosa sembrasse provare il volatile.
“Attento a cosa? Pensi che possa mordermi per caso? Ma se è pure sdentato!”, esclamò Jack, prendendo in giro l’amico, come faceva sempre quando questi si comportava come una madre apprensiva, quando proprio in quel momento il falco lo beccò sulla mano, facendogli uscire pure del sangue. Hiccup ridacchiò e Jack guardò l’uccello come se l’avesse tradito.
“Stupido uccello!”, imprecò il brunetto, alzandosi per cercare un panno con cui tamponare la ferita.
“Io penso sia intelligente invece”, commentò Hiccup, non perdendo il sorriso. “E ho pure un nome per lui: Toothless!”
“Mi prendi in giro?”, chiese Jack.
“Non sai quanto”, rispose l’altro.
 

 
 (Il Sole sorge per tutti)


 
“Io voglio imparare tutto il più presto possibile”, disse Rapunzel con un tono di voce squillante, presentandosi davanti casa del Genio.
“Buongiorno anche a te, signorina”, la salutò questo, bevendo da una tazza del the. Indossava ancora quei pantaloni strani in panno bianco.
“Buongiorno signor Genio, e mi scusi, ma ho fretta. Avverto una certa tensione nell’aria e tutto ciò non mi piace”, si confidò, entrando nella casa.
“Lo so, l’avverto anch’io”, ribadì l’uomo, avvicinandosi alla libreria dove sceglieva accuratamente dei grossi tomi dagli scaffali.
“Non abbiamo molto tempo, vero?”
L’uomo si fermò, guardando attentamente la ragazza in quei suoi occhi verdi. Non disse niente, si limitò a scuotere leggermente la testa, e riprese la tua attività di scelta dei testi.
“Fin a quando?”
“Questi dovresti chiederlo alla tua amica principessa.”
“Come fa a sapere che la principessa è mia amica?”, chiese Rapunzel, toccandosi i capelli biondi come faceva sempre, quando era nervosa.
“Non lo sapevo, ma adesso lo so”, rispose il Genio, sorridendo. “Inizia da questi” aggiunse poi, poggiandole accanto almeno una decina di tomi, pesanti e pieni di polvere.
Rapunzel emise un gemito lamentoso, e il Genio ne approfittò per rimproverlarla.
“Tutto il più presto possibile, mi raccomando!”


 
(-)


 
“Lo terrai?”, chiese Jack, capendo che quel volatile si faceva toccare solo da Hiccup, che lo accarezzava adesso tranquillamente.
“Solo se lui vorrà restare”, rispose il moro, abbozzando un sorriso al falco.
“Sembra che tu stia parlando di una persona, non di un animale.”
“Beh, gli animali e le persone non sono poi così diversi.”
   
 
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