Mia madre quando ero piccolo mi insegnò che rompere le cose è sbagliato, perché non sempre ciò che subisce un danno può essere risanato.
Per alcune è proprio impossibile tornare allo stato originario: come una cicatrice, portano con sé il ricordo di quello spiacevole evento. Oppure, nel peggiore dei casi, cessano la propria esistenza.

Crack.

Nella mia testa non fa altro che riecheggiare questo suono sottile, fastidioso. Non troppo acuto, ma nemmeno troppo profondo. Un po' come il rumore di un gesso sulla lavagna, che provoca quel dolore sordo, quella sensazione di malessere per qualche istante.
Sì, posso sentirlo ancora perfettamente nitido. Eppure è già passato così tanto tempo...

Crack.

Ultimamente ho rotto molte cose.
Il bello è che le ho tutte rotte senza farlo apposta. Tutto troppo in fretta, e troppo difficile da spiegare.
Certo, sono consapevole delle mie colpe, non nego i miei sbagli. Da questo punto di vista mi sento in pace con me stesso.
Eppure, fa male da morire.
Sì, mia madre aveva ragione: certi danni ce li trasciniamo per sempre. Ma non credevo che fosse così doloroso.

Crack.

Era iniziato tutto così bene, ho finito per rompere ogni cosa concernente noi.
Il solo pensare al tuo nome mi fa paura, sento il cuore in equilibrio precario. Ormai è diventato talmente fragile che non si regge in piedi da solo.
Eppure non faccio altro che guardarti da lontano, in silenzio. Dalla mia aula di questo alto edificio, come un ninja. Nella mia situazione, è l'unica cosa che mi permetto di fare.
Ed osservandoti con questa fredda distanza sto imparando a conoscerti meglio. Non so se esserne felice oppure triste.
Ho notato che quando ti concentri sbuffi un po', e sposti con l'aria che crei quella ciocca bionda che ti cade sul viso. Te la sistemi con la mano, e poi ti gratti la nuca.
E dopo, come se fosse un rituale, ti siedi sulla tua solita panchina e dai un paio di morsi ad un ghiacciolo.
Già, il ghiacciolo.
Ora che ci penso, è tutto iniziato con il ghiacciolo.
Quello dal retrogusto dolciastro e leggermente frizzante, come una gazzosa sfiatata. Il tuo preferito.
Il nostro primo bacio aveva quel sapore, che io non ho mai sopportato, ma che diluito, sciolto sulle tue labbra sottili diventava delizioso all'improvviso.
Fu tutto inaspettato. Noi, quel bacio, quello che venne dopo. E quel crack, in palestra, dopo quella partita di merda.
Di tutto quello che mi hai urlato, vomitato addosso quella sera, non ricordo assolutamente nulla.
Ma quel crack, quello sì che lo ricordo bene.

Crack.

Ci penso e capisco di arrossire, ci ripenso e mi sento morire.
Perché ti ho perso, perché non sono quel che ti aspettavi, o almeno, non abbastanza.
Perché mi manchi, mi manca la tua vitalità, il tuo sorriso.
E la gazzosa sfiatata tra le tue labbra.


 

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Note:
Dopo eoni, ho riprovato a scrivere in prima persona, e il risultato non mi dispiace. Scrivendo per Crow's, mi è venuta in mente questa cavolata, e l'ho buttata giù senza pensarci due volte. Mi sono chiesta come si sentisse il nostro Asso preferito durante quel mese in cui si è ritirato dalle attività del club, ed ecco qua (Non è evidente che la AsaNoya mi sta facendo marcire il cervello, nonono).
Come al solito, divago troppo. Torno a scrivere cose serie.
A presto, 
- chri