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Autore: Lele_91    20/12/2008    4 recensioni
Odore di fumo. Odore di sangue. Odore di morte. Fatica. A stare in piedi. A camminare. Dolore lieve ma perforante al piede, che senza scarpa calpestava frammenti di vetro. Da un occhio iniziò a vedere tutto tinto di rosso. Le luci dei lampioni così bieche, eppure così accecanti alla sua vista iniziarono a volteggiargli intorno. Cadde. E fu il buio. Non stava bene.
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sasuke Uchiha, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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REBIRTHING



Odore di fumo. Odore di sangue. Odore di morte.
Fatica. A stare in piedi. A camminare.
Dolore lieve ma perforante al piede, che senza scarpa calpestava frammenti di vetro.
Da un occhio iniziò a vedere tutto tinto di rosso.
Le luci dei lampioni così bieche, eppure così accecanti alla sua vista iniziarono a volteggiargli intorno.
Cadde.
E fu il buio.

Non stava bene.

Sentì delle voci.
Un lieve rumore elettronico.
Intravedeva la luce fin da sotto le palpebre.
Quando riuscì a socchiuderle un poco, venne abbagliato.
Strinse in fretta gli occhi aggrottando le sopracciglia.

Sono in Paradiso?
Non può essere…


Lui, in Paradiso? Non ricordava neppure di essersi mai pentito di qualcuno dei propri peccati. E ne aveva commessi tanti.
Doveva per forza essere ancora vivo, perché non gli sarebbero mai toccate le glorie del Cielo.
Ma qualsiasi Inferno era meglio della sua vita.
Stringendo le palpebre fino a sentire un dolore acuto alle tempie, pregò di essere morto.
Lui, che non era mai stato credente, che aveva creduto sempre e solo nella Vendetta.
Le sue preghiere furono vane.
Era ancora vivo.
Era sdraiato su un letto d’ospedale.

Non ricordava molto di quella notte…
Una troia gli aveva fottuto il portafoglio mentre tentava di sedurlo. Era stato fregato ed era incazzato.
Era insieme a Suigetsu.
Era lui che guidava.
Aveva bevuto? No… Suigetsu odiava l’alcool.
Lui beveva solo acqua, sempre e solo acqua.
Non era stato lui a causare l’incidente.
Il suo cuore si strinse in una morsa dolorosa a ripensare a Suigetsu.
[Incredibile che potesse ancora provare dei sentimenti…]
Forse era diventato davvero suo amico.
Lui non era sopravvissuto. Non meritava quella fine.
O forse lui stesso non meritava di essere ancora in vita.
Probabile.
Anche il conducente del furgoncino che li aveva travolti era morto. Lui sì che era ubriaco.
Il dolore era forte. Troppo forte.
E’ incredibile come la mente umana tenti continuamente di trovare vicoli di luce, di scappare dal dolore.
La sua mente fuggì nel passato.
Quelli che fino a quel momento non erano stati altro che fievoli e vaghi ricordi, ora gli si ripresentavano chiari e nitidi, come ad osservarli attraverso una finestra.
Non aveva mai considerato realmente Suigetsu come un amico quando era in vita, ma in un passato lontano, forse in un’altra vita, ne aveva avuti alcuni.
Il cuore gli si strinse di nuovo e lui lo odiò per questo, avrebbe voluto strapparselo via, con le sue stesse mani.
I volti di Naruto e Sakura gli stavano sorridendo nella sua testa.
Lui, biondo, occhi azzurri e vispi, con un sorriso ampio e stupido sempre stampato in faccia. Lei, con i capelli tinti di rosa, gli occhi grandi, verdi e un’espressione dolce.
I suoi compagni di liceo, i suoi amici…

Ma tu hai mai saputo cosa fosse veramente l’amicizia?


Sognavano di frequentare la stessa università.
Erano veramente tutti e tre così giovani e stupidi…
Chissà come stanno in questo momento… cosa staranno facendo? E com’è che era finita per loro?
Ah, sì… ricordava.
Durante una delle loro solite notti brave di giovani rivoluzionari, Naruto l’aveva messa incinta. Ricordava che la pancia di Sakura iniziava ad accennarsi un poco quando lui li aveva abbandonati entrambi.
Non era destino che le loro strade continuassero insieme.
Ora lì, steso su un letto d’ospedale, dopo anni che non lo faceva, si ritrovò a ripensare ai suoi vecchi amici, a sperare che almeno loro stessero bene.
Gli sarebbe davvero piaciuto rivederli, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
Pensò che Sakura, essendo così intelligente e brava a scuola, avesse frequentato l’università nonostante la gravidanza. Naruto era un bravo ragazzo… era stupido e ingenuo, ma non l’avrebbe mai lasciata. Era stato proprio il biondo a insistere per tenere il bambino.
Quanti anni avrà loro figlio adesso?
Non avevano ancora deciso il nome da dargli quando se n’era andato… neppure si era interessato se era maschio o femmina…
Dovrebbe avere più o meno cinque anni…
Il bambino senza volto e senza nome.
Il figlio di coloro che aveva reputato i suoi migliori amici…
Se le cose fossero andate diversamente, forse in quel momento, invece di essere lì, sofferente in un ambulatorio, ora starebbe giocando con un bambino schiamazzante… o forse una bambina…
Una voce maschile che tentava di richiamarlo lo distolse da quei pensieri.
Ma lui non volle aprire gli occhi.
“Signore… signore… ragazzo! Mi sente? Qual è il suo nome? Non abbiamo trovato alcun documento che la identifichi…”
Quella stronza ladra di merda…
Non aveva voglia di rispondere.
Far conoscere il suo nome non l’avrebbe fatto stare meglio. Non aveva nessun parente, nessun amico o conoscente a cui potesse interessare il fatto che lui fosse lì.
Perché lui era solo
Il suo unico parente ancora in vita durante la sua pubertà aveva sterminato la sua famiglia quando era ancora troppo piccolo per capire quanto il mondo fosse cattivo.
Suo fratello.
Per colpa sua, la sua vita era stata rovinata per sempre.
Aveva visto morire la propria infanzia in un orfanotrofio che puzzava di piscio e sotto i cui letti vi era un continuo brulichio di scarafaggi. Non aveva stretto amicizia con nessuno là dentro. In quegli anni aveva pensato solo alla sua vendetta. Era diventato quasi un modo per passare il tempo divertendosi: cercava di immaginarsi tutti i più orribili modi per uccidere.
La Vendetta era la sua unica vera amica.
L’aveva aiutato a sopravvivere durante quegli anni duri, durante quella giovinezza macchiata di sangue.
Era un po’ come una seconda mamma, o meglio, la donna della sua vita.
E alla fine non era riuscito a tradirla neppure per i suoi migliori amici.
Non si ricordava di preciso che cos’avesse provato in quei momenti…
Si sentiva stanco.
Anche quella voce maschile aveva smesso di chiamarlo. Si era rassegnato all’idea di non sapere il suo nome.
Per un istante, nella sua mente balenò l’idea che se mai fosse uscito vivo dal quel buco, si sarebbe fatto una nuova vita: avrebbe inventato un nome fasullo, si sarebbe fatto rifare i documenti dalle persone che solo lui conosceva, avrebbe cambiato città, nazione, identità.
Avrebbe ricominciato tutto da capo. Avrebbe fatto nuove conoscenze, nuove amicizie forse…
Prima di sprofondare nel sonno tuttavia, gli riapparvero i volti sorridenti di Naruto e Sakura e anche quello un po’ sornione di Suigetsu.
Il cuore gli si strinse nuovamente.

La mente umana sa essere inverosimilmente cattiva…


Cadde in un sonno agitato, oscuro, pieno di urla e lacrime, sporco di sangue e malavita.
Due fari che si avvicinano troppo velocemente, sbandando. Gli occhi sgranati di Suigetsu. Le grida “SCANSALO! SCANSALO! MALEDIZIONE!!” i fischi di una frenata, il volante che gira da solo, l’auto impazzita “CAZZO!” Urto, luci, vetri. Poi silenzio. Buio.
Fu svegliato da una voce femminile ed un tocco delicato sulla spalla. Finalmente provò a riaprire gli occhi. La luce artificiale lo accecò nuovamente, ma quei pochi secondi bastarono per intravedere la figura accanto a lui. Pensò di essere morto sul serio, durante quella notte.
Non aveva forse visto un angelo?
Era una donna giovane, con lunghi capelli biondi e gli occhi di un azzurro intenso. Non venivano forse rappresentate così le dee o gli angeli, in quegli antichi affreschi?
Il rumore elettronico del suo elettro-cardiogramma gli suggeriva che invece si trovava ancora in quello schifosissimo ospedale.
Gli venne voglia di piangere.
“Buongiorno, poltrone!” Si sentì dire da lei.
No, sicuramente non era quel tipo di angelo…
Lui provò a risollevare le palpebre. Solo allora si accorse di poterne alzare solo una. Una benda gli copriva l’occhio destro. Guardò nuovamente l’infermiera al lato del suo letto. Non aveva avuto un’allucinazione, era proprio simile a un angelo.
Ma in fondo a lui queste cose non erano mai interessate.

Non esiste il Paradiso, solo questa vita è il nostro Inferno.


L’infermiera lo guardò, le iridi chiare riflettevano la luce di una gioia di vivere e di una purezza che lui aveva ormai perduto da tempo. La trovò stupida, ma allo stesso modo ne provava una sorta di invidia. Lei gli rivolse un sorriso.
Pensò che dovesse essere davvero un bel ragazzo, prima che quell’orribile incidente gli sfigurasse metà volto. “Allora… dimmi, come ti chiami?”
Lui la osservò per qualche istante, poi aprì la bocca, ma non vi uscì alcun suono.
La ragazza intervenne subito “Fai piano, con calma, hai un tubo infilato in gola che ti aiuta a respirare, è normale che sia difficile parlare all’inizio” Chiara, semplice, schietta.
Lui aprì di nuovo la bocca e questa volta riuscì a pronunciare alcune sillabe “S… Sa… Saaa…” Riprese fiato, deglutì. Sentì il tubo dentro la trachea muoversi fastidiosamente “Sas… Sa… Sasu…k…” “Sasuke?” Domandò lei, anticipandolo. Lui si bloccò e annuì lievemente con la testa, sconfitto.
Perché le aveva rivelato il suo nome? Perché, come aveva progettato la sera prima, non le aveva detto una falsità? Perché sentiva di non poterle mentire?
“Bene, almeno adesso sappiamo come ti chiami, Sasuke” squillò lei, sorridendogli dolcemente. “Non mi importa che tu mi dica anche il tuo cognome in questo momento!” “Ah, ma allora con te parla.” Sasuke sentì nuovamente la voce maschile del giorno precedente. “Vieni con me nella stanza 25, c’è bisogno di te, sbrigati!”
La ragazza annuì, poi tornò a guardare il giovane. “Io adesso devo andare, ma se tu dovessi sentirti male, tieni questo e premi il pulsante, farai suonare il mio cerca-persone!” Gli mostrò un piccolo marchingegno elettronico e gli mise nella mano destra una sorta di telecomando con un bottone rosso.
Solo allora Sasuke realizzò che non aveva nemmeno tentato di muovere un muscolo da quando era lì.
Gli ci volle qualche secondo per sentire la presa attorno al telecomando farsi più salda. Provò ad alzare il pollice ed appoggiarlo, non senza qualche difficoltà, sopra il pulsante. Raccolse la forza. Premette.
Il cerca-persone della giovane squillò. “Perfetto, visto che ci riesci, io vado. Chiamami se hai bisogno!”
Si incamminò a passo svelto verso l’uscita della stanza.
Lui la seguì con lo sguardo.
Appena fu arrivata alla soglia premette di nuovo il bottone. Lei osservò il quadrante di quell’oggetto e si voltò “Hai bisogno di qualcosa?”
Voleva solo sapere come si chiamasse, non sapeva il perché, ma non voleva che andasse via. Riaprì la bocca e provò a parlarle, ma riuscì soltanto ad emettere un suono roco. “C’è qualcosa che vuoi dirmi?” Lui sapeva che aveva fretta. Scosse lievemente il capo. Lei gli sorrise nuovamente “D’accordo allora!”
Sorpassò la soglia. Sasuke vide i lunghi capelli della sua coda svolazzare nell’aria, da dietro lo stipite. Sembravano fili d’oro. Raperonzolo, pensò stupidamente.
Eppure venne colto da un improvviso senso di nostalgia vedendoli sparire alla sua vista.
Era rimasto di nuovo solo. Solo, con i rumori degli apparecchi elettronici che controllavano il suo stato di salute. Solo… con i suoi ricordi.

Era stato Itachi a sterminare senza pietà la sua famiglia.
L’aveva visto con i suoi occhi, sorpassarlo con in mano la pistola fumante. Un colpo per mamma, due per papà. Non era riuscito a dire nulla alla polizia. Aveva perso l’uso della parola.
Aveva paura. Tanta.
Perché Itachi l’aveva fatto? E perché aveva risparmiato proprio lui?
Chiuso in quell’orfanotrofio, muto, non aveva fatto altro che pensare ad un modo per ucciderlo.
Era una cosa che gli rodeva l’anima e non sarebbe stato in pace finché non avesse avuto giustizia.
A scuola conobbe degli amici e sembrò aver dimenticato ciò che gli era successo, il suo scopo.

Calma apparente.


Il Male, un male così grande non può essere sotterrato così facilmente.
Il dolore può affievolirsi, ma non scomparire del tutto.
E basta poco, pochissimo per farlo di nuovo esplodere.
Aveva saputo che Itachi era tornato in città.
Con lui, era arrivato il tempo della vendetta.
Non riusciva a pensare ad altro, la sua mente continuava a ritornare su quella promessa che si era fatto da piccolo, VENDETTA.
Nemmeno Naruto e Sakura avrebbero potuto fermarlo. Infatti non ci riuscirono.
Sasuke non pianse per loro.
Sasuke aveva già da tempo finito le sue lacrime per colpa di Itachi.
Ed era giunto il momento di ripagarle.
Si era diretto in un bar malfamato in cui era stato una sola volta. Si mise in contatto con Suigetsu, un coetaneo che contrabbandava armi, di qualunque tipo. Si mise d’accordo con lui, formarono una squadra. Suigetsu collaborò in cambio di pochi soldi, perché Sasuke “gli stava simpatico” e poi perché di tanto in tanto gli rifilava qualche bella donna e organizzavano orge.
Grazie a Suigetsu era riuscito a trovare Itachi… ed era riuscito ad ucciderlo.
Poteva finalmente rinascere.
Aveva raggiunto il suo scopo.

Ma la Rinascita si tramutò in Morte…


Non era stato Itachi.
Non era lui il colpevole.
Era solo stato incastrato.

Sasuke sentì gli occhi bruciare. Strinse le palpebre, si ordinò di non piangere.
Ma a volte il volere non basta.
Itachi era sempre stato buono con lui. Non era molto presente a casa, ma lo ammirava tantissimo perché era intelligente, e tanto. Era il suo idolo. Poi talvolta, lo portava a fare un giro sul lago, quando mamma e papà non c’erano. Il piccolo Sasuke si divertiva tanto…
Si mise a singhiozzare, incurante del dolore al collo, le lacrime scesero copiose dai suoi occhi stanchi.
Ripensò di nuovo a Suigetsu. Al fatto che nonostante avesse ogni genere di vizio, fosse morto proprio a causa di quello che odiava di più.
Suigetsu era rimasto con lui anche dopo la morte di Itachi.
Ma adesso che pure lui se n’era andato, cosa gli rimaneva?

Aveva perduto tutto… di nuovo.


Da sotto le palpebre abbassate e livide, sol prima di addormentarsi nuovamente Sasuke vide una miriade di fili dorati.

Che fosse quella la risposta?


Quella notte sognò ancora.
Sognò il volto di suo fratello con gli occhi aperti ma spenti, un rivolo di sangue passante in mezzo a questi, proveniente da un foro sulla sua fronte.
Si risentì ridere come un pazzo per il compimento della sua adorata Vendetta.
Riascoltò il grido da lui lanciato nello scoprire la Verità.
Di nuovo sangue, di nuovo lacrime.
Tutto si spense.
Poi improvvisamente fu di nuovo la luce.
Si ritrovò in un campo, un luogo aperto e soleggiato, in mezzo ad un’innumerevole quantità di fiori.
Un paesaggio che si era sempre rifiutato di vedere, perché sin da piccolo sapeva che NIENTE era così…
Eppure, sentiva una sorta di sollievo, si sentiva leggero.
In mezzo al campo scorse una donna con i lunghi capelli biondi raccolti in una coda, gli occhi azzurri e limpidi. Indossava un vestito viola e reggeva tra le mani un mazzo di rose.
Gli stava sorridendo.
Sasuke si svegliò.
Piegò leggermente la testa di lato e guardò il cielo azzurro, fuori dalla finestra. I raggi del sole entravano dentro come fili d’oro.
In quel momento pensò solo ad una parola: Rinascita.
Sul suo volto, comparve un sorriso.

Solo verso sera l’infermiera bionda tornò a fargli visita.
Si sedette su una sedia imbottita, di fianco al suo letto e lo guardò sorridendo.
“Come andiamo oggi? Ho saputo dai miei colleghi che hai passato una giornata piuttosto tranquilla e che ti rimetterai presto!”
Sasuke le guardò le dita, che reggevano una cartella di fogli.
Non portava anelli.
Non avrebbe saputo dire il perché quella scoperta lo rendesse felice.
La guardò negli occhi:
Chi sei tu?
Lei sembrò stupirsi di quella domanda, poi di mise a ridere e rispose:
“Ah, è vero, scusami! Che maleducata che sono stata a non presentarmi! Il mio nome è Yamanaka Ino!”
La vide arrossire un poco, forse per via del suo buffo nome.

Ino


Solo allora vide che era scritto anche su un tesserino affisso ad una tasca del camice bianco.
Si sentì un po’ stupido, ma le sorrise.
Aveva di nuovo sonno e gli dispiaceva, gli sarebbe piaciuto parlare un po’ di più con lei.
Allungò stancamente una mano verso quella di Ino che non esitò a stringergliela dolcemente con le dita lunghe e sottili.
“I-Ino… rimani qui… non andartene… ti prego…”
Quando lei era vicina, ogni suo male sembrava così lontano… le strinse la mano.
“D’accordo.”
Lui chiuse gli occhi e si addormentò, non diede nemmeno molto peso al fatto che quella sedia imbottita il giorno prima non ci fosse.
Ino sorrise e senza mollare la mano del suo paziente appoggiò le carte e si sistemò, cercando una posizione più comoda, anche se ormai, sapeva come fare.
Era già la seconda notte che passava su quella sedia, di fianco a quel letto, stringendo quella mano…

And there’s no Hell,
there’s no Heaven,
there are only you and me…
Rebithing.





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