Anime & Manga > Pokemon
Segui la storia  |       
Autore: Momo Entertainment    03/04/2015    7 recensioni
[And... we are back on air.]
Unima, un anno prima degli eventi di Pokémon Nero 2 e Bianco 2.
Cinque bellissime ragazze sono state scelte, ma solo una di loro diventerŕ la nuova Campionessa della regione.
Insieme combatteranno e soffriranno, rideranno, piangeranno vivendo insieme l'estate della loro vita: la loro giovinezza.
Essere il Campione non significa solo lottare.
Significa anche vivere. Amare. Credere. Sognare. Proteggere.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Anemone, Camelia, Camilla, Catlina, Iris
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ESGOTH 4



A story by: Momo Entertainment
Main concept and characters: The Pokémon Company
Beta reading and de-stubbing: 
🍦
Seguiteci su instagram: @esg_official_ig







Pokémon Black and White

Early Summer Girls


Capitolo 4Risultato immagini per new png logo

Vero amore, falso amore

 

Aria di sfida.

Aria torbida, pungente, di chiuso e di umido, un'aria soffocante, calda e forte traspirava dalle pareti di quel vecchio capannone abbandonato, uno di quelli nati dalla ruggine e dall'incuranza.

La dotazione era sorprendente; in poco tempo era stato montato tutto l'occorrente per le ricerche necessarie allo sviluppo dei piani prescritti: un computer dallo schermo ultrapiatto, radar per la segnalazione a distanza, videocamere minuscole, sonde ed attrezzature di altissima tecnologia.

Ma ciò che rendeva quel laboratorio davvero inquietante erano le cinque ragazze, nelle loro uniformi nero lucido, che osservavano come vipere assetate di prede il monitor del computer.

«Hai i dati?» Partì la domanda.

«Ovvio. Quelle cretine non si sono neppure accorte che le spiavamo.»
Le rispose una voce subdola, che si passava altezzosamente la mano sui lunghi capelli blu notte.

Lo schermo immediatamente si riempì di numeri, codici e cifre che si sovrapponevano; bastò premere un tasto che quel intricato gorgo di numeri si dileguò nella scritta "Accesso Consentito".

Gli occhi delle cinque ragazze si fissarono allo schermo come assorbite.

«Vediamo la prima.»

Un'immagine, prima sfocata, poi resa più che visibile, quasi tridimensionale, era apparsa. Poi una tabella, in cui numeri e scritte ripagavano il duro lavoro di giorni e giorni di spionaggio.

Una voce robotica, metallica ed inquietante, si levò dagli altoparlanti, che riecheggiava lungo le pareti di ferro del capannone.

«Taylor Camelia.
Diciassette anni. Nata il 31 luglio.
Provenienza: Unima, Sciroccopoli.

Occupazione: top model, vincitrice di numerosi premi e concorsi di bellezza...»

Mentre l'automa parlava, venne interrotto da una voce che rompeva quel momento di assoluta serietà.

«Bravo, genio di un computer, questa la conoscono tutti. È la modella più famosa di Unima. La gente la considera "l'astro più brillante"; è il sogno erotico di tutti i maschi e la masturbazione di tutti i depravati. Se c'era bisogno che questa macchina me lo spiegasse...»

La ragazza non fece in tempo a finire la frase che la compagna a lei vicina la schiaffeggiò con forza, per farla tacere. Ma la giovane non si arrese, e riprese la frase.

«E pensate che quella è pure fidanzata... Con... - e qui si fermò, guardando con astio il monitor che mostrava il bellissimo corpo della modella - il mio ex...»

«Lo hai detto Jasmine, ex. Il mondo non gira intorno a te.»

La interruppe ancora la leader che si era spazientita, non sopportando che una ragazza più grande di lei agisse in maniera così immatura di fronte ad un compito così serio.

«Petto: novantatre centimetri; busto: sessanta centimetri; vita: novanta centimetri...»
Continuava la voce robotica, illustrando in tre dimensioni il corpo della ragazza, arricchito di minuziosi particolari che rendevano la sua perfezione quasi simile all'originale.

Jasmine finse di sputare contro lo schermo. Gliel'avrebbe fatta pagare a quella modella così perfetta e vanesia. Anche se al momento non sapeva precisamente come.

«Andiamo avanti.»

Propose la ragazza dai capelli mori, che mostravano riflessi biondi alla luce dell'apparecchio.
Non riusciva a sopportarla, anche senza conoscerla davvero Odiare i propri nemici faceva parte del loro lavoro.

«Reyes Anemone.
Diciassette anni. Nata il 6 agosto.
Provenienza: Unima.
Occupazione: pilota semi-professionista...
...Petto: novantadue centimetri; busto: cinquantotto centimetri; vita: novanta centimetri...»

«Mi sorprende che la rossa non sia ancora sul lastrico... Quella compagnia aerea è in crisi da quasi quattro anni ed i piloti che ci lavorano hanno uno stipendio da far la fame. Se perdesse quella competizione non mi stupirei nel vederla disoccupata a vendersi per strada pur di guadagnare qualche spicciolo!»

«Come sei sadica Alice... - la interruppe Lucinda, la ragazza dai capelli blu cobalto - Non tutti hanno successo come te nella vita...»

«Non me ne importa. Il mondo non è fatto per le perdenti come lei. Lo rovinano e basta. Ora toglietemi questo rifiuto umano da davanti agli occhi o vomito.»

Senza opporsi alla capricciosa richiesta della giovane, una delle cinque si affrettò a selezionare con il mouse un'altra delle sventurate ragazze finite sotto il loro mirino.

«Yamaguchi-Haato Catlina.
Diciannove anni. Nata il 13 dicembre.
Provenienza: Sinnoh, Memoride...
...Petto: novanta centimetri; busto: sessanta centimetri; vita: novantuno centimetri...»

Unica erede legittima dell'intero patrimonio monetario e terriero della famiglia aristocratica degli Hato, una delle più ricche famiglie della regione di Sinnoh...»

Il marchingegno esponeva i dati raccolti sulla terza componente del gruppo, come aveva fatto per le prime due.

Questa volta però non si levò alcuna parola, alcun commento sgradito e irrilevante o alcuna critica.

Forse l'appartenere ad una classe sociale così elevata era riuscito a far tacere le loro inutili chiacchiere, o forse tutte e cinque le spie si erano già stancate di interrompere ogni volta quel delicatissimo lavoro di stalking con le loro battute demotivanti e sciocche: le cinque Allenatrici erano modelli tridimensionali dentro ad un monitor.

Non potevano sentirle o sentirsi offese.

Solo Sabrina ebbe il coraggio di inquadrare il viso della giovane ereditiera bionda.

«Ha un viso completamente inespressivo. Sembra un morto vivente.»

Esaurite le informazioni su Catlina, la leader, nominata così nonostante fosse la più giovane, si alzò in piedi: le bruciavano gli occhi per via del fissare uno schermo al buio completo; aveva le mani e il petto sudati in quell'uniforme nera; ma sopratutto, non aveva riscontrato alcun soggetto pericoloso all'interno di quel team.

Le pareva anormale che nessuna delle cinque prescelte determinasse un pericolo per la riuscita del piano centrale, e che tutto quello che le prime tre ragazze avevano causato era astio, ribrezzo e addirittura indifferenza.

Non poteva essere così. Così terribilmente semplice.

Una di quelle sgualdrine sarebbe diventata Campionessa, se loro non avessero avuto l'incarico appunto prescritto.

«Non riesco davvero a capire quanto Nardo sia stupido! Ma lo sa che una di quelle stupide ragazzine dovrà guidare l'intera regione in futuro?
Mi sono rotta, se queste sciaquette saranno davvero capaci di crearci problemi io...»

Ma non riuscì a terminare la frase, quando ad esserle presentata dal computer fu l'inevitabile causa del fallimento della loro importantissima missione.

«Nome: Kuroi Camilla.
Età: vent'anni, Nata il 15 aprile.
Provenienza: Sinnoh, Memoride...»

E il silenzio fu subito infranto dalla voce di Lucinda, che si teneva il collo dell'uniforme stretto nella mano tremante.

«La Kuroi! Maledizione a te Georgia e alla tua sete di rissa! - e alzandosi anche lei in preda all'ira, spinse forte la leader contro il muro di ferro arrugginito, che risuonò all'impatto della giovane - sai che quella è già Campionessa di una Lega da quando aveva quindici anni?!»

Le altre tre ragazze la degnarono di una modesta attenzione, che Lucinda si era procurata con il gesto più azzardato e deplorevole che un semplice membro potesse fare.

Questa intanto faceva risuonare il metallo battendoci contro l'intero palmo della mano più volte.

«A Sinnoh si bacia la terra dove lei cammina. Si dice che in dieci anni non sia mai stata sconfitta e non penso che all'undicesimo ci basti un po' di fortuna per rovinarle il record. E poi...
Altro che masturbazioni, quella non la vogliono solo i ragazzi, anche moltissime ragazze se la sognano nuda!»

«Ragazze, guardate che misure...»
Disse incantata, ma con una triste preoccupazione in volto Alice.

«Perché, le altre ti parevano normali?! Sembravano uscite da un hentai giapponese!»
Le rimandò Jasmine.

«Secondo gli standard di qui, io direi di sì. - Alice rispose alla domanda sul se fossero normali con una certa delusione - Da quanto ho capito alle persone di Unima piace proprio chi ha un bel visino da verginella innocente accompagnato dai due bei meloni enormi...»

«Che schifo assurdo.» Fece per concludere l'altra.

«Attualmente molte delle entrate monetarie nelle casse della regione derivano dalla mercificazione della bellezza, basti pensare a posti come il centro della regione, sono praticamente dei bordelli a cielo aperto... Che le abbiano tirate fuori da qui, queste "belle" ragazze?»

Prima che quella conversazione venisse catalogata nell'assurdo e cadesse nel dimenticatoio, Jasmine provò ad immaginare le quattro Allenatrici che aveva appena visto con addosso una provocante lingerie di pizzo più a scopo di esposizione che di occultamento, a notte fonda le giovani ragazze in bella esposizione su una vetrina che tentavano di accattivare i passanti con frasi di spudorata e falsa innocenza, sorridendo senza motivo, tutte orgogliose del loro rivoltante mestiere.

«Hey... Questa notte posso essere io il tuo Pokémon e tu il mio "padrone", conosco tante "mosse", perché non ci "alleniamo" insieme, sarà una "lotta" indimenticabile, però ha il suo prezzo...
Ma questo non è un problema per te, uh?»

«Jas, che stai blaterando?» Le domandò sempre Alice, non ancora del tutto interessata.

«Eh?! No, aspetta, l'ho davvero detto ad alta voce? Mi auguro che le nostre reclute siano tutte etero o avranno seri problemi a confrontarsi con delle oche del genere...»

Era vero: le nostre eroine erano abbondantemente sviluppate, come ogni fiera donna merita di essere.

«Petto: novantanove centimetri; busto: sessantadue centimetri; vita: ottantotto centimetri...»

Tutte le maligne spie, dalla sadica Alice, all'invidiosa Jasmine, fino all'inerte Sabrina fissavano il modello che rappresentava Camilla in ogni minuzioso dettaglio, talvolta ingrandendo la visuale per osservare meglio le parti più belle e straordinarie della giovane dea delle battaglie.

Lucinda intanto nutriva un terribile rimorso per il gesto compiuto contro il suo capitano, non tanto per il valore morale del far del male ad una compagna, ma per l'imbarazzo che avrebbe avuto ricevendo una punizione da parte dei suoi superiori.

Non le andava di umiliarsi di fronte a quelle vipere delle sue compagne.
Sapeva che non avrebbero avuto alcuna pietà per lei.
I loro cuori erano freddi e rugginosi come le pareti di quello sporco magazzino, nella periferia malfamata della città di Sciroccopoli.

«Zitte, lesbiche schifose! - Le richiamò all'ordine la leader - il quartiere generale ci sta contattando.»

Tutte le spie si ricomposero a malincuore, cercando però di nascondere il dispiacere dietro un'aria sicura e seria davanti ai loro superiori.

La videochiamata si avviò. Lo schermo di colore nero opaco cominciò ad emettere una roca voce maschile.

«Avete ispezionato le informazioni sulle cinque Campionesse?»

«Sissignore.» Risposero in coro.

«Ci sono particolari segnalazioni?»

«Sissignore. La loro leader è Campionessa di Sinnoh, Kuroi Camilla, un evidente ostacolo se si considera la sua esperienza in battaglia. Per il resto del gruppo, non costituiscono alcun problema: se le affrontiamo singolarmente, con degli incontri uno contro uno riusciremo a sconfiggerle.»

Disse la leader, in tono sicuro.

Le altre quattro ragazze si guardarono con aria dubbiosa riguardo la precedente affermazione.

«Se è solo la loro leader a causarvi problemi la soluzione è più che ovvia: attaccatela in gruppo. Non riuscirà mai a sostenere una battaglia violenta cinque contro uno.»

«Sissignore.»

Risposero ancora in coro, per dimostrare di essere disposte ad eseguire l'ordine, qualsiasi cosa esso richiedesse.

Prima di chiudere la chiamata, l'entità di fronte a loro le esortò a ripetere il loro motto.

«Chi siete voi?»

Le ragazze risposero più determinate che mai, come se nessun sentimento di paura avesse mai attraversato i loro cuori.

«Il Neo Team Plasma.»

La voce si fece più minuziosa e provocativa.
«E il vostro scopo?»
  

«Individuare le possibili future Campionesse ed eliminarle, affinché l'organizzazione Plasma possa riottenere, dopo i precedenti fallimenti, il monopolio su tutta la regione di Unima!»

«E ovviamente... Farete tutto per eseguire questa missione?»

«Ovvio...» Partì con sottigliezza Alice.

«Senza dubbio!» La susseguì Jasmine.

«Lo faremo...» Si aggiunse Sabrina.

«...e con ogni mezzo adempiremo alla missione...» Ammise Lucinda con orgoglio.

«...senza alcun risentimento.» Completò la leader Georgia.

«Bene - completò la voce maligna - buona fortuna. Sarà meglio per voi averne. In caso contrario... - e cominciò a sogghignare in maniera feroce e terrificante - sapete cosa vi aspetta.»

La chiamata si chiuse e lo schermo divenne nero.
Piombò ancora l'oscurità totale in freddo posto, in cui altrettanto fredde ragazze sorridevano come vipere assetate di sangue.

Prima di abbandonare la base, Lucinda si rivolse a Georgia, a bassa voce, per evitare che le altre la sentissero.

«Ne manca una. Se sono cinque una l'abbiamo saltata forse...»

Cercò di spiegare la ragazza dai capelli cobalto, in modo da ragionare con lei, ma il suo discorso fu troncato già all'inizio da una risposta aspra e disinteressata.

«Lascia stare, quella non rappresenta un problema, non rappresenta nulla.»

Poi, girandosi verso Lucinda, la ragazza le strinse forte il braccio, facendoglielo girare intorno alla schiena, tenendolo fermo, piegato in una straziante posizione contorta. Poi aggiunse, prima di liberarla da quel dolore.

«Prova solo a toccarmi un'altra volta e... Sei fuori dal team.»

Georgia si liberò della compagna con una spinta.

Lei era la leader. Lei decideva chi poteva vivere e chi no.

 

«Camelia scusami!»
Anemone si morse il labbro come una bimba che per sbaglio combina un malanno.

Non lo aveva certamente fatto di proposito, di rovesciare quel flacone di tinta per capelli nera sul braccio della compagna.

Si assicurò che lo yukata giallo che indossava fosse intatto.
Lo era, ma restava il fatto di aver sprecato più di metà di quel liquido, e quindi metà dei soldi spesi per comprarlo.

«Te ne comprerò una bottiglietta nuova, promesso!» Cercò di rimediare al suo errore.

Intanto la modella cercava di ripulirsi il braccio destro coperto di quel liquido appiccicoso e nero.

Certamente la irritava, ma stranamente non se la sentiva di commentare: quella ragazza imbranata si era scusata almeno una trentina di volte a dieci secondi dall'accaduto e le aveva perfino promesso di ricomprarle un flacone nuovo.

Incredibile, Camelia al suo posto le avrebbe semplicemente ricordato come funzionasse la forza di gravità e le avrebbe versato il poco rimasto sulla testa.

Per un attimo, la seducente e aggressiva ragazza sentì uno strano peso sullo stomaco.
Pesante, lamentevole e doloroso che il suo corpo pregava di rimuovere.
Poteva essere... Rimorso?! Cos'è il rimorso? Cosa poteva saperne lei di rimorso?

«N-Non è nulla. Tanto quella tinta da quattro soldi mi lascia sempre delusa. - e si sforzò di sorridere forzatamente - I miei capelli sembrano comunque plastica sporca.»

Camelia si stupì di aver insultato una parte del suo prezioso e amato corpo.
Amava i suoi capelli. Fino a poco tempo fa erano biondi, un biondo acceso e uniforme.

Aveva ereditato quel colore perfetto dai suoi genitori... credeva. Almeno da uno dei due, ne era sicura... Poi capì, in un certo senso, di non avere neppure il sangue dell'unica persona per lei rimasta.
E di punto in bianco aveva cambiato look, come se una tinta potesse mascherare tutti gli anni in cui i suoi capelli biondi erano stati scossi dal vento.

D'un tratto la modella ebbe l'impulso di afferrare irrazionalmente i capelli di Anemone, prendendo fra le dita una ciocca rosso fuoco, trattenendo la ragazza, che protestò per il dolore.

«Invece guarda che ben steso il tuo colore... Nessun segno di ricrescita e nessun uso di riflessante... Questa tinta ti sta davvero bene, sai?»
Ammise compiaciuta. Non aveva mai fatto un complimento prima d'ora.

Anemone rimase sbigottita.

Esisteva. L'altra faccia di quella modella crudele e meschina c'era e premeva per farsi sentire. La rossa però dovette smentirla su un solo particolare.

«I miei capelli sono rosso naturale. Non me li tingo.»

«...Scusami.» Le arrivò in risposta.

«Stai tranquilla, me lo chiedono ogni tanto...» 
Ma Anemone fu troncata sul dire.

«No, scusa se ho detto che ti vesti male appena ci siamo incontrate.  Bel modo di presentarci, eh? Sembra impossibile, ma ero davvero nervosa.»

Camelia provò un gran sollievo nel dirlo. Ma sentiva che c'era ancora del marcio.

Dubitò però che Anemone credesse ad una cosa così patetica: si chiedeva quando avrebbe potuto smettere di giocare la parte dell'antipatica.

«Oh... - missione compiuta, Anemone si sentì toccata - sei perdonata, senza problemi.»
Le rispose in modo piuttosto solare.

Le due ragazze si scambiarono un sorriso contemporaneamente.

Anemone aveva mantenuto la parola data la sera precedente concedendo il suo inestimabile perdono a colei che l'aveva così pesantemente offesa, e aveva addirittura fatto trasparire il lato amichevole di quella ragazza.
Già aveva visto Camelia, aveva riconosciuto quell'icona di ragazza perfetta, di idolo dei giovani e modello da imitare per avere successo nella vita.

Le due diciassettenni provarono ad abbozzare una piccola conversazione quando una voce acuta e totalmente fuori luogo  irruppe nella stanza.

Le due si voltarono di scatto.

«Anemone, dobbiamo andare...»

La voce di Iris si abbassò gradualmente, appena vide l'unica ragazza di cui si fidava con l'unica persona da cui voleva stesse lontana.

Non riteneva affatto che il veleno che scorresse nelle vene di quella vipera con i capelli colorati potesse in qualche modo contagiare la purezza di quella creatura che le pareva discesa in Terra per lei dal paradiso terrestre o che costei mangiasse volontariamente il frutto proibito pieno del degrado morale e comportamentale di cui la modella si faceva portavoce.

Eppure nutriva questo istinto protettivo nei confronti della rossa da un po'.

A volte questo istinto le piaceva un sacco, altre volte le sembrava la cosa più disgustosa del mondo. Ma alla fine sapeva che era tutto per il suo bene, per il bene della sua fragilità interiore.

Non la definì gelosia, ma una sorpresa sgradevole.

Era il momento di vendicarsi, pensò.

«Così impara anche ad insultare il mio seno!»
Iris pose sulle sue spalle il dovere di vendicare tutte le ragazze vittime di pregiudizi riguardo alle loro taglie; il coraggio che ci mise era lo stesso.

Passò davanti a Camelia con nonchalance e prese la mano di Anemone nella sua, trascinandola fuori, senza che lei ponesse resistenza ed evitando spudoratamente la tentazione di godersi gli occhi iniettati di invidia dell'altra.

Sentì completo il suo piano di vendetta degno di una tragedia shakespeariana appena percepì le forti mani della rossa stringere a loro volta le sue.
Le batté il cuore, sapeva bene di non aver mai tenuto per mano una sua amica.

Per sciogliersi da quella tensione cominciò uno dei soliti discorsi che faceva con la ragazza rossa, che innocentemente la seguiva, da brava amica che dimostrava di essere.

«Sai che alla fine io e Camelia abbiamo fatto pace?» Le disse Anemone, con dolcezza.

«Non mi interessa, - rispose lei - mi fai vedere le immagini che hai nel cellulare?»

«...okay, ma non scioccare.» Che bello, la sua preziosa amica aveva già dimenticato quel rifiuto umano con cui aveva parlato pochi secondi prima, pensò all'apice della sua più euforica crudeltà.

Iris aveva vinto una battaglia, mentre teneva stretto con la mano il suo unico e prezioso premio.

 

Camelia rimase a fissare un punto per un poco.

Cercò di figurarsi come mai fosse svanito tutto così in fretta, come in un sogno, e a malapena ricordava ciò che le era accaduto dopo essere ritornata alla realtà.

Poi si sbloccò. Alla ricerca di uno spiraglio di normalità per recuperare se stessa dal coma che l'aveva strappata così violentemente all'ordine naturale delle cose, prese il rossetto e cominciò a bearsi dell'effetto delle labbra pallide che diventano spesse e vistose come quelle di una cortigiana di fine settecento.

Notò che il rosso acceso faceva un forte contrasto con la sua pelle bianca e limpida.

Era sempre troppo facile trovare mille difetti con un solo sguardo nel piccolo specchio portatile.

Camelia ormai era talmente abituata alla sensazione del trucco sul viso che le bastarono pochi secondi per tracciare due linee nere come la pece a cerchiarle gli occhi, anche se la pressione fatta con l'eye-liner le aveva causato una piccola lacrima di fastidio sospesa a metà occhio.

Dopo aver aggiunto ombretto e abbondante mascara le sembrò abbastanza per convincersi a non riconoscersi più e una rabbia improvvisa si trasformò in un brivido lungo tutto il suo corpo, paralizzandola.

Camelia chiuse con tale violenza quello specchietto portatile da frantumare il vetro tra le sue stesse mani.

Non era possibile; quella stupida ragazzina gliela stava portando via.

Le voleva portare via l'unica ragazza che le sembrava a posto in quella gabbia di matti, l'unica che avrebbe mai accettato le sue scuse e che non la obbligava a farsi odiare per ottenere rispetto.

Si fissò interdetta le unghie coperte di smalto lucente, senza il coraggio di aprire il suo specchio ed osservare la sua immagine rotta in mille pezzi e sfigurata del tutto.

"Non ci credo... Mi faccio portare via l'unica amica che portò mai avere senza far nulla?  Quella ragazza, non voglio che nessuno me la rubi. Oddio. Suonano come le parole di una fidanzata gelosa...»

La ragazza si alzò in piedi, uscendo dalla stanza, e fece cadere dalla mano l'oggetto.

«Gliela farò pagare a quella mocciosa...  Non deve proprio capire come ci si senta ad essere completamente soli.»

La mora sorrise perfidamente al destino: più nella vita si arrivava in alto, più si faceva carriera e si guadagnava rispetto, più ci si rendeva conto di non aver mai avuto nulla.

Le venne il terrore di diventare questo tipo di Campionessa.

 

Mentre innumerevoli disgrazie e calunnie erano imminenti, le nostre eroine erano talmente occupate ad allenarsi che a malapena ricordavano di essere avversarie e di doversi combattere a vicenda.

Si limitavano a sostenersi per il momento, per cercare di rendere quell'atmosfera di insopportabile competizione più vivibile, altrimenti sarebbero rimaste esauste durante le vere sfide, quelle che le attendevano al Torneo Nazionale Femminile di Unima.

Quella che si stava impegnando al massimo per la vittoria, ma anche per socializzare al meglio, era sicuramente Iris che, memore di quella sera di temporale interiore, si era sentita talmente in colpa per aver pensato malamente della ragazza che l'aveva consolata ed apprezzata nella sua piccolezza.

Da quella sera, Iris seguiva Anemone in qualsiasi cosa, ponendosela come unica guida e punto di riferimento: se Anemone l'avesse d'improvviso lasciata sola, lei sarebbe di nuovo caduta in quella depressione, resa ancora più pesante dal rifiuto da parte di colei che poteva considerare la sua unica amica.

Tutto quello che la rossa faceva lo faceva anche lei, ciecamente, come se glielo stesse ordinando; se le dava un consiglio in lotta, Iris si imponeva il rigore morale di seguirlo; se le chiedeva qualcosa, lei lo faceva senza discutere, senza porle alcuna domanda; e quando si trovavano in spogliatoio si prendeva la libertà di guardarla cambiarsi, fingendo di continuare innocentemente le loro conversazioni.

Ogni tanto però, le veniva voglia di avvicinarsi a lei, di poter sentirle la pelle con il dito indice, di vederla sorridere e di realizzare pienamente che Anemone per lei c'era, che lei meritava il suo amore, che la distingueva dall'indifferenza di tutte le altre.

«Hai un filo che ti scende dal reggiseno» o «hai un capello sul collo» o ancora «ti tolgo una cosa dai capelli» erano le frasi con cui era solita esordire per entrare in contatto, ricevere un "grazie" e un bacio sulla guancia.

In quei momenti la sua coscienza le stringeva lo stomaco, ricordandole amaramente cosa le fosse successo di fronte a Camilla il primo giorno.

Non doveva eccedere ne' nella timidezza, ne' nell'estroversione.
"Nulla di troppo", come dicevano gli antichi Greci.

Eccedere... In quella competizione, come una mossa spropositata e irragionata poteva mandare a monte l'intero esito di una lotta, una parola altrettanto inadeguata sarebbe riuscita a scaturire un tale attrito che in pochi secondi si sarebbe trasformato in un incendio divampante.

Ma questa, come altre preoccupazioni, non sfioravano neppure la mente della giovane aspirante Campionessa.

Iris era rimasta sola, quel giorno, nella loro stanza da letto.
Si era solo trattenuta più del previsto, quindi il pensiero di solitudine non avrebbe potuto fare la sua comparsa.

Silenziosamente stava piegando le sue cose, mentre canticchiava a tratti le parole della canzone che aveva ascoltato proprio prima degli allenamenti sul suo mp3: non ricordava le parole esatte, ma ripeteva quelle essenziali per il significato della canzone a voce bassa, imitando la voce della cantante.

In questo sottofondo, Iris cominciava a conversare con se stessa, per chiarire leggermente di più quello che le passava per la mente, come se ci fosse stata solo lei nel mondo in quell'istante.

«Devo muovermi, se Anemone mi sta aspettando.»

«Le voglio bene, è davvero gentile, e simpatica, e pure bella.»

«Che peccato essere in competizione.»

«Ed è la prima diciassettenne che legge manga. Brava ragazza, ha una cultura rispetto a tutte le snob esibizioniste che alla sua età pensano solo al sesso. Chissà se ha letto...»

E si bloccò. La sensazione che le paralizzava la schiena come una scossa le pareva familiare.

Il cuore le finiva di nuovo in gola, arrestando ogni suo movimento, gelandola nel bel mezzo dei suoi pensieri con quel presentimento di essere osservata, di aver compiuto qualcosa di sbagliato senza neppure saperlo.

Iris si sentiva talmente a disagio che non voleva assolutamente sapere che cosa sarebbe dovuto succederle.
Desiderava solo non doversi trovare ad essere in quella sgradevole sensazione di colpa.

Alla fine le tocco girarsi, sapendo che evitare il destino era praticamente impossibile.
Lo fece e se li ritrovò ancora davanti, gli stessi occhi freddi, blu, chiari, che il primo giorno l'avevano tramortita e spaventata nella stessa maniera.

Li temeva proprio, gli occhi di Camelia.

Iris, in tutta quell'ansia, si era interdetta per un secondo sull'espressione della ragazza che era stata dietro di lei fino a quel momento.

Sembrava stressata.
L'eye-liner nero che le segnava il contorno delle palpebre le dava un'aria più cupa, più devastata e vissuta.

Il trucco era leggermente sbavato sull'occhio sinistro; quel nero comunque faceva risaltare l'iride azzurro chiarissimo, che tendeva quasi al blu platino, data la lucentezza dei riflessi che parevano quasi specchi.

Non riusciva proprio a capire cosa si celasse sotto quelle maschere. Per quel che le risultò, la ragazzina si mosse indietro, presa dallo spavento e capace solo un ansimo, espirando ed inspirando l'aria dalla bocca, come se fosse davvero morta.

«Tu e la rossa mi considerate stupida solo perché sono una modella, vero?»

Lei rimase zitta. Non aveva idea di come controbatterla.

Quella ragazzina, dai capelli viola e la pelle abbronzata, dimostrava meno di quindici anni.
Le pareva troppo innocente per meritarsi di essere attaccata dalla sua ira più spietata.

Ma Camelia aveva imparato dalla vita che ogni cosa è costruita su due lati: un lato buono, debole e apparentemente fragile che si mostra rivolto all'esterno in modo che tutti lo vedano e ne siano ingannati dall'apparenza.

Ma quando la situazione comincia a farsi complicata e la paura di soccombere aumenta, il lato nascosto si mostra alla luce, capovolgendo quella medaglia forgiata dalla crudeltà.

Allora quel lato, spietato, meschino e subdolo prende il sopravvento.
E da lì non resta che soffrire, magari dovendolo fare pure in silenzio, per evitare la vergogna.

«Non fingere di aver ragione. Sembri solo più patetica di quanto tu non sia già.»

A quel punto non le restava che continuare a difendersi attaccando.

Sapeva che c'era qualcosa sotto, che, come lei, chiunque era capace di prenderla alle spalle.

Infatti Iris aveva trovato il coraggio di risponderle.

«Cosa vuoi?»

La giovane dai capelli mori urtò la ragazzina con la spalla per provocarla.

Poi le tenne fermo il collo con la mano, facendo attenzione a non spezzarsi le unghie finemente ornate di smalto.

A seguire emise una risata nasale di un istante, come era sua abitudine fare per commiserare tutto ciò che le pareva falso, insignificante e non meritevole di esistere.

«Faccio la top model. So che ad ogni bacio corrisponde uno schiaffo e ad ogni amicizia corrisponde un tradimento. Quindi so come funzionano queste cose. Ho idea di quello che vuoi fare. Ah, ovviamente non ti lascerò farlo...»

"«Cosa... Io...» Riusciva a vedere Iris sconvolta, e non lo sopportava.

Sapeva riconoscere la verità dalle menzogne, sapeva vedere il male nella più pura delle innocenze.
Camelia aveva capito di essere davvero sola in quel mondo di falsari.

«Sei così falsa che ti leggo in faccia quello che pensi - poi, in preda alla rabbia cieca, alzò il volume della voce - davvero, chi vuoi prendere in giro? Idiota, il mondo è pieno di gente come te!»

«Smettila di fare così, non capisco...»

Cercò di ribellarsi Iris, ma la giovane Capopalestra la troncò sul dire con un grido scomposto.
Si rese conto di essere davvero un'isterica. E che l'isteria fosse davvero un disturbo della personalità.

Poi la spinse lontano da sé.

Sentiva la sua voce diventare rauca e affievolita, mentre il trucco cominciava ad inumidirsi sotto gli occhi.
Davvero vergognoso per una ragazza di diciassette anni del suo conto.

Deglutì l'insulto più grande alla sua dignità.

«Tu credi di poter convincere Anemone ad odiarmi, credi di poterla convincere che il bene che le voglio è falso, stupida! Non conosci la vita, Iris... non sai davvero cosa significhi soffrire! E questo non ti autorizza a usare un altra persona per i tuoi interessi!»

A quel punto Camelia non aveva più un filo di voce per continuare, si sentiva esausta solo stando in piedi.

Ansimava piano, e sentiva sulla guancia il calore di una lacrima che scorreva giù lenta rigandole la pelle di quelle scintille delicate.

Non si sentiva sfogata, perché il dolore che portava dentro le pareva ingigantito, ed era pronto a divorare i suo bellissimo corpo, partendo dalle parti più sensibili del suo subconscio.

Ormai era decisa ad abbandonare quella competizione, di gettare tutto all'aria.

Sarebbe tornata al suo lavoro di modella, tra le persone che si limitavano a guardare il suo aspetto e non si preoccupavano di capire i suoi veri sentimenti.

Ma si era accorta che a vederla umiliarsi in quel tormento non c'era solo Iris, che la guardava sconvolta, ma anche... Anemone.

Forse aveva sentito tutto, e ora la odiava per aver insultato la sua amica.

O forse era appena giunta lì e si chiedeva perché la Capopalestra tanto orgogliosa e meschina ora piangesse come una bambina isterica.

Camelia si bloccò per un istante, mentre Iris diceva qualcosa che non aveva capito ad Anemone.
A quel punto non le rimase altro che scappare.

Si voltò di scatto, coprendosi il viso con la mano e corse fuori.

Sentiva il bisogno di fuggire dal mondo, da tutta quella gente incomprensiva e insulsa, che sembrava vedere ogni cosa solo come appariva.

La giovane, disperata, si sedette al centro di un enorme stanzone, che pareva trascurato da tempo. Nardo era troppo eccentrico e ricco per curarsi di un posto così rovinato della sua infinita magione.

Doveva essere un vecchio garage, che si era trasformato con il tempo in un ripostiglio per i vecchi mobili, per poi mutare ancora in un luogo in cui il nulla predominava insieme al disordine e all'abbandono.

Si sedette su una vecchia poltrona, per cercare di riordinare i suoi pensieri.

Si appoggiò la mano sul viso, notando che tutto il trucco nero era colato, disegnandole un alone scuro sotto gli occhi, e il mascara viscoso e appiccicoso si mischiava con il sudore che aveva sulle mani.

Le pareti erano ricoperte di muffa odorosa, che colorava il luogo di grigio fumo.

Dalle finestre, dai vetri sporchi e rotti, trasparivano fasci di luce, che riflettevano meste ombre sul pavimento spoglio e costellato di calcinacci e sporcizia.

Il mondo non le era mai parso così freddo, inospitale e finto.
Mai fino a quella sera.

«Non ho mai conosciuto mia madre. Non so se sia morta, o cosa le sia capitato.
So solo di non averla mai conosciuta. Per tutta la mia infanzia ho vissuto con mio padre.
Nonostante questo però, è stato il periodo più felice della mia intera vita.

Non eravamo ricchi, anzi. Abitavamo nella periferia di Sciroccopoli.
Anche se non avevamo molti soldi, ogni tanto riuscivamo a permetterci dei piccoli lussi: papà mi portava al luna park, e mi faceva salire sulla ruota panoramica.

Da lassù ogni cosa, ogni persona e perfino ogni paura spariva nel nulla, lasciando solo una grande immensità nera, e si vedevano migliaia di luci colorare il vuoto... Vorrei rivedere quelle luci, qualche volta.

Mio padre era un uomo che sembrava onesto e sincero.

Lavorava molto duramente per mantenerci entrambe, ma non rinunciava mai a darmi tutte le attenzioni e tutto l'affetto che meritavo. Gli sono sempre stata grata per tante cose, e tutt'ora mi sembra di non avergli mostrato tutta la gratitudine di cui era degno.

Non mi sono goduta l'infanzia fino alla fine perché credevo fosse infinita, che nulla sarebbe mai andato storto.

La vita per una bambina della mia età era così bella che sembrava quasi vera.

Ma poi, crescendo, ho scoperto che non c'era mai stato nulla di vero.

Tutto quello che mi pareva chiaro e cristallino era avvolto in una polvere soffocante e allusiva, a partire dalle certezze principali di una qualsiasi bambina: la propria famiglia.

«Camelia cara, sei davvero bellissima, come la stella più luminosa del cielo.»
Me lo ripeteva tutte le sere prima di addormentarmi, anche se io mi mettevo a ridere: ma se lui non me lo avesse ripetuto così tante volte io non me ne sarei mai convinta, perché per amare bisogna essere in due.

Solo in due.

Avevo più o meno dieci anni, facevo ancora le medie.
Una notte papà era molto stanco. Mi ha mandato subito a dormire, con gran fretta, mi sembrava quasi scocciato.
Si era perfino dimenticato  di augurarmi la buona notte, e di ripetermi ancora quanto fossi importante per lui.

Così non riuscivo a dormire: continuavo a rigirarmi nel mio letto, chiedendomi come mai papà avesse deciso di interrompere proprio ora l'amore che prova un genitore per la figlia.

Mi sono alzata per controllare. Ero troppo in pensiero per lui, che aveva pensato solo a me in tutta la sua vita.
Forse era solo stanco... No, non era vero.

A questo punto credo che la mia infanzia, così come la mia felicità si sia fermata.

Sul divano, a torso nudo, c'era mio padre; era disteso, ma appena mi ha vista si è rialzato. Sopra di lui c'era una donna. Nuda, non indossava nulla, e gli teneva i polsi. Non ho idea di chi fosse o se la conoscessi. Ma a prima vista era talmente brutta che ancora oggi mi pare la donna più brutta che abbia mai visto.

Eccessivamente corpulenta, mi osservava con gli occhi di una vipera, trafiggendomi l'anima nel modo più doloroso possibile.

Cercavo di liberarmi da quello sguardo terrorizzante, ma l'immagine che avevo davanti mi schifava e spaventava allo stesso tempo...

Ne ricordo i particolari, perché non me la sono mai dimenticata, così crescendo e comprendendo la parte più orrida e crudele del mondo, la me stessa adulta è riuscita a fornirsi le spiegazioni  che quella bambina tanto ingenua e fragile non riusciva a capire.

Quella donna doveva essere una prostituta. Credo che sia così perché dopo di quella ce ne sono state molte altre: more, bionde, magre, alte... Io le trovavo tutte bruttissime.
Ogni notte papà si lasciava sedurre a mia insaputa, cercando di ridar vita all'eccitazione e la passione che il dover badare una figlia gli aveva tolto.

Poi c'è stato l'alcol.

Quando papà era solo o depresso l'aria aveva un odore pesante e dolciastro, diventando un veleno irrespirabile. Il pavimento si riempiva di rifiuti, sporcizia e vetri rotti, che a furia di pestare mi hanno fatto versare un bel po' di lacrime e di sangue.

La nostra casa, la nostra vita ed il nostro rapporto, tutto era diventato invivibile.

Poco a poco ho smesso di spaventarmi nel vedere quelle scene; abitando nella periferia malfamata e regredita ne avevo già sentito parlare tante volte dalle mie compagne di scuola più grandi.

Ma nel mio cuore di ragazzina mi sentivo devastare da una tristezza interminabile, che è finita per sfociare in una rabbia repressa, che ancora oggi tento invano di soffocare. È ben risaputo che la tristezza porta la rabbia e viceversa.

La persona di cui mi fidavo ciecamente, che tanto ammiravo ed amavo mi ha abbandonato per quei vizi disperati, che sembravano ignorare che mio padre una ragione di vita ce l'aveva già: ero io l'unica che poteva abbracciarlo, baciarlo e passare le serate con lui.

Ho taciuto per quasi sei mesi.
Ho capito che la sua vita privata non è affar mio. Ma per me era impossibile ignorare.
Allora di notte mi affacciavo dalla mia camera e vedevo mio padre ridere, piangere, bere, o bestemmiare mentre ero indecisa se nascondermi sotto le coperte o restare li a guardare.

Provo odio per chiunque osi far soffrire una persona con una bugia e farei assistere a quelle scene tutte le persone false, ipocrite e bugiarde di questo universo.

E poi mi sono stancata, perché se io non avessi detto la verità non l'avrebbe detta neanche lui.

«Chi era quella che ti sei portato a letto ieri sera?»
Papà mi ha cominciato a fissare male. Non si aspettava tale impertinenza. Non se l’aspettava da me, almeno.

«E quella dell'altra sera, e quella di due giorni fa?»

Poi silenzio. Chissà se si sentiva imbarazzato o era semplicemente stressato.

«So tutto, non provare a difenderti. Ora dimmi la verità...»

A quel punto mio padre mi ha tirato uno schiaffo, anche se sono fermamente convinta che non me lo meritassi.

Per fargli capire la sua stupidità, per provare soltanto a fargli riflettere su ciò che faceva ho imparato a rispondere con sarcasmo, dato che lo avrei ferito di più io con le parole che lui con un colpo della mano.

«Chissà cosa hai toccato con quella mano...»

Ci siamo guardati negli occhi. Un'ultima volta negli occhi.
E poi sono scappata, perché avevo paura.

Mio padre ha alzato la mano, ma non capivo cosa volesse fare.
Nel mio inconscio pensavo che mi volesse picchiare: me lo meritavo.

Gli avevo dato del porco senza alcun pudore, e mi ero permessa di intromettermi nella sua vita pensando di essere il suo unico interesse.

Ci si merita davvero uno schiaffo perché si vuole proteggere una persona?

Tanto ormai ero già uscita di casa ed ora non c'è più tempo per un ripensamento riguardo ad una situazione di sei anni fa. Sono corsa via pensando solo una cosa.

«Ti odio, ti odio. Io odio tutti i maschi.»
Ero furiosa. Paragonati a quel momento i miei precedenti attacchi isterici non sono nulla.

Ma dato che la rabbia non nutre il corpo mi sono stancata subito. Mi sono distesa sulla panchina del parco, perché se fossi tornata a casa avrei rivisto papà farsi una prostituta, mi avrebbe presa a schiaffi e non mi avrebbe voluta più.

Bene per lui, neanche io lo volevo più, che se ne restasse nel suo mondo fatto di sesso a pagamento e menzogne altrettanto pagate.

Però volevo il mio letto, perché faceva un freddo terribile lì fuori.
Poco dopo comunque ho chiuso gli occhi e mi sono addormentata.

Non ho idea se quella sera mio padre mi avesse cercata, non mi sarei fatta trovare da quel bugiardo.
La mattina dopo mi sono risvegliata sulla stessa panchina.
Ancora mi domando come abbia fatto ad addormentarmi con quel gelo.
Di fronte a me stava un uomo alto. Aveva la pelle rugosa ed indossava al collo sei Pokéball.

In quel parco desolato mi trovavo di fronte a Nardo, Campione della regione di Unima.
Ero troppo stanca e non capivo che cosa stesse succedendo.

Ma l'uomo mi si è seduto accanto, mettendo sulle mie spalle infreddolite un mantello color porpora. Non sapevo se ringraziare o meno.

«Perché sei scappata?» Mi ha chiesto, come se sapesse già cosa mi fosse successo.

«Perché il mondo è pieno di gente falsa e bugiarda.»
Come facessi a rispondere tal cosa a dieci anni? Allora non c'era sempre e sopratutto solo sarcasmo nel mio cuore.

Nardo mi ha guardata negli occhi.

«Sei una ragazzina determinata, testarda e soprattutto molto bella: potresti diventare una Capopalestra in futuro. Continua sempre a cercare la verità, come l'Eroe Bianco del mito della fondazione di Unima.

«Ora portami via da qua, prima che mio padre mi trovi.» Gli ho risposto.

E dopo tre anni sono riuscita ad essere come volevo: la stella più brillante della regione di Unima.

Lavorare come modella mi piace.

Posso proporre il mio concetto di bellezza alle persone che sono stanche delle solite donne finte ed amorfe. Farei di tutto per i miei fans.

La bellezza finta è solo uno spreco.

Se si desidera davvero essere belli bisogna considerare la bellezza come una cosa pura, vera, un dono speciale della propria vita che nessun tipo di trucco o ricostruzione può portare.

Se fosse così non esisterebbero cose orribili come le bugie e l'inganno

 

Camelia aveva smesso di piangere.

Sotto gli occhi l'alone di trucco si era seccato, facendoglieli bruciare leggermente.
Non si sentiva sfogata, provava solo più incomprensione.

Ma almeno, rimuginando il passato aveva trovato la forza di uscire e affrontare le conseguenze della sua scenata, pronta a subire a testa bassa insulti e polemiche.

Si sentiva davvero stupida ad aver fatto ciò.Se quella ragazzina avesse sabotato Anemone... fatti suoi.
Lei doveva solo vincere la competizione, mica proteggere le sue avversarie.

Mentre si alzava da quella poltrona lercia, Camelia sentì un brivido lungo la gamba, come se fosse uno stimolo a non arrendersi ora.
Non fece in tempo a muovere un secondo passo che il brivido si faceva più insistente. Si fermò a riflettere un attimo.

«Ah, è il cellulare che vibra...» Si rese conto a malincuore.

«Ciao amore, come va, stai massacrando quelle ragazzine?»

Sentire la voce del suo amore, che sembrava aver percepito da lontano la sua tristezza, fu quasi capace di strapparle un sorriso dalle quelle labbra che avevano lo stesso sapore delle lacrime salate.

«Corrado, sto male, per favore...» lo riprese lei, tornando alla cruda realtà.

«Ti si è spezzata un'unghia o ti è calato il seno di due centimetri?» Scherzò maliziosamente lui.

Questo era davvero troppo. Alla ragazza venne voglia di buttare giù il telefono gridandogli che era un insensibile; il fatto che lei stessa avesse disfatto con le sue lacrime il suo raffinato ed elaborato make-up era il suo ultimo problema.

E dover spiegare al suo ragazzo un giorno o l'altro di essere la figlia di un alcolista donnaiolo era il penultimo.

«Calma. Ti volevo dire che questa settimana mi fermo ad Unima e se volevi...» Qui il tono del ragazzo si fece allusivo, ottenendo l'interesse sperato della sua ragazza.

«Volevo?» Camelia si fece interessata.

«Potevo fermarmi da te per vedere quanto sei diventata forte...»

«In lotta o a letto?» lo interruppe, questa volta ridendo.

«Secondo te? Ho voglia di vederti e sopratutto di toccarti, amore.»
Camelia stava già eccitandosi all'idea serata.

Sapeva che si sarebbe sentita meglio, tra le braccia della persona che era capace di sopportare sia le sue battute sia le sue crisi.
Corrado era l'unico uomo che non riteneva di dover per forza odiare.

«Anche io. Mi vesto sexy, promesso.»
Dando un bacio all'aria come se potesse raggiungerlo, la ragazza chiuse la telefonata.

Si sentiva più sollevata e, per risolvere la questione, era pronta ad affrontare le sgridate delle sue compagne, anche se non sapeva esattamente che spiegazioni dar loro: terzultimo problema.

«Ehi, sei qui!»

Era la voce di Iris, la riconosceva.

Ma non c'era solo lei. C'erano anche Anemone, Camilla e Catlina.

Camelia si chiedeva se si fossero scomodate per cercarla. Il semplice fatto che fossero lì in quel momento rendeva tutto più imbarazzante.

Iris le prese la mano con delicatezza: gliela lasciò andare quasi subito ma la modella la strinse a sé, in gesto di scusa.

D'improvviso sentì le braccia calde di Anemone in torno al collo.

Non erano sicuramente arrabbiate con lei. Cercavano solo di consolarla.

«Sei gentile a preoccuparti per me. Grazie... E, uhm, perdonami se ho fatto la doppia spola fra te ed Iris. 
Ma il problema è che siete entrambe adorabili, non saprei davvero chi di voi due...»
Le sussurrò la rossa, prima di interrompersi per l'imbarazzo dell'ultima affermazione.

Intanto tutte continuavano a domandarle come si sentisse, a darle baci, a cercare di compatirla.

Non ce la faceva più ad odiarle, e per sfogarsi, Camelia si lasciò a qualche risata, dal sapore più dolce delle precedenti.

Poi tirò a se Iris, che già era un po' frastornata, e le stampò un bacio sulla guancia.

«Scusa. D'ora in poi vi tratterò un po' meglio dato che siete delle vere amiche.«

«Amiche!? Quando mai io e te siamo state amiche? Toglimi le mani di dosso!» Le urlò la ragazzina dai capelli viola.

Non se l'aspettava, eppure non esitò al sfoggiare tutta la sua abilità nel controbattere alle compagne. Amava quel suo talento dopotutto, anche se non c'era molto da inorgoglirsi nel saper rispondere per le righe solo per far ammattire gli altri.

«Iris è un'antipatica, stava per farmi piangere prima. Dovreste evitarla, è proprio una cattiva ragazza.» Le venne il terrore di aver offeso la diretta interessata però.

Ma dopo poco la mora riuscì a vedere come Iris sorridesse, fino a scoppiare in una risata, alla quale si unirono tutte, lei compresa.

Condividere gioie e dolori senza nascondere il proprio lato più sensibile, questo era il significato dell'amicizia che le nostre eroine stavano a poco a poco capendo, trovandosi ad essere insieme, anche solo per pura casualità nelle situazioni belle e brutte in modo da rendere il dolore, che provato in solitudine diventa insopportabile, quasi simile alla felicità.

«Forza ragazze, abbracciamoci, non resta altro - disse raggiante Camilla - è più bello abbracciarsi solo quando si hanno sentimenti da condividere che ripetere a caso questo gesto per nulla.

Forze di odio e amore ci uniscono e dividono, ma torneremo tutte insieme ad essere un gruppo, prima o poi.»

Lo aveva detto in tono più serio, guardando un punto lontano, come se in quell'esatto punto ci fosse stato lo sbocco per riuscire a trasformare loro, cinque ragazze in una cosa sola.

«Ma... queste citazioni filosofiche ti vengono così o te le prepari di notte?» 
Le rispose Camelia sorridendole.

Una risata si levò dal gruppo.

Tutte si abbracciarono intorno al corpo di Camelia, che sembrava sentire su di esso di aver trovato delle amiche vere, quelle che con gli occhi non vedono il colore del trucco o il modello dei vestiti, ma riescono a scoprire e rendere loro ogni parte del suo inconscio, che invece di offenderla e vendicarsi delle sue prese in giro avevano preferito farle capire che non aveva bisogno di fingere per sopravvivere nel mondo.

Lei non era sola, come nessuna tra loro doveva essere.

 

«Ragazze, una di voi mi ricorda perché Nardo ci ha messe in punizione?» 

Domandò stressata Iris, mentre strappava a mani nude una delle tante tracce di muffa dalle pareti di quella stanza.

«Abbiamo saltato gli allenamenti di questo pomeriggio.» 

Le rispose Anemone ansimando, mentre cercava di ripulire il pavimento da tutta quella sporcizia, dovendosi spesso chinare per raccogliere i calcinacci.

Per quanto Nardo fosse buono e comprensivo era ben risaputo in tutta Unima che il Campione era solito punire i suoi allievi con punizioni esemplari, tanto da meritarsi il rispetto di tutti i maestri della regione.

«Aspettate, non è possibile per me essere in punizione stasera - si lamentò Camelia agitata, ricordandosi che cosa quella sera la aspettasse - io ed il mio ragazzo dobbiamo...»

La mora si interruppe prima di rivelare al gruppo la sua più intima vita sentimentale con tanta sfacciataggine, lasciando la frase a metà.

Ciò che naturalmente seguì fu un silenzio di imbarazzo, mentre le altre la fissavano con sguardo incredulo, sperando che Camelia non intendesse continuare la frase con il pensiero sconcio che avevano intuito.

Purtroppo il senso era esattamente quello: se fosse rimasta lì a ripulire quel posto, non avrebbe potuto godere della notte d'amore che tanto desiderava.
In queste situazioni chiunque è solito pensare quanto sia ingiusta la vita.

«Voi non potete capire, siete ancora single... E vergini, probabilmente.»

Si giustificò Camelia, per cambiare discorso e togliersi dalla precedente situazione di imbarazzo con più scioltezza possibile.
Intanto si era resa conto che ormai tutte le unghie finte le si erano spezzate con tutto lo sporco scrostato dai pavimenti e dalle pareti.

La punizione era tanto faticosa quanto umiliante, un ottimo esempio per riflettere sulle proprie azioni, degno di un uomo saggio.

«Ehi, signorina dalle grandi esperienze amorose, io alle scuole medie avevo un ragazzo! L'ho anche baciato in bocca una volta!»

Le rispose Anemone con tono infastidito, anche se tratteneva a stento una risata.

Poi, per farle capire l'errore che la mora aveva commesso, prese un grosso pennello ancora imbevuto di colla e, con un gesto rapido del polso, riuscì a sporcarle di quel fluido appiccicoso gran parte del viso, rendendolo lucido di quel miscuglio marrone chiaro.

La rossa, per quanto infantile fosse quel gesto, voleva entrare in confidenza anche con colei che prima le pareva la più antipatica; cercare di andare d'accordo con tutte, come aveva fatto anche con la timida Iris, era parte del suo carattere solare ed aperto.

«E quanto siete stati insieme?»

La provocò ancora Camelia, rispondendo nella stessa maniera con cui era stata imbrattata lei prima. Cercò solo di mirare ironicamente verso la bocca, per far assaggiare ad Anemone il gusto amaro e indigesto del suo fantomatico bacio in bocca.

La rossa a quel punto dovette tirarsi indietro, dato che la risposta a quella domanda era in grado di sminuire tutto l'orgoglio di cui prima si era vantata.

Si limitò a rispondere a malincuore.

«Due settimane... Poi mi ha lasciato.»

Partì un finto applauso di incoraggiamento per la rossa e il suo più che patetico record, ed a dare il definitivo segnale per dar inizio alla battaglia fu Iris gridando «Rissa! Rissa!» più che entusiasta.

Le due continuarono a sporcarsi di colla e vernice a vicenda, come due ingenue bambine che portano avanti uno dei loro soliti litigi, dimenticandosi chi avesse iniziato e chi avesse continuato.

Fare amicizia poteva essere ridere anche di quello.

«Siete davvero immature.»

Tentò di riportarle alla realtà, con tono fermo e contenuto Catlina, la quale mai aveva provato tanta stanchezza in vita sua; il dolore alle ossa la stava consumando, ed ogni singolo rumore la infastidiva.

A quel punto fu compito della leader riportare le due ragazze sudate e sporche di colla appiccicosa e polvere bianca al loro dovere, con il suo solito ottimismo.

«Ragazze, tornate al lavoro. La fatica serve a fortificarvi.»

«La dici facile tu che devi solo sorvegliarci!»

Le rispose Iris, che davvero non capiva perché dovesse essere punita per aver cercato di fare del bene ad una compagna.

Forse quello che stava facendo serviva davvero a fortificare.
E a far sudare. Sopratutto a quello, a suo parere.

«In realtà sono contenta perché che ha deciso di premiarci per il lavoro svolto in questi ultimi giorni: vuole trasformare questo vecchio garage abbandonato in una sauna a nostra disposizione. Pensate: potremmo rilassarci in una nube di intenso vapore caldo dopo aver finito gli allenamenti.»

Camilla era davvero eccitata all'idea di poter entrare in stretto contatto con le sue nuove apprendiste Campionesse mediante la condivisione di un momento privato come una sauna.

«E quindi noi dobbiamo lavorare come degli operai clandestini per ottenere qualcosa che già ci spetta a prescindere?!»

Le ribatté Iris, ormai stufa di tutto quel lavoro pesante.

«Esattamente.» Rispose a quella domanda retorica così impudente una voce profonda.

Nardo si era materializzato nella stanza, come se fosse apparso dal nulla: aveva pianificato di spaventare le ragazze, in modo da verificare il lavoro svolto fino a quel momento; un vero maestro è capace anche di cogliere alle spalle i propri allievi.

Lo stupore delle giovani fu più che evidente. A quel punto l'uomo si espresse.

«Ho visto con i miei stessi occhi chi merita questo premio, nonostante la vostra pessima condotta di oggi: avete saltato il vostro allenamento, atto davvero disonorevole per un allenatore, non solo del vostro calibro, ma di qualsiasi genere. Spero che questi straordinari vi abbiano aiutato a riflettere sulle vostre precedenti azioni.

Iris, Camilla, Catlina, siete libere di andare; avete riflettuto abbastanza e il vostro lavoro ha sostituito gli allenamenti mancati di oggi: potete cambiarvi e servirvi a cena.»

Dopo aver ringraziato Nardo (Iris non aveva capito neppure la ragione di quel castigo, figurarsi se in cuor suo si sarebbe degnata di ringraziarlo veramente...), le tre volsero le spalle all'uscita, come prigionieri appena scarcerati. Anemone e Camelia si guardarono con preoccupazione, mentre Nardo lanciò loro un'occhiata severa.

«Voi due - disse, guardandole negli occhi - avete bisogno di comprendere più a fondo i vostri errori.
Resterete qui, finché non avrete completato anche il lavoro delle vostre compagne. - Poi analizzò le due ragazze, aggiungendo - E per favore, evitate di aggravare ancora di più la vostra posizione... Avete lo stesso odore di una fabbrica di vernice.
»

L'uomo se ne andò, per raggiungere le tre che aveva deciso di aggraziare.

Guardandola bene, Camelia si era resa conto che quella ragazza rossa di capelli accanto a lei le somigliava parecchio: il viso appiccicoso e lucido, sporco di polvere biancastra, mista al sudore e allo sporco di quel posto orrido era identico al suo.

Era impossibile: la pelle bianca e diafana della modella aveva conformazione e colore totalmente diversi da quella abbronzata e spessa della pilota sua compagna di sventura.

Dovevano essere i suoi occhi.

Chissà perché Anemone doveva avere gli occhi del suo stesso colore.

E i lineamenti del suo viso le piacevano: le linee morbide e non troppo marcate riuscivano a tacere il suo senso critico riguardo alla bellezza.

La ragazza mora non voleva perdere l'occasione di avere un'amica che fosse così piacevole avere accanto.

Era giunto il momento di gettare via tutti i vecchi pregiudizi e mostrare ad Anemone quanto la faccia nascosta di se stessa fosse generosa e ben disposta nei suoi confronti.
Rivolgendosi un sorriso a vicenda e incrociando i loro sguardi, alle due ragazze, sole, sporche e miserabili venne contemporaneamente da ridere.

Camelia riteneva davvero indimenticabile potersi mettere a ridere senza dover pensare che in futuro quella stessa persona l'avrebbe fatta piangere.

 

 

«Camelia, scusami tanto... È colpa mia se stasera non potrai vedere il tuo ragazzo.»

«Non preoccuparti, sono così stanca che non le ho neppure le forze per odiarti...»

«Mi parli un po' del tuo ragazzo? Insomma... Com'è?»

«Come te lo immagini? Deve essere il mio ragazzo, non può essere altro se non perfetto.»

«Allora è vero che gli opposti si attraggono!»

«Allora è vero che una relazione con te non può durare più di due settimane!»

«Scusa. Se davvero è così...

Non è che daresti una mano a... Farmi piacere un ragazzo? Vorrei un fidanzato che sia fighissimo ma che mi tratti in modo dolce, e che sia anche sexy...»

«Credimi... Potresti trovarne uno, se curassi un po' di più l'aspetto, ti vestissi decentemente e ti comportassi in modo più sensuale. Saresti la ragazza dei sogni di tutti, secondo me.»

«Ehi, se vuoi saperlo io ho ben presente il genere di ragazza che intendi! Ragazze che appena le vedi ti sanguina il naso da quanto sono belle e carismatiche.»

«Davvero? Sono idol, attrici, modelle come me?»

"In un sacco di manga che ho letto il protagonista maschile seduce la protagonista femminile rivelando di essere il ragazzo dei suoi sogni... A volta la stupra perfino, ma farebbe di tutto pur di avverare il sogno d'amore della sua amata..."

«Cosa?!»

«No-Non sono una perversa! È vero, ogni tanto ho letto qualche manga hentai per maggiori di diciotto anni, ma il protagonista era di una bellezza assoluta! Poi io preferisco il genere ecchi, specie se oltre a dei bei ragazzi ci sono anche delle ragazze molto dotate...»

«Cara Anemone, hai molto da imparare in materia di amore.»

 

 

Behind the Summery Scenery #4

1. Per i "vecchi" lettori, che seguivano la storia già da prima: questo capitolo comprende anche, come potete vedere, quello che era il 4(1), ossia  il sub-capitolo "Le ragazze del crimine/Gelosia", ed il contenuto del 4(2), omonimo di questo. 

R.I.P. Sub-capitoli: 2013-2017

2. Sto editando e ho notato che c'era una sequenza separata dai divisori per nulla. Fixato nel 3.5

3. Per scegliere le cinque antagoniste da contrapporre alle ragazze, ho dovuto tenere una specie di "audizione", basandomi sulle opposizioni e somiglianze con le personalità delle protagoniste: ho letto in un giorno più di venti pagine di personaggi femminili della serie Pokémon su Wikipedia e siti annessi, e casualmente tutte le ragazze che ho scelto provenivano da regioni diverse. Non posso assicurare che tutte siano le mie bias.

4. "Neo Team Plasma" non è un nome ufficiale. Lo ho scelto io, nel caso vi sembrasse di averlo già sentito nei sequel di Pokémon Nero e Bianco.

 5. Per il cosiddetto effetto Mandela, durante tutta la storia mi riferisco ai membri del Team Plasma come "reclute". Rigicando ai giochi tuttavia , mi sono accorta che i membri si chiamano in realtà "seguaci", visto che il Team Plasma non era ancora un'istituzione al tempo, ma un gruppo ideologico.

6. L'idea di assegnare a ciascuna delle ragazze un passato triste o difficile è nata in primo luogo dal mio interesse implicito per la psicanalisi freudiana, in secondo luogo dalla visione di alcune opere (fra cui molti anime) in cui in base a diverse esperienze passate delle protagoniste si ricavano effetti e conseguenze nel loro agire presente e si offre buono spunto per una crescita futura.

7. La storia di Camelia è ispirata a quella di Cosette de "I Miserabili" di Victor Hugo anche se all'inizio avrebbe dovuto essere completamente diversa: si sarebbe comunque dovuta ambientare nella periferia della sua città nella stessa situazione di malessere e degrado, ma doveva essere sua madre in persona a disilluderla rivelandole di mantenere lei e sua figlia lavorando come prostituta, siccome suo padre l'aveva abbandonata ancora quando era piccola lasciandola senza sostanze.

8. La scena iniziale in cui Iris e Camelia litigano l'avevo pensata molto più violenta: Camelia avrebbe dovuto spingere Iris contro il muro per prenderla a schiaffi, lei per difendersi le avrebbe tirato un calcio sulla pancia e abrebbe ricevutoin risposta una ginocchiata sull'inguine e per liberarsi avrebbe dovuto, ehm, stritolare il seno dell'altra. Prospettive dolorose, insomma.

9. Se siete interessati a scoprire come la storia della stanza malandata con la poltrona sporcasia nata perché non date un'occhiata qui e qui?

10. Scommetto che non ve lo ricordate, ma nel Percorso 4 di Pokémon Nero 2/Bianco 2 potete notare una zona antecedente alla città di Sciroccopoli costituita da degli edifici prefabbricati con dei graffiti sui muri e tantissime allenatrici femmine sulla strada; la stessa zona viene chiamata "Villaggio di Sciroccopoli" nell'anime, "Nimbasa Town" in inglese.

  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Momo Entertainment