Three: Counting Stars
“What now? Plan B, that's what.”
Le nove in
punto.
Petunia la va a trovare. È lunedì,
è
imbarazzante, e Lily le prepara della limonata. La maggiore delle Evans
le fa
appena un cenno per ringraziarla. Non c'è niente dopo quello, non per
un po',
perché Petunia non parla e Lily ha paura di chiedere. Non è nemmeno
sicura di
quale sia la domanda, ma ce n'è una. Lo sa.
Siedono in silenzio, anche Petunia
trattiene le
parole per una volta.
C'è una silenziosa fitta pulsante
nel petto di
Lily; lo stesso fremito di qualche dozzina di viaggi in treno fa,
quando Lily è
andata ad Hogwarts per la prima volta. Petunia ne è inconsapevole,
ovviamente.
O forse anche lei sta sedando i suoi piccoli demoni. È ancora amaro in
bocca a
Lily – il rimpianto, l'irreparabile verità che ormai sono troppo
lontane nelle
proprie vite – ma non è più qualcosa che entrambe non possono gestire.
Non è un
pensiero piacevole, ma è così.
Fissano entrambe il retro del
divano davanti a
loro, sedute sugli sgabelli al bancone della cucina. Lily appoggia il
mento
sulla mano, Petunia beve la sua bibita con la cannuccia. È quest'ultima
che
termina il silenzio. “Allora.” Lily alza la testa per ascoltarla. “Hai
finito?”
“Ho finito?”
“La scuola.”
“Oh. Sì. Suppongo di sì.”
“E adesso?”
“Io...” Lily non lo sa, ad essere
sincera. Non
del tutto. Ci sono dei calderoni nella camera di riserva al piano di
sopra,
alcuni ancora accesi e bollenti mentre parlano. Ha appena avuto il
tempo di
pulire i fumi quando ha sentito il campanello. Lo dice a Petunia? Come
fa ad
iniziare a spiegarle?
E adesso? Il piano B, ecco cosa. E
Lily non ha
avuto idea di da dove iniziare il primo giorno a casa, come fabbricare
un nuovo
futuro attorno all'assenza di certe persone che ha sempre immaginato ci
sarebbero sempre state. Non c'era niente quando si è allontanata da
Sirius alla
stazione. Ma la situazione è come è, e non c'è niente da fare tranne
andare avanti
con la propria vita. Fare qualcosa. Iniziare da qualche parte.
Ora c'è l'inventarsi un progetto
investigativo
di pozioni abbastanza rilevante da farla accedere al tirocinio al
Ministero,
qualcosa per cui Lumacorno le ha mandato un gufo qualche giorno fa, e
poi
guadagnarsi abbastanza riconoscimento per magari acciuffare una
posizione al
dipartimento di giustizia più in là. È un percorso lungo, ma... è
qualcosa.
“Sto lavorando per avere questo tirocinio,” dice Lily. “Non è
retribuito, non
ancora, ma mi darà passaggio. Mi prenderò un lavoro da queste parti
mentre lo
faccio, però, non preoccuparti. Per le bollette e tutto.”
Petunia è silenziosa. Prende un
sorso misurato
della sua bibita. È uno spreco di tempo cercare di rovistare la sua
espressione
per una traccia di approvazione, quindi Lily decide di fissare il suo
cappello
sempre immacolatamente appuntato sulla sua testa. “Non devi vivere qui,
sai,”
dice Petunia.
Lily non sa cosa si stesse
aspettando, ma non
era quello. “Lo so.”
“E adesso che hai finito con-”
“Tunia, non funziona così.”
“Vieni a vivere in Surrey con me,”
esclama
Petunia, le parole che le scappano velocemente come se così fossero più
semplici da dire.
“Surrey?”
“Lasciamo Cokeworth. Vieni a vivere
con noi. Non
nella stessa casa, ma posso trovare degli accordi, e possiamo trovarti
un
lavoro – Vernon dice che sua sorella ha questo negozio carino in
centro, e tu
puoi-”
“Tunia...”
“Perché no?” la sua voce prende una
nota più
alta. Più tremante. “Hai finito, no? Hai sprecato sette anni di vita,
Lily, ed
è abbastanza. È tempo di crescere da tutto quel folle nonsenso di
bacchette.”
“Questo è quello che sono.” Lily
stringe i
pugni. Era brutto quando era diventato evidente che Petunia non
capisce, ma è
peggio cercare di spiegarle mille volte, e ottenere lo stesso
risultato. “Non è
solo una fase che mi prende e poi ne esco.”
“Lo è se lo vuoi.”
Lily non vuole. È fuori questione.
E quello è il
problema. “Come sta Vernon?”
“Cosa?”
“Come sta Vernon? È il suo nome,
giusto?”
Petunia appoggia il bicchiere, il
tintinnio più
rumoroso del solito, e Lily è sicura che sua sorella non chiederà più.
“Sì.
Vernon. Stiamo bene.”
“E' meraviglioso, Tunia.”
Petunia finisce la limonata,
borbotta qualche
fievole scusa per andarsene, poi si alza in fretta. Raggiunge la porta
in lunghi
passi, come se non possa sopportare essere lì. Come se la disgustasse.
Sulla
soglia, si volta. Lily, che l'ha seguita, infila le mani nelle tasche
dei
jeans. Stanno entrambe fissando lo stesso punto del pavimento di
linoleum.
Petunia delibera, spazzola dei fili inesistenti dal suo cappotto.
“Puoi cambiare chi sei, Lily,”
dice. “E' quello
che le persone saranno sempre in grado di fare. Cambiare.”
Lily non risponde. Petunia fa un
respiro
profondo, rassegnato, e si aggiusta il cappello con le dita veloci.
“Rimaniamo
qua fino a martedì.”
“E' nel mio sangue,” dice Lily,
forte e chiaro,
come se fosse l'ultima dannata volta che potrà mai dirlo a Petunia. E
lo è, non
è vero? È nel suo sangue. La magia. Un intero mondo nascosto. Ed anche
quando,
proprio ora, sembra che esserne parte significhi che lei sta se ne sta
costantemente andando, o viene costantemente lasciata indietro, allora
che sia
così. Ma questo è chi lei è. Lei non è il problema.
E lei combatterà per
quello. Non sguscerà via di nuovo nel suo “fetido posto”, che sia
Demetria
Greengrass o sua dannatissima sorella a riportarcela.
C'è una orribile pausa prima che
Petunia si giri
e poi, freddamente, dica: “Allora forse non condividiamo lo stesso
sangue.”
La villa dei Potter si alza sulla
cima di una bassa
collina, antica, orgogliosa e adornata dall'estate. Un sentiero di
pietra si
stende da una corta rampa di scalini lastricati da larghe pietre che
portano
all'alto portone doppio, gigli e giunchiglie come accoglienti
sentinelle su
entrambi i lati. Il sentiero si divide appena prima che finisca la
discesa
della collina; un ramo porta a High Street, l'altro ruota intorno a
metà della
collina, scompare in un boschetto, chiuso da un capanno a due piani che
sbircia
curioso dai rami aggrovigliati.
C'è un glorioso momento
indisturbato, vedete,
quando il vento spazza l'erba dalle punte argentate in un lungo e caldo
sospiro
dal sud. Luce ed ombra danzano sotto applaudenti foglie, e il lago lì
vicino
scintilla sotto un anello di pini e salici, come un agitato cielo
illuminato
dalla luna.
È pomeriggio, dello stesso Lunedì,
poco dopo le
tre.
Un cupo brontolio distante inizia a
risuonare da
nord, diventando ogni minuto più rumoroso, e il terreno vibra come per
prepararsi.
Dentro, in cucina, il signore e la
signora Potter
alzano lo sguardo, riconoscendo il suono fin troppo familiare. Il
signor Potter
– Charlus – ridacchia tra sé e sé, e poi gira la pagina del libro come
se
niente fosse. La signora Potter, invece – Evangeline, la chiamano i
suoi amici
– scuote la testa ed alza gli occhi. “La quarta volta questa
settimana!” Dopo
un veloce movimento di bacchetta per pulire il lavandino, scende al
piano di
sotto. Il signor Potter sospira, ma rimane comunque seduto al suo posto.
Lassù in aria, su una motocicletta
volante – perché
cos'altro avrebbe potuto essere? - Remus sta imprecando. Ma nessuno lo
può
sentire da terra. Quello che c'è, se si presta abbastanza attenzione, è
la
risata simile ad un latrato di Sirius, il lungo grido acuto di James
che si
disintegra in una
risatina incessante, e
le urla di Peter mentre James affonda velocemente, la scopa quasi
verticale -
Si schiantano contro il capanno
giusto mentre la
signora Potter apre la doppia porta non lontano da lì. Marcia giù per
le scale
ed attorno alla collina, la bacchetta in mano, ciocche ricce di capelli
bianchi
che scappano dalla pettinatura. Quando raggiunge il boschetto, i
quattro
ragazzi sono già in fila, con l'aria mortificata – be', Remus
lo è – e
dietro di loro il capanno è stato incantato per tornare a com'era prima.
“E' stato davvero un incidente
questa volta, te
lo giuro,” le dice suo figlio nel momento in cui lei è a portata
d'orecchio, ma
sta ridendo. “Peter ha volato con me, ed eravamo troppo pesanti per...”
“Stasera pulirete la cucina,”
annuncia la
signora Potter, dopo aver ispezionato per bene il capanno. Sembra a
posto.
Sembra sempre a posto. Anche nelle notti di luna piena, anche quella
volta in
cui è esploso per qualunque cosa fosse che vi stavano facendo. “Niente
elfi,
niente bacchette. Sono stata chiara?”
“Sì, signora.” risponde Sirius.
“Ci dispiace davvero,” afferma
Remus.
“Sì, ci dispiace.” aggiunge Peter.
“Mamma, possiamo almeno avere Zirk,
voglio
dire-”
“Chiudi la bocca, James.” sta già
tornando
dentro casa.
“Abbiamo decisamente vinto noi,”
dice Remus nel
silenzio successivo, e Sirius ricomincia a ridere. “Decisamente.”
“Oh, sta' zitto,” esclama Peter.
“Abbiamo vinto noi.”
“Lascia perdere, Wormy,” risponde
Sirius,
avvolgendo un braccio attorno alle spalle di Peter e arruffandogli i
capelli,
per il dispiacere dell'amico. “La prossima volta voli con me.”
James alza gli occhi al cielo e
chiama la sua
scopa dal terreno ricoperto di rametti. “Non avete
vinto, abbiamo
colpito la finestra due secondi prima che-”
Il rumore di qualcosa di grande e
pesante che si
schianta al suolo, seguito da un sacco di altre cose che cadono
continuamente,
lo interrompe. Tutti e quattro si lasciano scappare le rispettive
parolacce
scelte, scattando verso il capanno per rimettere a posto l'incantesimo.
Una volta dentro, Sirius si
appollaia sul
davanzale della finestra mentre gli altri inizia a far levitare pezzi
di legno
scheggiato e vetri al loro posto, i più piccoli e insignificanti che
finiscono
in un alto tramezzo pericolante spinto maldestramente da parte. Il
luogo è polveroso
ed ammuffito, e puzza di vecchio legno e foglie bruciate, ma non sembra
importare a nessuno. “Allora,” dice Sirius, “Adesso prendiamo a pugni
Prongs?”
James, la bacchetta alzata, allunga
il collo per
guardarlo male e domanda: “Che?”
“Certo che non lo sa,” esclama
Remus,
concentrato nel levitare di torno un pezzo di metallo piegato.
“Diglielo,
Pete.”
“E' la ragazza,” spiega Peter a
James con una
punta di frustrazione. Lui si appoggia al muro dopo aver affrontato un
ceppo
particolarmente pesante, asciugandosi la fronte con il dorso della
mano. “Del
parco?”
“Quale ragazza?”
“Maglietta a righe rosse e
bianche.” dice
Sirius.
“Bei capelli,” aggiunge Remus
“Fossette.”
“Fossette,” sottolinea Peter,
annuendo
entusiasta. “Le fossette erano molto carine.”
James abbassa la mano, girando la
bacchetta tra
le dita. Si lascia cadere a gambe incrociate sul pavimento e si
appoggia
all'indietro sulle braccia. “Di che parlate?”
“Qualcuno gli faccia una fattura,”
esclama
Sirius.
“James, dai,” dice Remus. Il
pavimento ormai pulito,
anche lui si avvicina alla finestra. “Le piaci. È sempre lì! Sta
aspettando che
la noti...”
“Voi tre l'avete notata. Forse le
piace uno di
voi,” segnala James. Non si ricorda. Ci prova – immagina il parco nella
sua
mente, ma ci sono sempre state solo persone. Niente righe bianche e
rosse.
Niente fossette. “Io nemmeno – dove sta? Chi diavolo è questa ragazza?”
“La ragazza al parco! La panchina
dal lago delle
papere.”
“A volte sotto l'albero.”
“Sempre da qualche parte attorno al
laghetto
delle papere.”
James guarda uno ad uno i suoi
amici, confuso.
“Non ho mai saputo che ci fosse una ragazza.”
Remus alza gli occhi al cielo. “Ora
lo sai,” lo
ammonisce “La prossima volta, fai qualcosa, okay? Fai uno sforzo.”
“Per cosa?”
“Per tenere a volume basso quel
ridicolo cantare
nella doccia; sembri un drago costipato,” s'intromette Sirius
sardonicamente.
Salta giù dal davanzale e mette le mani sui fianchi. “Cos'altro,
Prongs? Piaci
alla ragazza! Forse voi due potete-”
“Oh.” James sbuffa. Sposta lo
sguardo e si aggiusta
gli occhiali. “Oh, no. Non potete essere seri.”
Gli altri tre alzano le
sopracciglia. “Cosa?
Perché no?” chiede Peter.
“Volete che la inviti fuori?
Seriamente?”
“Cosa c'è di sbagliato?” domanda
Remus.
“Non la posso invitare a uscire.
Non mi
interessa se è Celestina Warbeck.”
“Non vorrei che tu uscissi con Miss
Warbeck,
Potter.” esclama Sirius, gli occhi stretti.
“Non è il punto, Sirius Black.”
“Perché?” la confusione di
quest'ultimo è
intrecciata ad un'avvertibile quantità di seccatura, ora. E sospetto.
“Voi sapete il
perché.”
Sono tutti silenziosi per un
momento, e poi
Peter dice: “Forse potrebbe aiutare...”
“Non lo farà,” insiste James. “E –
potremmo fare
del male a qualcuno. Tra parentesi, sto bene.”
Quando nessuno lo contesta, Peter
aggiunge con
imbarazzo: “Sì, okay, lo sei, ma non hai...”
“Cosa, superato Lily?”
Remus si schiarisce la gola. Peter
sposta i
piedi. Solo Sirius sembra indifferente, addirittura incrociando le
braccia e
sfidando James ad andare avanti.
James ride. Suona abbastanza
genuino, d'accordo,
ma salta in piedi e si avvicina al tramezzo, dando le spalle agli
amici. Sirius
sa che sta solo fingendo di fare qualcosa con le schegge. “Vedere altre
persone
non proverà niente, okay? Non sarà il nostro grandioso piano di
riserva.” si
volta lentamente per guardarli di nuovo, non incrociando il loro
sguardo, ma
nemmeno così depresso come Sirius ha anticipato. “Voglio dire,
d'accordo, io
ancora... è solo Evans. Lei è – lei è qualcosa. Ci
vorrà un po'. Lo so.
Ma sono okay, anche. Sto bene, davvero. Non voglio nessuno. Non adesso.
Ma non
vuole dire che non sono...”
La voce di James si affievolisce,
confuso nei
confronti di Sirius, che ora sembra trattenere un sorriso. Lui
annuisce,
scrocia le braccia per alzarle all'aria in un finto arrendersi. “Va
bene.
Capito.”
“Capiamo?” domanda Peter.
“Sì, capiamo.” annuisce Remus, un
indizio di
qualcosa di piacevole – orgoglio? - che si sistema nella vaga piega
delle
labbra.
Peter fa spallucce. “D'accordo.
Allora inviterò
io fuori la ragazza. Mi piacciono le sue fossette.”
Per Lily, la settimana è
un'effimera successione
di solitarie commissioni e distrazione nella forma di arretrate pozioni
di
guarigione.
Il loop si spezza solo venerdì,
quando riceve
una lettera. Arriva con la posta normale, quindi all'inizio assume che
sia di
Mary. Quando gira la busta, però, solo le sue iniziali e il suo
indirizzo sono
scritte in inchiostro verde. Nessun dettaglio di da chi o da dove venga.
Ritorna in casa e fissa la lettera
per un po',
sospettosa.
Non c'è molto da leggere quando
infine la apre.
È un invito, scopre, più che una lettera, e il mittente... la calligrafia
la conosce, la riconosce senza un dubbio. E il modo in cui è stata
scritta...
forse una copertura?
Le ci vogliono ore per
addormentarsi quella
sera.
“E' solo una data e un indirizzo,”
riflette
Peter, steso sulla pancia sul pavimento della camera da letto di James
il
venerdì. “Domenica alle nove...”
“E' di Silente,” dice James dal
letto, piegato
sulla lettera a suo nome. Non è stato l'unico a riconoscere la grafia
del loro
ex preside. Sono tutti d'accordo che sia di Silente. Numero
sette, Napoleon
East, Cobalt Creek. “Ho come il presentimento che non
dovremmo dirlo a
nessuno.”
“Non c'erano gufi,” dice Sirius,
l'unico che non
è aggrappato alla sua lettera. È di nuovo sul davanzale della finestra,
i piedi
in alto e la schiena contro il bordo. “Erano lì. Potrebbero essere
stati i tuoi
genitori?”
“No, non tornano fino a stasera.”
“Ci andiamo?” domanda Peter, la
voce soffocata
con la guancia premuta contro le nocche.
“Certo che ci andiamo,” risponde
James “E'
Silente.”
“Per cosa pensi che sia?”
“Non lo so...”
“Io credo di sì,” s'intromette
Remus, zitto per
tutto il tempo sul divano vicino al camino. Sta ancora leggendo
accuratamente
la lettera, ma i suoi occhi marroni non vedono. Da' agli altri un
sorriso
smorto quando alza lo sguardo. “Dev'essere per l'Ordine.”
Domenica mattina, James è il primo
ad uscire
dalla sua camera.
Cammina per il corridoio, le scarpe
da
ginnastica ai piedi allenate al silenzio perfetto contro il tappeto. Si
attarda
sul pianerottolo del secondo piano, a qualche gradino dal grande
scalone, le
mani nelle tasche della giacca granata. L'ampio salone di ricevimento è
vuoto
sotto di lui. Un lampadario a scaglie di drago vi è appeso sopra, cento
specchi
a goccia che esplodono dal centro dell'alto soffitto. Può già sentire
il
mormorante traffico degli elfi domestici dalla cucina. Davanti a lui
aldilà
dell'ampio spazio, identiche alte finestre fiancheggiano le porte di
legno a
entrambi i lati; oltre loro i terreni della villa si allargano giù
dalla
collina, increspati e tinti attraverso il vetro, l'orizzonte lontano
che appena
si schiarisce. Nella scarsa luce, lui coglie il suo riflesso in più di
una
penzolante scaglia di cristallo. Fissa se stesso, sparsi James
replicati, la
mente che vaga alle cose che potrebbero potenzialmente, drasticamente
cambiare
durante il giorno.
Numero sette, Napoleon East, Cobalt
Creek.
L'Ordine.
Se Remus ha ragione, e questa è una
chiamata
alle armi (più o meno), allora è possibile che un' importante decisione
sia
vicina. Per tutti. Cerca di concentrarsi su quello. Si convince che quello
è ciò di cui è preoccupato, la guerra e tutto ciò che comporta, e non
il fatto
che... be', se è un'organizzazione
segreta principalmente occupata a fermare l'ascesa di Voldemort...
allora lei
dovrebbe aver ricevuto una lettera, giusto? È pazzo, lo sa. Il mondo
sta
andando a pezzi, per la barba di Merlino. E lui è nervoso per quello.
Nervoso
per lei.
I suoi pensieri si interrompono
quando un movimento
nella sua visione periferica lo fa sussultare, e non è finché il signor
Potter
è già di fianco a lui che capisce quanto fosse davvero pensieroso.
“Ci siamo alzati presto?” domanda
Charlus
Potter, appoggiandosi alla ringhiera con suo figlio.
“Oggi è un giorno impegnato.”
“E' domenica.”
“Io... sì. Sì, lo so....”
“Suppongo che tu comunque sia
sempre stata una
persona mattiniera.”
“Mhmm.”
“Non stai mai qui, però.”
James corruga la fronte quando
guarda suo padre.
“Sto qua?”
“Non di solito,” risponde Charlus
pensieroso, un
sorriso d'intesa sul viso. “Posso contare le volte sulle dita: Coppa
del Mondo
di Quidditch, primo giorno di Hogwarts, primo giorno del settimo anno –
mio
figlio Caposcuola... oh, e il primo giorno in cui sei tornato dal
quinto anno,
anche. Sai, quella non l'ho mai capita. Era un po' diversa dalle altre.”
“Di cosa stai parlando, papà?”
“Succede qualcosa di importante
oggi?” lui
domanda, e il silenzio di James gli rivela sempre abbastanza. “Quando
deve
succedere qualcosa di importante, vieni sempre qui, per prima cosa
durante la
giornata, ti guardi intorno per la casa come un direttore del
ministero.
Tutto... meditabondo. Penso che la mamma abbia una tua foto ad undici
anni...”
“Papà...”
“Non ti chiederò di dirmi cos'è, ma
ho la
sensazione...”
“E' arrivata anche a te la
lettera?” dice
d'impulso James. Sta morendo dalla voglia di chiederglielo da quando ha
letto
la sua. Tra l'altro, suo padre sembra davvero già sapere...
L'espressione di Charlus è di
calcolata
deliberazione. Le rughe sul suo volto sembrano più vivide a James in
qualche
modo, ma attraverso tutto, ora più che mai, può rivedere se stesso nel
suo
volto – a pezzetti, come la forma degli occhi, il taglio della
mandibola, il
naso. C'è un rassegnato tipo di calma nei suoi occhi, però, qualcosa
che James
deve ancora ereditare negli anni che verranno. Risiede nella dolcezza
del suo
sguardo, negli angoli delle labbra sottili come carta. “Silente,”
borbotta
Charlus, allungando l'ultima sillaba. Scuote la testa con un sorriso
triste.
James non riesce a dire se sia approvazione, ma non sembra neanche
l'opposto.
“Ti è arrivata, vero?” insiste
James.
Charlus sospira. “James, tua mamma
ed io... devi
capire che date le circostanze, avrò già parecchie difficoltà a trovare
una
nuova occupazione, e -”
“No. Papà, no. Io non – non
intendevo quello.
Volevo solo onestamente sapere, ecco tutto.”
Charlus annuisce. “Le abbiamo
ricevute, sì.”
James può ancora avvertire le scuse
nella sua
voce. Mette le mani sulle spalle di Charlus – è divertente come non
abbia mai
davvero notato di essere diventato più alto di lui – e gli fa un
sorriso
rassicurante. “Va tutto bene, te lo prometto.”
Charlus sorride di rimando. Più
facilmente
questa volta.
“Non vuoi che ci vada, vero?”
“No,” conferma Charlus senza mezzi
termini. “Non
penso che nessuno dei genitori dei tuoi amici vorrebbe.”
“Be', voglio dire, Sirius...”
Charlus ridacchia. “Se è Silente,
allora specialmente
Sirius, non pensi?”
James ride.
“Ma so anche che ciò non ti
fermerà:”
A quello, James non sa bene come
rispondere.
“Non fermerebbe nemmeno me,”
continua Charlus
“Non penso fermerebbe nemmeno Evangeline.”
James sorride al foyer vuoto.
“Starò bene, papà.
Lo sai.”
“Credo che però questo metterà in
pausa i tuoi
piani.”
James fa un sospiro profondo. “Non
è che le cose
abbiano seguito proprio i piani di recente...”
C'è una pausa riluttante da parte
di suo padre,
e poi, “Lily pensa ancora che-?”
“Sì,” risponde James un po' troppo
velocemente.
“Ma noi, ehm – va tutto bene. Probabilmente abbiamo bisogno di tempo da
soli. Con
tutto. È tutto molto caotico.”
“Okay. Mi dispiace davvero.”
“Non è colpa tua.”
“Peter ha menzionato che la mia-”
“Peter è un idiota. Non è davvero
quello.”
“D'accordo,” il Sole ora è sorto. I
giardini
ancora stanno prendendo una forma nella luce del mattino, e James si
sente più
calmo che di quanto stava lì da solo. “Sei un Cacciatore, però.”
“Ehm. Sì, lo sono.”
“Tu cacci...”
James capisce, ma non pensa che gli
piaccia
molto. “Papà, onestamente, tu e Sirius avete il più terribile-”
Suo papà ride. “Sto solo dicendo –
l'hai
trovata! È là fuori. Lo sai che lo è.” si sposta, come se la sua
agitazione si
sia alzata con il sole “Sai, mi stupisce sempre – fai sempre le cose
così
velocemente. Sempre così veloce. Metti gli occhi su qualcosa, ci
lavori, la
prendi. Come se... tu fossi di fretta. Perché sei
sempre di fretta?”
James fa spallucce. “Non lo so. La
vita è
corta?”
Charlus scuote la testa. “Sei
peggio di tua
madre. Davvero. Ma è diverso con... la partita non finisce mai quando
sei
Cacciatore. Non la chiudi tu. Non la puoi affrettare. Continui a
giocare. E in
una partita puoi perdere la Pluffa da una ad un milione di volte, ma
poi la
rivinci. Ritorni in gioco, e la riprendi.”
“E se stessi giocando la partita
sbagliata? Se
non fosse mia da vincere?”
“L'hai persa una volta sola. E
certo, sembra che
due bolidi siano arrivati. Ma una volta.”
Sono interrotti dal rumore di
passi. Sirius
zoppica dal corridoio di sinistra, sbadigliando, gli occhi ancora semi
chiusi.
“Buongiorno, Sirius,” lo saluta
Charlus con un
sorriso affezionato e divertito.
“Buongiorno.” Sirius sembra non
essere sicuro di
essere del tutto sveglio. Sbadiglia ancora. “Moony e Wormy sono già
svegli?”
“Ne dubito,” risponde James.
“Vado a svegliarli,” farfuglia
l'altro,
sorpassandogli e andando dall'altra parte del corridoio, dov'è la
stanza di
Remus e Peter. James sa che si ributterà a letto non appena gli si
avvicinerà.
Prima che il signor Potter scenda
le scale per
il profumo della colazione che soffia dolcemente verso di loro dal
piano terra,
arruffa i capelli di James – qualcosa che non fa da una vita, e James è
troppo
stupito per protestare – e dice, “Mi rendi orgoglioso, James, lo sai?”
James alza gli occhi al cielo,
riprendendosi
molto in fretta. “Sta' zitto, papà.”
Charlus ride, ora è la più calda e
la più
fragorosa, e qualcosa dentro James si scalda e tira e si spezza quando
realizza
di non ricordarsi l'ultima volta in cui ha sentito suo padre ridere
così.
“Prendetevi cura di voi stessi
oggi, okay?” dice
Charlus.
James sorride e gli fa il saluto
militare.
Neptune Hollow, dove lei dovrebbe
essere
domenica mattina come ordinato nella lettera, in realtà non è nuovo a
Lily, ed
è colpita da un'inaspettata ondata di nostalgia quando scende dal bus.
Non è
lontano da Cokeworth; solo quindici minuti dalla fermata più vicina.
Ogni anno, una fiera con le giostre
si ferma
qui. Prima di Hogwarts, lei e suo papà ci andavano ogni estate.
Il bus riparte e Lily fa un respiro
profondo,
controlla il posto. La cattedrale è una vista familiare a qualche
isolato di distanza,
una torre solitaria tra casette basse. S'incammina per la via con
memorie
sparse di suo papà e lo stomaco annodato.
Il numero di palazzi è raddoppiato
dall'ultima
volta che è venuta. La strada, con blocchi di bungalow costruiti
vicini, sembra
più lunga di quanto si ricordi. I passanti scarseggiano.
Lily scopre presto che i numeri
civici sono
difficili da trovare. Non sono sulle porte, come a Cokeworth, ma non
sono
nemmeno inchiodati sulle colonne che sostengono i cancelli o saldati
sugli
stessi cancelli di ferro. Ogni singolo numero è fatto in maniera
diversa.
Sembra non esserci nemmeno uno schema distinguibile nell'ordine delle
case.
Dopo un'ora o più di camminata
senza meta,
finalmente lo trova – il numero 18 – ma il palazzo a cui arriva sembra
così
abbandonato che lei pensa che forse non si ricorda l'indirizzo giusto.
Non si è
portata la lettera. Forse avrebbe dovuto. Guarda l'orologio – sono
quasi le
nove – e le prende il panico. La lettera diceva di essere lì alle nove.
A
Silente importerà del ritardo?
La casa sembra un vecchio convento.
Due piani,
una delle poche con più di un piano, fatta di grezza pietra grigia che
appare
spenta anche sotto la luce del mattino. Il cancello è talmente
arrugginito che
lei sa che le scaglie le cadrebbero in mano se decidesse di aprirlo.
Una spessa
e lunga catena è arrotolata nel mezzo come un serpente da guardia.
Puzza di
sangue. Il giardino è trasandato, le finestre sbarrate, le porte chiuse.
Decide di entrare. È un incontro
segreto
dopotutto. La facciata potrebbe essere un trucco, un'altra copertura...
Le sue dita sono a meno di un
centimetro dal
cancello quando avverte un movimento dalla casa a fianco al numero 18.
E'
allerta in un secondo – e vede un'anziana donna che la spia dalla
finestra,
attraverso una sottile fessura tra le tende fiorate. Sta guardando
dritta Lily.
La giovane strega sorride e le fa un cenno con la mano, incerta sul da
farsi.
Per sua sorpresa, la donna alza la mano davanti a lei, gesticolando al
suo
polso nudo. Confusa dall'intento ma capendo il significato, Lily
controlla
l'ora. Otto e cinquantotto.
Quando guarda di nuovo la signora,
questa sta
controllando la strada da sinistra a destra. Vedendo che è vuota, mima
qualcosa
con le labbra a Lily – il cancello? Ha detto il cancello? - e le fa
cenno di
guardare ancora l'orologio. Lily avvolge le dita attorno al lucchetto
alla fine
della catena, sentendosi un po' scema – e capisce immediatamente che
c'è
qualcosa di... sbagliato. Non riesce più a togliere la mano dal
cancello. Cerca
di non essere troppo allarmata quando vede che la donna sorride, quasi
incoraggiante, e poi sparisce di nuovo in casa sua.
Adesso è sola. Manca solo un minuto.
Cerca di togliere ancora le dita,
ma la piccola
lastra di metallo e la sua mano sono in qualche modo diventate
calamite. Guarda
la strada. Dovrebbe usare la bacchetta?
Trenta secondi. Non c'è tempo di
preoccuparsi di
essere vista, pesca la bacchetta con la mano libera, ma poi fronteggia
il
problema di che incantesimo usare.
Diavolo.
Quando l'orologio ticchetta le
nove, qualcosa la
tira con forza in avanti, togliendole il respiro. Soffre di un violento
mini-infarto quando pensa che stia per colpire di faccia il cancello
arrugginito, ma poi esso scompare, tutto; il cancello e la terra sotto
i suoi
piedi, una scarica di adrenalina che la spinge a togliere le dita dal
cancello
che precipita invece in un caotico vortice di confusione, sorpresa, e
panico –
e attraverso tutto ciò la forza invisibile la tira inesauribilmente, le
dita
che mantengono il contatto con il chiavistello. Capisce cosa sia nel
seguente
uragano di colori sfumati, un leggero fischio nelle orecchie.
Quella donna dev'essere stata una
sentinella.
Le sarebbe servito un po' di
avviso, davvero.
Oh, Merlino, ha bisogno di chiudere
gli occhi...
Cerca di riprendere controllo dei
suoi piedi
prima che si scontrino contro il suolo, ma inciampa comunque quando il
viaggio
finisce. Si alza, appoggiandosi al muro con una mano, nauseata.
Quando si riprende, controlla
l'ambiente
circostante. È in corridoio. Stretto, ammuffito, poco illuminato.
Tappeti
vecchi. Una porta in fronte a lei è semi-aperta, luce e tenui
chiacchiere che
fuoriescono dallo spiraglio.
“Non ti sei mai abituata nemmeno
tu, eh?”
qualcuno dice alle sue spalle, e lei salta. Mary è appoggiata al muro,
mani
sulle tempie, senza fiato. “Maledette Passaporta.”
Lily le corre praticamente incontro
e
l'abbraccia. “Oh mio dio, ciao.”
“Anche tu mi sei mancata, Lily,” le
dice Mary
“Ora andiamo. Sono le nove e un minuto.”
“Quindi quando hai detto che tu e
Silente avete
parlato di un impiego quella sera,” dice Peter, faticando a tenere il
passo dei
suoi tre amici “Vuoi dire che avete parlato di questo.”
“Non esattamente,” risponde Remus.
“Mi ha
offerto un posto in questo gruppo d'opposizione, ma niente dettagli.
Solo che
se avrò mai difficoltà... a cercare lavoro, posso invece lavorare per
lui.
Posso aiutarli.”
“Aspetta,” James si corruccia “Voi
tre ne avete
parlato? E io dov'ero?”
“A sognare,” provvede semplicemente
Sirius, la
sua attenzione totalmente su Remus “Cos'ha detto esattamente Silente?
Ce lo
puoi dire ora, giusto? Siamo tutti invitati adesso. Circa.”
“Suppongo di sì,” Remus cammina
davanti e si
volta, le mani alzate per fermarli. Hanno tutti un'espressione seria,
per una
volta tesa. Peter continua a mangiarsi le unghie. “Ha detto che c'è
questa
organizzazione segreta, che ha chiamato solamente l'Ordine. Ma potrei
anche
averlo capito male. Ma questo Ordine – stanno lavorando contro
Voldemort. Ci
sono delle spie al Ministero e tutto. Qualche altro reclutamento. Non
lo so.
Come ho detto, niente di specifico. Ma ora, ho pensato, se addirittura
sono
arrivati a invitare noi...”
“Freschi di Hogwarts. Devono essere
disperati,”
dice James, pensieroso. “Pensi che la guerra stia peggiorando?”
“Oppure noi dobbiamo essere bravi,
miei
allegri, positivi amici,” dice Sirius, alzando gli occhi al cielo
“Perché
Silente non l'ha detto anche a noi allora? Perché solo a te?”
Nessuno risponde. Remus ignora il
suo sguardo.
Quando ricomincia a camminare, la sua schiena stranamente s'irrigidisce
e la
sua camminata è più brusca. James e Sirius si scambiano un'occhiata, il
primo
fa spallucce e scuote la testa. Seguono Remus senza un'altra parola,
Sirius
corrucciato.
È Peter che ha la risposta questa
volta. “Moony
è diverso,” dice mentre camminano, la riluttanza del dar voce ai suoi
pensieri
evidente nella sua voce. Osserva Remus guardare a destra e a sinistra
lungo
Napoleon Street, cercando l'elusivo numero sette. “Tra di noi, è quello
con
minori scelte riguardo cosa fare dopo Hogwarts, no? Silente gli stava
facendo
un favore. Dandogli qualcosa da fare...”
James non risponde, ma controlla
attentamente
Sirius per la sua reazione. Peter ha ragione. Potrebbe
aver ragione.
Circa. James odia la cosa.
Sirius non dice niente all'inizio,
e poi si velocizza,
borbottando velenoso. “Sono stupidaggini,” ma non elabora il concetto.
“Hey,
Moony! Potresti aspettare, per favore?”
Peter cerca in James della
rassicurazione, ma
non la trova. L'altro controlla solo il suo orologio e cammina più
veloce per
riprendere. “Dobbiamo sbrigarci. Sono quasi le nove.”
“Iniziamo?” domanda un uomo alla
destra di
Alastor Moody. Lily sa il nome di Moody perché lui si è presentato non
appena
lei è entrata nella stanza. Un uomo grosso con una voce ruvida e più
cicatrici
di quante lei riesca a contarne. Ha quasi spaventato a morte lei e
Mary. Ha
detto che potevano iniziare benissimo con i nomi finché la riunione non
fosse
iniziata ufficialmente. Lily pensa di aver sentito Moody chiamare
l'altro uomo
Gid, quello che ha appena fatto la domanda, ma non ne è sicura. “Come
fai ad
iniziare...” borbotta Gid, guardando la stanza con notevole
trepidazione.
Lily e Mary sono sedute vicino alla
fine del
tavolo – all'altro capo, quello posto accanto ad un caminetto antico.
La porta
è da un lato, ancora aperta, anche se nessuno è entrato dopo lei e
Mary. La
stanza è solo poco più illuminata del corridoio. Ci sono circa altre
venti
persone con loro, più o meno quanto la stanza può contenerne. Alcuni
siedono
attorno al tavolo, altri si appoggiano al muro freddo e sconnesso.
Nessuno dice
niente, nessuno tranne Gid, e la tensione curiosa è apparente negli
occasionali
movimenti bruschi. Sguardi sospettosi, dita agitate, labbra strette.
Lily
riconosce alcuni di loro, ne ha anche salutati alcuni quand'è entrata.
C'è
Cassandra Dame, prefetto di Serpeverde ad Hogwarts, Caposcuola quando
Lily era
al quinto anno; e Dorcas Meadows di un anno più grande, Corvonero,
anche lei
prefetto; Marlene McKinnon, Terrence Hunter, Jeanne Marchbanks...
Tutti di Hogwarts, tutti appena un
po' più
grandi di lei.
“Non ancora,” abbaia Moody in
risposta a Gid.
Anche lui sembra aver un ripensamento riguardo il gruppo di gente che
hanno
raccolto. Lily si chiede se andranno avanti visto che anche i superiori
sono
chiaramente dubbiosi... “Ce ne sono altri quattro. Le canaglie, direi.”
Poi i
suoi occhi sfarfallano in direzione di Lily e Mary, ma lei fa finta di
non
notarlo.
Può sentire anche gli occhi di Mary
su di lei.
Lei continua determinatamente a sorvegliare il luogo d'incontro.
Altri quattro. Ovvio che ci siano.
E – quasi
ride – ovvio che siano in ritardo.
Aspettano ancora un po', i nervi di
Lily un
intreccio ribollente nel suo stomaco.
“E' un negozio di fiori,” osserva
neutro James,
come se agli altri tre servisse. Dall'altro lato della strada,
finalmente, c'è
il numero sette, ma è un banchetto blu acceso con file e file di fiori,
di
tutti i tipi, in bouquet e vasi e secchi. “Siete sicuri che siamo nel
posto
giusto?”
In risposta, Sirius si volta verso
Peter per
chiedere, “Wormtail? Hai portato la lettera?”
“No – avete detto che nessuno
avrebbe portato la
sua!”
“Scusa, è che di solito tu non
presti mai
attenzione. È il momento sbagliato per iniziare.”
“No, era di sicuro il sette,”
l'interrompe
Remus, prima che Peter possa replicare. “E' il posto giusto. A meno che
non ci
siano altre Napoleon Street nei dintorni...”
“D'accordo,” dice James, già
diretto al negozio
“Andiamo a controllare allora.”
Quando lo raggiungono, saltano
tutti
all'indietro quando una donna rotondetta spunta fuori dal nulla – be,
in realtà
salta fuori all'improvviso da dietro al bancone, facendo cadere un paio
di
bouquet della prima fila. Li riconosce immediatamente, e non è
contenta. “Siete
in ritardo,” li guarda male. “Sono passate le nove.”
“Ci dispiace,” dice subito Remus,
facendo un
passo avanti. James, Sirius, e Peter gli lasciano volentieri lo spazio.
“Ci
siamo persi.”
“Pensate che mi interessino le
vostre scuse?”
scatta la donna. “Tutto questo sforzo per nulla...”
“Possiamo ancora andare, giusto?”
domanda James,
sospettoso. “Siamo ancora-”
“Non qua,
ragazzo!” la donna urla in un
sussurro, sporgendosi dal bancone per controllare se qualcuno nelle
vicinanze
abbia sentito. “Venite qua e scegliete un fiore.”
“Cosa?” dicono tutti e quattro. La
nicchia
dietro al bancone è piccola, e James pensa che non ci staranno tutti.
“Fatelo e basta, dannazione.” la
donna è di
nuovo piegata sugli scaffali, cercando chissà cosa.
Uno alla volta, perché una stretta
apertura su
un lato permette solo ad una persona di entrare nel ridotto spazio, i
ragazzi
entrano nel negozio. Stanno lì, scomodamente affollati, guardandosi
attorno
come bambini sperduti.
“Be', allora! Non abbiamo tutto il
giorno, no?”
dice la donna, esasperata. “Scegliete qualsiasi cosa!”
Tutti subito si affrettano per
qualcosa. James
prende d'istinto una rosa gialla – le preferite di Lily, qualcosa che
non
comprende interamente finché non nota gli altri tre guardarlo in modo
strano.
Apparentemente, comunque, non hanno
tempo di
discutere di cose così frivole.
“Eccovi...” la donna si raddrizza
nuovamente, la
bacchetta stretta tra le dita. Si accerta di non alzare troppo in alto
la mano
in caso qualcuno dalla strada possa vedere. “Voi mocciosi sapete niente
delle
Passaporte?”
“Sì,” rispondono loro.
“Ne avete mai creata una?”
“Ehm, no.”
La donna rotea gli occhi. “Okay,
okay. Datemi
quei fiori... avrei dovuto saperlo che sareste stati in ritardo.
Merlino, mi
sarei divertita un po' con voi prima di mandarvi via, ma-”
“Cosa?” domanda Sirius.
“Sta' zitto, Arruffato.”
“Arruffato?”
Lei lo ignora. “Tu. Potter. Dammi
il tuo.”
James le passa la rosa gialla. La
donna punta la
bacchetta, la lingua tra i denti per la concentrazione. “Portus.”
La rosa si muove appena nella sua
mano, un
tremito che James potrebbe solo aver immaginato. Diventa di una
pulsante tinta
bluastra, ma prima che James la possa guardare per bene, la donna
gliela sta
ridando. Annuisce urgentemente verso la porta sul retro, nascosta quasi
del
tutto dal corpo di Peter. “Vai là. E veloce. Si
attiverà in un minuto.” indica
Sirius. “Arruffato, sei il prossimo.”
“Per favore, la smetta di chiamarmi
così.”
mormora Sirius mentre si fa avanti, ma la donna rotea solo gli occhi di
nuovo.
Con sforzo, James riesce ad
oltrepassare Remus e
Peter, ed esce dal retro, dove c'è solo una piccola camera polverosa.
Altri
fiori, ed una pila di botti in un angolo.
Sirius sta aprendo la porta ed
entrando nella
stanza sul retro quando la rosa gialla tira James in avanti, e il mondo
scompare da sotto di lui.
James arriva per primo. Appare dal
nulla e
atterra direttamente dentro la stanza, tirandosi su contro il muro più
vicino,
piegandosi per riprendere il fiato. Sta... sta stringendo una rosa
gialla.
Moody lo aiuta, in modo piuttosto rude, e Lily vede James sussultare di
paura
per un secondo prima che riconosca chi sia. “Hey, Moody,” lo saluta, e
poi si
spazzola dalla polvere.
Moody grugnisce solamente.
Sirius compare dopo, imprecando
mentre inciampa
dal vuoto di un viaggio in Passaporta, un'orchidea cinese viola che
rotola sul
pavimento dalle sue dita. Non si premura di raccoglierla.
Dieci secondi dopo, anche Remus e
Peter sono
nella stanza, imprecando anche loro, Remus con un girasole e Peter con
un
garofano – da dove diavolo vengono, esattamente?
“Sedete i vostri didietro in
ritardo,” abbaia
Moody. Sirius si siede accanto a Mary, dandole una gomitata e
borbottando,
“Hey.” Non considera Lily. Il resto dei ragazzi prendono i posti
lasciati
liberi attorno al tavolo, Remus che da un colpetto alla spalla di Lily
mentre
passa e le sorride. James finisce davanti a lei. Non la guarda finché
non è
seduto per bene, e a Lily sembra che non lo voglia nemmeno quando
infine lo fa.
Non sa se dovrebbe dirgli ciao.
Quando Remus e Peter allungano i
loro fiori a
Mary per liberarsene, James fa scorrere la rosa gialla verso Lily. Non
sta
esattamente sorridendo quando lei alza lo sguardo su di lui. Si stringe
solo
nelle spalle, non è chissà cosa, e poi dà tutta la
sua attenzione a
Moody.
Moody incombe su di loro, la bocca
una linea
stretta. “Bene, allora,” inizia, guardando una persona alla volta.
“Benvenuti
nell'Ordine della Fenice. Voi ragazzi siete stati chiamati in guerra.”
La spiegazione si presenta più
corta di quanto
Lily si aspettasse.
È un gruppo di resistenza, l'Ordine
della
Fenice, che fa tutto ciò che possono per fermare Voldemort e i suoi
piani. I
membri esistenti – fanno attenzione a non menzionare nessuno – sono
occupati a
cercare possibili infiltrazioni nel Ministero e ad accertarsi che gli
gradi
superiori dei dipartimenti siano protetti da persone dell'Ordine. Gli insider
hanno svelato che l'ascesa di Voldemort continua nel suo ritmo, peggio
di
quanto avessero anticipato, ma scoprire ciò prima che gli scoppi tutto
in
faccia è un passo avanti dalla loro parte. L'Ordine è stato fondato da
Silente –
nessuna sorpresa – ed è responsabile per i più recenti arresti e
processi di
Mangiamorte. Non tanti, ma stanno facendo tutto ciò che possono. È
sempre
attraverso suggerimenti anonimi per loro fino a questo momento, e il
gruppo
rimane per ora nascosto.
L'incontro non è comunque più che
un invito,
pensa Lily, come la lettera. Niente di specifico o della massima
importanza è
divulgato. La pioggia di domande che segue dura di più della loro
primaria
iniziazione. Perlopiù concerne ciò che ci si aspetta da loro, cosa
comprenda
l'appartenenza, tutto il resto che a questo stadio possono sapere.
L'ultima
cosa si scopre non essere poi molto.
“Non ci aspettiamo che saltiate a
bordo ora,”
dice Gid, quando alla fine c'è una pausa dalle trepidanti mani in aria.
“Vi
daremo l'intera settimana per pensarci.”
“Non ci aspettiamo che neanche mai
saltiate a
bordo,” s'intromette Moody “Ed è importante che lo sappiate. Sono al
corrente
che alcuni di voi prudano dalla voglia di entrare in campo-” i suoi
occhi si
soffermano su James e Sirius e il gruppo “- ma voglio che ci pensiate
tanto e a
lungo. Considerate le vostre famiglie, i vostri piani, il fatto che un
giorno
potrete non tornare a casa, che potrebbe non esserci una casa a cui
tornare.
Perché succede. Non è una dannata vacanza, mettetevelo in testa, e non
sarà
un'avventura da favola. È una bocca dell'inferno da qui in poi. Abbiamo
perso
dei membri dalla formazione, nelle più orribili, inumane maniere, e non
lo
rinfacceremo contro chiunque dica di no.” si ferma, lascia che ciò
venga
assorbito. “Capito?”
Un collettivo mormorio di assenso
si diffonde
per la stanza.
“Altre domande?”
“Come facciamo a farvi sapere dopo
una
settimana?” domanda Mary.
“Oh, già – ci scrivete,” risponde
Gid.
“Speditela a me o Alastor o Silente. I gufi lo sapranno. Un sì o un no
saranno
sufficienti, tra l'altro. Nient'altro. Sì, Meadowes?”
“Assolutamente nessuna conseguenza
per chi dice
di no?” chiede Dorcas. È la prima volta che parla. Lily ricorda il modo
in cui
guarda le persone, e non è cambiato; è rimasto pericolosamente fermo,
in
qualche modo riuscendo a sembrare sia sonnolento e acuto dietro le
palpebre.
“Per qualche ragione faccio fatica a crederci.”
“Che vuoi dire?” dice Gid con le
sopracciglia
alzate. “Siete liberi di rifiutare.”
“Ma sapremmo di questo gruppo,”
risponde Dorcas.
“Il vostro segreto, nascosto Ordine. Dubito che ci lascereste andare
via. La
conoscenza stessa della vostra esistenza è rilevante, no?”
“Che stai dicendo?”
“Prewett,” chiama Moody prima che
Gid – Prewett?
- possa rispondere. Occhieggia curiosamente Dorcas. “Hai ragione. Non
vi
lasceremo andare via con quella informazione.”
Dorcas piega la testa da un lato e
alza un
sopracciglia perfettamente curvo.
“Condurremo modificati, selettivi
incantesimi di
memoria a coloro che dicono di no.”
La stanza erutta in scoppi di
domande. Moody
alza una mano e la stanza si acquieta. Lily e James si trovano nella
fragorosa
onda di obiezioni, entrambi accigliati.
“Rispettiamo completamente le
vostre scelte,”
risponde Moody sopra il rimanente chiasso. “Ma l'Ordine ha appena
iniziato a
raccogliere le informazioni che gli servono, ed è imperativo che
rimaniamo
nascosti finché abbiamo tutti i pezzi per iniziare a lavorare. E così
sarà il
caso finché Silente ritiene che sia il momento giusto, o finché non
potremmo
mantenerlo più segreto.” si spinge in avanti, le mani che sbattono
contro il
tavolo di legno, e passa il suo palpabile fervore a tutti. “Siete qui
perché
Silente confidava che voi sareste stati fortemente comprensivi della
causa, che
decidiate o meno di combattere la guerra con noi. Provate che lo siete
e capite
che è per il meglio.”
Non c'è più disaccordo questa
volta. Almeno non
ad alta voce. Dorcas si appoggia allo schienale della sedia e incrocia
le
braccia.
“Usate bene la settimana,” dice
Moody. “Non ve
lo si offrirà una seconda volta.”
Gli iniziati sono istruiti ad
uscire
dall'incontro di nuovo con le Passaporte. Non scoprono mai dove sono,
perché le
Passaporte sono già pronte e dentro la stanza quando l'incontro
finisce. Vanno
in gruppi, ed in qualche modo Lily finisce con i Malandrini e Dorcas
Meadows.
Quando cerca di richiedere leggermente di essere messa in un altro
gruppo,
quello di Mary, la sua amica scivola al suo fianco e l'assicura che va
tutto
bene, e che la verrà a trovare in settimana per discutere di tutto.
Lily si unisce al suo gruppo
assegnato solo
quando sono tutti pronti attorno alla Passaporta sul tavolo. È solo una
bottiglia vuota di Whisky Incendiario questa volta, l'etichetta
strappata e
sbiadita. Sta tra Remus e Peter e cerca di non incrociare né lo sguardo
di
Sirius che quello di James. Sente la bottiglia tirare, e la rosa gialla
sul
tavolo è l'ultima cosa che vede prima che sia portata via.
Atterrano in un parco da qualche
parte. Dorcas
se ne va senza più che un cenno della testa per arrivederci.
“Spero di non dover mai lavorare
con lei,” dice
Sirius, guardandola andarsene. Remus e Peter mugolano il loro assenso.
James non toglie gli occhi da Lily.
Lei ha fatto
troppo in fretta a spostare lo sguardo quando ha incrociato il suo per
un
attimo nell'inciampare sul terreno erboso, e lui non può decidere se
sia meglio
lasciarlo così.
Segue i suoi movimenti mentre lei
in silenzio
raccoglie la bottiglia abbandonata e si avvicina ad un cestino. Si
siede sulla
panchina lì accanto, guardando la strada dove Dorcas sta girando
l'angolo.
Le sue dita si arricciano
involontariamente in
pugni. Merlino. Gli manca più di quanto pensasse.
“Penso che quello sia un diner,”
sta dicendo
Remus, e James sposta lo sguardo da Lily in tempo per vederlo indicare
una
modesta costruzione sul lato opposto. “E sono affamato.”
“Anche io,” dice Peter, impaziente.
“Vieni, Potter?”
Potter.
James alza un sopracciglio verso
Sirius, ma il
bastardo ne alza solo uno indietro. Sirius lo chiama Potter – e in quel
tono –
quando è inquieto. Deve averlo visto guardare Lily.
“Un secondo,” risponde James,
decidendo in quel
momento, ignorando l'espressione di Sirius. “Aspettatemi, torno subito.”
Cammina verso Lily in lunghe
falcate prima che
possa ritirarsi.
“Hey,” dice, e Lily non riesce a
credere che lui
sia lì.
È venuto davvero lì. Oh, dio.
Lei sorride solo. Pensa che non
riuscirà a far
altro che gracchiare pateticamente se prova a parlare prima che possa.
Lui prende posto accanto a lei
sulla panchina.
Quando le loro braccia si sfiorano, lei lo avverte spostarsi
discretamente un
po' più lontano. “Non hai preso la rosa.”
Le ci vuole un momento per
rispondere. Lui
aspetta paziente. “Non ero sicura che fosse-”
“Certo che era per te. Tu le adori.”
“Sì, ma...”
“Era solo una rosa, Evans. Eravamo
in un
negozio, era una Passaporta, e a te piacciono. Ecco tutto.”
Lily sbatte le palpebre.
“D'accordo. Scusami
allora.”
Lui la guarda in modo strano, e poi
mormora.
“Dannazione.” Si lascia scappare una risatina sospirata che non dura a
lungo. È
nervoso. Non dovrebbe esserlo, ma lo è. “Scusa. Ehm, allora, comunque,
tu
lo...?”
Lei sa che quella è l'unica ragione
sensata
perché lui vada lì a parlarle. L'Ordine. Ecco tutto. Certo che è tutto.
Nient'altro. Non ha assolutamente diritto ad essere delusa. “Non lo so.”
“Okay.”
Mary aveva ragione, pensa lei. Non
sa perché
deve capirlo per bene ora, ma lo fa, e Mary aveva dannatamente ragione.
È
impossibile per questo ragazzo starne fuori. Lei prova a raccogliere
quella
sensazione opprimente di convinzione, quell'orribile peso che l'ha
guidata nel
guidare lui lontano – la voce di Demetria che
echeggia tra i muri del
bagno, Charlus Potter menzionato in un titolo del Profeta. Ma lei vede
solo il
viso sofferente di James.
Nonostante tutto, lui è ancora qui,
prontamente
sulla soglia della guerra con lei, e... e se n'è andato e lei non può
più
giustificare la cosa. Non può rimangiarsela ora. Non può riprendere
lui.
“Non lo so nemmeno io,” sospira
lui. Piega la
testa all'indietro e fissa il cielo. “Pensavo di essere certo. Ero così
certo
di tutto prima di entrare e... ora non lo so. Non lo sono. Io – wow,
non so
perché te lo sto dicendo.”
“Non devi farlo, sai.”
Lei ricorda Petunia, e la fa
sussultare. Non
devi vivere qui, sai. Non ha mai pensato che lei e sua
sorella potessero
suonare così simili. Non vuole pensare a lei, specialmente non adesso
che c'è
questo. Che c'è l'Ordine. Un Piano B che sarà una crepa ancora più
grande tra
di loro se lei decide di farlo, come se il patetico bollire pozioni
come un
eremita nella loro vecchia casa non sia abbastanza. Probabilmente non
la
vedrebbe nemmeno più.
Per fortuna, la crescente pausa
dell'usuale
rimprovero di James la distrae. Non arriva per niente. A Lily sembra di
affogare; c'è troppo silenzio forzato tra lei e le persone che ama.
“Vuoi dire
che posso rifiutare di unirmi, sì?” dice finalmente James.
Lily si lascia sfuggire un respiro
che non
sapeva di aver trattenuto. Non riesce a capire il suo tono, e ciò la
sconcerta.
“Già.”
“Lo so.”
“E allora perché pensarci?”
“Tu pensi che sia stupido, vero?”
“No, è nobile.” lo guarda, ora che
non sta
guardando lei. Le suo obiezioni si sparpagliano alla sua vista, alla
consapevole sensazione di lui così vicino. Lei afferra le parole prima
che
scompaiano nel debole prurito di desiderio sulla punta delle sue dita. Dagli
una chance di dare a te un'altra chance, aveva detto Mary?
Digli che ti
hanno dato alla testa. “E' – è eroico da parte tua,
veramente. Ma ritirata
non vuol dire sempre che non sei una di quelle cose. Lo so che pensi di
farcela, che non verrai ferito là fuori, ma non puoi rischiare. È
troppo
pericoloso.”
“Credo che abbiamo già fatto questo
discorso,
Evans,” dice lui, quasi sospira, così piano che lei quasi vorrebbe
gliel'avesse
urlato così da superare la colpa che le ghermisce il petto.
Giusto. “Scusa.”
“E' molto di più del solo perché
penso di
farcela.”
Lei non dice nulla. Digli
che ti dispiace,
ha detto Mary. Digli che non lo intendevi.
“Non sto buttando via le mie
opzioni.” c'è un
nuovo acume nella sua voce. Si raddrizza. “E' la mia unica opzione. Non
posso
scappare. Non lo farò. Solo il pensiero... non posso lasciarti. Tu e –
Sirius,
ecco. E Remus. Peter. Lo so che pensi che non ci sia nulla per me per
cui
combattere-”
“Non lo penso.”
“Lo pensi.” mormora lui. Il suo
disappunto in
lei lo lascia in una risatina vuota e balbettante. “E non c'è niente,
suppongo.
Posso andare. Ma non c'è nessun altro posto che avrebbe senso tranne
che qui,
Evans. Che è una stronzata, lo so, perché questo posto sta cadendo a
pezzi, non
è vero? Ma tu sei qui, però. Tutti sono qui. E se voi non potete
andarvene,
allora non ha senso che io me ne vada da qualche parte senza di voi.”
Sirius appare in quel momento,
salvandola dal
trovare una risposta. Ha impazienza scritta sulla fronte e da un
riluttante
cenno di saluto a Lily. “Stiamo andando. Tu.” indica James. “Tu hai
dieci
secondi.” e poi se ne va.
Accanto a lei, James mormora mentre
si alza.
“Onestamente, è come se tu avessi mollato lui...”
lei sa che lui lo
intendeva come un tentativo di rallegrare l'atmosfera, ma lei sembra
esseresi
dimenticata come si faccia a ridere. “Meglio che vada.”
Lei annuisce. Ha finito le parole.
Vuole
andarsene da lì, andarsene da lei stesse,
ma più di tutto lei
vuole disperatamente tornare indietro. Ad un quando e un dove con
James, con
lei che non deve mai dire addio.
Anche lei si alza, il suo respiro
come piombo
nei polmoni. Prima che possa trattenersi, fa un passo in avanti e lo
abbraccia.
Non troppo stretto, in caso non riesca poi a trovare la forza di
lasciare
andare. Ci sono un milione di cose che dovrebbe dire, ma non riesce a
trovarne
nessuna che riesca a dire. James è perfettamente immobile all'inizio,
scioccato, silenzioso. Non la spinge via, ma la sua eventuale stretta è
cauta.
Come se la potesse rompere.
O forse è il contrario. Forse lui
ha paura che
lei possa rompere lui. Ancora.
Quando lei avverte le labbra di lui
sulla
sommità della testa, gentili e brevi, chiude gli occhi e stringe quanto
a lungo
ne ha il coraggio.
Digli che lo ami,
ha detto Mary, e quello impenna il filo dei suoi pensieri, attraverso
tutti
loro con zelo inarrestabile. Esplode dentro di lei come fuochi
d'artificio; ma
può solo guardarlo, nonostante tutto, ancora troppo spaventata di poter
bruciare entrambi se vi cedesse.
“Sii prudente,” le dice, lasciando
andare per
primo. Si volta prima che lei possa vedere il suo viso.
Lily rimane radicata lì anche molto
dopo che lui
se n'è andato.
Vicino.
Il suo respiro caldo le sfiora le
labbra, e per
un secondo lei dimentica il quasi in questo quasi-reale, perché lei non
l'ha
mai notato prima. Il calore.
Più vicino...
Se ne va prima che le labbra di lei
trovino casa
di nuovo nelle sue, ma lei apre gli occhi lentamente, come gli ha
chiusi un
momento fa, come accade tutto il tempo. Lei non si ricorda cosa stava
succedendo prima che lui fosse lì.
Non lo fa ma. Solo che lui era lì,
e lei stava
quasi di nuovo bene.
Stringe gli occhi alla luce. È di
nuovo mattina.
Un po' dopo le otto, dice l'orologio sul muro.
Ancora troppo presto considerata
l'ora in cui è
andata a dormire, Lily scende dal letto. È un altro Lunedì, silenzioso
e
pensieroso, e più tardi lei si prepara il caffè.
Nessun ospite oggi. Nemmeno delle
lettere.
Gira distrattamente la sua bevanda.
L'Ordine
richiede una risposta in una settimana. Petunia lascia Cokeworth
domani. La
domanda per il tirocinio è quasi finita.
La sua vita è un macello, e lei
cerca di trovare
la decisione giusta che potrebbe forse ripararla. Ma è distratta,
perché ogni
volta che chiude gli occhi sente il fantasma delle labbra di lui tra i
suoi
capelli e mani arrossate attorno alla sua vita.
Dio, non gli ha nemmeno chiesto
come stesse...
Nove in punto, lunedì.
James torna dal suo compulsivo giro
in scopa
attorno al campo. È dannatamente esausto, ma è così che gli piace. Dopo
esserci
girato e rigirato per ore la notte scorsa, ha finito per prendere la
scopa ed
uscire alle tre e mezza del mattino. È ridicolo.
Sirius è alla porta del capanno
quando lui va lì
per rimettere a posto la scopa. Si appoggia contro il muro dilapidato,
la testa
abbassata e le braccia incrociate. Se non è troppo presto perché sia
già in
piedi – cosa che è – allora lo è decisamente perché appaia così tanto
cupo.
James si ferma davanti a lui con uno sbuffo, la scopa appoggiata ad una
spalla.
“Be', buongiorno, Raggio di Sole.”
Nove e cinque.
Lily si alza per buttare via il
caffè non
terminato, diventato tiepido per la profondità dei suoi pensieri e il
silenzio
della casa. Quasi al lavandino, il manico scivola dalle sue dita, e la
tazza
cade e si rompe. Il rumore le fa fare una smorfia.
Le schegge sono brutte contro la
macchia di
caffè che si allarga sul pavimento, e lei mormora una parolaccia quando
un
pezzo le taglia il dito mentre lo raccoglie.
Sirius deglutisce. Quando alza la
testa, i suoi
occhi rimangono fissi sull'insignificante terreno del boschetto. Sbatte
rapidamente le palpebre, occhi grigi fermi e tetri; come se la mattina
stessa
l'avesse offeso.
James sente il suo cuore battere
più velocemente
e il respiro che si ferma ancora prima che le parole escano: “Devi
andare da
tuo papà, James.”