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Autore: shadow_sea    04/04/2015    3 recensioni
La romance fra il comandante John Shepard e Jack, narrata in pochi capitoli ambientati alla fine di Mass Effect 3, ma costituita prevalentemente da rapidi flash back. Un'interpretazione personale del finale di questa saga.
Avverto i lettori che il linguaggio utilizzato è quello di Jack.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Uomo, Jack, Liara T'Soni
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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3. Quel pianto disperato

Quel pianto disperato di Liara non era sufficiente a lenire il dolore di Jack: non alleviava la sua sofferenza, né suscitava il suo perdono. Non provava comprensione o compassione per l'asari, solo voglia di picchiarla. Brutalmente, selvaggiamente, per dimostrarle il rancore che covava nel profondo del suo animo.
- Smettila di piangere, razza di ritardata. Non serve a nulla. Renditi utile invece. Ce l'hai un cazzo di apparecchio ricetrasmittente? - si limitò invece ad apostrofarla con durezza.
La vide scuotere la testa per dire no, ancora incapace di articolare una singola parola nel mezzo del fiume di lacrime e di singhiozzi che l'aveva sommersa.
Jack sapeva che Liara aveva amato il comandante ed era certa che lo amasse ancora, anche se, dietro suggerimento di Shepard stesso, lo aveva abbandonato per sostituirsi all'ineffabile Ombra, capace di esercitare un potere enorme su ogni cosa e persona che esistesse nella Via Lattea. Ma dentro di sé dubitava della sua buona fede, dato che neppure l'Ombra aveva mai avuto a disposizione mezzi così potenti da contrastare efficacemente i Razziatori. Per lei, Liara aveva abbandonato Shepard e la Normandy per semplice sete di potere, trasformandosi di fatto in uno di quei troppi politici corrotti che pensano più che altro al proprio tornaconto. Ma ciò che non avrebbe mai potuto perdonarle era l’aver consegnato il corpo del comandante all’Uomo Misterioso.
Fissò con disgusto quella donna che aveva il quadruplo dei suoi anni e la mentalità di una bambina, perché invocava l’amore come giustificazione per scelte inammissibili.
L’amore non giustificava nulla. L'amore faceva più danni dell'odio quando infettava i cervelli sbagliati.
Poteva essere una trappola per due: per chi amava e per chi era amato. E Liara non conosceva altro amore se non quello egocentrico, quello di una bambina viziata che pensa solo a se stessa.
Avrebbe voluto prenderla a schiaffi, ma non sarebbe servito a nulla. Desiderava che sparisse e la lasciasse sola, ma si rendeva conto che poteva ancora essere utile. Le avrebbe consentito di restare. Forse, insieme, potevano ancora salvare Shepard.

- Il mio factotum non capta nulla. Il tuo invece? Funziona?
- Non lo so...
- Asciugati quelle cazzo di lacrime e provaci! Chiama la Normandy, chiama chi diavolo ti pare. Non sei l'Ombra, tu? Cosa piangi? Piangerai dopo.
Non riuscì a prestare attenzione alle parole che la asari prese a riversare nella ricetrasmittente del factotum come onde disordinate di un fiume in piena. La sentì tentare più volte di mettersi in comunicazione con persone diverse e a un certo punto fu quasi certa che fosse riuscita a contattare la Normandy, ma faceva un'estrema fatica a distrarsi dal corpo che giaceva davanti a lei, abbandonato sull'asfalto.
“Cosa diavolo sei?” si chiese, senza riuscire a trovare il coraggio di toccare il viso di quella cosa, desiderando poter chiudere le sue palpebre per non essere costretta a fissare l'immagine raccapricciante di quella luce rossa, dell’identica sfumatura dei raggi che stavano massacrando il suolo terrestre.

- Non so più chi sono dal risveglio in quel dannato laboratorio di Cerberus. Non so più cosa sono. Ho vissuto la mia morte e la ricordo fin troppo bene. Ricordo perfettamente i primi istanti della lunga caduta che dal relitto della Normandy mi ha portato sul suolo di quel pianeta. E so bene che non si può sopravvivere a una caduta simile. Non ci si può schiantare a quel modo, protetto solo da una tuta che non consente neppure di respirare, per tornare fra i vivi come se nulla fosse accaduto.
Erano state più o meno quelle le frasi con cui Shepard aveva iniziato il suo racconto la notte successiva alla missione suicida, per mantenere la promessa di narrarle la storia delle sue cicatrici.

In piedi, vicino al letto nel suo alloggio, all’inizio di quella serata, lo aveva respinto in malo modo con un'onda biotica, facendogli urtare la schiena contro la parete alle sue spalle e rifiutandosi categoricamente di festeggiare in modo classico il successo della missione al di là del portale di Omega 4.
- Voglio il racconto che mi avevi promesso. Ti farò scopare dopo, per tutto il tempo che vorrai - lo aveva schernito con gelida ironia.
- Per la miseria, Jack, piantala! Non usare quel verbo del cazzo! Se solo lo volessi, potrei scopare con mezza galassia… - le aveva risposto con un tono di voce alterato dall’ira e dalla sorpresa, massaggiandosi una spalla.
- Questo dimostra solo quanto sei idiota a perder tempo con me - aveva replicato, incapace di fermare l’aura biotica che le aveva illuminato le membra, come reazione istintiva a un sentimento troppo potente in cui si aggrovigliavano panico, desiderio e ira.
- Forse, ma per mia disgrazia sei l’unica che voglio. E non solo per scopare, maledizione! - le aveva gridato contro alzando la voce.
Si era trattenuta dallo scoppiare a ridere, tutto d'un tratto intenerita dall’espressione di quel suo sguardo azzurro gelido. Ci aveva letto rabbia, pura e concentrata, che lui aveva sfogato tirando un pugno contro la parete, ferendosi le nocche della mano destra.

L’autenticità di quel sentimento esasperato le aveva mostrato inequivocabilmente quanto la volesse realmente, al di là del desiderio puramente fisico, e quanto davvero lei contasse per lui.
L’aura biotica le si era disciolta addosso e lei aveva mosso un passo incerto nella sua direzione, mormorando una scusa che non si era materializzata in un vero suono. Ma l’espressione pentita che aveva in volto doveva essere stata sufficiente per far sbollire anche la rabbia di Shepard che l’aveva lasciata avvicinarsi senza scostarsi o protestare.
Aveva borbottato qualcosa di incomprensibile, ma si era lasciato baciare la mano ferita, restando immobile, in piedi, con le spalle contro la parete, in atteggiamento di attesa paziente e rassegnata.
- Prima il racconto e dopo l’amore, John. Voglio conoscerti - gli aveva sussurrato abbracciandolo stretto e usando per la prima volta il suo nome di battesimo. Poi lo aveva spinto verso il letto, premendogli addosso con tutto il corpo fino a quando erano caduti entrambi sul materasso, lui sotto e lei sopra, a cavalcioni sopra il suo stomaco.
Gli aveva passato le dita fra i capelli cortissimi con una carezza leggera ma prolungata e poi si era chinata così da sussurrargli all’orecchio con voce resa roca dal desiderio - E lo faremo così a lungo, comandante, che ti verrà la nausea e cercherai un nuovo covo di Collettori solo per scampare alle mie brame smisurate.
Shepard l’aveva scostata da sé e l’aveva tenuta a distanza per guardarla bene in viso. Poi aveva scosso la testa, aveva mormorato una cosa del tipo - E poi sarei io l’idiota qua dentro? - ma alla fine aveva emesso un sospiro rassegnato e si era sistemato il cuscino sotto la testa. Aveva rivolto gli occhi verso l’alto, fissando il soffitto della stanza. Dopo poco aveva cominciato a raccontare.

- Non so più chi sono dal risveglio in quel dannato laboratorio di Cerberus. Non so più cosa sono. Ho vissuto la mia morte e la ricordo fin troppo bene. Ricordo perfettamente i primi istanti della lunga caduta che dal relitto della Normandy mi ha portato sul suolo di quel pianeta. E so bene che non si può sopravvivere a una caduta simile. Non ci si può schiantare a quel modo, protetto solo da una tuta che non consente neppure di respirare, per tornare fra i vivi come se nulla fosse accaduto.
- Non so come abbiano potuto riportarmi in vita, ma hanno usato una tecnologia che nessun altro conosce qui nella galassia. Hanno ricostruito il mio corpo, ma dentro non sono più umano. Sono tecnologia dei Razziatori, Jack. Perché l’Uomo Misterioso la conosce da anni e da anni la utilizza. Hanno ricostruito il mio corpo con esattezza assoluta, trascurando solo le tante cicatrici che mi ero procurato sui campi di battaglia. Quelle che vedi sono quelle nuove, la testimonianza delle tante operazioni che Cerberus ha fatto per riportarmi fra i viventi.
- La dottoressa Chakwas si è offerta più volte di cancellarle, ma io voglio ricordare, Jack. Voglio fissare questo volto nello specchio e rimuginare all’infinito: ciò che è visibile non è che la punta di un iceberg mostruoso. E non intendo parlare di impianti cibernetici, di organi bionici o di ossa metalliche. Intendo parlare di ciò che hanno fatto nella mia testa e che io non posso valutare.
A quel punto Shepard aveva smesso di fissare il soffitto e l’aveva guardata in viso. Le aveva asciugato le linee scure che le colavano dagli occhi seri e le aveva sfiorato le labbra tremanti con un dito.
- Non ci siamo mai incontrati prima della Purgatory, ma immagino che anche tu, come ognuno dei miei vecchi amici, mi avresti rassicurato che sono ancora io, John Shepard, comandante dell’Alleanza e capitano della Normandy. Io ho i suoi ricordi, ma non so quanto siano reali. Non so da dove li abbiano presi e non so cos’altro abbiano messo dentro la mia testa. Non sono in grado di capire se, o quanto, sono diverso, cos’hanno aggiunto e cosa invece hanno levato. Ma non posso essere lo stesso di prima. Questo è impossibile. Non sono più lo Shepard che comandava la Normandy SR1.
- Ma questo non basta, c’è di peggio. Io non sono più nemmeno umano, Jack. Probabilmente ciò che adesso sono, ciò che mi hanno fatto diventare, fa sì che io non possa definire me stesso neppure come essere organico.

- Non ho più le mie vecchie ossa, né i miei tendini o muscoli. Al posto del cuore ho una pompa artificiale e non ho idea di cosa abbiano usato per sostituire altre parti del mio corpo. Guarda dentro le mie pupille e vedrai il riflesso di un bagliore rossastro che non esiste in natura. Non posso guardare nel mio cervello, ma dubito che la materia grigia che la Chakwas mi conferma essere presente appartenga al vecchio Shepard. Potrebbe essere il risultato di qualche coltura artificiale, generata da cellule estranee al comandante e che forse non sono neppure di origine animale o vegetale. Forse non vengono nemmeno da questa galassia, forse sono state portate nel nostro mondo da qualche altro luogo, magari dentro un Razziatore ormai estinto.
A quel punto aveva smesso di parlare e aveva chiuso gli occhi. Poi aveva alzato entrambe le mani dal materasso e aveva fatto scorrere le dita sul suo corpo, indugiando su ogni più piccolo sfregio della sua pelle, con una dolcezza morbida e delicata che non aveva nulla di sensuale o erotico.
- Il mio cervello è come il tuo corpo. Esiste ancora, ma non è più lo stesso di prima. E nessuno di noi due potrà mai riavere indietro ciò che ci è stato sottratto, perché le nostre cicatrici non sono solo fisiche, Jaqueline. Sono il simbolo di ciò che siamo ora, di ciò che siamo stati costretti a diventare senza aver potuto scegliere, senza aver potuto opporci.
- Tu sei me. Io sono te - aveva concluso tenendo le palpebre ostinatamente serrate, forse illudendosi che riuscissero a nasconderle quelle lacrime che non voleva lasciare libere di andare.

- Sbagli. Questa volta ti sbagli, John - lo aveva rassicurato con un sussurro, stendendoglisi addosso e abbracciandolo forte, in modo che i loro corpi aderissero completamente.
- Nessuna intelligenza artificiale potrebbe mai creare un organico, perché gli mancherebbe la fantasia, la pazzia e la dolcezza necessarie. Non so chi fossi prima di rinascere in quel laboratorio, ma tu sei l’essere più umano che io abbia mai incontrato. Queste paure che avvelenano il tuo sangue lo dimostrano ed è un regalo inestimabile sapere che solo io conosco questo tuo segreto. Un segreto che non tradirò mai, perché so che per tutti vuoi restare semplicemente Shepard, comandante dell’Alleanza e capitano della Normandy, così come per tutti gli altri io sarò sempre e solo Jack. Ed è per questo che in fondo hai anche ragione, quando affermi che tu sei me e io sono te.
- Non so chi fosse il John Shepard che comandava la Normandy SR1, ma io amo questo Shepard, chiunque tu sia e qualunque cosa tu sia - aveva concluso in tono deciso, rinunciando a nascondersi dietro la più blanda barriera e consegnandosi nuda, anima e corpo, nelle mani di quell’uomo che le si era consegnato indifeso con altrettanta fiducia.

Facevano male quei ricordi così teneri in quella situazione tanto disperata.
Si tolse le lacrime dal viso con rabbia e tornò a occuparsi del casco, maledicendo la trasmittente del comandante, anch’essa fuori uso. Si strinse nelle spalle, quasi sollevata dal non poter far nulla per salvare ciò che restava di lui. Forse si compiva finalmente il suo destino, forse Shepard poteva lasciarsi tutte le sue lotte alle spalle e trovare la quiete, attesa troppo a lungo.
Si accoccolò sedendosi in terra, con la testa fra le mani e la schiena curva, senza osare alzare lo sguardo per timore di dover affrontare ancora una volta la visione di quell’occhio rosso spalancato.

Fu la frase pronunciata da Liara a scuoterla dal torpore che l'aveva avvolta.
- Joker sta cercando di sganciarsi dalla battaglia che si sta ancora combattendo nei cieli. Ci raggiungerà appena possibile.
- Allora immagino che dovremmo cercare di tenerlo in vita - rispose freddamente, rendendosi conto che nessuna di loro due si era ancora occupata di verificare quanto gravi fossero le ferite.
“Non si muore di troppo medigel” si rassicurò versando altro liquido sulla pelle e dentro la carne viva del comandante “E di certo non causerà alcun danno alle parti inorganiche”.
Non cercò di allontanare Liara che si era chinata sul corpo del ferito, conscia che stava effettuando qualche esame medico con il factotum.
- Sono solo numeri inutili. Non so interpretarli - ammise alla fine l'asari, avvicinando il suo factotum verso Jack che fissò solo per un istante l'infinita serie di cifre che si avvicendavano con tenace regolarità sul piccolo schermo, prima di allontanare con violenza il braccio dell'asari dandole una spinta così forte da mandarla a sedere in terra sull'asfalto.
- Cosa cazzo vuoi da me? Ti sembro un'infermiera? Chiama la Chakwas invece.

Fissò le dita azzurre di Liara che continuavano a premere i tasti sul suo factotum, talvolta per fare domande, talvolta per rispondere, talvolta per inviare qualche lettura. Le fissò senza mai vederle, assorbita nel compito di somministrare medigel in dosi massicce, senza provare a fare nient’altro, per paura di compromettere una situazione che tutto sommato appariva stabile.
- Non servirà a molto e dubito che potrà tenerlo in vita ancora a lungo - sentenziò alla fine con durezza, senza neppure cercare di ammorbidire l'asprezza del tono, mentre apriva una nuova confezione e faceva scorrere la sostanza viscosa su ogni zona scoperta del corpo del comandante.
- Lo so, ma sembra stabile al momento. Il polso è lento, ma costante, e il respiro è fin troppo regolare. Non mostra alcuna variazione. La temperatura è nella norma. Il resto delle informazioni non le capisco, ma la Chakwas ha detto di stare tranquille. Credo che neppure lei capisca come possa essere ancora vivo... - rispose Liara a bassa voce, tornando a inginocchiarsi al fianco del ferito.
- Gli impianti di Cerberus stanno compensando le anomalie - fu il verdetto distaccato di Jack - Non so come, ma non ha importanza adesso. Forse possono mantenerlo in condizioni di vita artificiale, come se si trovasse in una sala di rianimazione. E forse questo stato di sospensione da una morte altrimenti inevitabile potrebbe andare avanti parecchio, fin quando ci sarà... Ci sarà... Ci sarà cosa? Energia?... E da dove viene?... Batterie? Gli hanno impiantato anche delle batterie da qualche parte?
Fece una breve pausa pensierosa e continuò con lo stesso tono - Magari c’è una centralina che invia ordini al suo cervello: inspira aria, espira aria, mantieni regolare il battito del cuore, porta sangue e ossigeno alle cellule... anche se non so mica se sia proprio sangue quello che gli scorre nelle vene e nelle art...
- Vorrei che la smettessi di parlare in questo modo - la interruppe Liara in tono brusco.
- Spengo il factotum, se non ne hai bisogno. Non vorrei che un nemico ci avvistasse - aggiunse poi come scusa, sapendo che il buio l'avrebbe aiutata a superare lo shock per le immagini che avevano sotto gli occhi.

Ma tornò a far luce dopo appena pochi secondi, incuriosita da ripetuti rumori graffianti, di metallo strusciato sull'asfalto, che spiccarono nitidamente nel silenzio opprimente di quella notte.
Rabbrividì istintivamente nel notare come Jack fosse riuscita a far poggiare la nuca di Shepard sulle sue cosce nude, allungate in terra, e contro il suo ventre, messo allo scoperto dal giubbotto che aveva sbottonato. Quella scena le ricordava l'immagine di una fotografia che aveva scovato in un cassetto di sua madre quando era bambina, quella in cui una asari allora sconosciuta (ma che in seguito aveva saputo trattarsi di suo padre) era seduta a gambe incrociate su un prato e teneva in grembo il viso di Benezia.
Ma se quella fotografia era fin troppo romantica e quasi stucchevole, la scena che stava fissando era così raccapricciante che non riuscì a distogliere lo sguardo, suo malgrado avvinta dall'orrore di quella disgustosa mescolanza di pelle e sangue con circuiti e impianti, di quell'amalgama di carne, metallo e plastica, di quell'unione innaturale di elementi artificiali e biologici.
- Per la Dea! - sussurrò a bassa voce con espressione colma di disgusto, rimediandosi un'occhiataccia silenziosa da parte della donna che, come unica risposta, con lentezza estrema allungò la mano destra, fino a sfiorare la pelle sulla guancia di John, sotto l'occhio sano, seguì con attenzione il profilo delle ossa dello zigomo e scese ancora, avvertendo sotto i polpastrelli la ruvidezza dei peli cortissimi della sua barba.
Evitò le labbra ferite, cosparse di saliva mista a sangue e medigel, ma seguì il profilo delle piccole rughe incise ai suoi lati, ricordandole perfettamente anche in quell'oscurità assoluta.

In quel cyborg Jack riconosceva l'essenza dell'uomo che si era ritrovata costretta ad amare, nonostante tutte le sue paure, i giuramenti, le convinzioni incrollabili. Aveva in grembo l'opera di Cerberus, che aveva cercato (o almeno così aveva affermato) di ricostruire esattamente l'uomo che Shepard era stato un tempo. Non sapeva se gli scienziati e i tecnici di quella fottuta organizzazione avessero davvero preservato l'indole, il carattere, i ricordi, gli ideali di un uomo che lei non aveva conosciuto. Per riportarlo in vita avevano dovuto ricostruire tutti i componenti fisici andati distrutti ed era difficile immaginare che fossero riusciti a preservare l'anima di quell'uomo o, meglio, l'essenza intima della sua persona.
Ma non era questo ciò che contava: il Progetto Lazarus aveva dato origine e vita a un essere che di certo non era umano e che forse non si poteva definire neppure veramente organico, ma quello che teneva fra le mani era il suo John Shepard, l'essere a cui lei era più vicina.
Cerberus, con lei, non si era comportata allo stesso modo. Non erano stati attenti a martoriare solo il suo corpo fisico preservando la sua integrità mentale, tutt'altro. Non avevano avuto alcuno scrupolo a spezzarle sia il fisico sia la mente pur di farla diventare la biotica umana che nulla aveva da invidiare alle potenti asari. Eppure la sua essenza non era cambiata, anche se c'era voluta la costanza di Shepard e tutta la sua comprensione ed empatia per riportarla a galla.
Giocare con la mente e con il corpo di esseri viventi era ritenuto lecito dalle persone di cui l'Uomo Misterioso amava circondarsi e loro due erano fra i pochi testimoni in grado di capire dove portavano gli esperimenti portati al limite estremo, là dove non esisteva più etica o principi morali.
Forse era l'unica ragazza che il comandante Shepard, quello nuovo, rinato dalle proprie ceneri, poteva amare, perché accomunati da una pena ad altri sconosciuta e neppure facilmente descrivibile. Ancora ferma l'uno per l'altra in mezzo ad un'esistenza burrascosa, piena di scogli taglienti pronti a dilaniare le loro anime sperdute al primo accenno di burrasca.
John aveva capito che, sotto i tatuaggi che cercavano di nascondere le ferite subite, esisteva ancora la Jaqueline che lei era stata un tempo: la ragazza che sapeva amare senza farsi distrarre dalle apparenze, quella che sapeva donare tutta se stessa, senza egoismi o false ipocrisie. E come in una fuga musicale, dove il tema principale viene ripreso dalle altre voci, lei aveva trovato l'umanità del comandante e gliela aveva mostrata, privata dai veli, perché lui la vedesse finalmente, al di là degli sterili dubbi su ciò che era fisicamente diventato.
  
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