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Autore: aelfgifu    04/04/2015    3 recensioni
Dopo l'infortunio nella finale di Champions League, Karl è costretto a rimanere a Monaco durante le vacanze per portare a termine la riabilitazione. Ma a Monaco è rimasto anche qualcun altro...
Un giovane uomo alla scoperta di sé stesso, una donna piena di lati oscuri, una città deserta e lo splendore dell'estate.
[Seguito di Ritratto estivo di ragazzo svedese].
Genere: Romantico, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Marie Schneider, Nuovo personaggio, Stefan Levin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tutti i miei cari'
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6. Bad boy vs nerd girl
 
Si sono messi d’accordo per le cinque del pomeriggio, come due cospiratori.
“Verrò in incognito” le ha detto lui ridendo a gola spiegata. “Vedrai che roba”.
E infatti, quando Julia esce dal portone di casa e attraversa il cortile, eccolo lì, dall’altra parte della strada, appoggiato al cofano dell’auto, salutarla con un cenno della mano ancor prima che gli si avvicini.
Uno: l’auto non è la Porsche dell’altra volta, è un’Audi, e nemmeno una delle eleganti berline grandi da città, ma un’A3 nera. Come la macchina di Gerhard, pensa Julia. Solo che questa è uno splendore: senza un graffio, lucida, i vetri splendenti. Se ci fosse Alex, con un’occhiata saprebbe dirle che le sospensioni sono tenute magnificamente, gli specchietti regolati al millimetro, le gomme perfettamente a posto.
E lui è lì, mollemente appoggiato, con una gamba penzolante. Ancora più casual dell’altra volta, oggi addirittura ha addosso una t-shirt grigio chiaro a maniche corte con una stampa sul davanti col segnale stradale del “via libera” e sotto la scritta a grandi caratteri maiuscoli BAD BOY. Ha pettinato le ciocche ribelli all’indietro, legandole in un buffo codino; s’è calcato in testa un cappellino da baseball con la visiera girata e… mio Dio, porta gli occhiali! Nel momento in cui fa questa constatazione, Julia si tocca automaticamente i suoi. Non sono occhiali da sole, sono lenti da vista dalla forma lievemente allungata, con una leggera montatura nera. Quando gli arriva davanti, Julia può vedere che Karl si è anche rasato scrupolosamente, ha le guance lisce e rosee di un adolescente. In effetti dimostra dieci anni di meno.
“Ciao”
“Ciao”
“Allora sei guarita?”
“Credo di sì”
“Sono contento”
“Sei in versione nerd?”
“Che te ne pare?”
“Ti mimetizzi bene… ciononostante, sei ancora troppo poco nerd. Vedi” Julia indica sé stessa “io sono nerd”.
“Ma se siamo vestiti pressoché uguali!...”
“Io ho l’aria nerd, tu non ce l’hai neanche se metti gli occhiali”.
“A proposito” butta lì Karl con aria innocente “tu gli occhiali non li toglierai mai, vero?”
“No, credo di no, perché?”
Lui alza le spalle, come se stesse dicendo un’ovvietà:
“Se metti quei fondi di bottiglia, nessuno può vedere i tuoi occhi. Ma se va bene a te…”
“Mi va benissimo, grazie. È tua?” chiede Julia indicando l’Audi.
“La mia auto di servizio”.
“Ovvero?”
“Quella con cui vado agli allenamenti e allo stadio. L’Audi è uno degli sponsor della squadra”.
“Non siete neanche liberi di usare la macchina che volete” osserva Julia. “Ma come mai oggi sei venuto con questa?”
“Mi pare di capire che non ti piacciono le Porsche” Karl-Heinz è lievemente arrossito.
“No! Cioè… io ho detto che non ti ci vedevo con una Porsche, è una macchina che dà così nell’occhio, è come se gridasse: guardate, sono una macchina figa e il mio proprietario è uno strafigo!”
“Non sono uno strafigo io?”
Julia ridacchia sotto i baffi.
“Che ridi?”
“Sei stato carino”.
“Sì?” fa lui.
“Sì, la Porsche mi mette a disagio”.
“E ora che facciamo?”
“Ora” annuncia solennemente Julia “ti porto a prendere il gelato più buono di Monaco”.
“Ok” lui, cavalleresco, fa per aprirle la portiera, ma lei lo ferma con un gesto della mano:
“Possiamo andare a piedi, è a dieci minuti da qui.”
 
***
 
La gelateria è un grande locale luminoso con grandi vetrate che danno su un bel giardino curato e traboccante di colori. Senza neanche essersi consultati, i due cospiratori decidono di sedersi dentro, dove c’è molto più spazio e tranquillità rispetto al giardino affollato; e poiché quella che conosce il posto è Julia, è lei a entrare per prima, aprendo con un gesto deciso il battente della porta a vetri, che aziona un campanellino dal suono dolce.
L’uomo dietro al bancone alza gli occhi allo scampanellio che annuncia i nuovi venuti, posa gli occhi sulla piccola figura di Julia e fa sbocciare il viso in un’espressione di gioiosa sorpresa.
“Giulietta!”
“Ciao Franco… oggi porto un amico”
“Benvenuto”
“Possiamo sceglierci il posto, vero?”
“Certo, certo, se ne stanno tutti fuori… se volete rimanere dentro, avete l’imbarazzo della scelta”.
“Grazie! Allora dove?” chiede Julia a Karl, che da quando sono entrati ha ancora pronunciato parola.
Sempre senza parlare, lui indica uno dei tavolini più all’interno e, raggiuntolo, sceglie il posto che dà le spalle al resto del locale.
“Non hai parlato perché temevi riconoscessero la voce?” s’informa Julia accomodandosi a sua volta.
Lui annuisce.
“Non parlerai per tutto il tempo?” si preoccupa Julia.
“No, tranquilla. Solo per ora”.
Una delle ragazze, intanto, si è avvicinata porgendo loro la carta dei gelati. Julia ringrazia con un sonoro ‘grazie’, il giovane con un cenno della testa e un sorriso.
“Sembra che il travestimento stia funzionando” commenta Julia “finora non ho visto né occhiate strane né gesti inconsulti”.
“Speriamo…”
“Dai che ce la facciamo. E se a qualcuno viene il dubbio, ci sono io a fugarglielo. Ti pare che uno come il Kaiser si possa far vedere in giro con una come me?” Julia strizza l’occhio con aria furba mentre apre la lista e la porge a Karl. “Io so già cosa prendere, scegli tu”.
“Uhm”. Il giovane scorre il cartoncino plastificato con gli occhi. “Com’è il gelato al cioccolato?”
“Superlativo. Tutti i loro gusti sono superlativi!”
“Allora mi sa che prenderò una coppa al cioccolato con una montagna di panna…”
Quando arrivano i gelati, gli occhi del calciatore s’illuminano come quelli di un bambino.
“Che meraviglia” esclama.
“… è sempre stato il tuo gusto preferito?”
“Sì, fin da piccolo”.
“Si capisce… posso farti una domanda?”
“Una domanda pericolosa?”
“Che giorno era il quattro luglio?” chiede Julia con aria perfettamente tranquilla.
“L’anniversario dell’indipendenza degli Stati Uniti?”
“Vabbè, anche quello… Non era per caso il tuo compleanno?”
“Come sai che è stato il mio compleanno?”
“Perché non me lo hai detto?”
“Mi sentivo in imbarazzo a dirtelo. Come lo hai scoperto?”
“Ho fatto la stalker e cercato notizie sul tuo conto sui motori di ricerca. Allora, la data del tuo compleanno è sulla tua pagina Wikipedia, sul tuo profilo nel sito del Bayern e in quello della nazionale, nonché in tutti i database di calcio di tutto il pianeta. Ho altresì scoperto che sei alto un metro e settantanove, pesi sessantasei chili, il tuo gruppo sanguigno è zero perciò sei donatore universale, tua madre si chiama Helga ed è impiegata, tuo padre si chiama Frank ed è l’allenatore della tua squadra, hai una sorellina minore di nome Marie, ventun anni, studentessa. La tua carriera: hai militato per otto anni nelle giovanili del Hamburger Sport Verein, a sedici anni sei stato acquistato dal Bayern, da ragazzo il tuo ruolo era quello di centrocampista d’attacco, più tardi hanno pensato di spostarti nel ruolo del centravanti puro, a causa della tua velocità, della potenza del tuo tiro, della tua intuizione che ti permette di leggere, anzi prevedere, il gioco e ti rende in grado di approfittare di ogni opportunità: per questo sei un grande realizzatore. Sei stato il capocannoniere del campionato negli ultimi tre anni. Non essendo altissimo, non eccelli nel gioco aereo; però il Bayern ha vinto la Champions League grazie a un tuo gol di testa. Hai esordito molto presto anche in nazionale e a oggi hai già ottantuno presenze con ventitré gol segnati. Al Bayern e in nazionale porti la maglia col numero 11. Dimentico qualcosa? Ah, ecco: sei testimonial permanente di un progetto di formazione scolastica ed extrascolastica per ragazzi socialmente svantaggiati e spesso vai a parlare nelle scuole…”
“… e che quando vado a parlare nelle scuole mi trema il sedere non c’è scritto, hm?”
“No, quello no”.
“Eh, vedi, non dicono le cose più importanti”.
“Davvero ti trema il sedere?”
“Certo. Un conto è giocare al calcio e un conto è parlare con le persone”.
“E come fai quando ti intervistano?”
“In qualche modo faccio… ma non mi piace molto”.
“Vuoi sapere quello che dicono di te i siti di gossip? Da buona stalker ho cercato anche quelli” sorride Julia.
Lui sorride di rimando, un po’ pensieroso:
“Guarda, so cosa dicono i siti di gossip e ti rispondo subito che uno, non ho una storia con Viktoria Sonnenfels, due, non mi piacciono i maschi, tre, non sono neanche bisessuale”.
“Come sai che scrivono queste cose?”
Lui alza le braccia in un gesto dimostrativo, quasi a dire: “Te le sbattono in faccia a ogni momento!”
“…”
“… e quarto, sono single”.
Julia fa una smorfia che vuol essere gentile ma rivela tutto il tuo disappunto, come se avesse detto “se dici che è così è così, ma tanto non ti credo”.
“Non ho una ragazza o un ragazzo, o amanti, o storielle. Al momento sono solo”.
“Ma va’!...” esclama Julia che non riesce a tenersi.
“Ti è difficile crederlo?”
“Metti a dura prova la mia visione del mondo, così”.
“E quale sarebbe la tua visione del mondo?”
“La mia visione del mondo, a grosse linee, dice che tu, atleta giovane, ricco e celebre, avendo un grosso potere sociale, non hai praticamente alcuna probabilità di rimanere solo anche per un singolo istante”.
“Ma se sono io che voglio star solo?...”
“Ah, beh. A questo non avevo pensato”. Julia guarda di lato. “Di solito il problema delle persone è come non rimanere sole, non il contrario”.
“Sai…” Schneider scucchiaia nella sua coppa di gelato, meditabondo. “Non ho avuto mai molto tempo per i rapporti umani. Forse sono diventato professionista troppo giovane. Ero troppo piccolo per avere avuto esperienze con le persone, con le ragazze, e dopo… dopo ero Karl Schneider, il centravanti del Bayern e della nazionale. Non che non mi sia tolto i miei sfizi, ma…”
“Karl-Heinz” lo interrompe Julia con voce squillante.
“Come?”
“Il tuo nome è Karl-Heinz, perché devi accorciarlo?” chiede lei con aria severa.
“Ma è un nome così pretenzioso. E poi mi hanno sempre chiamato Karl, a casa, gli amici… anzi, no, mia madre mi chiamava ‘Karl-Heinz!’ con l’indice alzato quando doveva rimproverarmi. ‘Karl-Heinz! Chi ha rotto lo specchio dell’ingresso?’ Io, ovviamente, con una pallonata” il giovane sorride al ricordo e porta il cucchiaino alla bocca. “Uhm, buono” commenta, assaporando la sua cioccolata con panna.
“Non è pretenzioso. Sono due antichi e bellissimi nomi regali” risponde Julia fissando il suo gelato.
“Se non ti piace Karl, puoi chiamarmi Kalle” ribatte lui con un lampo mascalzonesco negli occhi.
“Per carità, Kalle, che orrore”
“O Kalli” propone Schneider, stavolta ridendo apertamente.
“Kalli è infantile”.
“E allora…?”
“Mi attengo a Karl-Heinz… Non senti come suona bene?”
“Sì? Suona bene?” lui le rivolge una delle sue occhiate che trapasserebbero un muro, lunghe e indagatrici. Julia si dà da fare col suo gelato per non farsi prendere dall’imbarazzo.
“Fuona molto bene” annuisce a bocca piena. “Ma tu non ti occupi di parole, non fai percepire la bellezza dei fuoni”.
“Non fo percepire la bellezza dei fuoni?” le fa il verso Schneider.
Julia arrossisce.
“Fcufa” ingoia il boccone di gelato. “Non pensavo che tra amici ci si dovesse formalizzare. Di solito osservo le buone maniere, non parlo a bocca piena con chiunque”.
“Fei fimpatica” Schneider tira fuori la lingua.
“Anche tu sei simpatico. E dire che sui media passi come un tipo freddo e distaccato”.
“Eh fì, fui media paffo come un tipo freddo e diftaccato” Karl socchiude gli occhi, per un momento assume la posa sorniona di un micio sdraiato al sole “anzi, direi ftronzo…”
“Dai, ora basta”.
“Okay” Karl riempie il cucchiaino di gelato e panna e lo porge alla sua interlocutrice. “Vuoi?”
Julia fissa quell’invitante bocconcino.
“Vado a chiedere un altro cucchiaino” annuncia infine, alzandosi. Lui rimane a guardarla mentre si avvicina al banco e parla con la cameriera (gesticola molto, nota, anche se è una donna timida si esprime molto con i gesti, dev’essere la sua eredità italiana). Seguendo il filo di chissà quale pensiero, Karl riprende a mangiucchiare il suo gelato, quando Julia ritorna al tavolo e si siede, non prima di avergli messo davanti una piccola torta sormontata da una candelina accesa.
“Buon compleanno, in ritardo”.
Segue a ruota la cameriera, che posa sul tavolo due piatti e due forchette da dolce, e senza parlare, con velocità e sbrigliatezza da professionista, taglia due grandi fette dalla torta e le depone elegantemente nei piatti.
“Buon compleanno, signore” dice, prima di lasciare il tavolo.
“Grazie, Kathrin” dice Julia.
“Niente, dottoressa Gutenbrunner”.
“Grazie” è la volta di Schneider.
“… a lei, signore”.
“… dovevamo trovare il momento giusto per sorprenderti” commenta Julia.
“Mi farai scoppiare prima di stasera”.
“Eh sì, proprio nello stile di una mamma italiana. Mangia, mangia, bambino mio: è tutta salute”.
 
***
 
Al momento di regolare il conto, Julia fa finta di lasciare l’incombenza a Schneider; si alza con nonchalance mormorando “aspetto qui davanti” e si avvia verso la porta salutando i camerieri e il gestore. Karl si avvicina alla cassa, carta di credito alla mano, ma Kathrin scuote la testa sorridendo:
“Ha offerto la signora Gutenbrunner”.
“Sì, ma abbiamo preso anche del gelato” insiste Karl.
“Ha offerto la signora Gutenbrunner” ripete Kathrin.
Lui si gira e fissa Julia che è ferma fuori dalla porta, in attesa, le mani in tasca, il piede che giocherella con un ciottolo. Sembra esitare, poi si rivolge di nuovo alla ragazza:
“Va bene, grazie”, fa un cenno cortese con la testa, infila di nuovo la carta di credito nel portafogli e si avvia verso la porta. Quando esce, Julia alza gli occhi. Non sorride, non sogghigna, come qualcuno che ha fatto un bello scherzetto a un amico. È seria.
“Volevi dimostrarmi qualcosa?” la domanda di Karl è dura e diretta come un pugno.
“Perché?”
“Perché hai offerto tu?”
“Non si fa così tra amici?”
“Ti avevo invitato io”.
“Ma è stato il tuo compleanno…”
“Non ho mai conosciuto una donna che offrisse a un ragazzo”. Di solito accade solo nei casi in cui lui è un escort e lei una cliente, aggiunge fra sé.
“Bene” Julia alza le spalle “ora la conosci”.
Continuano a camminare affiancati, ora fra loro è sceso il silenzio, un silenzio che pesa.
È chiaro, rimugina Julia, è a disagio perché non gli ho consentito di fare il maschio alfa, perché mi sono posta sul suo stesso piano e voglio essere alla pari con lui. Non è abituato ad agire così con le ragazze, anzi, non è abituato ad agire così con nessuno, lui è quello che domina, che guarda gli altri dall’alto. Guarda che faccia scura che ha. Non si sarà offeso?
È così semplice, riflette contemporaneamente Schneider, ha voluto mettere in chiaro che non ha nessuna intenzione di stare un passo indietro al calciatore ricco e famoso. È orgogliosa, non vuole avere debiti di nessun genere, neanche per un gelato. Anzi, non crede che qualcuno possa offrirle un gelato senza doverlo risarcire.
Si è offeso, ha concluso intanto Julia. Pensa che io abbia voluto pagarlo per il disturbo.
È turbata, dice Schneider a sé stesso sbirciando il visetto preoccupato della giovane donna, ha paura di dovermi qualcosa…
Alla fine, Julia si ferma, e nel frattempo tocca l’avambraccio di Schneider, che è costretto a fermarsi anche lui e, stupito dal gesto improvviso, la guarda interrogativo.
“Scusa se ho fatto qualcosa che ti è dispia –“
“Ehiii! Levatevi di lì!!!”
Tutto accade nel giro di un secondo: Karl che afferra precipitosamente Julia e la tira verso di sé, Julia che presa alla sprovvista perde l’equilibrio e si aggrappa al ragazzo per non cadere, lui che barcolla un momento per la sorpresa di quel peso che gli viene addosso, e quattro mocciosi in bicicletta che sfrecciano a velocità impressionante a pochi centimetri da loro.
L’aria si ferma. Sono immobili sul bordo del marciapiede, praticamente abbarbicati uno all’altra, lui col braccio destro serrato convulsamente sulle spalle di Julia, Julia aggrappata alla vita di Karl per non cadere. I ragazzini sono già lontani, i loro strilli allegri nell’ebbrezza della sfida sono ormai solo un’eco. Karl e Julia si guardano per un momento che sembra durare un secolo.
“Tutto b-bene?” balbetta Schneider. “Quei piccoli screanzati!…”
“Sì, tutto bene, grazie, anzi, a momenti ti facevo cadere” Julia si ritrae precipitosamente.
Riprendono la loro passeggiata, meditabondi.
“Che stavi dicendo, prima che arrivassero quelle piccole furie?”
“Stavo dicendo: scusa se ho fatto qualcosa che ti è dispiaciuto…”
“Ah. Okay. No, va bene, non fa nulla; a dire il vero, mi è venuta un'idea” sulla bocca di Karl si disegna un sorrisetto pieno di sottintesi “pensavo, che ne dici di un giro sul lago di Starnberg? Arriviamo che c’è ancora luce, facciamo una passeggiata e per le nove siamo di nuovo a Monaco”.
 
***
 
NdA: i due "antichi e bellissimi nomi regali" sono Karl e Heinrich, di cui Heinz rappresenta una forma diminutiva.
P.S.: buona Pasqua a tutti!
  
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