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Autore: arwriter    03/04/2015    12 recensioni
Quando Christian arriva a Williston come nuovo studente della scuola superiore, la vita di Alice prende una piega diversa, poiché se ne innamora fin dal primo istante. Questo amore è incondizionatamente corrisposto, ma c’è qualcosa in lui che non le è ancora chiaro.
Durante una loro uscita la porta in un prato, e da lì tutto cambia. Alice entra in un sottomondo chiamato Metarsios, a cui Christian appartiene, dove regna solo l'inverno poiché l'estate può tornare solo con il ritrovamento di un gioiello dai poteri straordinari risalente alla dominazione Hidatsa, rubato dagli umani alla popolazione ultraterrena.
Alice dovrà esplorare il mondo cercando di salvarsi dai dominatori che vogliono ucciderla, e nel frattempo rassegnarsi ad un amore impossibile.
Riuscirà ad affrontare le difficoltà o sarà pronta a rinunciare per sempre a Christian?
IN FASE DI REVISIONE
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mondi

 
Lo guardai fisso negli occhi e all’improvviso vidi uno strano riflesso nella sua pupilla. Fiamme. Tutto d’un tratto mi voltai: eravamo circondati dal fuoco, e lui sorrideva. Io ero spaventata, terrorizzata, ma lui non faceva nulla. Urlai, strillai più forte che potevo, tentai di svegliarlo da quello che mi sembrò un sonno ipnotizzante che l’aveva colpito. Ma non riuscii, e le fiamme si propagavano.
 
Mi svegliai di soprassalto. Presi una boccata d’aria cercando di calmarmi. “Era solo un sogno”, continuavo a ripetermi, ma non riuscivo a non pensare all’immagine del viso di Christian, del suo sguardo tanto profondo quanto perso nel vuoto.
Non riuscii più ad addormentarmi, quindi ripresi a leggere per l’ennesima volta Orgoglio e pregiudizio, il mio romanzo preferito. Però quel giorno non era come le altre volte, non riuscivo a concentrarmi bene nella lettura. La mia mente dilagava; ero ancora spaventata per il mio strano sogno. Mi chiesi se sarebbe stato il caso di parlarne con il diretto interessato. Optai per il no.
Pian piano mi riaddormentai, ma dopo circa un’ora le urla di mia madre mi svegliarono da quel sonno che pareva eterno.
«Perché devi sempre stare dalla sua parte, Robert? Evan ha sbagliato, non puoi negarlo!», urlò lei dalla cucina mentre era al telefono con mio padre. Tentai di capire a cosa si riferisse. «Come puoi dire una cosa del genere? Secondo te tornare a casa alle due di notte mezzo ubriaco è normale per un ragazzo di diciannove anni? Ha dato un cattivo esempio a sua sorella». Risi: forse io ero molto peggio di lui.
Quando arrivai in cucina la loro chiamata era già finita. Feci finta di non aver sentito nulla. Dopo la colazione, uscii di casa.
La giornata era umida e piovosa, il contrario della precedente. Mi sentii molto stupida ad andare a scuola a piedi, soprattutto perché dimenticai l’ombrello. Ovviamente Sam non si fece sfuggire l’occasione, quando mi vide.
«Ehi Alice, ti bagnerai! Vieni sotto il mio ombrello». Accettai, poco convinta.
Intravidi John intento a parlare con una ragazza; la riconobbi subito, era del quarto anno, e il giorno prima stavano parlando di lei. L’avevo già vista, era alta, aveva i capelli biondi e un viso che faceva invidia a chiunque.
«Cosa stai guardando?». La voce di Sam mi risvegliò dalle mie fantasie. Mi incantavo spesso e mi soffermavo su ogni cosa che vedevo.
«Uhm, niente. Vedo che John si sta divertendo molto», dissi infine, e ridemmo entrambi, come due grandi amici che si conoscono da tanto tempo, ma a cui forse non basta solo l’amicizia. Con la coda dell’occhio vidi due occhi vigili intenti a guardarmi con un’aria strana.
Christian era appena uscito dalla sua macchina. Non aveva un ombrello, e da bagnato era più bello che mai. Mi accorsi di questi dettagli senza farmi notare, non volevo fare il primo passo. Inoltre mi sentivo un po’ cattiva, non volevo fare il doppio gioco: ero ancora molto legata a Sam.
Non mi rivolse la parola.
Passarono le lunghe ore della giornata ma non lo incrociai, nemmeno a mensa. Decisi di scrivergli un messaggio, con la scusa della sua interrogazione d’inglese. Nessuna risposta.
 
Al mio arrivo a casa, Evan stava uscendo.
«Dove vai?»
«Buongiorno anche a te», disse ironicamente. «Faccio un giro con degli amici».
«Voglio venire anche io», ordinai.
«Te lo puoi scordare, sorellina».
«Ti prego!». Feci l’espressione più tenera che potessi, e infine cedette.
«Uhm, se proprio devo».
«Grazie, grazie, grazie! Ne ho proprio bisogno». Mi sorrise e ci avviammo verso la sua auto. Mi faceva un po’ paura l’idea di uscire con Evan, ma volevo uscire e conoscere gente nuova.
«In realtà non mi hai ancora detto dove andiamo». Sorrise mentre guidava.
«A nord di Williston».
«A fare cosa?», chiesi preoccupata.
«Un giro. Poi ci fermiamo in una birreria lì vicino». Lo fulminai con lo sguardo.
«Guarda che stamattina ho sentito la chiamata di mamma e papà. La devi smettere con queste cazzate».
«Bada a come parli! Voglio solo fare un giro con gli amici».
«Per curiosità, chi c’è dei tuoi amici?».
«Ehm.. Non ti piacerà saperlo». Mi voltai verso di lui nel panico più totale. «C’è Samuel». Sospirai e iniziai a dargli dei colpi sul braccio. «Ehi, calmati! Sto guidando!».
«Perché non me l’hai detto prima?».
«Non ci ho pensato. Non pensavo ti desse fastidio», disse tranquillamente.
«Ma se un secondo fa hai detto che non mi sarebbe piaciuto saperlo!», urlai.
«Dai, calmati. Almeno non sarai completamente sola senza conoscere nessuno». Forse aveva ragione.
«C’è qualche ragazza?».
«Sì, Mia. Non so se la conosci», disse. «Comunque siamo arrivati e siamo in ritardo: ci stanno aspettando tutti».
Mi voltai e vidi un gruppo di ragazzi dell’età di Evan. Non conoscevo praticamente nessuno, ma riconobbi Mia, la ragazza bionda del quarto anno, e ovviamente Sam, che mi sorrise appena incrociai il suo sguardo.
«Scusate, ho dovuto aspettare quella cretina di mia sorella!», disse Evan.
«Attento a come parli!», risposi scherzosamente.
Mi presentai a tutti quanti, e dopo pochi minuti dimenticai i loro nomi. Non feci in tempo a parlare con nessuno che Sam mi si avvicinò. Quella situazione mi sembrava davvero strana: per molto tempo ero stata io a cercarlo, e non avrei mai pensato di arrivare al punto da non volerlo quasi vedere.
«Ehi, che ci fai tu qui?», mi disse.
«Potrei chiederti lo stesso. Non pensavo uscissi con mio fratello».
«Potrei dire lo stesso». Risi e non continuai la conversazione. Dopo una breve pausa, continuò a parlare. «Ho pensato a quello che mi hai detto l’altro giorno, e mi sono dimenticato di dirti una cosa». A volte ritornano, pensai tra me e me.
«Ti ascolto».
«Volevo dirti che io sarò qui ad aspettarti. Ci ho provato, ma non riesco a fare a meno della tua presenza. Con te sto troppo bene. Voglio essere tuo amico. Per qualunque cosa io sarò qui, quando ne hai bisogno mi troverai». Mi commossi; mi sentivo persino un po’ in colpa.
«Non so che dire.. Sono davvero felice, e ti ringrazio. Anche io ci sono sempre per te, sappilo».
«Allora, raccontami. Come va con Hudson?».
«Christian. Comunque, come deve andare!? Normale». Mi innervosii.
«Beh, vi frequentate, o sbaglio?».
«Se può interessarti non penso gli importi qualcosa di me, anzi». Non potei fare a meno di rispondergli male, e me ne pentii. «Scusami».
«Non preoccuparti. Ti lascio un po’ parlare con gli altri». In quel preciso istante arrivò di fianco a me la ragazza dai capelli biondi, Mia. Il suo viso angelico e il suo sorriso smagliante erano ancora più belli da vicino. Iniziammo subito a parlare.
«Piacere, Mia», mi disse con grande entusiasmo.
«Alice».
«Sei ancora più bella di come ti descrive Evan!», disse entusiasta. Rimasi sorpresa.
«Evan vi parla di me?».
«Non esco con lui da molto, ma ne parla più di quanto pensi». Ci fu qualche secondo di silenzio.
«Esci con John?», chiesi, ma mi pentii subito per la mia domanda invadente.
Sogghignò. «Lo conosco da poco. Te l’ha detto lui?».
«No, assolutamente. Era una curiosità, vi ho visti insieme questa mattina». Mi vergognavo tantissimo per il mio atteggiamento da impicciona, ma ormai il danno era fatto.
«Esci con Christian?», mi chiese con la stessa spudoratezza utilizzata da me.
«Lo conosco da poco. Te l’ha detto lui?», dissi, e scoppiammo in una risata. Mia era strana, non era affatto come la immaginavo. Non sono mai stata brava con le amicizie, ma in quel momento mi era sembrato estremamente facile conoscere una persona nuova.
«Comunque anche io vi ho visti insieme», confessò. Abbassai lo sguardo. «Le cose non vanno bene, eh?». D’un tratto mi sentii meno invadente di quanto pensassi.
«Non molto. Esco da una storia difficile», dissi.
«Con chi? E quanto siete stati insieme?».
«In realtà nemmeno un giorno, ma è come se lo fossimo stati per tanto tempo, almeno per me». Ignorai la sua prima domanda.
«Lo conosco?».
«E’ dietro di te ora». Rimase stupita e iniziò a sogghignare.
«Mi dispiace, non vorrei che avesse sentito!».
Dopo un pomeriggio di chiacchiere con Mia, Evan e Sam, ci avviammo verso la birreria “Magic!”. Che nome strano.
Non feci in tempo a varcare la porta della birreria che Mia mi fermò.
«Ragazzi, che ne dite se cambiamo birreria?».
«No, perché mai?», rispose un ragazzo del gruppo di cui non ricordavo il nome.
«Mia, che succede?», le chiesi sottovoce.
«Vuoi proprio saperlo? Voltati».
Rimasi a bocca aperta. Nel tavolo più lontano dalla mia posizione, un tavolo da tre persone, era seduto lui, Christian, e chiacchierava con altri due ragazzi che occupavano il suo stesso tavolo.
«Ha ragione Mia, andiamocene».
«Spiegami che succede», mi disse Evan in disparte.
«Niente, niente. Chiediamo un tavolo?», intervenne poi Mia. La fulminai con lo sguardo. «Non ti preoccupare», mi sussurrò all’orecchio.
Durante il pomeriggio avevo raccontato molte cose di me a Mia, e lei aveva fatto lo stesso, come se ci conoscessimo da una vita. Ovviamente non avevo evitato l’argomento Christian.
«Cosa hai in mente?», le domandai sottovoce.
«Lo devi affrontare, così potrà spiegarti perché ti evita».
«Ma si è accorto che in questo locale ci sono anche io?».
«Non credo. Penso abbia bevuto un po’ troppo».
«Perché parlate solo tra di voi?», domandò Sam.
«Io vado un attimo in bagno». Mi allontanai dal mio tavolo, e mio fratello mi fece l’occhiolino.
Non avevo idea di cosa dire a Christian, infondo non aveva fatto nulla, forse Mia esagerava. Non ci parlavamo solo dal giorno precedente, anche se non capivo il perché del suo evitarmi.
«Ciao! Anche tu qui?». Non mi poterono venire in mente parole più stupide.
«Sì», rispose freddo. Non avevo mai visto i ragazzi che erano lì con lui, probabilmente non frequentavano la nostra scuola.
«Allora com’è andata l’interrogazione di inglese?», chiesi come se niente fosse.
«Bene, grazie». Annuii. Mi fissava dritto negli occhi ma non diceva nulla, e questo mi faceva preoccupare.
«Ti va una passeggiata?». Cercai di evitare di pentirmi della richiesta, ma mi guardò troppo male. Nonostante ciò la sua risposta mi sembrò positiva: mi prese per il braccio e ci avviammo verso l’uscita del locale. Feci un segno a Mia e lei annuì.
Uscimmo dalla birreria e Christian si accese una sigaretta.
«Non pensavo fumassi».
«Solo quando sono nervoso». Sorrisi al pensiero di renderlo così nervoso, ma se ne accorse subito. «Non sono nervoso per la tua presenza, ma per altro».
«Uhm.. Va bene».
«Cosa volevi dirmi?», domandò, sempre con un tono abbastanza rude.
«Io? Niente», mentii.
«Bene, possiamo tornare dentro allora».
«No, aspetta». Si fermò e si voltò verso di me. «Voglio sapere se mi stai evitando».
Esitò prima di rispondermi. «Forse».
«E questo cosa vuol dire?».
«Non lo so, ma non mi va di parlarti».
«A me invece sì».
«Non ti arrendi mai eh?».
«Mai».
«Dai, andiamo al lago». Sorrisi.
Ormai si era fatto buio e quasi nessuno camminava per le stradine del parco dove si trovava il lago di piccole dimensioni dove ci stavamo avviando. Si sentiva il gorgoglio dell’acqua che scorreva e nient’altro.
Gli alberi stavano fiorendo; ormai la primavera era iniziata.
«Quindi in soli due giorni sei diventata pazza di me».
«No, ma mi fa strano che ieri eri così cordiale mentre oggi non mi hai rivolto la parola».
«Tu mi piaci e lo sai». Inarcai il sopracciglio.
«Come posso saperlo se non lo dimostri? E poi se ti piaccio così tanto, spiegami il motivo del tuo evitarmi».
«Stare con te comporterebbe tenerti all’oscuro di una buona parte della mia vita».
«Per questo mi eviti..», dedussi.
«Ci provo».
«Sembra che tu ci riesca».
«Ma tu non ti arrendi mai, mi ossessioni».
«Non ti ho mai detto niente!».
«Nella mia mente lo fai».
«Forse stasera hai bevuto troppo».
«Forse hai ragione, ma dico quello che penso».
Non sapevo più che cosa dirgli. «Vuoi ignorarmi per sempre?».
Non rispose.
Mi avvicinai a lui piano, come per provocarlo, e finimmo per essere sempre più vicini. Ci fu qualche secondo di pausa, poi mi allontanò con la mano il mento dal suo viso.
«Ho capito», dissi rassegnata.
«Mi dispiace».
Scappai via correndo verso la birreria. Ero disperata, ma mi sentivo anche totalmente ridicola. Non mi era mai successo di illudermi così tanto, né di essere tanto triste per una persona che conoscevo da soli due giorni. Correvo, correvo veloce, che quasi mi sembrava di volare. Era quello che avrei voluto fare, prendere il volo come uno di quegli uccelli che in quel momento stava attraversando il pezzo di cielo a me visibile insieme al suo stormo. Avrei voluto migrare anche io, andarmene per sempre dalla monotonia di Williston.
Non sapevo esattamente quanto tempo fosse passato da quando ero uscita dal locale con Christian, ma ero sicura che si sarebbero tutti arrabbiati con me.
Fu così.
Evan mi corse incontro non appena mi vide.
«Dove cazzo sei stata, Alice? Ti ho cercata ovunque! Andiamo via, è meglio».
Salutai Mia con un abbraccio e camminai verso l’auto di Evan. Salutai anche Sam, con la mano, ma ricambiò forzatamente.
«Voglio che mi spieghi tutto, non posso crederci Alice! Poi sono io lo sbadato!», urlò Evan. Avevo le lacrime agli occhi e un enorme nodo in gola, ma lui non se ne accorgeva. Non risposi a nessuna sua domanda.
«Ti ho chiesto cosa è successo Alice, rispondimi immediatamente!».
«In quel fottuto locale c’era Christian, ok?! Vuoi continuare a farmi la predica o per una volta cerchi di capirmi?».
«Scusami, non era mia intenzione. Ma mi hai fatto preoccupare». Gli diedi un bacio sulla guancia. «Però basta smancerie, sto guidando. Raccontami, piuttosto».
«Che devo dirti? E’ finita senza nemmeno essere iniziata».
Arrivammo a casa dopo pochi minuti. Il quartiere era calmo, sonnolento, e l’aria era fresca come una brezza autunnale. Aprimmo la porta senza far rumore, corsi in camera e caddi in un sonno profondo.
 
Il cielo variopinto di sfumature di arancione, rosa e giallo dava l’inizio al nuovo giorno. Era un giorno come gli altri, la solita monotonia si faceva sentire sempre di più, o almeno lo credevo fino a quel momento.
La lezione di storia di quel giorno parlava di patriottismo, anche se non capivo come fosse uscito quell’argomento. Discutemmo per tutto il tempo delle nostre origini fin dai tempi più remoti: i nativi americani, la colonizzazione, le grandi guerre e la lunga storia dell’America nel novecento. Mentre viaggiavo con la mente attraverso secoli di storia, pensai che quel giorno non avrei avuto occasioni di vedere Christian poiché non avevamo alcuna lezione da seguire in comune, e fu così.
Quando tornai a casa, però, vidi una macchina conosciuta parcheggiata vicino al mio giardino. Mi venne un colpo al cuore quando ricordai che l’avevo vista qualche giorno prima e ci ero anche salita sopra per tornare a casa dal parco Dakota. Dopo qualche minuto da quell’auto uscì Christian.
«Ciao», disse freddo.
«Che ci fai qui?», risposi con indifferenza.
«Devo parlarti».
«Non ho molta voglia di sentirti, ma dimmi».
«Voglio che ci proviamo».
«Proviamo a far cosa?».
«A stare insieme. Sarà la cosa più difficile di tutta la mia vita, ma ormai ci sono dentro e non posso fare altrimenti». Sorrisi. Non volevo dargliela vinta subito, ma il mio istinto non riusciva a controllarsi. Riprovai la stessa mossa della sera prima: avvicinai il mio viso al suo, aspettando il suo primo passo. Eravamo vicinissimi, lo vedevo teso, ma forse io lo ero di più. Mi fissava col suo sguardo ipnotico color ocra. Dopo qualche secondo mi prese la mano, la sfiorò con la punta delle dita e il suo sguardo si spostò su di esse. Sfiorò anche il mio anello col diamante che portavo all’anulare. Il suo sguardo ritornò sul mio viso e pensai di aver finalmente capito le sue intenzioni. Dopo pochi secondi si sarebbe avvicinato e ci sarebbe stato il nostro primo bacio.
Non fu così.
L’equilibrio venne spezzato dalle parole di Christian.
«Non ancora. Prima devi vedere una cosa», disse senza nemmeno lasciare che gli rispondessi. Mi prese per il braccio, come la sera in birreria, e mi portò verso la sua auto.
«In qualunque momento tu voglia tornare indietro basta dirmelo, e sarai a casa in poco tempo».
«Voglio solo sapere dove andiamo».
«Pochi chilometri a est di Williston».
«E perché ci stiamo andando?».
«Lo scoprirai tra poco».
Giungemmo in una zona di campagna dove c’erano solo campi coltivati, e ci fermammo davanti a uno pieno di girasoli. Erano meravigliosi.
«E’ stupendo. Ma perché mi hai portato qui?».
«Per farti conoscere una parte di mondo di cui non hai mai saputo l’esistenza».
Ero allibita, non sapevo che dire, non capivo a cosa si riferisse.
«Attraversa il campo con me».
Mi prese la mano e camminammo attraverso i girasoli, cercando di mettere i piedi nello spazio vuoto tra un fiore e l’altro. Evitai di fare domande, anche per la grande confusione che avevo in testa.
Arrivammo ad uno spazio non coltivato di circa un metro quadro.
«Cos’è?», chiesi.
«Una porta».
Christian spostò un po’ di terriccio fino ad arrivare a qualche centimetro di profondità, dove c’era un quadratino di cemento. Improvvisamente prese una chiave dalla sua tasca: era dorata e brillava quasi più della stella lucente che ipnotizzava i fiori circostanti.
«Sei pronta?», domandò.
«Sono pronta».
Inserì la chiave nella minuscola serratura di cemento che, con un movimento repentino, ruotò su se stessa, fino a spostarsi verso destra e lasciare un buco nella terra. Non avevo mai visto una cosa simile e ne rimasi scioccata.
«Prima le signore».
Respirai profondamente e presi coraggio. La mia vita mi scorse in testa in un attimo, pensai alla mia infanzia, a mio padre, a mia nonna e al suo anello.
Poi con un salto mi buttai.
 
 
  
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