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Autore: Apalapucian_HP    03/04/2015    0 recensioni
Prompt: Lily viene attaccata perché sta con James, e viene risucchiata nella convinzione che lui starebbe meglio senza di lei. Gli dice che non lo ama più, e dopo un po', riesce a convincerlo a credere in quella bugia.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Three: Counting Stars

“What now? Plan B, that's what.”

 

 

Le nove in punto.

Petunia la va a trovare. È lunedì, è imbarazzante, e Lily le prepara della limonata. La maggiore delle Evans le fa appena un cenno per ringraziarla. Non c'è niente dopo quello, non per un po', perché Petunia non parla e Lily ha paura di chiedere. Non è nemmeno sicura di quale sia la domanda, ma ce n'è una. Lo sa.

Siedono in silenzio, anche Petunia trattiene le parole per una volta.

C'è una silenziosa fitta pulsante nel petto di Lily; lo stesso fremito di qualche dozzina di viaggi in treno fa, quando Lily è andata ad Hogwarts per la prima volta. Petunia ne è inconsapevole, ovviamente. O forse anche lei sta sedando i suoi piccoli demoni. È ancora amaro in bocca a Lily – il rimpianto, l'irreparabile verità che ormai sono troppo lontane nelle proprie vite – ma non è più qualcosa che entrambe non possono gestire. Non è un pensiero piacevole, ma è così.

Fissano entrambe il retro del divano davanti a loro, sedute sugli sgabelli al bancone della cucina. Lily appoggia il mento sulla mano, Petunia beve la sua bibita con la cannuccia. È quest'ultima che termina il silenzio. “Allora.” Lily alza la testa per ascoltarla. “Hai finito?”

“Ho finito?”

“La scuola.”

“Oh. Sì. Suppongo di sì.”

“E adesso?”

“Io...” Lily non lo sa, ad essere sincera. Non del tutto. Ci sono dei calderoni nella camera di riserva al piano di sopra, alcuni ancora accesi e bollenti mentre parlano. Ha appena avuto il tempo di pulire i fumi quando ha sentito il campanello. Lo dice a Petunia? Come fa ad iniziare a spiegarle?

E adesso? Il piano B, ecco cosa. E Lily non ha avuto idea di da dove iniziare il primo giorno a casa, come fabbricare un nuovo futuro attorno all'assenza di certe persone che ha sempre immaginato ci sarebbero sempre state. Non c'era niente quando si è allontanata da Sirius alla stazione. Ma la situazione è come è, e non c'è niente da fare tranne andare avanti con la propria vita. Fare qualcosa. Iniziare da qualche parte.

Ora c'è l'inventarsi un progetto investigativo di pozioni abbastanza rilevante da farla accedere al tirocinio al Ministero, qualcosa per cui Lumacorno le ha mandato un gufo qualche giorno fa, e poi guadagnarsi abbastanza riconoscimento per magari acciuffare una posizione al dipartimento di giustizia più in là. È un percorso lungo, ma... è qualcosa. “Sto lavorando per avere questo tirocinio,” dice Lily. “Non è retribuito, non ancora, ma mi darà passaggio. Mi prenderò un lavoro da queste parti mentre lo faccio, però, non preoccuparti. Per le bollette e tutto.”

Petunia è silenziosa. Prende un sorso misurato della sua bibita. È uno spreco di tempo cercare di rovistare la sua espressione per una traccia di approvazione, quindi Lily decide di fissare il suo cappello sempre immacolatamente appuntato sulla sua testa. “Non devi vivere qui, sai,” dice Petunia.

Lily non sa cosa si stesse aspettando, ma non era quello. “Lo so.”

“E adesso che hai finito con-”

“Tunia, non funziona così.”

“Vieni a vivere in Surrey con me,” esclama Petunia, le parole che le scappano velocemente come se così fossero più semplici da dire.

“Surrey?”

“Lasciamo Cokeworth. Vieni a vivere con noi. Non nella stessa casa, ma posso trovare degli accordi, e possiamo trovarti un lavoro – Vernon dice che sua sorella ha questo negozio carino in centro, e tu puoi-”

“Tunia...”

“Perché no?” la sua voce prende una nota più alta. Più tremante. “Hai finito, no? Hai sprecato sette anni di vita, Lily, ed è abbastanza. È tempo di crescere da tutto quel folle nonsenso di bacchette.”

“Questo è quello che sono.” Lily stringe i pugni. Era brutto quando era diventato evidente che Petunia non capisce, ma è peggio cercare di spiegarle mille volte, e ottenere lo stesso risultato. “Non è solo una fase che mi prende e poi ne esco.”

“Lo è se lo vuoi.”

Lily non vuole. È fuori questione. E quello è il problema. “Come sta Vernon?”

“Cosa?”

“Come sta Vernon? È il suo nome, giusto?”

Petunia appoggia il bicchiere, il tintinnio più rumoroso del solito, e Lily è sicura che sua sorella non chiederà più. “Sì. Vernon. Stiamo bene.”

“E' meraviglioso, Tunia.”

Petunia finisce la limonata, borbotta qualche fievole scusa per andarsene, poi si alza in fretta. Raggiunge la porta in lunghi passi, come se non possa sopportare essere lì. Come se la disgustasse. Sulla soglia, si volta. Lily, che l'ha seguita, infila le mani nelle tasche dei jeans. Stanno entrambe fissando lo stesso punto del pavimento di linoleum. Petunia delibera, spazzola dei fili inesistenti dal suo cappotto.

“Puoi cambiare chi sei, Lily,” dice. “E' quello che le persone saranno sempre in grado di fare. Cambiare.”

Lily non risponde. Petunia fa un respiro profondo, rassegnato, e si aggiusta il cappello con le dita veloci. “Rimaniamo qua fino a martedì.”

“E' nel mio sangue,” dice Lily, forte e chiaro, come se fosse l'ultima dannata volta che potrà mai dirlo a Petunia. E lo è, non è vero? È nel suo sangue. La magia. Un intero mondo nascosto. Ed anche quando, proprio ora, sembra che esserne parte significhi che lei sta se ne sta costantemente andando, o viene costantemente lasciata indietro, allora che sia così. Ma questo è chi lei è. Lei non è il problema. E lei combatterà per quello. Non sguscerà via di nuovo nel suo “fetido posto”, che sia Demetria Greengrass o sua dannatissima sorella a riportarcela.

C'è una orribile pausa prima che Petunia si giri e poi, freddamente, dica: “Allora forse non condividiamo lo stesso sangue.”

 

 

La villa dei Potter si alza sulla cima di una bassa collina, antica, orgogliosa e adornata dall'estate. Un sentiero di pietra si stende da una corta rampa di scalini lastricati da larghe pietre che portano all'alto portone doppio, gigli e giunchiglie come accoglienti sentinelle su entrambi i lati. Il sentiero si divide appena prima che finisca la discesa della collina; un ramo porta a High Street, l'altro ruota intorno a metà della collina, scompare in un boschetto, chiuso da un capanno a due piani che sbircia curioso dai rami aggrovigliati.

C'è un glorioso momento indisturbato, vedete, quando il vento spazza l'erba dalle punte argentate in un lungo e caldo sospiro dal sud. Luce ed ombra danzano sotto applaudenti foglie, e il lago lì vicino scintilla sotto un anello di pini e salici, come un agitato cielo illuminato dalla luna.

È pomeriggio, dello stesso Lunedì, poco dopo le tre.

Un cupo brontolio distante inizia a risuonare da nord, diventando ogni minuto più rumoroso, e il terreno vibra come per prepararsi.

Dentro, in cucina, il signore e la signora Potter alzano lo sguardo, riconoscendo il suono fin troppo familiare. Il signor Potter – Charlus – ridacchia tra sé e sé, e poi gira la pagina del libro come se niente fosse. La signora Potter, invece – Evangeline, la chiamano i suoi amici – scuote la testa ed alza gli occhi. “La quarta volta questa settimana!” Dopo un veloce movimento di bacchetta per pulire il lavandino, scende al piano di sotto. Il signor Potter sospira, ma rimane comunque seduto al suo posto.

Lassù in aria, su una motocicletta volante – perché cos'altro avrebbe potuto essere? - Remus sta imprecando. Ma nessuno lo può sentire da terra. Quello che c'è, se si presta abbastanza attenzione, è la risata simile ad un latrato di Sirius, il lungo grido acuto di James che si disintegra  in una risatina incessante, e le urla di Peter mentre James affonda velocemente, la scopa quasi verticale -

Si schiantano contro il capanno giusto mentre la signora Potter apre la doppia porta non lontano da lì. Marcia giù per le scale ed attorno alla collina, la bacchetta in mano, ciocche ricce di capelli bianchi che scappano dalla pettinatura. Quando raggiunge il boschetto, i quattro ragazzi sono già in fila, con l'aria mortificata – be', Remus lo è – e dietro di loro il capanno è stato incantato per tornare a com'era prima.

“E' stato davvero un incidente questa volta, te lo giuro,” le dice suo figlio nel momento in cui lei è a portata d'orecchio, ma sta ridendo. “Peter ha volato con me, ed eravamo troppo pesanti per...”

“Stasera pulirete la cucina,” annuncia la signora Potter, dopo aver ispezionato per bene il capanno. Sembra a posto. Sembra sempre a posto. Anche nelle notti di luna piena, anche quella volta in cui è esploso per qualunque cosa fosse che vi stavano facendo. “Niente elfi, niente bacchette. Sono stata chiara?”

“Sì, signora.” risponde Sirius.

“Ci dispiace davvero,” afferma Remus.

“Sì, ci dispiace.” aggiunge Peter.

“Mamma, possiamo almeno avere Zirk, voglio dire-”

“Chiudi la bocca, James.” sta già tornando dentro casa.

“Abbiamo decisamente vinto noi,” dice Remus nel silenzio successivo, e Sirius ricomincia a ridere. “Decisamente.”

“Oh, sta' zitto,” esclama Peter. “Abbiamo vinto noi.”

“Lascia perdere, Wormy,” risponde Sirius, avvolgendo un braccio attorno alle spalle di Peter e arruffandogli i capelli, per il dispiacere dell'amico. “La prossima volta voli con me.”

James alza gli occhi al cielo e chiama la sua scopa dal terreno ricoperto di rametti. “Non avete vinto, abbiamo colpito la finestra due secondi prima che-”

Il rumore di qualcosa di grande e pesante che si schianta al suolo, seguito da un sacco di altre cose che cadono continuamente, lo interrompe. Tutti e quattro si lasciano scappare le rispettive parolacce scelte, scattando verso il capanno per rimettere a posto l'incantesimo.

 

 

Una volta dentro, Sirius si appollaia sul davanzale della finestra mentre gli altri inizia a far levitare pezzi di legno scheggiato e vetri al loro posto, i più piccoli e insignificanti che finiscono in un alto tramezzo pericolante spinto maldestramente da parte. Il luogo è polveroso ed ammuffito, e puzza di vecchio legno e foglie bruciate, ma non sembra importare a nessuno. “Allora,” dice Sirius, “Adesso prendiamo a pugni Prongs?”

James, la bacchetta alzata, allunga il collo per guardarlo male e domanda: “Che?”

“Certo che non lo sa,” esclama Remus, concentrato nel levitare di torno un pezzo di metallo piegato. “Diglielo, Pete.”

“E' la ragazza,” spiega Peter a James con una punta di frustrazione. Lui si appoggia al muro dopo aver affrontato un ceppo particolarmente pesante, asciugandosi la fronte con il dorso della mano. “Del parco?”

“Quale ragazza?”

“Maglietta a righe rosse e bianche.” dice Sirius.

“Bei capelli,” aggiunge Remus “Fossette.”

“Fossette,” sottolinea Peter, annuendo entusiasta. “Le fossette erano molto carine.”

James abbassa la mano, girando la bacchetta tra le dita. Si lascia cadere a gambe incrociate sul pavimento e si appoggia all'indietro sulle braccia. “Di che parlate?”

“Qualcuno gli faccia una fattura,” esclama Sirius.

“James, dai,” dice Remus. Il pavimento ormai pulito, anche lui si avvicina alla finestra. “Le piaci. È sempre lì! Sta aspettando che la noti...”

“Voi tre l'avete notata. Forse le piace uno di voi,” segnala James. Non si ricorda. Ci prova – immagina il parco nella sua mente, ma ci sono sempre state solo persone. Niente righe bianche e rosse. Niente fossette. “Io nemmeno – dove sta? Chi diavolo è questa ragazza?”

“La ragazza al parco! La panchina dal lago delle papere.”

“A volte sotto l'albero.”

“Sempre da qualche parte attorno al laghetto delle papere.”

James guarda uno ad uno i suoi amici, confuso. “Non ho mai saputo che ci fosse una ragazza.”

Remus alza gli occhi al cielo. “Ora lo sai,” lo ammonisce “La prossima volta, fai qualcosa, okay? Fai uno sforzo.”

“Per cosa?”

“Per tenere a volume basso quel ridicolo cantare nella doccia; sembri un drago costipato,” s'intromette Sirius sardonicamente. Salta giù dal davanzale e mette le mani sui fianchi. “Cos'altro, Prongs? Piaci alla ragazza! Forse voi due potete-”

“Oh.” James sbuffa. Sposta lo sguardo e si aggiusta gli occhiali. “Oh, no. Non potete essere seri.”

Gli altri tre alzano le sopracciglia. “Cosa? Perché no?” chiede Peter.

“Volete che la inviti fuori? Seriamente?”

“Cosa c'è di sbagliato?” domanda Remus.

“Non la posso invitare a uscire. Non mi interessa se è Celestina Warbeck.”

“Non vorrei che tu uscissi con Miss Warbeck, Potter.” esclama Sirius, gli occhi stretti.

“Non è il punto, Sirius Black.”

“Perché?” la confusione di quest'ultimo è intrecciata ad un'avvertibile quantità di seccatura, ora. E sospetto.

Voi sapete il perché.”

Sono tutti silenziosi per un momento, e poi Peter dice: “Forse potrebbe aiutare...”

“Non lo farà,” insiste James. “E – potremmo fare del male a qualcuno. Tra parentesi, sto bene.”

Quando nessuno lo contesta, Peter aggiunge con imbarazzo: “Sì, okay, lo sei, ma non hai...”

“Cosa, superato Lily?”

Remus si schiarisce la gola. Peter sposta i piedi. Solo Sirius sembra indifferente, addirittura incrociando le braccia e sfidando James ad andare avanti.

James ride. Suona abbastanza genuino, d'accordo, ma salta in piedi e si avvicina al tramezzo, dando le spalle agli amici. Sirius sa che sta solo fingendo di fare qualcosa con le schegge. “Vedere altre persone non proverà niente, okay? Non sarà il nostro grandioso piano di riserva.” si volta lentamente per guardarli di nuovo, non incrociando il loro sguardo, ma nemmeno così depresso come Sirius ha anticipato. “Voglio dire, d'accordo, io ancora... è solo Evans. Lei è – lei è qualcosa. Ci vorrà un po'. Lo so. Ma sono okay, anche. Sto bene, davvero. Non voglio nessuno. Non adesso. Ma non vuole dire che non sono...”

La voce di James si affievolisce, confuso nei confronti di Sirius, che ora sembra trattenere un sorriso. Lui annuisce, scrocia le braccia per alzarle all'aria in un finto arrendersi. “Va bene. Capito.”

“Capiamo?” domanda Peter.

“Sì, capiamo.” annuisce Remus, un indizio di qualcosa di piacevole – orgoglio? - che si sistema nella vaga piega delle labbra.

Peter fa spallucce. “D'accordo. Allora inviterò io fuori la ragazza. Mi piacciono le sue fossette.”

 

 

Per Lily, la settimana è un'effimera successione di solitarie commissioni e distrazione nella forma di arretrate pozioni di guarigione.

Il loop si spezza solo venerdì, quando riceve una lettera. Arriva con la posta normale, quindi all'inizio assume che sia di Mary. Quando gira la busta, però, solo le sue iniziali e il suo indirizzo sono scritte in inchiostro verde. Nessun dettaglio di da chi o da dove venga.

Ritorna in casa e fissa la lettera per un po', sospettosa.

Non c'è molto da leggere quando infine la apre. È un invito, scopre, più che una lettera, e il mittente... la calligrafia la conosce, la riconosce senza un dubbio. E il modo in cui è stata scritta... forse una copertura?

Le ci vogliono ore per addormentarsi quella sera.

 

 

“E' solo una data e un indirizzo,” riflette Peter, steso sulla pancia sul pavimento della camera da letto di James il venerdì. “Domenica alle nove...”

“E' di Silente,” dice James dal letto, piegato sulla lettera a suo nome. Non è stato l'unico a riconoscere la grafia del loro ex preside. Sono tutti d'accordo che sia di Silente. Numero sette, Napoleon East, Cobalt Creek. “Ho come il presentimento che non dovremmo dirlo a nessuno.”

“Non c'erano gufi,” dice Sirius, l'unico che non è aggrappato alla sua lettera. È di nuovo sul davanzale della finestra, i piedi in alto e la schiena contro il bordo. “Erano lì. Potrebbero essere stati i tuoi genitori?”

“No, non tornano fino a stasera.”

“Ci andiamo?” domanda Peter, la voce soffocata con la guancia premuta contro le nocche.

“Certo che ci andiamo,” risponde James “E' Silente.”

“Per cosa pensi che sia?”

“Non lo so...”

“Io credo di sì,” s'intromette Remus, zitto per tutto il tempo sul divano vicino al camino. Sta ancora leggendo accuratamente la lettera, ma i suoi occhi marroni non vedono. Da' agli altri un sorriso smorto quando alza lo sguardo. “Dev'essere per l'Ordine.”

 

 

Domenica mattina, James è il primo ad uscire dalla sua camera.

Cammina per il corridoio, le scarpe da ginnastica ai piedi allenate al silenzio perfetto contro il tappeto. Si attarda sul pianerottolo del secondo piano, a qualche gradino dal grande scalone, le mani nelle tasche della giacca granata. L'ampio salone di ricevimento è vuoto sotto di lui. Un lampadario a scaglie di drago vi è appeso sopra, cento specchi a goccia che esplodono dal centro dell'alto soffitto. Può già sentire il mormorante traffico degli elfi domestici dalla cucina. Davanti a lui aldilà dell'ampio spazio, identiche alte finestre fiancheggiano le porte di legno a entrambi i lati; oltre loro i terreni della villa si allargano giù dalla collina, increspati e tinti attraverso il vetro, l'orizzonte lontano che appena si schiarisce. Nella scarsa luce, lui coglie il suo riflesso in più di una penzolante scaglia di cristallo. Fissa se stesso, sparsi James replicati, la mente che vaga alle cose che potrebbero potenzialmente, drasticamente cambiare durante il giorno.

Numero sette, Napoleon East, Cobalt Creek.

L'Ordine.

Se Remus ha ragione, e questa è una chiamata alle armi (più o meno), allora è possibile che un' importante decisione sia vicina. Per tutti. Cerca di concentrarsi su quello. Si convince che quello è ciò di cui è preoccupato, la guerra e tutto ciò che comporta, e non il fatto che... be', se è  un'organizzazione segreta principalmente occupata a fermare l'ascesa di Voldemort... allora lei dovrebbe aver ricevuto una lettera, giusto? È pazzo, lo sa. Il mondo sta andando a pezzi, per la barba di Merlino. E lui è nervoso per quello. Nervoso per lei.

I suoi pensieri si interrompono quando un movimento nella sua visione periferica lo fa sussultare, e non è finché il signor Potter è già di fianco a lui che capisce quanto fosse davvero pensieroso.

“Ci siamo alzati presto?” domanda Charlus Potter, appoggiandosi alla ringhiera con suo figlio.

“Oggi è un giorno impegnato.”

“E' domenica.”

“Io... sì. Sì, lo so....”

“Suppongo che tu comunque sia sempre stata una persona mattiniera.”

“Mhmm.”

“Non stai mai qui, però.”

James corruga la fronte quando guarda suo padre. “Sto qua?”

“Non di solito,” risponde Charlus pensieroso, un sorriso d'intesa sul viso. “Posso contare le volte sulle dita: Coppa del Mondo di Quidditch, primo giorno di Hogwarts, primo giorno del settimo anno – mio figlio Caposcuola... oh, e il primo giorno in cui sei tornato dal quinto anno, anche. Sai, quella non l'ho mai capita. Era un po' diversa dalle altre.”

“Di cosa stai parlando, papà?”

“Succede qualcosa di importante oggi?” lui domanda, e il silenzio di James gli rivela sempre abbastanza. “Quando deve succedere qualcosa di importante, vieni sempre qui, per prima cosa durante la giornata, ti guardi intorno per la casa come un direttore del ministero. Tutto... meditabondo. Penso che la mamma abbia una tua foto ad undici anni...”

“Papà...”

“Non ti chiederò di dirmi cos'è, ma ho la sensazione...”

“E' arrivata anche a te la lettera?” dice d'impulso James. Sta morendo dalla voglia di chiederglielo da quando ha letto la sua. Tra l'altro, suo padre sembra davvero già sapere...

L'espressione di Charlus è di calcolata deliberazione. Le rughe sul suo volto sembrano più vivide a James in qualche modo, ma attraverso tutto, ora più che mai, può rivedere se stesso nel suo volto – a pezzetti, come la forma degli occhi, il taglio della mandibola, il naso. C'è un rassegnato tipo di calma nei suoi occhi, però, qualcosa che James deve ancora ereditare negli anni che verranno. Risiede nella dolcezza del suo sguardo, negli angoli delle labbra sottili come carta. “Silente,” borbotta Charlus, allungando l'ultima sillaba. Scuote la testa con un sorriso triste. James non riesce a dire se sia approvazione, ma non sembra neanche l'opposto.

“Ti è arrivata, vero?” insiste James.

Charlus sospira. “James, tua mamma ed io... devi capire che date le circostanze, avrò già parecchie difficoltà a trovare una nuova occupazione, e -”

“No. Papà, no. Io non – non intendevo quello. Volevo solo onestamente sapere, ecco tutto.”

Charlus annuisce. “Le abbiamo ricevute, sì.”

James può ancora avvertire le scuse nella sua voce. Mette le mani sulle spalle di Charlus – è divertente come non abbia mai davvero notato di essere diventato più alto di lui – e gli fa un sorriso rassicurante. “Va tutto bene, te lo prometto.”

Charlus sorride di rimando. Più facilmente questa volta.

“Non vuoi che ci vada, vero?”

“No,” conferma Charlus senza mezzi termini. “Non penso che nessuno dei genitori dei tuoi amici vorrebbe.”

“Be', voglio dire, Sirius...”

Charlus ridacchia. “Se è Silente, allora specialmente Sirius, non pensi?”

James ride.

“Ma so anche che ciò non ti fermerà:”

A quello, James non sa bene come rispondere.

“Non fermerebbe nemmeno me,” continua Charlus “Non penso fermerebbe nemmeno Evangeline.”

James sorride al foyer vuoto. “Starò bene, papà. Lo sai.”

“Credo che però questo metterà in pausa i tuoi piani.”

James fa un sospiro profondo. “Non è che le cose abbiano seguito proprio i piani di recente...”

C'è una pausa riluttante da parte di suo padre, e poi, “Lily pensa ancora che-?”

“Sì,” risponde James un po' troppo velocemente. “Ma noi, ehm – va tutto bene. Probabilmente abbiamo bisogno di tempo da soli. Con tutto. È tutto molto caotico.”

“Okay. Mi dispiace davvero.”

“Non è colpa tua.”

“Peter ha menzionato che la mia-”

“Peter è un idiota. Non è davvero quello.”

“D'accordo,” il Sole ora è sorto. I giardini ancora stanno prendendo una forma nella luce del mattino, e James si sente più calmo che di quanto stava lì da solo. “Sei un Cacciatore, però.”

“Ehm. Sì, lo sono.”

“Tu cacci...”

James capisce, ma non pensa che gli piaccia molto. “Papà, onestamente, tu e Sirius avete il più terribile-”

Suo papà ride. “Sto solo dicendo – l'hai trovata! È là fuori. Lo sai che lo è.” si sposta, come se la sua agitazione si sia alzata con il sole “Sai, mi stupisce sempre – fai sempre le cose così velocemente. Sempre così veloce. Metti gli occhi su qualcosa, ci lavori, la prendi. Come se... tu fossi di fretta. Perché sei sempre di fretta?”

James fa spallucce. “Non lo so. La vita è corta?”

Charlus scuote la testa. “Sei peggio di tua madre. Davvero. Ma è diverso con... la partita non finisce mai quando sei Cacciatore. Non la chiudi tu. Non la puoi affrettare. Continui a giocare. E in una partita puoi perdere la Pluffa da una ad un milione di volte, ma poi la rivinci. Ritorni in gioco, e la riprendi.”

“E se stessi giocando la partita sbagliata? Se non fosse mia da vincere?”

“L'hai persa una volta sola. E certo, sembra che due bolidi siano arrivati. Ma una volta.”

Sono interrotti dal rumore di passi. Sirius zoppica dal corridoio di sinistra, sbadigliando, gli occhi ancora semi chiusi.

“Buongiorno, Sirius,” lo saluta Charlus con un sorriso affezionato e divertito.

“Buongiorno.” Sirius sembra non essere sicuro di essere del tutto sveglio. Sbadiglia ancora. “Moony e Wormy sono già svegli?”

“Ne dubito,” risponde James.

“Vado a svegliarli,” farfuglia l'altro, sorpassandogli e andando dall'altra parte del corridoio, dov'è la stanza di Remus e Peter. James sa che si ributterà a letto non appena gli si avvicinerà.

Prima che il signor Potter scenda le scale per il profumo della colazione che soffia dolcemente verso di loro dal piano terra, arruffa i capelli di James – qualcosa che non fa da una vita, e James è troppo stupito per protestare – e dice, “Mi rendi orgoglioso, James, lo sai?”

James alza gli occhi al cielo, riprendendosi molto in fretta. “Sta' zitto, papà.”

Charlus ride, ora è la più calda e la più fragorosa, e qualcosa dentro James si scalda e tira e si spezza quando realizza di non ricordarsi l'ultima volta in cui ha sentito suo padre ridere così.

“Prendetevi cura di voi stessi oggi, okay?” dice Charlus.

James sorride e gli fa il saluto militare.

 

 

Neptune Hollow, dove lei dovrebbe essere domenica mattina come ordinato nella lettera, in realtà non è nuovo a Lily, ed è colpita da un'inaspettata ondata di nostalgia quando scende dal bus. Non è lontano da Cokeworth; solo quindici minuti dalla fermata più vicina.

Ogni anno, una fiera con le giostre si ferma qui. Prima di Hogwarts, lei e suo papà ci andavano ogni estate.

Il bus riparte e Lily fa un respiro profondo, controlla il posto. La cattedrale è una vista familiare a qualche isolato di distanza, una torre solitaria tra casette basse. S'incammina per la via con memorie sparse di suo papà e lo stomaco annodato.

Il numero di palazzi è raddoppiato dall'ultima volta che è venuta. La strada, con blocchi di bungalow costruiti vicini, sembra più lunga di quanto si ricordi. I passanti scarseggiano.

Lily scopre presto che i numeri civici sono difficili da trovare. Non sono sulle porte, come a Cokeworth, ma non sono nemmeno inchiodati sulle colonne che sostengono i cancelli o saldati sugli stessi cancelli di ferro. Ogni singolo numero è fatto in maniera diversa. Sembra non esserci nemmeno uno schema distinguibile nell'ordine delle case.

Dopo un'ora o più di camminata senza meta, finalmente lo trova – il numero 18 – ma il palazzo a cui arriva sembra così abbandonato che lei pensa che forse non si ricorda l'indirizzo giusto. Non si è portata la lettera. Forse avrebbe dovuto. Guarda l'orologio – sono quasi le nove – e le prende il panico. La lettera diceva di essere lì alle nove. A Silente importerà del ritardo?

La casa sembra un vecchio convento. Due piani, una delle poche con più di un piano, fatta di grezza pietra grigia che appare spenta anche sotto la luce del mattino. Il cancello è talmente arrugginito che lei sa che le scaglie le cadrebbero in mano se decidesse di aprirlo. Una spessa e lunga catena è arrotolata nel mezzo come un serpente da guardia. Puzza di sangue. Il giardino è trasandato, le finestre sbarrate, le porte chiuse.

Decide di entrare. È un incontro segreto dopotutto. La facciata potrebbe essere un trucco, un'altra copertura...

Le sue dita sono a meno di un centimetro dal cancello quando avverte un movimento dalla casa a fianco al numero 18. E' allerta in un secondo – e vede un'anziana donna che la spia dalla finestra, attraverso una sottile fessura tra le tende fiorate. Sta guardando dritta Lily. La giovane strega sorride e le fa un cenno con la mano, incerta sul da farsi. Per sua sorpresa, la donna alza la mano davanti a lei, gesticolando al suo polso nudo. Confusa dall'intento ma capendo il significato, Lily controlla l'ora. Otto e cinquantotto.

Quando guarda di nuovo la signora, questa sta controllando la strada da sinistra a destra. Vedendo che è vuota, mima qualcosa con le labbra a Lily – il cancello? Ha detto il cancello? - e le fa cenno di guardare ancora l'orologio. Lily avvolge le dita attorno al lucchetto alla fine della catena, sentendosi un po' scema – e capisce immediatamente che c'è qualcosa di... sbagliato. Non riesce più a togliere la mano dal cancello. Cerca di non essere troppo allarmata quando vede che la donna sorride, quasi incoraggiante, e poi sparisce di nuovo in casa sua.

Adesso è sola. Manca solo un minuto.

Cerca di togliere ancora le dita, ma la piccola lastra di metallo e la sua mano sono in qualche modo diventate calamite. Guarda la strada. Dovrebbe usare la bacchetta?

Trenta secondi. Non c'è tempo di preoccuparsi di essere vista, pesca la bacchetta con la mano libera, ma poi fronteggia il problema di che incantesimo usare.

Diavolo.

Quando l'orologio ticchetta le nove, qualcosa la tira con forza in avanti, togliendole il respiro. Soffre di un violento mini-infarto quando pensa che stia per colpire di faccia il cancello arrugginito, ma poi esso scompare, tutto; il cancello e la terra sotto i suoi piedi, una scarica di adrenalina che la spinge a togliere le dita dal cancello che precipita invece in un caotico vortice di confusione, sorpresa, e panico – e attraverso tutto ciò la forza invisibile la tira inesauribilmente, le dita che mantengono il contatto con il chiavistello. Capisce cosa sia nel seguente uragano di colori sfumati, un leggero fischio nelle orecchie.

Quella donna dev'essere stata una sentinella.

Le sarebbe servito un po' di avviso, davvero.

Oh, Merlino, ha bisogno di chiudere gli occhi...

Cerca di riprendere controllo dei suoi piedi prima che si scontrino contro il suolo, ma inciampa comunque quando il viaggio finisce. Si alza, appoggiandosi al muro con una mano, nauseata.

Quando si riprende, controlla l'ambiente circostante. È in corridoio. Stretto, ammuffito, poco illuminato. Tappeti vecchi. Una porta in fronte a lei è semi-aperta, luce e tenui chiacchiere che fuoriescono dallo spiraglio.

“Non ti sei mai abituata nemmeno tu, eh?” qualcuno dice alle sue spalle, e lei salta. Mary è appoggiata al muro, mani sulle tempie, senza fiato. “Maledette Passaporta.”

Lily le corre praticamente incontro e l'abbraccia. “Oh mio dio, ciao.”

“Anche tu mi sei mancata, Lily,” le dice Mary “Ora andiamo. Sono le nove e un minuto.”

 

 

“Quindi quando hai detto che tu e Silente avete parlato di un impiego quella sera,” dice Peter, faticando a tenere il passo dei suoi tre amici “Vuoi dire che avete parlato di questo.”

“Non esattamente,” risponde Remus. “Mi ha offerto un posto in questo gruppo d'opposizione, ma niente dettagli. Solo che se avrò mai difficoltà... a cercare lavoro, posso invece lavorare per lui. Posso aiutarli.”

“Aspetta,” James si corruccia “Voi tre ne avete parlato? E io dov'ero?”

“A sognare,” provvede semplicemente Sirius, la sua attenzione totalmente su Remus “Cos'ha detto esattamente Silente? Ce lo puoi dire ora, giusto? Siamo tutti invitati adesso. Circa.”

“Suppongo di sì,” Remus cammina davanti e si volta, le mani alzate per fermarli. Hanno tutti un'espressione seria, per una volta tesa. Peter continua a mangiarsi le unghie. “Ha detto che c'è questa organizzazione segreta, che ha chiamato solamente l'Ordine. Ma potrei anche averlo capito male. Ma questo Ordine – stanno lavorando contro Voldemort. Ci sono delle spie al Ministero e tutto. Qualche altro reclutamento. Non lo so. Come ho detto, niente di specifico. Ma ora, ho pensato, se addirittura sono arrivati a invitare noi...”

“Freschi di Hogwarts. Devono essere disperati,” dice James, pensieroso. “Pensi che la guerra stia peggiorando?”

“Oppure noi dobbiamo essere bravi, miei allegri, positivi amici,” dice Sirius, alzando gli occhi al cielo “Perché Silente non l'ha detto anche a noi allora? Perché solo a te?”

Nessuno risponde. Remus ignora il suo sguardo. Quando ricomincia a camminare, la sua schiena stranamente s'irrigidisce e la sua camminata è più brusca. James e Sirius si scambiano un'occhiata, il primo fa spallucce e scuote la testa. Seguono Remus senza un'altra parola, Sirius corrucciato.

È Peter che ha la risposta questa volta. “Moony è diverso,” dice mentre camminano, la riluttanza del dar voce ai suoi pensieri evidente nella sua voce. Osserva Remus guardare a destra e a sinistra lungo Napoleon Street, cercando l'elusivo numero sette. “Tra di noi, è quello con minori scelte riguardo cosa fare dopo Hogwarts, no? Silente gli stava facendo un favore. Dandogli qualcosa da fare...”

James non risponde, ma controlla attentamente Sirius per la sua reazione. Peter ha ragione. Potrebbe aver ragione. Circa. James odia la cosa.

Sirius non dice niente all'inizio, e poi si velocizza, borbottando velenoso. “Sono stupidaggini,” ma non elabora il concetto. “Hey, Moony! Potresti aspettare, per favore?”

Peter cerca in James della rassicurazione, ma non la trova. L'altro controlla solo il suo orologio e cammina più veloce per riprendere. “Dobbiamo sbrigarci. Sono quasi le nove.”

 

 

“Iniziamo?” domanda un uomo alla destra di Alastor Moody. Lily sa il nome di Moody perché lui si è presentato non appena lei è entrata nella stanza. Un uomo grosso con una voce ruvida e più cicatrici di quante lei riesca a contarne. Ha quasi spaventato a morte lei e Mary. Ha detto che potevano iniziare benissimo con i nomi finché la riunione non fosse iniziata ufficialmente. Lily pensa di aver sentito Moody chiamare l'altro uomo Gid, quello che ha appena fatto la domanda, ma non ne è sicura. “Come fai ad iniziare...” borbotta Gid, guardando la stanza con notevole trepidazione.

Lily e Mary sono sedute vicino alla fine del tavolo – all'altro capo, quello posto accanto ad un caminetto antico. La porta è da un lato, ancora aperta, anche se nessuno è entrato dopo lei e Mary. La stanza è solo poco più illuminata del corridoio. Ci sono circa altre venti persone con loro, più o meno quanto la stanza può contenerne. Alcuni siedono attorno al tavolo, altri si appoggiano al muro freddo e sconnesso. Nessuno dice niente, nessuno tranne Gid, e la tensione curiosa è apparente negli occasionali movimenti bruschi. Sguardi sospettosi, dita agitate, labbra strette. Lily riconosce alcuni di loro, ne ha anche salutati alcuni quand'è entrata. C'è Cassandra Dame, prefetto di Serpeverde ad Hogwarts, Caposcuola quando Lily era al quinto anno; e Dorcas Meadows di un anno più grande, Corvonero, anche lei prefetto; Marlene McKinnon, Terrence Hunter, Jeanne Marchbanks...

Tutti di Hogwarts, tutti appena un po' più grandi di lei.

“Non ancora,” abbaia Moody in risposta a Gid. Anche lui sembra aver un ripensamento riguardo il gruppo di gente che hanno raccolto. Lily si chiede se andranno avanti visto che anche i superiori sono chiaramente dubbiosi... “Ce ne sono altri quattro. Le canaglie, direi.” Poi i suoi occhi sfarfallano in direzione di Lily e Mary, ma lei fa finta di non notarlo.

Può sentire anche gli occhi di Mary su di lei. Lei continua determinatamente a sorvegliare il luogo d'incontro.

Altri quattro. Ovvio che ci siano. E – quasi ride – ovvio che siano in ritardo.

Aspettano ancora un po', i nervi di Lily un intreccio ribollente nel suo stomaco.

 

 

“E' un negozio di fiori,” osserva neutro James, come se agli altri tre servisse. Dall'altro lato della strada, finalmente, c'è il numero sette, ma è un banchetto blu acceso con file e file di fiori, di tutti i tipi, in bouquet e vasi e secchi. “Siete sicuri che siamo nel posto giusto?”

In risposta, Sirius si volta verso Peter per chiedere, “Wormtail? Hai portato la lettera?”

“No – avete detto che nessuno avrebbe portato la sua!”

“Scusa, è che di solito tu non presti mai attenzione. È il momento sbagliato per iniziare.”

“No, era di sicuro il sette,” l'interrompe Remus, prima che Peter possa replicare. “E' il posto giusto. A meno che non ci siano altre Napoleon Street nei dintorni...”

“D'accordo,” dice James, già diretto al negozio “Andiamo a controllare allora.”

Quando lo raggiungono, saltano tutti all'indietro quando una donna rotondetta spunta fuori dal nulla – be, in realtà salta fuori all'improvviso da dietro al bancone, facendo cadere un paio di bouquet della prima fila. Li riconosce immediatamente, e non è contenta. “Siete in ritardo,” li guarda male. “Sono passate le nove.”

“Ci dispiace,” dice subito Remus, facendo un passo avanti. James, Sirius, e Peter gli lasciano volentieri lo spazio. “Ci siamo persi.”

“Pensate che mi interessino le vostre scuse?” scatta la donna. “Tutto questo sforzo per nulla...”

“Possiamo ancora andare, giusto?” domanda James, sospettoso. “Siamo ancora-”

“Non qua, ragazzo!” la donna urla in un sussurro, sporgendosi dal bancone per controllare se qualcuno nelle vicinanze abbia sentito. “Venite qua e scegliete un fiore.”

“Cosa?” dicono tutti e quattro. La nicchia dietro al bancone è piccola, e James pensa che non ci staranno tutti.

“Fatelo e basta, dannazione.” la donna è di nuovo piegata sugli scaffali, cercando chissà cosa.

Uno alla volta, perché una stretta apertura su un lato permette solo ad una persona di entrare nel ridotto spazio, i ragazzi entrano nel negozio. Stanno lì, scomodamente affollati, guardandosi attorno come bambini sperduti.

“Be', allora! Non abbiamo tutto il giorno, no?” dice la donna, esasperata. “Scegliete qualsiasi cosa!”

Tutti subito si affrettano per qualcosa. James prende d'istinto una rosa gialla – le preferite di Lily, qualcosa che non comprende interamente finché non nota gli altri tre guardarlo in modo strano.

Apparentemente, comunque, non hanno tempo di discutere di cose così frivole.

“Eccovi...” la donna si raddrizza nuovamente, la bacchetta stretta tra le dita. Si accerta di non alzare troppo in alto la mano in caso qualcuno dalla strada possa vedere. “Voi mocciosi sapete niente delle Passaporte?”

“Sì,” rispondono loro.

“Ne avete mai creata una?”

“Ehm, no.”

La donna rotea gli occhi. “Okay, okay. Datemi quei fiori... avrei dovuto saperlo che sareste stati in ritardo. Merlino, mi sarei divertita un po' con voi prima di mandarvi via, ma-”

“Cosa?” domanda Sirius.

“Sta' zitto, Arruffato.”

Arruffato?”

Lei lo ignora. “Tu. Potter. Dammi il tuo.”

James le passa la rosa gialla. La donna punta la bacchetta, la lingua tra i denti per la concentrazione. “Portus.”

La rosa si muove appena nella sua mano, un tremito che James potrebbe solo aver immaginato. Diventa di una pulsante tinta bluastra, ma prima che James la possa guardare per bene, la donna gliela sta ridando. Annuisce urgentemente verso la porta sul retro, nascosta quasi del tutto dal corpo di Peter. “Vai là. E veloce. Si attiverà in un minuto.” indica Sirius. “Arruffato, sei il prossimo.”

“Per favore, la smetta di chiamarmi così.” mormora Sirius mentre si fa avanti, ma la donna rotea solo gli occhi di nuovo.

Con sforzo, James riesce ad oltrepassare Remus e Peter, ed esce dal retro, dove c'è solo una piccola camera polverosa. Altri fiori, ed una pila di botti in un angolo.

Sirius sta aprendo la porta ed entrando nella stanza sul retro quando la rosa gialla tira James in avanti, e il mondo scompare da sotto di lui.

 

 

James arriva per primo. Appare dal nulla e atterra direttamente dentro la stanza, tirandosi su contro il muro più vicino, piegandosi per riprendere il fiato. Sta... sta stringendo una rosa gialla. Moody lo aiuta, in modo piuttosto rude, e Lily vede James sussultare di paura per un secondo prima che riconosca chi sia. “Hey, Moody,” lo saluta, e poi si spazzola dalla polvere.

Moody grugnisce solamente.

Sirius compare dopo, imprecando mentre inciampa dal vuoto di un viaggio in Passaporta, un'orchidea cinese viola che rotola sul pavimento dalle sue dita. Non si premura di raccoglierla.

Dieci secondi dopo, anche Remus e Peter sono nella stanza, imprecando anche loro, Remus con un girasole e Peter con un garofano – da dove diavolo vengono, esattamente?

“Sedete i vostri didietro in ritardo,” abbaia Moody. Sirius si siede accanto a Mary, dandole una gomitata e borbottando, “Hey.” Non considera Lily. Il resto dei ragazzi prendono i posti lasciati liberi attorno al tavolo, Remus che da un colpetto alla spalla di Lily mentre passa e le sorride. James finisce davanti a lei. Non la guarda finché non è seduto per bene, e a Lily sembra che non lo voglia nemmeno quando infine lo fa. Non sa se dovrebbe dirgli ciao.

Quando Remus e Peter allungano i loro fiori a Mary per liberarsene, James fa scorrere la rosa gialla verso Lily. Non sta esattamente sorridendo quando lei alza lo sguardo su di lui. Si stringe solo nelle spalle, non è chissà cosa, e poi dà tutta la sua attenzione a Moody.

Moody incombe su di loro, la bocca una linea stretta. “Bene, allora,” inizia, guardando una persona alla volta. “Benvenuti nell'Ordine della Fenice. Voi ragazzi siete stati chiamati in guerra.”

 

 

La spiegazione si presenta più corta di quanto Lily si aspettasse.

È un gruppo di resistenza, l'Ordine della Fenice, che fa tutto ciò che possono per fermare Voldemort e i suoi piani. I membri esistenti – fanno attenzione a non menzionare nessuno – sono occupati a cercare possibili infiltrazioni nel Ministero e ad accertarsi che gli gradi superiori dei dipartimenti siano protetti da persone dell'Ordine. Gli insider hanno svelato che l'ascesa di Voldemort continua nel suo ritmo, peggio di quanto avessero anticipato, ma scoprire ciò prima che gli scoppi tutto in faccia è un passo avanti dalla loro parte. L'Ordine è stato fondato da Silente – nessuna sorpresa – ed è responsabile per i più recenti arresti e processi di Mangiamorte. Non tanti, ma stanno facendo tutto ciò che possono. È sempre attraverso suggerimenti anonimi per loro fino a questo momento, e il gruppo rimane per ora nascosto.

L'incontro non è comunque più che un invito, pensa Lily, come la lettera. Niente di specifico o della massima importanza è divulgato. La pioggia di domande che segue dura di più della loro primaria iniziazione. Perlopiù concerne ciò che ci si aspetta da loro, cosa comprenda l'appartenenza, tutto il resto che a questo stadio possono sapere. L'ultima cosa si scopre non essere poi molto.

“Non ci aspettiamo che saltiate a bordo ora,” dice Gid, quando alla fine c'è una pausa dalle trepidanti mani in aria. “Vi daremo l'intera settimana per pensarci.”

“Non ci aspettiamo che neanche mai saltiate a bordo,” s'intromette Moody “Ed è importante che lo sappiate. Sono al corrente che alcuni di voi prudano dalla voglia di entrare in campo-” i suoi occhi si soffermano su James e Sirius e il gruppo “- ma voglio che ci pensiate tanto e a lungo. Considerate le vostre famiglie, i vostri piani, il fatto che un giorno potrete non tornare a casa, che potrebbe non esserci una casa a cui tornare. Perché succede. Non è una dannata vacanza, mettetevelo in testa, e non sarà un'avventura da favola. È una bocca dell'inferno da qui in poi. Abbiamo perso dei membri dalla formazione, nelle più orribili, inumane maniere, e non lo rinfacceremo contro chiunque dica di no.” si ferma, lascia che ciò venga assorbito. “Capito?”

Un collettivo mormorio di assenso si diffonde per la stanza.

“Altre domande?”

“Come facciamo a farvi sapere dopo una settimana?” domanda Mary.

“Oh, già – ci scrivete,” risponde Gid. “Speditela a me o Alastor o Silente. I gufi lo sapranno. Un sì o un no saranno sufficienti, tra l'altro. Nient'altro. Sì, Meadowes?”

“Assolutamente nessuna conseguenza per chi dice di no?” chiede Dorcas. È la prima volta che parla. Lily ricorda il modo in cui guarda le persone, e non è cambiato; è rimasto pericolosamente fermo, in qualche modo riuscendo a sembrare sia sonnolento e acuto dietro le palpebre. “Per qualche ragione faccio fatica a crederci.”

“Che vuoi dire?” dice Gid con le sopracciglia alzate. “Siete liberi di rifiutare.”

“Ma sapremmo di questo gruppo,” risponde Dorcas. “Il vostro segreto, nascosto Ordine. Dubito che ci lascereste andare via. La conoscenza stessa della vostra esistenza è rilevante, no?”

“Che stai dicendo?”

“Prewett,” chiama Moody prima che Gid – Prewett? - possa rispondere. Occhieggia curiosamente Dorcas. “Hai ragione. Non vi lasceremo andare via con quella informazione.”

Dorcas piega la testa da un lato e alza un sopracciglia perfettamente curvo.

“Condurremo modificati, selettivi incantesimi di memoria a coloro che dicono di no.”

La stanza erutta in scoppi di domande. Moody alza una mano e la stanza si acquieta. Lily e James si trovano nella fragorosa onda di obiezioni, entrambi accigliati.

“Rispettiamo completamente le vostre scelte,” risponde Moody sopra il rimanente chiasso. “Ma l'Ordine ha appena iniziato a raccogliere le informazioni che gli servono, ed è imperativo che rimaniamo nascosti finché abbiamo tutti i pezzi per iniziare a lavorare. E così sarà il caso finché Silente ritiene che sia il momento giusto, o finché non potremmo mantenerlo più segreto.” si spinge in avanti, le mani che sbattono contro il tavolo di legno, e passa il suo palpabile fervore a tutti. “Siete qui perché Silente confidava che voi sareste stati fortemente comprensivi della causa, che decidiate o meno di combattere la guerra con noi. Provate che lo siete e capite che è per il meglio.”

Non c'è più disaccordo questa volta. Almeno non ad alta voce. Dorcas si appoggia allo schienale della sedia e incrocia le braccia.

“Usate bene la settimana,” dice Moody. “Non ve lo si offrirà una seconda volta.”

 

 

Gli iniziati sono istruiti ad uscire dall'incontro di nuovo con le Passaporte. Non scoprono mai dove sono, perché le Passaporte sono già pronte e dentro la stanza quando l'incontro finisce. Vanno in gruppi, ed in qualche modo Lily finisce con i Malandrini e Dorcas Meadows. Quando cerca di richiedere leggermente di essere messa in un altro gruppo, quello di Mary, la sua amica scivola al suo fianco e l'assicura che va tutto bene, e che la verrà a trovare in settimana per discutere di tutto.

Lily si unisce al suo gruppo assegnato solo quando sono tutti pronti attorno alla Passaporta sul tavolo. È solo una bottiglia vuota di Whisky Incendiario questa volta, l'etichetta strappata e sbiadita. Sta tra Remus e Peter e cerca di non incrociare né lo sguardo di Sirius che quello di James. Sente la bottiglia tirare, e la rosa gialla sul tavolo è l'ultima cosa che vede prima che sia portata via.

 

 

Atterrano in un parco da qualche parte. Dorcas se ne va senza più che un cenno della testa per arrivederci.

“Spero di non dover mai lavorare con lei,” dice Sirius, guardandola andarsene. Remus e Peter mugolano il loro assenso.

James non toglie gli occhi da Lily. Lei ha fatto troppo in fretta a spostare lo sguardo quando ha incrociato il suo per un attimo nell'inciampare sul terreno erboso, e lui non può decidere se sia meglio lasciarlo così.

Segue i suoi movimenti mentre lei in silenzio raccoglie la bottiglia abbandonata e si avvicina ad un cestino. Si siede sulla panchina lì accanto, guardando la strada dove Dorcas sta girando l'angolo.

Le sue dita si arricciano involontariamente in pugni. Merlino. Gli manca più di quanto pensasse.

“Penso che quello sia un diner,” sta dicendo Remus, e James sposta lo sguardo da Lily in tempo per vederlo indicare una modesta costruzione sul lato opposto. “E sono affamato.”

“Anche io,” dice Peter, impaziente.

“Vieni, Potter?”

Potter.

James alza un sopracciglio verso Sirius, ma il bastardo ne alza solo uno indietro. Sirius lo chiama Potter – e in quel tono – quando è inquieto. Deve averlo visto guardare Lily.

“Un secondo,” risponde James, decidendo in quel momento, ignorando l'espressione di Sirius. “Aspettatemi, torno subito.”

Cammina verso Lily in lunghe falcate prima che possa ritirarsi.

 

 

“Hey,” dice, e Lily non riesce a credere che lui sia lì.

È venuto davvero lì. Oh, dio.

Lei sorride solo. Pensa che non riuscirà a far altro che gracchiare pateticamente se prova a parlare prima che possa.

Lui prende posto accanto a lei sulla panchina. Quando le loro braccia si sfiorano, lei lo avverte spostarsi discretamente un po' più lontano. “Non hai preso la rosa.”

Le ci vuole un momento per rispondere. Lui aspetta paziente. “Non ero sicura che fosse-”

“Certo che era per te. Tu le adori.”

“Sì, ma...”

“Era solo una rosa, Evans. Eravamo in un negozio, era una Passaporta, e a te piacciono. Ecco tutto.”

Lily sbatte le palpebre. “D'accordo. Scusami allora.”

Lui la guarda in modo strano, e poi mormora. “Dannazione.” Si lascia scappare una risatina sospirata che non dura a lungo. È nervoso. Non dovrebbe esserlo, ma lo è. “Scusa. Ehm, allora, comunque, tu lo...?”

Lei sa che quella è l'unica ragione sensata perché lui vada lì a parlarle. L'Ordine. Ecco tutto. Certo che è tutto. Nient'altro. Non ha assolutamente diritto ad essere delusa. “Non lo so.”

“Okay.”

Mary aveva ragione, pensa lei. Non sa perché deve capirlo per bene ora, ma lo fa, e Mary aveva dannatamente ragione. È impossibile per questo ragazzo starne fuori. Lei prova a raccogliere quella sensazione opprimente di convinzione, quell'orribile peso che l'ha guidata nel guidare lui lontano – la voce di Demetria che echeggia tra i muri del bagno, Charlus Potter menzionato in un titolo del Profeta. Ma lei vede solo il viso sofferente di James.

Nonostante tutto, lui è ancora qui, prontamente sulla soglia della guerra con lei, e... e se n'è andato e lei non può più giustificare la cosa. Non può rimangiarsela ora. Non può riprendere lui.

“Non lo so nemmeno io,” sospira lui. Piega la testa all'indietro e fissa il cielo. “Pensavo di essere certo. Ero così certo di tutto prima di entrare e... ora non lo so. Non lo sono. Io – wow, non so perché te lo sto dicendo.”

“Non devi farlo, sai.”

Lei ricorda Petunia, e la fa sussultare. Non devi vivere qui, sai. Non ha mai pensato che lei e sua sorella potessero suonare così simili. Non vuole pensare a lei, specialmente non adesso che c'è questo. Che c'è l'Ordine. Un Piano B che sarà una crepa ancora più grande tra di loro se lei decide di farlo, come se il patetico bollire pozioni come un eremita nella loro vecchia casa non sia abbastanza. Probabilmente non la vedrebbe nemmeno più.

Per fortuna, la crescente pausa dell'usuale rimprovero di James la distrae. Non arriva per niente. A Lily sembra di affogare; c'è troppo silenzio forzato tra lei e le persone che ama. “Vuoi dire che posso rifiutare di unirmi, sì?” dice finalmente James.

Lily si lascia sfuggire un respiro che non sapeva di aver trattenuto. Non riesce a capire il suo tono, e ciò la sconcerta. “Già.”

“Lo so.”

“E allora perché pensarci?”

“Tu pensi che sia stupido, vero?”

“No, è nobile.” lo guarda, ora che non sta guardando lei. Le suo obiezioni si sparpagliano alla sua vista, alla consapevole sensazione di lui così vicino. Lei afferra le parole prima che scompaiano nel debole prurito di desiderio sulla punta delle sue dita. Dagli una chance di dare a te un'altra chance, aveva detto Mary? Digli che ti hanno dato alla testa. “E' – è eroico da parte tua, veramente. Ma ritirata non vuol dire sempre che non sei una di quelle cose. Lo so che pensi di farcela, che non verrai ferito là fuori, ma non puoi rischiare. È troppo pericoloso.”

“Credo che abbiamo già fatto questo discorso, Evans,” dice lui, quasi sospira, così piano che lei quasi vorrebbe gliel'avesse urlato così da superare la colpa che le ghermisce il petto.

Giusto. “Scusa.”

“E' molto di più del solo perché penso di farcela.”

Lei non dice nulla. Digli che ti dispiace, ha detto Mary. Digli che non lo intendevi.

“Non sto buttando via le mie opzioni.” c'è un nuovo acume nella sua voce. Si raddrizza. “E' la mia unica opzione. Non posso scappare. Non lo farò. Solo il pensiero... non posso lasciarti. Tu e – Sirius, ecco. E Remus. Peter. Lo so che pensi che non ci sia nulla per me per cui combattere-”

“Non lo penso.”

“Lo pensi.” mormora lui. Il suo disappunto in lei lo lascia in una risatina vuota e balbettante. “E non c'è niente, suppongo. Posso andare. Ma non c'è nessun altro posto che avrebbe senso tranne che qui, Evans. Che è una stronzata, lo so, perché questo posto sta cadendo a pezzi, non è vero? Ma tu sei qui, però. Tutti sono qui. E se voi non potete andarvene, allora non ha senso che io me ne vada da qualche parte senza di voi.”

Sirius appare in quel momento, salvandola dal trovare una risposta. Ha impazienza scritta sulla fronte e da un riluttante cenno di saluto a Lily. “Stiamo andando. Tu.” indica James. “Tu hai dieci secondi.” e poi se ne va.

Accanto a lei, James mormora mentre si alza. “Onestamente, è come se tu avessi mollato lui...” lei sa che lui lo intendeva come un tentativo di rallegrare l'atmosfera, ma lei sembra esseresi dimenticata come si faccia a ridere. “Meglio che vada.”

Lei annuisce. Ha finito le parole. Vuole andarsene da lì, andarsene da lei stesse, ma più di tutto lei vuole disperatamente tornare indietro. Ad un quando e un dove con James, con lei che non deve mai dire addio.

Anche lei si alza, il suo respiro come piombo nei polmoni. Prima che possa trattenersi, fa un passo in avanti e lo abbraccia. Non troppo stretto, in caso non riesca poi a trovare la forza di lasciare andare. Ci sono un milione di cose che dovrebbe dire, ma non riesce a trovarne nessuna che riesca a dire. James è perfettamente immobile all'inizio, scioccato, silenzioso. Non la spinge via, ma la sua eventuale stretta è cauta. Come se la potesse rompere.

O forse è il contrario. Forse lui ha paura che lei possa rompere lui. Ancora.

Quando lei avverte le labbra di lui sulla sommità della testa, gentili e brevi, chiude gli occhi e stringe quanto a lungo ne ha il coraggio.

Digli che lo ami, ha detto Mary, e quello impenna il filo dei suoi pensieri, attraverso tutti loro con zelo inarrestabile. Esplode dentro di lei come fuochi d'artificio; ma può solo guardarlo, nonostante tutto, ancora troppo spaventata di poter bruciare entrambi se vi cedesse.

“Sii prudente,” le dice, lasciando andare per primo. Si volta prima che lei possa vedere il suo viso.

Lily rimane radicata lì anche molto dopo che lui se n'è andato.

 

 

Vicino.

Il suo respiro caldo le sfiora le labbra, e per un secondo lei dimentica il quasi in questo quasi-reale, perché lei non l'ha mai notato prima. Il calore.

Più vicino...

Se ne va prima che le labbra di lei trovino casa di nuovo nelle sue, ma lei apre gli occhi lentamente, come gli ha chiusi un momento fa, come accade tutto il tempo. Lei non si ricorda cosa stava succedendo prima che lui fosse lì.

Non lo fa ma. Solo che lui era lì, e lei stava quasi di nuovo bene.

Stringe gli occhi alla luce. È di nuovo mattina. Un po' dopo le otto, dice l'orologio sul muro.

Ancora troppo presto considerata l'ora in cui è andata a dormire, Lily scende dal letto. È un altro Lunedì, silenzioso e pensieroso, e più tardi lei si prepara il caffè.

Nessun ospite oggi. Nemmeno delle lettere.

Gira distrattamente la sua bevanda. L'Ordine richiede una risposta in una settimana. Petunia lascia Cokeworth domani. La domanda per il tirocinio è quasi finita.

La sua vita è un macello, e lei cerca di trovare la decisione giusta che potrebbe forse ripararla. Ma è distratta, perché ogni volta che chiude gli occhi sente il fantasma delle labbra di lui tra i suoi capelli e mani arrossate attorno alla sua vita.

Dio, non gli ha nemmeno chiesto come stesse...

 

Nove in punto, lunedì.

James torna dal suo compulsivo giro in scopa attorno al campo. È dannatamente esausto, ma è così che gli piace. Dopo esserci girato e rigirato per ore la notte scorsa, ha finito per prendere la scopa ed uscire alle tre e mezza del mattino. È ridicolo.

Sirius è alla porta del capanno quando lui va lì per rimettere a posto la scopa. Si appoggia contro il muro dilapidato, la testa abbassata e le braccia incrociate. Se non è troppo presto perché sia già in piedi – cosa che è – allora lo è decisamente perché appaia così tanto cupo. James si ferma davanti a lui con uno sbuffo, la scopa appoggiata ad una spalla.

“Be', buongiorno, Raggio di Sole.”

 

 

Nove e cinque.

Lily si alza per buttare via il caffè non terminato, diventato tiepido per la profondità dei suoi pensieri e il silenzio della casa. Quasi al lavandino, il manico scivola dalle sue dita, e la tazza cade e si rompe. Il rumore le fa fare una smorfia.

Le schegge sono brutte contro la macchia di caffè che si allarga sul pavimento, e lei mormora una parolaccia quando un pezzo le taglia il dito mentre lo raccoglie.

 

Sirius deglutisce. Quando alza la testa, i suoi occhi rimangono fissi sull'insignificante terreno del boschetto. Sbatte rapidamente le palpebre, occhi grigi fermi e tetri; come se la mattina stessa l'avesse offeso.

James sente il suo cuore battere più velocemente e il respiro che si ferma ancora prima che le parole escano: “Devi andare da tuo papà, James.”

 

 

 

 

 

 

 

  
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