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Autore: lapoetastra    02/04/2015    2 recensioni
Non so più cosa significhi essere felici, allegri.
Non ricordo più alcun sapore che non sia quello salato del mio pianto e quello marcio del pane stantio che mi danno da mangiare gettandomelo in faccia come fossi una bestia.
Ma in realtà è proprio questo che sono.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cara Joel,
è difficile esprimere tutto l’amore che provo per te in queste poche righe.
Eppure ci devo provare, perché altrimenti so che non riuscirei mai a perdonarmelo.
È difficile, questo momento, per me.
Vorrei correre tra le tue braccia, stringerti e baciarti come una volta, quando eravamo due corpi e una sola anima.
Ora, invece, l’unico mio compagno è il buio scuro e fitto, che mi circonda ed avvolge come una coperta perenne di notte, anche quando è giorno.
Non rimembro cosa sia il Sole, ormai esso è un ricordo sbiadito nella mia mente.
Sfumato, lontano.
Perso per sempre.
Il mondo per me inizia e finisce in questo misero quadrato di spazio, angusto e soffocante.
Forse sono morto, magari mi trovo all’Inferno.
Mi piacerebbe molto che fosse così, eppure so che non lo è, perché altrimenti non proverei nulla, sarei unicamente un guscio vuoto, una sincope.
Invece soffro ogni momento, ogni giorno che mi scivola via dalle dita come una corrente d’acqua fredda senza che riesca a percepire il suo lento trascorrere.
Sto male, qui, e le lacrime umide che mi rigano il volto lavando via la sporcizia lo testimoniano.
Non so più cosa significhi essere felici, allegri.
Non ricordo più alcun sapore che non sia quello salato del mio pianto e quello marcio del pane stantio che mi danno da mangiare gettandomelo in faccia come fossi una bestia.
Ma in realtà è proprio questo che sono.
Un animale, senza vestiti e senza più alcuna legge morale e civile.
Mi sdraio nei miei stessi escrementi, cammino per il piccolo spazio gattonando e strisciano sul freddo pavimento come una serpe.
Non mi vedo, ma so che ormai non sono altro che un cadavere che respira, anche se non vorrei più farlo.
Meglio morto, che continuare a vivere così.
Non devo disperare, però.
Tra non molto il mio desiderio si avvererà.
Verrò condotto in quella sala che da quando sono stato rinchiuso qui è per me solo come un lontano miraggio, un’oasi nel deserto che è adesso la mia esistenza vuota.
Non ti ho mai chiesto molto, Joel.
Ma c’è una cosa che vorrei tu facessi per me, ora.
Vieni alla mia esecuzione.
Fa’ sì che prima che i miei occhi vengano coperti dalla mascherina ed il mio corpo squassato dalla corrente, io ti possa vedere un’ultima volta.
Fa’ sì che il mio sguardo si possa posare ancora per un attimo sul tuo dolce viso di bambina e che venga riscaldato da quella luce paradisiaca che è la tua vista, l’unica che mi ha impedito di sprofondare nei meandri oscuri della mia anima martoriata.
Ti prego, Joel, fa’ sì che io possa morire con il tuo ricordo nella mente.
È l’unica cosa che ti chiedo.
È il mio ultimo desiderio.
Mi manchi.
Ti amo.
Albert

 

Calde gocce caddero sul foglio stropicciato e sgualcito, sbavando l’inchiostro e cancellando le parole.
Leggendo quella lettera trovata per caso in un cantuccio della propria angusta cella, Phil piangeva.
Piangeva per quell’uomo che non aveva mai conosciuto ma che molto tempo prima era stato esattamente dove si trovava lui adesso, nella medesima situazione e con lo stesso destino che gli si prospettava davanti.
E piangeva per sé, Phil, perché lui non aveva lo stesso privilegio di Albert.
Lui non aveva una ragazza da poter rivedere un’ultima volta, prima dell’esecuzione che in un secondo lo avrebbe strappato alla vita.
E neanche un amico o un parente.
Lui non aveva nessuno.
Nessuno che potesse salutare.
Nessuno a cui dire addio.
Nessuno che gli ricordasse quanto fosse bello il mondo al di fuori di quella cella.
   
 
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