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Autore: CassandraBlackZone    03/04/2015    2 recensioni
AGGIORNAMENTO: 13° capitolo
[Jeff the Killer]
È impossibile. È una sua complice. L’ha tenuta in vita per uccidere più persone: è un’esca umana. Ci farà ammazzare tutti.
No, è inutile. Ogni giorno cerco di farmi coraggio e provare a raccontare la mia versione, così da smentire ogni sorta di voce, ma non ci riesco. Io vorrei davvero… raccontare cosa successe realmente quella notte di un anno fa. La notte in cui i miei genitori vennero uccisi.
Il mio nome è Elizabeth Grell. Sedici anni. E sono sopravissuta al tentato omicidio di Jeff the killer.
Genere: Azione, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeff the Killer
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non riuscii a smettere di piangere e di tremare. Non considerai l’aiuto di Ben che, come al solito, cercava di aiutarmi il più possibile, né tanto meno quello di Matt e David: rimasi accovacciata sulla sedia e con la testa affondata nelle ginocchia; ero come ritornata al punto di partenza. Dentro di me mi maledivo e urlavo in silenzio delusa :«Io l’ho visto… e lui ha visto me…» continuavo a ripetere tra le lacrime.
L’immagine di quella figura in piedi all’angolo della strada non dava cenno di sparire dalla mia mente. Occhi aperti o chiusi era sempre lì, che mi fissava.
«La situazione si sta facendo più complicata» disse David, per quanto fossi in grado di capire.
«Allora… è vero che ha dei collegamenti con Jeff.»
«Non dirlo neanche per scherzo, Matt!» gli ringhiò Ben spaventandolo :«Ci deve essere sicuramente una spiegazione. Non dobbiamo lasciarci influenzare da delle stupide voci di corridoio, ma dobbiamo attenerci ai fatti.»
Sentii le ruote di una sedia avvicinarsi a me. Delle mani si appoggiarono leggere sulle mie spalle: erano Ben e il suo altruismo.
«Ascoltami, Lizzie. Io voglio aiutarti, ma se ti comporti così non lo posso fare.»
Non risposi.
«Lizzie, Come facevi a sapere che era lui? Sei riuscita a vederlo in faccia?»
Scossi la stessa.
«Ok. Ora ascoltami, noi non abbiamo fretta, perciò puoi prenderti tutto il tempo che vuoi.»
«Scusa…» fu l’unica cosa che riuscii a dire tra un singhiozzo e l’altro :«Scusa…»
Le sue mani scivolarono lungo le mie braccia per prendermi i palmi e li baciò: sentii un piacevole brivido percorrermi la schiena, un incentivo che mi diede la forza di alzare la testa e guardare negli occhi Ben. Respirai profondamente prima di decidermi a parlare.
«L’odore…» risposi ricordando :«C’era vento e… ho sentito… l’odore. Era lo stesso.»
Ben annuì senza reagire alle mie parole e si limitò ad accarezzarmi le mani. Faceva solletico, ma mi aiutò a calmarmi ulteriormente.
«Che cosa ha fatto?»
«Niente. Ci siamo guardati. Per tre minuti.»
Con la coda dell’occhio, notai che Matt si apprestò ad aggiornare il raccoglitore con un pennarello rosso.
«Poi rientrai e… non lo so… io…»
«È normale» mi precedette lui :«è del tutto normale.»
Nessuna domanda, considerazione o una qualunque deduzione da parte del grande leader: tutto ciò fece fu solo un sorriso rassicurante e l’ennesimo bacio sui palmi.
«Per oggi va bene così.»
Distrutta, sconvolta e furiosa. Questa volta non accettai la gentilezza di Ben e me ne tornai a casa da sola. Cenai forzandomi di sorridere davanti ad una nonna Jo  ignara di ciò che stavo facendo da diversi giorni e mi rinchiusi in camera mia, con la testa che pulsava per il pianto sfogato quel pomeriggio.
Era tutto inutile. Quei dannati ritagli di giornali sulle presunte apparizioni di Jeff, tutti i suoi inconfondibili profili, sembravano non volermi abbandonare: perché, mi chiedevo, perché sta accadendo tutto questo a me?
 
Giorno 33  
          
Le mie occhiaie difficilmente non vennero notate dai ragazzi, che come al solito mi chiesero se stessi bene. Non mentii: non stavo affatto bene.
Passai la notte a rimuginare su quanto accaduto il giorno prima, senza riuscire ad addormentarmi. A colazione il mio stomaco si rifiutò di mangiare le frittelle ai frutti di bosco di nonna Jo; nonostante il profumo invitante della pastella, ad ogni forchettata che avvicinavo alla bocca, lo stomaco rispondeva arrotolandosi su se stesso. L’ora di pranzo non fu da meno, ma sono veramente questi i problemi che mi resero la giornata insostenibile? No, il bello, purtroppo, doveva ancora arrivare, e mi aspettava dietro alla porta di Mrs. Tucker: la psicologa della scuola.
«Vuoi che entri con te?» chiese il disponibile Ben, che non mi lasciò da sola dalla prima ora di lezione. Non che la cosa non mi dispiacesse, ma trovai la cosa un po’… stressante.
«No, grazie.»
«Non hai proprio una bella cera. Durante matematica ti ho vista un po’… assente, ecco.»
«Infatti lo ero» prima di entrare, scacciai per l’ultima volta dalla mente il tormento della nottata precedente :«Ci vediamo più tardi, Ben.»
 
Non idonea alla terapia, così c’era scritto in rosso su quello che sembrava una cartella clinica. Mrs. Tucker mi restituì il diario ( più precisamente, me lo lanciò addosso) fulminandomi con uno sguardo glaciale e distaccato; ovviamente non le piacquero gli ultimi aggiornamenti della settimana. Di nuovo.
«Pensi sia uno scherzo, vero?», ringhiò lei a denti stretti, :«Pensi sia divertente?»
Era arrabbiata, era palese: i suoi riccioli biondi erano gonfi e aggrovigliati fra loro, non più ben definiti e leggermente appoggiati sulle spalle. I deliziosi completi color pastello a cui erano abbinate delle ballerine in vernice nera vennero sostituiti da degli orribili vestiti dai colori spenti e un paio di scarpe da ginnastica consumate. Una vera e propria trasformazione.
Dov’era finita la dolce e sempre sorridente Alicia Tucker, che si era offerta di occuparsi di me? Ammetto che è una domanda che mi pongo ogni volta che vado da lei per farle leggere il diario o seguire i suoi consigli, alias, rimproveri peggio di una madre incavolata. Se le cose continueranno ad andare avanti così, finirò con l’odiarla sul serio. Ammesso che ci sarà, una prossima volta.
«In che senso?»
«E hai anche il coraggio di chiederlo?» Mrs. Tucker riprese il diario aprendolo ad una pagina a caso. Scelse i giorni tra il ventunesimo e il ventisettesimo :«Che cosa sono questi, eh? Tu e i tuoi amici fate ricerche su Jeff? La terapia prevedeva che tu scrivessi ciò che ti affliggeva, ciò che pensavi.»
Più che sulle sentenze di Mrs. Tucker, la mia attenzione era concentrata sul tono con cui disse amici, che mi irritò e non poco; anzi, mi fece arrabbiare.
Fu così strano alzarmi dalla poltrona per poi guardare Mrs. Tucker dall’alto in basso, ma fu comunque una bellissima sensazione: ero stanca e irritata, di certo non poteva fermarmi una donna che non si era nemmeno laureata come si deve in psicologia (voci di corridoio, ma attendibili), non era l’unica a saper fare la dura della situazione.
«Si sbaglia. La richiesta era quella di scrivere sì, le mie sensazioni, i miei pensieri eccetera, ma anche la mia routine nei particolari. Ed è quello che ho fatto. Non l’ho chiesto io a loro di parlarmi di Jeff. All’inizio non volevo, ma dopo un po’ mi ha interessato l’idea di…»
«Di cosa?! Scrivere magari un romanzetto dove racconti come sei uscita dal trauma? È un diario, Lizzie! Un diario!»
«Il diario è qualcosa di strettamente personale e io ho deciso di utilizzarlo così. Non le piace come scrivo? Be’, mi dispiace, in questo caso.»
Mrs. Tucker era pronta a lanciarmi una seconda volta il povero diario, ma si fermò per appoggiarlo il più delicatamente possibile sul tavolo, facendo uno sforzo disumano per allargare un sorriso :«Ascolta, Elizabeth, lo scopo della terapia è quello di aiutarti a superare il tuo trauma. Questo diario deve essere l’amico con cui confidarti.»
«Ma io ora ho degli amici» la imitai. Provocatorio, ma efficace :«È ovvio che mi aiuta a scaricare la tensione, non l’avrei mai detto, ma è così, solo che ora ho anche l’appoggio di qualcuno e questo mi fa sentire… ancora più bene.»
«Ascolta… non credo che tu abbia capito la situazione in cui ti trovi» che sorpresa, pensai, di punto in bianco è ritornata normale  :«se continuerai così non riuscirai a vivere bene. Devi dimenticare quella brutta storia e non andarle incontro, mi capisci? Questo, non è quello che vuoi.»
Rimasi in silenzio. Non sapevo cosa pensare, io restai a guardarla, mentre lei allargava un altro dei suoi sorrisi da perfetta psicologa. Davvero pessima. Chi si credeva di essere, continuavo a chiedermi, mentre la fissavo in quei odiosi occhi da cerbiatta e supplichevoli di una mia qualche risposta fatta e prevedibile. No. Non idonea alla terapia, giusto? Era scritto nero su bianco, dove tutti quegli stramaledetti medici avevano firmato per esteso per il mio rilascio; d’ora in poi non sarei più stata vincolata da nessuno, potevo fare quello che volevo; non dovevo nemmeno più stare ad ascoltare questa vomitevole ipocrita davanti a me.
«Grazie» le ricambiai il sorriso, sicuramente più sincero del suo :«Grazie per aver cercato di prendersi cura di me»
Fu tutto istintivo: mi ripresi il diario per rimetterlo nello zaino e feci per andare.
«Tua nonna non sarà molto contenta di questa tua decisione»
«Invece lo sa» risposi subito. Questa volta mentii spudoratamente, ma senza mostrare nessun tipo di insicurezza, mentre Mrs. Tucker sembrò quasi spaventata all’idea che nonna Jo sapesse :«Può anche chiederglielo, se non mi crede» lo ammetto, rischiai davvero, ma era evidente da come mi squadrò Riccioli d’oro, che non avrebbe osato provarci. La sua paura trasudava copiosamente dalla fronte.
«Spera che Dio ti assista» disse lei con disprezzo, come se in realtà volesse lanciarmi una maledizione.
Mi girai per l’ultima volta «Sa, forse ha ragione. Appena finirò di scrivere il diario, lo pubblicherò.»
 
Ci volle un po’ prima che Ben smettesse completamente di ridere. Mi bastò descrivere com’era vestita Mrs. Tucker per stimolare i suoi recettori della risata.
«Incredibile. Sei riuscita a far sgonfiare quel bel soufflé della Tucker?»
«Ma quale soufflé. Se devo essere sincera non mi è piaciuta fin dalla prima volta che la vidi. È odiosa.»
«Sì, dà l’idea di essere palesemente falsa.»
«E lo è, credimi.»
«Quindi… Questo è il famoso diario della terapia, dico bene?» Attirato dal diario, Ben prese in mano il diario e lo iniziò a sfogliare interessato.
Nessuna limitazione, significava anche poter finalmente raccontare a qualcuno della terapia. Spiegai a Ben in cosa consisteva quest’ultima e cosa avrei dovuto scrivere per sessanta giorni.
«Cioè… fammi capire: scrivere almeno due pagine su questo diario per circa due mesi avrebbe dovuto farti sentire meglio?»
«Be’, ora posso anche non farlo più, visto che mi hanno ritirata dalla terapia. Quello è diventato un normalissimo diario.»
«Non è poi tanto normale, visto che parli di Jeff. E devo dire… che non scrivi nemmeno così male. Matt e David morirebbero dalla voglia di leggerlo. Oh, hai scritto su di noi!»
«A proposito, dove sono?»
«Lavori per il ballo scolastico. Mancano pochi giorni ormai.»
Ben e io rimanemmo ai tavoli di cemento all’entrata della scuola. Mentre Ben era impegnato a leggere, io ne approfittai per pensare a cosa avrei dovuto fare da quel momento in poi. Dire a nonna Jo che i dottori e la psicologa mi avevano abbandonata? Non sarebbe stato poi così tanto necessario; a lei, come me, non stavano simpatici. Usare il diario così come l’avevo iniziato? L’idea mi allettava molto e forse… era anche l’unica soluzione plausibile, ma c’era qualcosa che mi disturbava… o meglio, sentivo che qualcosa mancava.
«Sopravvissuta… diario…»
La voce di Ben spezzò il filo dei miei pensieri e mi fece girare verso di lui, che era pensieroso quanto me :«Come hai detto,scusa?»
«Oh, scusami, Lizzie! Stavo solo pensando.»
«A… che cosa?»
«diario della terapia, ora è, diciamo, il diario di Lizzie, solo non esattamente tuo… pensavo che ci potesse stare bene un altro nome
Lo guardai un po’ perplessa. Un… nome? Che fosse veramente quello la cosa mi mancava?
«Come ho detto prima, non è un normale diario. Insomma, è abbastanza fuori dal comune, no? E poi, se lo devi pubblicare, ti servirà un titolo.»
«Ben… Mrs. Tucker era ironica…»
«Io la chiamerei più una sfida. Prova ad immaginare la sua faccia quando vedrà il tuo diario su uno scaffale di una libreria.»
«Oh, sarebbe uno spettacolo imperdibile!»
Insieme, scoppiammo a ridere, ignorando i ragazzi che ci fissavano ( o meglio, che mi fissavano), quando all’improvviso smettemmo di colpo, poiché incrociai lo sguardo di Ben: ci guardammo per un interminabile minuto, lui sorridendo, mentre io pregavo che non fossi arrossita.
«Eccola» disse con una certa soddisfazione e annuendo :«Questa è Lizzie.»
«Che vuoi dire?»
«Sorridente, spiritosa e fancazzista . In pratica, Lizzie
«Fan-… ehi!»
«Dai! Stavo scherzando! Ow!»
Inevitabili furono gli ennesimi sguardi di studenti e professori attorno a noi mentre ci picchiavamo, ma li ignorammo nuovamente, lasciandoci andare in quel breve momento di pura infantilità.
«Diario di una sopravvissuta» sbottò Ben ad un tratto.
«Come?»
«Il nome per il tuo diario. Che ne dici?»
Ritirati i pugni, ripetei più volte quello che probabilmente sarebbe diventato il titolo da scrivere sul diario. Alla quinta volta, allargai un sorriso rivolta verso Ben: non suonava affatto male.
«Semplice e diretto. Mi piace!»
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Ok… ok…  Capitolo abbastanza… banale… insomma, questo lo penso io. Purtroppo la scuola mi ha stesa. Altro che vacanze di Pasqua, mi aspetteranno comunque giorni di studio intenso… ma cercherò di aggiornare più velocemente da ora in poi. Mi scuso di nuovo e segnalatemi tutti gli errori possibili ed inimmaginabili.
A presto!
 
Cassandra

 

   
 
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