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Autore: Veni Vidi Jackie    01/04/2015    0 recensioni
Matilde, amica (o qualcosa di più?) da più di un anno di Jack, ha da tempo dimostrato con lui atteggiamenti aggressivi. Quando lei troverà l'amore in Frank, Jack verrà prima relegato in secondo piano e poi abbandonato dalla ragazza. Ormai libero, la fine del "regime tirannico" di Matilde dovrebbe farlo stare meglio, ma la gelosia lo dilanierà e ben presto lo farà arrivare sull'orlo della pazzia.
In questa situazione, saranno personaggi assai strani a farlo tornare su di morale!
Genere: Comico, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il tennis è sempre stato il mio sport, il mio vero amore. “Se il tennis fosse una ragazza, sarebbe la mia sposa”, ripeto sempre, oppure: “il giorno in cui smetterò di giocare a tennis sarà il giorno in cui morirò”. Con Matilde mi sembra di aver raggiunto l'apice, ho conosciuto l'amore. Posso quindi unire il tennis con l'amore per una ragazza. “Ancora lì? Cambia argomento! Pensa ad altro!”. Ah, già...la mia solita voce interiore. Bene, oggi è facile pensare ad altro: è venerdì, questo vuol dire tennis. Vado in bagno, mi vesto e prendo le chiavi dell'auto. Devo stare attento a guidare: l'ultima volta ho fatto “strike” di pedoni sia all'andata che al ritorno, avendo preso la patente da pochi mesi. Per fortuna il circolo è vicino, d'estate ci vado in bici.

Mi siedo al volante e prendo il microfono che ho da poco installato in auto:

- Buon pomeriggio a tutti, qui è il comandante che vi parla. Atterremo tra dieci minuti, godetevi il volo -. Mi volto a guardare i due sedili dietro, immaginando di vedere l'equipaggio del mio aereo. Metto la prima marcia e parto. - Splende il sole in Versilia, oggi! Vi consiglio di guardare fuori e godervi questa stupenda giornata d'autunno – annuncio divertito. I passanti sono notevolmente sorpresi, giustamente, di vedere una persona in macchina con un microfono in mano. In più, certe volte, la mia voce è udibile anche all'esterno. - Turbolenza! Arreggersi bene ai sedili! Ripeto: turbolenza! - esclamo non appena vedo una serie di buche.

Dopo dieci minuti alla guida sento il mio cellulare in tasca vibrare: qualcuno mi sta chiamando. So già chi è, non devo neppure controllare. Non appena smette di vibrare, dopo pochissimo ricomincia. E ancora, ancora...squilla e squilla...conto 10 chiamate. Non ho dubbi su chi sia.

Ad un certo punto noto una volante della polizia sul lato detro della strada ed un agente sulla sinistra, che ha il braccio alzato verso di me. No, non ora! Non ho voglia di fermarmi! E' con terrore che mi accorgo che il poliziotto è Angelus, il padre di Andy. Angelus è infatti un poliziotto della stradale. Proprio io devo incontrarlo? No, oggi non ho voglia. Decelero, abbasso il finestrino e, quando gli sono davanti, colpisco la sua mano con la mia dandogli il cinque, poi riparto veloce. Vedo nello specchietto retrovisore che Angelus si volta perplesso verso di me.Mi dispiace, ma oggi non avevo voglia di fermarmi.

Raggiungo il circolo, per fortuna la guida è andata meglio: ho investito solo una persona oggi, che è rimasta agonizzante sulla strada.

- Grazie di aver volato con noi! Buona giornata a tutti – annuncio felice. Poi scendo dall'auto e fingo di stringere la mano a tutti i passeggeri del mio volo, mentre un gruppo di persone a piedi mi guarda perplessa, vedendomi porgere la mano e sorridere a persone inesistenti.

Entro nel bar e controllo il mio cellulare: dieci chiamate perse da Matilde. Ovvio. Matilde, come sempre, Matilde. Non so perchè, ma la richiamo.

- Pronto? Mi hai chiamato? -

Silenzio dall'altra parte.

- Matilde, ci sei? Pronto? Non sento nulla... - Ah sì, eh! - irrompe la sua voce, carica di rabbia anche questa volta. - Perchè non rispondevi, eh? Cosa facevi? Io non sono nulla per te? Non merito una risposta? Perchè, eh? Non mi rispondi neppure, adesso? Cosa ho fatto? Dove sei? Con chi sei? Che fai? Perchè non ti vedo sul mio GPS? Quali sono le tue coordinate? Cosa vedi? -

- Matilde, calma...stavo guidando, sono a tennis -

- Ah-ah! Lo sapevo! Sei di nuovo dalla Martina, eh? Ti ho beccato! Bene, sai cosa ti dico? Non mi cercare più! Se preferisci lei a me allora non ha senso che ci parliamo più, da domani torneremo ad essere degli sconosciuti! Addio! -. Ovviamente non faccio in tempo a controbbattere che ha chiuso la comunicazione. Accidenti, di nuovo! Come fa a vincerla sempre lei? Niente da preoccuparsi comunque: ha già reagito così un mucchio di volte, non cambieranno le cose neppure stavolta.

Solo adesso vedo il mio maestro Gabriele, seduto ad un tavolo, che mi saluta. Ricambio con un sorriso. Almeno qui mi sento come a casa: ho un mucchio di amici, a cominciare da Tom, che gioca con me. Ci sono, poi, anche Nicola, Arianna, Manuel, Martina, il piccolo Nick (sono sicuro che si dopa), Luca, Veronica, Caterina e Riccardo. Tutti come una grande famiglia.

Scendo quindi in campo, deciso a dimenticare tutti i litigi di questa settimana con Matilde. La prima palla, però, la liscio. La seconda la stecco e vola in alto (verrò a sapere molto tempo dopo che era atterrata su Marte), la terza la stecco nuovamente e colpisco a morte un piccione, che ricade sul campo. Non una delle mie migliori partenze.

Continuo a giocare, cercando di non pensare a ciò che inevitabilemente sono condotto a pensare. Le cose, però, non cambiano: dopo dieci minuti mi scivola la racchetta durante l'esecuzione di un diritto e colpisce alla testa un anziano che ci sta guardando, facendolo collassare a terra. No, non posso andare avanti così. Mi fermo, andandomi a sedere ad una panchina e mettendo la testa fra le mani.

Che mi succede? Il tennis mi ha sempre dato la forza anche quando non ne avevo. Il tennis è vita, se gioco a tennis sto vivendo. Ultimamente sto anche giocando molto bene, ho raggiunto traguardi che non avrei mai ottenuto se non avessi conosciuto Matilde. Lei mi ha mostrato la strada: la strada della fiducia nei propri mezzi e io l'ho seguita. Ho ottenuto buonissimi voti a scuola e ho giocato benissimo a tennis...eppure perchè oggi mi sento impotente? Non è tristezza, è una strana sensazione: come se percepissi di essere in quel luogo senza uno scopo. Perchè sono qui? Cosa sto facendo a tennis? Questa sensazione mi pervade già da tempo, mi sento inutile. Ci sono giorni in cui non trovo stimoli per alzarmi la mattina, perchè negarlo? Tanto è vero, allontano questo pensiero sempre ma è la verità.

- Stai bene, Jack? -. Alzo lo sguardo: il piccolo Nick mi sta guardando preoccupato. Nick ha solo undici anni ma gioca veramente bene. Il suo unico difetto è di essere troppo arrogante in campo e di arrabbiarsi troppo facilmente. Deve migliorare il suo atteggiamento, per il resto gioca davvero molto bene per la sua età.

- Tutto bene, grazie. Mi gira solo un po' la testa -

- Vuoi un po' delle mie sostanze dopanti? -. Lo guardo attonito: lo ha appena detto? Lo sapevo! Non poteva giocare così bene!

- No..grazie comunque -

- Figurati -. Lo osservo mentre rovista nella sua borsa ed estrae una confezione di plastica, poi la apre e rovescia il suo contenuto in bocca.

- Tu non hai visto nulla -, mi dice serio.

-Certo che no -. Mi sorride e torna felice a giocare, come se fosse successo niente.

Le cose, comunque, si fanno gravi: il malumore di cui sono preda quando Matilde mi tratta male mi sta affliggendo anche a tennis, ovvero anche in paradiso. E' un bel problema. Torno comunque in campo, cercando di convincermi che non sia successo nulla. Le cose, però, non cambiano: non colpisco neppure una palla, sembro quasi ubriaco.

Durante uno scambio particolarmente lungo vado in apnea e mi appare il viso di Maria Sharapova. Ciao, Maria. Sei molto bella. “Grazie”, mi risponde lei con un sorriso imbarazzato, “ma tu non devi”. Cosa? Maria, non devo cosa? Lei mi continua a guardare sorridendo. “Non devi, Jack. Non devi”. Ma cosa? Non devo cosa? Maria, ma che dici? Improvvisamente il viso splendido di Maria si trasforma in quello di Matilde, che mi sgrida forte: “Non devi! Lo capisci o no? Sono IO la più bella, capito? MAI parlare di altre ragazze con me, okay? Non devi farlo!”. Mi sveglio di soprassalto, mezzo sudato, e mi ritrovo disteso sul mio letto a casa. L'ultima cosa che ricordo è di aver visto Maria Sharapova nel bel mezzo di uno scambio di tennis, per poi tramutarsi in Matilde Vinelli. Qualcuno mi deve aver portato a casa. Bene, perchè sto raggiungendo l'esaurimento mentale.

Dopo aver fatto una bella doccia mi squilla il cellulare: Matilde.

- Ciao -, mi fa con voce triste.

-Ciao...tutto okay? -

- No -. Deglutisco preoccupato: sarà una conversazione lunga se dice così. Mi sdraio sul letto, prendo il mio Vangelo tra le mani e prego che lei non urli e non cominci a deprimersi come fa sempre in questi casi.

- Secondo te io sono simpatica? -, mi chiede. Che domanda è? Accidenti, ci risiamo. E' nel momento depressione, quando si lamenta come un gatto con il mal di pancia.

- Sì, lo sei -. Ma è vero? Sì e no. Come sempre: Odi et amo. E' simpatica? Sì, finchè non ti picchia. In realtà è è una brava persona, è solo con me che diventa Terminator.

- Sai, non sembra -

- Da cosa? -

- Dal modo in cui mi tratti- . Metto per qualche secondo il “muto” al cellulare e scoppio in un'immensa e fragorosa risata, che mi fa cadere dal letto. Rotolo per tutta la stanza, senza preoccuparmi dei peli del mio cane sul pavimento. Con che coraggio mi dice così? Si lamenta di come la tratto? Io?! Deve essere una battuta! Ho le lacrime agli occhi per quanto rido, poi mi ricompongo e tolgo il muto.

- Ci sei? Jack! Ci sei? -

- Eccomi, scusa - rispondo soffocando un ultimo attacco di risata. - Dicevi? -

- Nessuno mi vuole...tu mi tratti male...resterò per sempre sola...-. E' molto vicina a piangere, lo sento. La conosco troppo bene e so benissimo che sta per cominciare a piangere. Questo è un male, perchè quando piange io perdo il senno, mi fa troppa tenerezza. Già non mi faccio rispettare da lei a cose normali, quando piange è ancora peggio. Faccio tutto quello che dice in questi casi, è più forte di me.

- Ma non è vero! Io ti voglio bene, lo sai. Io non ti lascerò mai -

- Non sto parlando di questo...-. Adesso comincio ad aver paura: sta per dirlo...di nuovo. So già che io ci ricascherò un'altra volta, devo stare molto attento. So dove mi vuole portare, ma devo mantenere la lucidità e capire la trappola che mi sta tendendo. Attento, Jack, lo sta per dire.

- Allora di cosa? -

- Non parlo di amicizia...io...non so...forse per me sei di più di un semplice amico...capisci? -. Ecco fatto! Per l'ennesima volta! Lo ha detto con una frase diversa, ma il succo è sempre quello. Non ci cadere, Jack. Non ci cadere di nuovo. Ricordi cosa è successo l'altra volta? “Volevo dirti che ci ho ripensato, sei un semplice amico per me. Niente di più”, quindi non ricascarci!

- Sì, forse - mugolo indeciso io, pensando a come comportarmi adesso.

- Io cosa sono per te? Un'amica o...qualcosa di più? -. E ora cosa rispondere? Qual è la domanda che mi evita di ricevere un'altra offesa? Ripasso ancora a mente la Costituzione Matilda, cercando qualche soluzione, ma non ne trovo. Comincio a sudare dalla fronte, mentre mi tremano le mani. Faccio fatica a tenere il cellulare in mano, perchè mi scivola.

- Io...non so...se tu non fossi...come dire...quando, insomma...nei momenti in cui...quando....beh....sai...due volte....che poi...insomma non era molto...ricordo molto bene...beh quello fu difficile...ecco, questo è ciò che penso...-. Ma che sto dicendo? Che lingua è? Aramaico?

- Bene, ho capito Ti faccio schifo. Potevi dirlo, comunque. Tanto con te non si può parlare di questo - conclude lei

- No, no! Non ho detto questo! -. Ecco fatto, mi sono di nuovo bruciato questa occasione. Chi è Matilde per me? Le voglio bene come ad una sorella e l'ho amata tantissimo, è il mio punto di riferimento. E' senza dubbio la mia migliore amica, ma può essere qualcosa di più? Sicuramente qualche mese fa la amavo, nel vero senso della parola. Da quando ha cominciato ad avere comportamenti dittatoriali, però, ho cominciato ad avere dei dubbi. Quindi? Cosa ne penso di lei?

“Jack, è inutile starci a pensare tanto. Tu la ami ancora e la odi allo stesso tempo. Non riesci a stare senza di lei. Ti fa del male ma tu senza di lei non puoi andare avanti, diglielo”. La mia voce interiore ha ragione, come sempre d'altronde. Decido quindi per una via di mezzo, la cosa peggiore:

- Senti, Matilde. Sono parecchio confuso...io non lo so. Posso dirtelo tra un po'? -.

Pessima richiesta, me ne rendo subito conto. Non ha senso questa frase, ma quella ragazza mi ha creato così tanta confusione che non so più che cosa penso. Non ho più certezze, eccetto una: io senza Matilde non riesco a vivere.

Ricordo quei mesi iniziali in cui era la ragazza perfetta e penso a come ero felice, poi mi vengono in mente tutti i litigi e mi chiedo se potremmo stare insieme. No, o almeno non più credo. Eppure perchè le sono ancora legato, dopo tutto quello che mi ha fatto?

- Okay...dimmelo domani -, mi risponde lei, un po' stizzita. Ci salutiamo e mi accorgo che la nostra conversazione è durata quaranta minuti: pochissimo. Il nostro record è di due ore e quarantacinque minuti, alla fine di quella chiamata avevo l'orecchio a fuoco.

Poso il telefono sul comodino e mi accomodo meglio sul letto, cercando di fare un sonnellino pomeridiano. Dopo pochi secondi, però, Matilde mi chiama di nuovo:

- Ciao, scusa se ti richiamo. Devo leggere “Madame Bovary” per la scuola...posso leggerlo insieme a te? -. Sorrido: sono felice in questo momento. Probabilmente dovrò stare al cellulare per molto tempo ad ascoltare un audio libro in pratica, ma che importa? Al limite mi concilierà il sonno. Matilde comincia a leggere e io mi rendo conto di essere proprio felice: solo a me legge quel libro, solo a me chiede di aiutarla nei compiti, solo con me esce da sola. Quanto sarebbe bello se lei fosse sempre così dolce! Passerei ore a sentirla leggere. No, non posso proprio fare a meno di lei. Diventerei sicuramente pazzo.

  
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