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Autore: Sciabola di Avorio    01/04/2015    4 recensioni
Aiden Crawford è solo un ragazzo di 17 anni quando le certezze della sua vita incominciano a vacillare. Sua sorella Deanne contrae una misteriosa malattia che sta incominciando a dilagare in tutto il mondo, e dovrà lottare se vuole mantenere unita e viva la sua famiglia. Nel frattempo, mentre caos e distruzione si impadroniscono della Terra, la magia sembra tornare sul pianeta, come emblema di pace.
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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Pestilenza I

"Quando l'Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, vidi ed udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava come con voce di tuono: << Vieni >>. Ed ecco mi apparve un cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere ancora." (Apocalisse 6, 1-2)


Aiden si alzò svogliatamente dal letto, sbadigliando e passandosi pigramente una mano tra i capelli biondi, ispidi e scompigliati. Fuori era ancora così buio che faticava a scorgere la strada che passava proprio sotto alla finestrella di camera sua.
Era ancora così presto. Che ci faceva già sveglio e vigile? Propro lui, che dormiva come un ghiro...
Sentiva il cuore pesante come un macigno e l'ansia avvelenargli lentamente le budella.
... Aveva bisogno di un caffè.
Aprì il più silenziosamente possibile la sua porta e sgattaiolò in punta di piedi in cucina, evitando accuratamente di sbirciare o anche solo di soffermarsi un istante di più di fronte alla porta di sua madre.
"Sarà ancora viva?", si domandò, percosso da un brivido di terrore. "Stupide paranoie." prese a mordicchiarsi nervosamente il labbro inferiore, tremando nonostante non facesse affatto freddo.
Si sbrigò a raggiungere la cucina. Si sedette su una seggiola di legno. La stanzetta era illuminata a malapena dal lampione che da fuori rifletteva la sua luce ambrata contro la porta finestra. Aiden non aveva nemmeno provato ad accendere la luce: il lampadario era fuori funzione ormai da qualche settimana, ma nessuno in casa aveva ancora avuto il coraggio di addentrarsi nel paese per andare ad acquistare lampadine nuove.
Si chiedeva come diavolo facevano a mangiare.
"Il caffè", pensò, ma non fece alcun gesto per prepararlo. Si perse, piuttosto, nei ricordi...

<< Aiden. >>
La voce ferrea della madre alle sue spalle. La maledisse mentalmente. Sarebbe bastato così poco: stava per chiudersi la porta alle spalle, avrebbe acceso lo stereo e con la sua musica a tutto volume sarebbe stato pressochè impossibile udire quella noiosissima vocetta autoritaria, che non sapeva fare altro se non sparare ordini a raffica, come se fosse una sorta di inquietante robot.
Ma evidentemente, non era stato veloce abbastanza.
<< Che c'è? >> domandò, voltandosi pigramente. La donna si trovava dall'altra parte del salone, eppure sembrava minacciosamente vicina. Qualcosa nello sguardo di lei lo fece sentire inquieto.
Sulle prime, la madre non disse nulla. "Probabilmente mi ha chiamato perché è diventata una sua stupida abitudine... Oh, dalle solo un altro po' di tempo, e troverà un motivo buono per rimproverarti, o ti troverà un lavoro da fare. Cosa? Speravi di rilassarti? Ah, illuso!"
Si grattò distrattamente il collo. Quella situazione incominciava a irritarlo parecchio. "Avrebbe da trovarsi un nuovo marito, magari così smetterebbe di rompermi le palle"
<< Io... >> le parole le morivano tra le labbra. Eppure i suoi occhi dicevano così tanto! Aiden sentì il cuore accellerare. Cosa diavolo aveva combinato? Aveva fatto la doccia, sì, ma aveva rimesso a posto tutto. Quel giorno aveva addirittura preparato cena. Che aveva? << ... Deanne non sta bene, Aiden. >>
Deanne. Sentì come un colpo al cuore quando udì quel nome.
<< Come, non sta bene? >> sua madre scosse il capo. Il ragazzo si rese conto che stava combattendo per trattenere le lacrime. << Che le è successo? >> domandò ancora. Nessuna reazione. Ora gli occhi di lei sfuggivano quelli inquisitori del ragazzo.
<< Devo mandarti via, Aiden. >> parole che poco prima lo avrebbero fatto saltare di gioia, ma che ora suonavano fredde e terribili.
<< Mandarmi via? >> ora sì che avrebbe voluto barricarsi in camera sua. Che diavolo succedeva? Perché era impazzita? Cos'aveva Deanne?
Deanne...
Si rese conto che la battaglia interiore di sua madre era stata vinta, e ora grosse lacrime solcavano il suo viso, un tempo espressivo quanto una statua. Avrebbe dovuto andarle incontro, abbracciarla, consolarla, ma tutto ciò che riuscì a fare fu avanzare fino al divano e lasciarsi cadere pesante, come se fosse stato improvvisamente privato di energie.
<< Aiden, Aiden, ti assicuro che non vorrei, non vorrei... >>
<< Non parlare. >> sbottò. Se c'era una cosa che odiava, era la voce di quella donna. E distorta dal dolore era ancora più snervante.
<< E' per il tuo bene... >> pigolò. "Il suo bene". Si morse con violenza la lingua. Aveva così tante cose da dire, così tanti insulti da sputare, e sentiva tutta quella rabbia e quella tristezza invadergli il petto, ma non riusciva a reagire.
<< Dove. >> sussurò. << Dove, dove mi vuoi portare? >>
<< Lontano, in un centro, ti terrebbero al sicuro... >> "Al sicuro, da cosa?" Cercò di mettere ordine tra i pensieri. Era successo tutto in fretta, sua madre stava probabilmente impazzendo.
<< Tu hai bisogno di un centro, e anche in fretta. >> replicò, velenoso. << Deanne sta male, questo ti uccide, lo so. Ma ora devi riprendere la testa. >> doveva essere un attacco di panico, o una cosa simile. Quando era più piccolo sua madre aveva dei momenti di pura isteria, in cui urlava, e ordinava di fare cose insensate. Spesso, per non creare in lei ancora più ansia, la gente che la circondava la assecondava. Ma ciò non sempre era possibile, per cui la si obbligava a prendere qualche tranquillante. Anche solo berequalcosa di caldo sembrava avere un effetto terapeutico su di lei. "Beh, questa è una di quelle volte in cui non posso permetterle di averla vinta!"
<< Come puoi dirmi una cosa simile? >> singhiozzò, mentre le lacrime continuavano a bagnarle il viso. "Che spettacolo pietoso..."
<< Mamma, hai bisogno di uno psicologo, uno psichiatra, un dottore, di qualcuno! >> ora stava gridando. E si rese conto che stava sbagliando completamente metodo.
<< Tu sei mio figlio... >> si lamentò. Sembrava davvero soffrisse indicibilmente. << Devi fidarti di me... >>
<< Tu mi stai chiedendo di finire in un ospedale, sano come un pesce, perché mia sorella si è presa... Che si è presa? >> la madre non rispose, ma si lasciò scivolare contro il muro, piangendo disperata.
"Questo non va bene."
Si alzò, trovando chissà dove le forze, e si rinchiuse in camera. La porta cigolò, quasi come se gridasse pure lei di dolore.
Sua sorella Deanne. Quello era il suo pensiero. Una dolce ragazza di tredici anni, dai lunghi capelli color miele, proprio come i suoi, il viso dai lineamenti delicati, ma con gli occhi castani, come sua madre. Era partita da qualche giorno per andare dal padre, in quanto i genitori si erano separati, ed evidentemente aveva sviluppato lì la malattia.
"Sì, ma quale malattia?" Qualcosa di grave, o sua madre non si sarebbe disperata tanto. O forse... Beh, è risaputo che le donne hanno il cuore debole. Magari aveva preso un'influenza più dura del solito, ed ecco che la signora di casa andava in paranoia.
Ma magari era davvero grave. E in quel caso...
In quel caso, perché doveva andare lui via di casa? Probabilmente quella donna stava impazzendo.
Si gettò sul letto. Non era poi così tardi, ma si sentiva a pezzi comunque. Si mise sotto le coperte senza nemmeno togliersi i vestiti. Tempo di qualche minuto ed era scivolato in un sonno nero, con un sottofondo di pianti e grida isteriche...

Era stato solo un avvertimento. E sua madre, probabilmente non aveva tutti i torti a dare così tanto di matto.
Dopo qualche settimana che Deanne aveva contratto la Malattia, i giornali e le tv incominciarono a parlare di un misterioso morbo senza nome e cura. Stava mietendo vittime in tutto il mondo, ma per ora nessuno era ancora morto. Certo, si era sviluppata da poco. Per quel che ne sapevano, una persona che la contraeva poteva durare anni, convinverci per tutta la vita, oppure avere un timer, pochi mesi di vita ancora.
Sembrava brutto ammetterlo, ma da quando sua sorella si era ammalata, la loro famiglia era tornata più unita di prima. Deanne era confinata nel ripostiglio, dove avevano steso coperte e le passavano cibo e acqua ogni volta che lei lo richiedeva. 
Il ripostiglio era giusto a tre passi da dove si trovava Aiden. Era inquietato e curioso al tempo stesso. Avrebbe così tanto voluto abbracciarla,consolarla... Sapeva che la ragazza passava la maggior parte del suo tempo a piangere nel buio di quel claustrofobico stanzino. Ma non poteva fare nulla, assolutamente. O avrebbe rischiato di ammalarsi pure lui, e dovevano stare il più possibile attenti.
Correvano ogni giorno il rischio di contrarre la Malattia, ed erano stati già più coraggiosi del dovuto. Per legge, i malati dovevano venire "raccolti". Dove venissero portati, era un mistero. Fosse stato per loro padre, l'avrebbe consegnata subito nelle mani di quegli sconosciuti.
Ma sua madre, per quanto sembrasse pazza al principio, si oppose.
Aiden fu costretto ad ammettere che quella donna avesse più palle di dieci uomini messi insieme.
Consegnarla sarebbe stato come firmare la sua condanna. Avrebbero sperimentato su di lei, e qualora fosse stato impossibile curarla l'avrebbero uccisa.
Per quanto come teoria suonasse fantastica, Aiden non la considerava poi così lontana dal reale. I malati che venivano consegnati sparivano, e non lasciavano tracce dietro di sè.
<< Aiden. >> sobbalzò quando udì la madre. << Sei sveglio pure tu... >> la sua voce era poco più di un sussurro, ma Aiden temeva comunque che Deanne li avrebbe sentiti, tornando a lamentarsi, a chiedere aiuto. Quei lamenti suscitavano in lui un'angoscia tremenda.
<< Perché ti sei alzata? >> domandò, senza essere davvero interessato alla risposta.
<< Tuo padre russa, e mi sentivo inquieta. >> trovò che, come risposta, fosse piuttosto stupida. Poi, abbassando ancor più la voce, al punto che Aiden fu costretto ad allungare il collo nella sua direzione: << Ho sentito dei movimenti. >>
<< Movimenti? >> improvvisamente, Aiden sentì caldo. Sua madre si portò un dito alle labbra. Fece silenzio anche lui. Assorto com'era nei suoi pensieri non ci aveva fatto caso, ma dal piano di sotto, se tendeva bene l'orecchio, poteva sentire dei passi, voci... << I vicini... >> azzardò lui.
<< Se salgono... >> la donna gettò un'occhiata alla porta del ripostiglio. Aiden voleva chiedere chi, chi diamine doveva salire, ma in realtà dentro di sè lo sapeva fin troppo bene.
<< Non saliranno. >> disse con fermezza. Ma non ebbe il tempo di terminare la frase che udirono un gran fracasso. Si alzarono di scatto dalle loro sedie. Deanne, dalla sua prigione, incominciò a mugulare e a piangere, ad implorare per un po' d'acqua.
<< Oh, no... >> sua madre incominciò a singhiozzare.
<< Zitte. State zitte! >> sibilò Aiden, tirando un pugno alla porta del ripostiglio. Deanne soffocò un lamento.
Lentamente, Aiden abbandonò la cucina. Passo dopo passo, si avvicinava alla porta d'ingresso. Così fragile, non avrebbe retto se l'avessero sfondata. E sapeva fin troppo bene che quelli là fuori erano autorizzati a farlo, e l'avrebbero fatto. Avrebbe potuto spostare un mobile, oppure...
Incominciarono a battere con forza contro l'uscio.
"Non farli entrare." si disse, guardandosi attorno. Ma era perso.
Dall'altra sua madre prese a piangere.
<< Signori Crawford. Sappiamo che siete in casa. Aprite, e non vi verrà fatto alcun male. >>
Aprire? Non se ne parlava proprio. Aiden arretrò e corse nuovamente in cucina. Afferrò il coltello dalla lama più affilata che riuscì a trovare. Sua madre scuoteva il capo e piagnucolava.
<< Sta' zitta. >> disse ancora tra i denti.
Là fuori continuavano a bussare e a chiedere di entrare.
<< Sarò costretto a sfondare la porta. Sappiamo che avete una malata in casa. Consegnateci Deanne Crawford. >> gli ordini venivano impartiti in maniera secca, decisa. Aiden strinse meglio il manico del coltello. Come avrebbero fronteggiato degli uomini armati? Come finivano le persone che nascondevano dei malati? In carcere, o peggio?
Si avvicinò alla porta del ripostiglio. Appoggiò il palmo della mano sinistra su quel legno, quasi come se volesse mettersi in contatto con la sorella.
Deanne...
"Volete mia sorella?" si domandò con rabbia. Avrebbe voluto gridare, ma non conveniva. "Venitevela a prendere."
   
 
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