Serie TV > Da Vinci's Demons
Segui la storia  |       
Autore: Chemical Lady    03/04/2015    3 recensioni
[Seguito di No Good Deed]
Passò gli occhi da una cartina all’altra, soffermandosi un istante sull’astrolabio che l’uomo davanti a lei le stava mostrando, fino ad arrivare alla pelle conciata dell’abissino.
La prese fra le mani, passandovi sopra le dita e saggiandone i rilievi, prima di alzare gli occhi in quelli di Leonardo. Il momento era giunto e lei si era preparata per quel giorno sin dalla sua nascita.
Aggirò il letto, andando verso quel piccolo scrigno che aveva sempre portato con sé, in ogni suo spostamento, quasi come se in esso vi fosse il più prezioso dei tesori.
Invero, era proprio così: Il diario di suo nonno, la chiave, il libro di Bologna e tutti i suoi appunti. Ore e ore passate a tradurre, interpretare e cercare di comprendere ciò che volevano dire.
Poi era arrivato lui, quell’artista folle dall’intelletto unico e tutto si era svelato: i pezzi di quel intricato puzzle erano finalmente disposti davanti a loro, ancora sparsi, ma pronti a rivelare la loro celata trama.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Ciao a tutti!
Questo capitolo…. Dio mi viene da piangere quindi non dico nulla se non buona lettura e non odiatemi!
Con questa sofferenza si chiude la prima parte della storia.
La seconda è più complessa e iniziano un po’ le sofferenze per tutti, primo Raffaele.
Ringrazio coloro che leggono e in particolare la mia bellissima coinquilina Lechatvert che mi ha permesso di prendere un pezzetto della sua storia ‘L’ombra del Giglio Rosso’ che trovata linkato a fine capitolo.
Se volete conoscere davvero  Levi di Fonterossa/nera – suo personaggio- andate a leggerla. Se la conoscete già, mi dispiace davvero.
A presto,
Jessy
 
Amor onni cosa
vince
 
Parte prima:
Raro cade, chi ben cammina.
Capitolo Sesto:
Appesa fu la fiducia.
 
 
*
 
 
Will you still love me when I’m no longer young and beautiful?
Will you still love me when I got nothing but my aching soul?
Young and Beautifull - Eli Lieb cover
https://www.youtube.com/watch?v=JG-0F-WF9oU 
 
 
 
 
 
 
Fu il freddo e una strana sensazione di solitudine a svegliarla.
Si girò fra le lenzuola candide e le trapunte ricamate a mano, prima di aprire gli occhi disturbata da quell’assenza non ancora registrata.
Girolamo non c’era.
La cosa non la stupì, inizialmente, prima di riportare alla mente il luogo in cui si trovavano. Ma poi una sensazione di forte disagio la colse. Dove poteva essere andato, suo marito, all’alba a Firenze?
Si alzò, prendendo una vestaglia lunga per coprire la camicia da notte e si affacciò nella stanzetta in cui dormiva Alessandro.
La sola presenza che riscontrò, eccetto quella del pargolo addormentato, fu quella di Mae sotto alla culla, che alzò il capo per guardarla.
Beatrice sospirò, tornando indietro e cambiandosi.
Si vestì alla meno peggio, infilando un vestito molto semplice che poteva allacciare da sola sul corsetto, prima di infilare gli stivali e uscire dalla stanza.
L’intero palazzo pareva ancora addormentato.
Come dar torto a tutti? Il sole stava sorgendo stancamente proprio in quel momento.
Scese la scalinata ampia, accarezzando il corrimano marmoreo quasi con la dolcezza di una madre che accarezza il volto del figlio.
Era così strano…
Aveva camminato per quei saloni e quelle scale per così tanti anni, correndo, ridendo, piangendo o semplicemente vivendo fra quei grandi saloni che, improvvisamente, s’erano fatti enormi ai suoi occhi. Tutta l’intimità di casa sua era del tutto svanita, lasciando il posto a quegli ampi spazi freddi e umidi.
Spostò gli occhi ceruli dal corridoio che conduceva alle stanze di suo fratello Lorenzo, finendo di scendere una delle scalinate e ritrovandosi sul pianerottolo centrale.
Fu a quel punto Giuliano la raggiunse.
Scese con impeto la prima scalinata, ritrovandosi di fronte la sorella “Cosa t’ha svegliata all’alba?” domandò stupito, mentre lei sorrideva pallidamente per salutarlo.
“Sono diventata mattiniera.” Fu la risposta sardonica della contessa, che celava una mezza verità. Era mattiniera per le preoccupazione che gravavano sulle sue spalle, non per scelta.
Forlì, la sua gestione, la sua gente, il figlio…. Girolamo.
“Tu, piuttosto, cosa ci fai sveglio? Mi sembra di ricordare che vederti sveglio prima del mezzogiorno, eccetto quando c’è da andare a messa, sia raro.”
Giuliano aveva un viso grave, teso che non fece altro che incupirsi quando sentì quella domanda.
Beatrice capì che qualcosa non andava.
La guardò indeciso, come se vi fosse un segreto tra lui e qualcun altro, ma poi si convinse e parlò.
“Leonardo da Vinci. È scappato. Siamo andati a rincorrerlo, diciamo.”
Beatrice corrugò le sopracciglia “Come scappato?”
“Lorenzo l’aveva posto sotto stretta sorveglianza, che stamane ha eluso.”
Beatrice lo guardò sorpresa, ma non ebbe il coraggio di chiedere altro.
Non avrebbe sopportato ancora insinuazioni di Lorenzo, non voleva che l’accusasse di nuovo di essere una spia del marito o peggio…
Del Papa.
Fu Giuliano a chiudere la parentesi che egli stesso aveva aperto, tutto d’un fiato, evitando inutilmente di indorare un’amara pillola.
“Si è incontrato con Girolamo Riario, con tuo marito.” Disse e quando lei non trasalì lui proseguì nel racconto, senza domandare quanto immischiata fosse, ma fidandosi naturalmente di lei “Pensavamo volesse vendergli le macchine belliche di cui Lorenzo stesso aveva pagato la costruzione…. Invece le ha testate su di lui. Ma sta bene!” si affrettò a dir veloce il fratello, quando la vide sgranare gli occhi di colpo “Quella viscida serpe di tuo marito è fuggita, incolume, seppur spettinato e non a lungo composto e cencioso.”
La contessa sospirò, chiudendo gli occhi e portando una mano al petto con sollievo, prima di realizzare cosa effettivamente Giuliano aveva detto.
“Aspetta…. Come scappato? Ha lasciato Firenze?”
“Grazie a Dio sì!” esordì il ragazzo, quasi sollevato.
Non capiva però perché la sorella fosse così ferita da quell’atto, fino a che non si ricordò di un piccolo dettaglio. Era suo marito e aveva lasciato la città alle prime luci dell’alba dopo una batosta morale e fisica.
Lasciandola lì, dimenticandosi di lei.
“Perdonami, Beatrice.” Le disse costernato, facendosi vicino e appoggiandole le mani sulle spalle, per poterle accarezzare piano fino al gomito “Sono stato un idiota… Io…”
“Non devi scusarti. Non tu.” Ammise la giovane, guardandolo attentamente, prima di sospira profondamente, schiacciandosi contro al suo petto e godendosi un lungo abbraccio.
Stretta fra le braccia di suo fratello, per un istante, dimenticò la tristezza.
Si ritrovò di nuovo bambina, coccolata e amata.
Non aveva bisogno di altri se c’era Giuliano, lui era un balsamo per le sue ferite e le leniva dal profondo, curandole l’anima.
“Rimani.” Le disse il fratello con tono deciso, accarezzandole il volto fino alla linea della mascella, nascosta dai capelli scuri. “Non tornare a Roma, né a Forlì. Rimani qui con noi…. Almeno per un po’. Non posso pensarti al centro di una faida di questa portata.”
Beatrice ci pensò su il tempo di un sospiro, poi annuì.
“Resto.” Disse risoluta, seppur appena sussurrandolo e Giuliano la strinse di più, baciandole il capo.
Forse era azzardato sfidare suo marito a quel mondo, ma l’aveva abbandonata al suo destino insieme a loro figlio e lei era risoluta a prenderne le redini una volta per tutte.
Sarebbe rimasta a Firenze sino a che l’avrebbe desiderato.
O fino a che forze maggiori l’avrebbero portata a lasciarla.
Si staccò dal fratello, sorridendogli pallidamente, ma caricandosi di una nuova energia mentre scendevano anche l’ultima rampa di scale.
“Perché non andiamo a fare colazione? Sono sicuro che Becchi sarà felice di aver compagnia, si solito è il solo che scomoda le cucine a quest’ora infausta.”
Giuliano rise, aprendo la bocca per rispondere con la solita, sottile battuta di spirito, ma venne interrotto ancor prima di iniziare.
Riuscì giusto a porgere il braccio a suo sorella affinché lo prendesse, quando dall’ingresso spunto Olivieri.
Era sudato e ansante.
Beatrice lo guardò stupida, mentre cadeva con le ginocchia a carponi sugli ultimi due gradini della rampa, un paio di metri sotto di loro.
“Edoardo, che accade??” chiese preoccupata, sollevando appena l’orlo della gonna e lasciando il fratello per correre da lui.
Il poverino era ansante e troppo stanco per parlare subito, così lei passò una mano fresca sul suo viso, portando via il sudore dalla sua fronte e scostando i capelli.
“Edoardo, per carità, parla!”
“Mia Signora…” iniziò il rosso, provando a parlare nonostante l’affanno “Dovete seguirmi immediatamente….”
“Non ti seguirò da nessuna parte, siediti e calmati.” Fece per aiutarlo a sedersi, ma quando lui si aggrappò al suo braccio, lei capì che la situazione doveva essere davvero drastica.”
“Il… Il conte di Fontenera…”
Farfugliò, mentre Giuliano gli passava un calice pieno di acqua, portato con furia da una serva.
“Cosa è successo a Levi?” chiese preoccupata Beatrice.
A quel punto, Olivieri si bloccò per un istante.
Abbassò il capo, mentre la sua bocca si torceva in una smorfia.
Poi, con un rassegnazione, parlò.
“È morto, mia Signora.”
E tutto tacque. 
 
 
Beatrice aveva visto molti uomini morti, nella sua vita.
Prima di diventare contessa, solo in occasioni delle impiccagioni pubbliche, alle quali la sua famiglia doveva presenziare, visto che spesso era suo fratello a infliggere quel tipo di pena.
Quando però arrivò correndo davanti alla facciata in costruzione di Santa Maria del Fiore, non poté evitare di gridare perchè, appeso a testa ingiù dalle impalcature del cantiere, non trovò un uomo morto, magari trucidato da una lancia o una freccia nell’atto di compiere il suo dovere verso il Signore e verso la sua terra, ma il Conte di Fontenera, con gli occhi aperti e la bocca tagliata in un macabro sorriso. Era appeso per la gamba sinistra, con la destra piegata e legata al ginocchio dell’altra.*
Quella, però, non era nulla se paragonata alla scena che si stava consumando sotto al corpo del giovane.
In ginocchio, come nell’atto di pregare, c’era Raffaele.
Fissava con sguardo perso la figura dell’amante, ucciso e sfigurato.
Avvicinandosi Beatrice inorridì.
Le gocce di sangue, che colavano dalla gola tagliata del povero Levi e che cadevano verso terra, non arrivavano mai a colpire il suo, bensì cadevano sul volto del cardinale.
Come vermiglie lacrime.
“Cugino…” Lo chiamò dolcemente, ma lui non sembrava nemmeno essersi accorto della sua presenza. Con la manica stretta nel pugno, Beatrice gli pulì il viso, spargendo il sangue sul volto e strofinandolo via, sporcandosi l’abito e le mani. Tremava, aveva paura e voleva solamente esplodere a piangere. Non sapeva cosa fare “Raffaele, ti prego…. Raffaele! Mio Dio…Giuliano!”
Suo fratello stava cercando di dissipare la folla accalcata, insultando e spingendo i guardoni e ordinando alle guardie cittadine di svolgere il loro compito, ma non appena Beatrice lo chiamò corse da lei.
“Aiutami, ti prego…”
Si diedero il cambio.
Giuliano si chinò sul cardinale, sfilandosi la cappa con su il blasone dei de’Medici per avvolgerci la figura sottile del giovane Riario, sollevandolo praticamente di peso e mettendolo in piedi mentre Beatrice scoppiava.
Con un singhiozzo rumoroso, iniziò a piangere, totalmente distrutta e incapace di rialzare gli occhi.
Portò il dorso della mano alla bocca per frenare i singhiozzi, ma non ci riuscì molto, perché così facendo vide i palmi, tinti del sangue di Levi che aveva tolto dal volto di Raffaele.
“Tiratelo giù, Dragonetti.” Farfugliò tra i singhiozzi, mentre guardava Giuliano portar via Raffaele “Tiratelo giù e portatelo nella cappella di famiglia, ma non fatelo toccare a nessuno.”
“Come ordinate, madonna.”
Beatrice si sbrigò a seguire il fratello e il cugino verso il palazzo de’Medici, senza più levar lo sguardo sul corpo del povero Levi, ben sapendo che anche così non avrebbe mai rimosso dalla mente un tale scempio.
 
 
Il cerusico uscì dalla stanza in cui Raffaele riposava, rassicurando la contessa che per nulla al mondo doveva essere disturbato.
Aveva anche proposto un piccolo salasso, per riequilibrare gli umori e cercare di farlo alzare da quel letto che sembra quasi esser stato scelto per divenire la sua tomba, ma il giovanissimo cardinale si era rifiutato.
Non voleva vedere nessuno, parlare con nessuno o aver contatto di alcun tipo.
Tornati dalla piazza aveva solo disposto che nessuno toccasse Levi, che nessuno s’avvicinasse o l’avrebbe processato per eresia personalmente.
Tutti avevano ascoltato le sue esortazioni, non spaventati ma pieni di pietà verso un così giovane animo, dilaniato da folle dolore.
Beatrice ascoltò il medico, tenendo gli occhi sulla porta della stanza, ma rispettò il volere del cugino.
Doveva avere il tempo per metabolizzare, per farsene una ragione.
Sicuramente non lo avrebbe mai accettato, ma doveva scendere a patti con se stesso.
Scendendo piano le scale, Beatrice guardò sempre verso il basso, troppo triste per dire o fare qualsiasi altra cosa non fosse mettere un piede di fronte all’altro e tenersi la gonna dell’abito nero a lutto, per non inciampare.
Nella cappella della famiglia de’Medici, a vegliare il corpo senza vita di Levi di Fontenera, trovò Giuliano e Clarice, insieme a Gentile Becchi.
La donna le andò incontro, abbracciandola e non chiedendo nulla.
Vedere Raffaele in quello stato aveva fatto sprofondare il cuore di Beatrice nella tristezza più assoluta, che comunque non poteva essere equiparata a quella che doveva provare il cugino per aver perso l’amore della sua vita.
La contessa rimase abbracciata alla padrona di casa, tenendo il capo appoggiato alla sua spalla, sino a che non azzardò qualche passo verso il tavolo su cui il giovane era stato disposto, intoccato come richiesto dal cardinale, se fatta eccezione per gli occhi.
Qualcuno glieli aveva chiusi, in segno di rispetto.
Ora, con quegli orribili tagli a deturpargli la bocca e le guance meno visibili all’occhio, sembrava quasi dormisse.
“Che brutta fine.” Disse Giuliano, avvicinandosi alla sorella e abbracciandole le spalle, mentre lei accarezzava il dorso freddo della mano del malaugurato.
“Chi mai potrebbe aver fatto una cosa del genere?”  chiese indignato Becchi, non trovando un senso a quel quadretto.
Chi poteva voler tanto male a quel giovane che non aveva colpa alcuna se non una spensieratezza che s’addiceva alla sua età?
Nessuno parlò, ma quando Clarice scambiò uno sguardo con  Giuliano, questi non si riuscì a trattenere “Perdonami Beatrice, ma credo tu sappia bene a chi mi riferisco, quando dico che una volta entrata una faina nel pollaio, non possono esserci altro che morti.”
La contessa sorrise tristemente “Paragoni mio marito a una faina? E io ti rispondo che hai ragione…”
Tutti rimasero in silenzio, guardando la più giovane lì presente.
Sapeva benissimo che era stato Girolamo.
Chi altri poteva essere stato?
Se fossero stati di manigoldi, ubriachi e in cerca di ricchezze da spendere al Can che Abbaia, lo avrebbero semplicemente spogliato di qualsivoglia oggetto prezioso e forse buttato dentro all’Arno.
Non avrebbero perso tempo ad appenderlo come un pupazzo.
Non l’avrebbero messo in mostra, per la gioia dei lor stessi occhi e della folla che bramava storie da raccontarsi mentre aspetta l’ora di messa.
No.
Quella era stata una dimostrazione e solo Girolamo Riario dava dimostrazioni.
Anzi, come aveva insegnato a Beatrice, mandava messaggi.
“Perché dovrebbe averlo fatto?” chiese Clarice, non trovando un senso a quel gesto così sconsiderato “Il Conte Riario aveva interesse nella morte di questo giovane?”
“Sì.” Rispose Beatrice quasi assente “Ma non per colpa sua…. Semmai di sua moglie.”
Becchi la guardò sorpreso “Non sapevo che il Conte di Fonterossa avesse una moglie, poiché la donna che portava con sé ieri sera alla festa era la moglie del caro Rangoni, un buon uomo che ho conosciuto in quanto governatore di un modesto ma prolifico paesello. È passato al censo non più di un anno fa.”
No, la contessa non parlava di Bianca, ma di Porpora di Vallesanta, di cui fra l’altro ignorava la sorte.
Era semplicemente sparita dalla circolazione e a Beatrice non mancava. Non poteva mancare, dopo quanto aveva fatto per portare alla fine di Orso.
O almeno di questo la contessa si era convinta.
“Girolamo ha ucciso Levi perché l’ha visto crescere.” Decretò infine Beatrice, come se con quella frase all’apparenza priva di senso e che se mai doveva dimostrare un sentimento diverso da quello che Riario manifestava nei confronti di Levi, smise di speculare su quella morte.
Fu qualcun altro, però, ad avere l’ultima parola.
“Girolamo ha ucciso Levi perché è cresciuto insieme a me.”
Tutti si voltarono verso la porta, dove Raffaele se ne stava immobile, a fissare con espressione persa il tavolo su cui Levi giaceva, sotto all’affresco della venuta dei Magi.
Avanzo di qualche passo, tirando con sé la porpora che aveva deciso di indossare in quanto momento solenne.
Con un piccolo inchino reverenziale, sia Clarice che Becchi lasciarono la stanza, chiudendo la porta.
Giuliano si fece solo da parte, mentre guardava la sorella abbraccia Raffaele così forte da fargli cadere a terra il cappello rosso come la toga.
Lo strinse forte, mentre il corpo del ragazzo veniva scosso dai tremiti dei singhiozzi e anche lei riprese a piangere.
Si sentì un po’ ipocrita perché conosceva poco Levi e l’aveva visto in poche occasioni, ma quel giovane dirompente le aveva fatto bene al cuore. Era buono di cuore e teneva alti gli spiriti.
Non meritava una tale fine.
Erano sempre coloro che dovevano vivere per il bene degli altri, a lasciare il mondo per raggiungere il Signore.
Il cardinale si staccò dall’abbraccio per primo, voltandosi verso il corpo dell’amato. Si chinò su di lui, mentre le labbra gli tremavano in modo a dir poco incontrollabile e gli accarezzò i capelli, permettendo a qualche lacrima di sfiorare il volto di Levi.
“Sento che sto morendo anche io…” sussurrò, tra un singhiozzo e l’altro, e subito la cugina accorse, appoggiandogli le mani sulle spalle e accarezzandole piano, mentre anche lei guardava il viso di Levi, che più avrebbe sorriso ne a lei ne a Raffaele “Era da me, stanotte. Era al convento con me e io l’ho lasciato andare via…. Gli avevo promesso che avrei scritto a Girolamo di lasciarlo in pace come ogni volta, per poi portarlo a passeggiare a Ponte Vecchio. Dio, sono così stupido…. Dovevo tenerlo lì con me a costo di legarlo. Non dovevo farlo uscire!”
Un pianto folle, incontrollato, lo scosse al punto tale che Beatrice dovette sostenerlo e quando anche lei si sentì venir meno, caddero entrambi sulle ginocchia, di nuovo stretti nel pianto.
Giuliano capì.
Dal modo in cui Raffaele aveva parlato…. Dal modo in cui l’aveva guardato….
Capì e sentì una stretta allo stomaco che non seppe spiegarsi.
“Il Conte Riario pagherà.” Si limitò a dire, leggermente nel panico, prima di lasciare la stanza e il lutto a sua sorella e al cardinale.
Beatrice lo guardò andarsene di volata, tenendo gli occhi su di lui fino a che la porta non si chiuse. Poi si concentrò sul cugino.
Non seppe dire quanto tempo rimasero così, abbracciati ai piedi del tavolo, con lei che gli accarezzava i capelli e lui che le piangeva sul petto. Si addormentarono anche, totalmente stremati da tutto quel dolore che aveva straziato il cuore di Raffaele, lesionandolo in modo permanente.
Quando Raffaele tornò in sé si scostò, destando Beatrice “Devo occuparmi di lui.” Disse sottovoce, prima di sollevarsi sulle gambe tremolanti.
Lei lo seguì e insieme si diedero da fare.
Spogliarono Levi, lavarono il suo corpo con una paio di delicate pezze di pelle di agnello, poi lo rivestirono, pronto per le esequie.
Il tutto senza parlare.
Solo quando ormai avevano fatto, Raffaele si decise ad aprire bocca per spezzare quel silenzio assordante.
“Non lo perdonerò mai.” Disse deciso e la sua voce non più sussurrata rimbombò per tutta la stanza. Prese fra le mani il cappello rosso da cardinale che gli era caduto appena entrato e lo appoggiò sul capo di Levi, ricordando tutte le volte che il giovane aveva espresso la volontà di averne uno.
‘Potresti regalarmelo, Raffaele’, cielo, gli pareva di sentirlo ‘tu ne hai così tanti!’
Riprese a piangere senza rendersene conto.
Decisamente non avrebbe mai perdonato Girolamo.
Aveva visto crescere il loro amore con i suoi stessi occhi, li aveva in un certo senso protetti da loro stessi e non aveva fatto menzione di ciò che erano per non farli sembrare abominevoli agli occhi del papato….
E poi gli aveva portato via la cosa più bella che gli fosse mai accaduta.
“Non lo perdonerò mai.” Ripeté nuovamente, stavolta con rabbia. “Brucerà all’inferno, per questo e se Dio mi ascolta, non dovrò aspettare la vecchiaia per godere della sua rovina.”
Beatrice non disse nulla, perché se avesse dovuto prendere una parte, sarebbe stata quella del cugino e non quella del marito.
Sospirò, guardando Raffaele sistemare i capelli mossi di Levi, prima di tornare al suo fianco “Dove lo seppellirai?”
“Nel duomo di Pisa, non permetterò che marcisca a Fontenera.” rispose il cardinale, sorprendendola. “Laddove tutti i giusti dovrebbero stare, ovvero in un luogo che renda loro giustizia e dove gli uomini pii possano pregarli e prenderli a modello. Il nostro mondo sarebbe un luogo ricco di bellezza se tutti fossimo più come lui…”
Fece una pausa, poi guardò Beatrice e nei suoi occhi, la ragazza non lesse nulla se non un profondo vuoto che doveva essere il medesimo che aveva nel cuore.
“Poi Fonterossa è troppo lontano da me. Devo averlo vicino, per andare a trovarlo tutti i giorni, come avrei voluto fare quando era ancora mio. Ora perdonami, ma vorrei rimanere solo con lui…”
Lei annuì piano “Mi trovi nei miei alloggi. Per qualsiasi cosa, sono qui per te.”
Raffaele si chinò su di lei, baciandole piano le guance e poi le labbra, con un delicato tocco simile ad ali di farfalla.
“Ti amo, cugina. Sei la persona più buona che esista e ringrazio il Signore per l’averti qui ora.”
“T’amo anche io, cugino. Non esiste esercito che possa impedirmi di piangere con te, adesso…”
Raffaele sentì le lacrime tornargli agli occhi, così fece un piccolo cenno a Beatrice, che si incamminò velocemente, lasciandolo solo.
Quando la porta si chiuse, il cardinale si piegò su Levi, baciandolo piano sulle labbra gelide per un ultima volta.
“Mi dispiace tantissimo, amor mio.” Sussurrò, stremato “Non sono stato in grado di proteggerti, di badare a te.”
Si morse il labbro fin quasi a farlo sanguinare, cercando di non singhiozzare.
C’erano cose che sentiva di dover dire ad ogni costo.
“Ora tu baderai a me, però. So che qualsiasi cosa farò, in qualsiasi luogo si compirà il mio destino, ci sarai tu. Ti giuro che mi vendicherò di ciò che ti è accaduto e renderò giustizia alla tua memoria per il resto dei miei giorni…”
Tolse una lacrima dalla sua guancia, ma quando ne cadde un'altra e poi molte altre, smise anche solo di provarci.
“Ti amo”
Disse ancora.
“Mai ti dimenticherò.”
 
 
 
 
Dear lord when I get to heaven
Please let me bring my man
When he comes tell me that you’ll let him
Father tell me if you can
 
*Pezzo riportato quasi pari dal capitolo di Lechatvert sulla morte del povero Levi:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1946917&i=1
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Da Vinci's Demons / Vai alla pagina dell'autore: Chemical Lady