Se pensava a Robin, la prima cosa che gli veniva in mente era un buon profumo di fiori, delicato, piacevole, irresistibile.
Da un paio di giorni, però, quell’odore non si avvertiva più in nessuna parte della nave. Precisamente era da quando Robin aveva preso l’influenza e Chopper l’aveva costretta a stare a letto finché non si fosse ripresa del tutto. E intanto Zoro si sentiva del tutto impotente: se di Robin si stavano già occupando la renna e quel damerino del cuoco − «Chiedimi tutto quello che vuoi! Sarò il tuo umile servo, Robin-chwan~♥», non che già non lo fosse, comunque − a lui cosa diamine rimaneva da fare per rendersi utile? In che modo avrebbe potuto farla sentire meglio?
La risposta gli giunse alla mente proprio quella mattina, quando, spinto dal desiderio di risentire quel buon profumo di fiori, si ritrovò per la prima volta nella serra in cui Robin coltivava piante di specie diverse con una cura quasi maniacale.
Lì scoprì che i fiori, non essendo stati innaffiati dalla proprietaria, stavano lentamente appassendo. I petali avevano perso il loro colore vivace, le foglie si erano raggrinzite, gli steli si erano piegati. E non emanavano più quella fragranza fresca che di solito sentiva addosso a Robin.
Gli mancava quell’odore, era da troppo tempo che non gli invadeva le narici lasciandolo piacevolmente stordito.
E c’era solo una cosa da fare se voleva risentirlo.
Si guardò intorno furtivo e, dopo aver verificato che non ci fosse nessuno a spiarlo, afferrò l’annaffiatoio e versò un po’ d’acqua nel primo vaso.
Fissò i fiori per qualche secondo, come se da un momento all’altro potessero magicamente tornare rigogliosi, poi eseguì la stessa operazione per le altre piante. Ad un certo punto rifletté su ciò che stava facendo e si ritrovò ad aggrottare la fronte infastidito. Lui che reggeva un annaffiatoio invece di un peso per l’allenamento... ma come si era ridotto così? Non era uno stupido giardiniere, dannazione, era un guerriero!
Con un movimento veloce svitò il tappo dell’annaffiatoio, lo capovolse e versò tutta l’acqua rimasta in un solo vaso.
Il terriccio contenuto all’interno non riuscì ad assorbirla interamente, di conseguenza parte dell’acqua fuoriuscì dal vaso.
Incurante del piccolo disastro, gettò l’annaffiatoio per terra e si allontanò.
In cuor suo, però, sapeva che il giorno dopo sarebbe passato di nuovo ad innaffiare quelle stupide piantine.
Perché per Robin erano preziose e in fondo erano fonte di quel profumo a cui lui stesso non avrebbe mai voluto rinunciare.


Quando Robin si sentì meglio e Chopper le concesse di alzarsi dal letto, la prima cosa che fece fu andare a far visita ai suoi fiori.
Aveva gentilmente chiesto a Sanji di occuparsene durante quei giorni e lui, ovviamente, aveva accettato più che volentieri [«Quando starai bene, i tuoi fiori saranno ancora più belli e profumati di quanto già non lo siano~♥»]. Una volta guarita, quindi, Robin raggiunse la sua serra, constatando che il cuoco aveva tenuto fede alla sua promessa. Non aveva avuto dubbi, d’altronde.
Allora si recò in cucina e lì lo trovò intento a cucinare il pranzo.
«Grazie per esserti preso cura dei miei fiori, cook-san».
Sanji le sorrise, senza smettere di armeggiare tra i fornelli.
«Non devi ringraziare me, Robin-chan, ma quella stupida testa d’alga di Zoro, per quanto mi costi ammetterlo. Quando mi hai chiesto di occuparmi delle tue piantine, sono subito salito nella serra e lì ho trovato il marimo con l’annaffiatoio in mano. C’è mancato poco che lo prendessi a calci: ha rischiato seriamente di rovinare le tue piantine versando troppa acqua. Ma mi sono trattenuto, perché per la prima volta stava facendo qualcosa di carino. E per tutti i giorni successivi ha fatto lo stesso lavoro. Dovevi vederlo, si guardava sempre intorno per paura di essere scoperto...».
Robin aveva ascoltato il discorso di Sanji con un’espressione di pura meraviglia stampata sul volto.
«Zoro ha fatto davvero questo... per me?».
Sanji stava per rispondere di sì e che stentava anche lui a crederci, ma ormai Robin era scomparsa dalla cucina.


«Zoro».
Lo spadaccino, poggiato con la schiena alla ringhiera della nave, aprì l’occhio sano.
La figura alta e slanciata di Robin si stagliava davanti a lui. Si sentì sollevato. «Ohi, sei guarita».
La donna sorrise, inginocchiandosi per guardarlo meglio in viso. «Ti sei occupato dei miei fiori, è stato un pensiero gentile».
Zoro sgranò impercettibilmente gli occhi. Credeva che non se ne fosse accorto nessuno, ma evidentemente qualche membro della ciurma l’aveva spiato e si era pure fatto una bella risata nel vederlo armeggiare con annaffiatoio, vasi e terriccio. Ma non poteva certo dire a Robin che aveva stupidamente sperato che far rifiorire quelle piante potesse in qualche modo contribuire alla sua guarigione.
«Passavo di lì per caso. Stavano appassendo e ho pensato che fosse un peccato, visto quanto ci tieni», borbottò imbarazzato.
«Be’, ti ringrazio». Senza smettere di sorridere, Robin si chinò a baciargli una guancia.
Zoro, dopo un’intera settimana, avvertì di nuovo il familiare profumo di fiori che gli era tanto mancato.
E si sentì bene, dannatamente bene.