XIX
SAGGEZZA E
VENDETTA
“Scendi
dalle nuvole, non
costringermi a raggiungerti lassù!”
minacciò Ares, spalancando le ali
dell’armatura.
Giove, senza
proferire parola,
rispose con un potente fulmine. Il Dio della guerra lo
schivò e ringhiò infastidito.
“Cerca
di usare una strategia”
mormorò Atena “Non sempre attaccare a
caso!”.
“Tu
pensa per te!” brontolò Ares,
mentre Giove tentava di nuovo di colpirlo con un fulmine.
Il Dio romano,
sempre avvolto dalle
nubi nere, scese e l’armatura iniziò a vestirlo.
Con l’aria di chi non teme
niente e nessuno, scagliò l’ennesima saetta.
Questa volta, dopo aver toccato
terra, l’elettricità di divise e colpì
di striscio le due divinità greche.
“Ανδρειφοντης
Μαλερός!”
gridò
Ares,
lanciando il suo colpo.
Le
lingue di cosmo
rosso come il sangue avvolsero Giove, che però se ne
liberò in fretta,
disintegrandole con le sue scosse. Anche Atena attaccò,
lanciando il suo
scettro, che il Dio romano ricacciò indietro con un gesto
della mano. La Dea ne
fu sbalordita, abituata com’era ad avere sempre a fianco
qualche saint
sacrificabile.
“Tutto
qui?”
commentò Giove, serio “Siete dei patetici
moscerini”.
“Moscerini?!
Ma come
osi, copia mal riuscita di Padre Zeus?!” si
accigliò Ares, spiccando il volo.
“Fratello!”
lo
richiamò Atena, cercando di farlo ragionare.
Giove
allungò un
braccio ed afferrò saldamente il Dio della guerra. Ares fece
altrettanto,
piantando gli artigli nel possente braccio del Dio romano, che ne
stringeva il
collo con la mano.
“Fratello!”
gridò
ancora Atena, vedendo gocce di ikor scorrere.
Ares
non abbassò lo
sguardo. Continuò a fissare la divinità romana,
affondando sempre più gli
artigli e ringhiando. Giove, infastidito, dopo un po’
trovò troppo spiacevole
quel dolore al braccio e liberò dalla presa il greco,
lanciandolo indietro.
“Hai
osato ferirmi”
minacciò il padre romano “La pagherai molto cara.
Ti scuoierò ed appenderò la
tua pelle sulla cima dell’olimpo!”.
“Fottiti!”
sbottò
Ares, sputando sangue in terra.
Discordia,
allarmata
nel veder perdere i sensi a mezzo tempio, salì fino alla
tredicesima. Lì vi
trovò Deimos, che pareva tranquillo.
“Cosa
è successo?”
domandò la romana “Perché sono svenuti
tutti?”.
“Volontà
della loro
Dea” rispose il Dio.
“E quel drago?”.
“Volontà
di mio
padre”.
“Ma..stanno
bene?”.
“Mi
sa che hanno
preso delle buone botte in testa, cadendo. Ma nulla di
più”.
Discordia
si
avvicinò ad Arles, rigirandolo e scostandone i capelli dal
viso.
“Che
fai, donna?” la
apostrofò Deimos.
“Cerco
di capire se
sta bene” rispose lei, stupita da quella domanda.
“Preferirei
che tu
non ti avvicinassi troppo al mio fratellino, specie ora che
è svenuto”.
“E
perché?”.
“Vuoi
l’elenco delle
ragioni o te ne bastano un paio?”.
“Ho
tutto il tempo che
vuoi..”.
“Diciamo
che il
perno centrale della questione è che sei romana”.
“La
cosa ti disturba
così tanto?”.
“Ovvio.
Non sei dei
nostri e non mi convinci”.
“Temi
che possa fare
del male a tuo fratello? Ti sbagli, se la pensi così. Mi ha
salvato la vita,
non potrei mai ferirlo o ucciderlo”.
“Questo
è tutto da
dimostrare. I romani sono la tua famiglia e non credo sia tuo desiderio
combattere contro tutta la famiglia”.
“La
mia famiglia mi
ha accusato e torturato solo perché ho seguito la mia
natura. Tu cosa faresti,
se qualche greco ti punisse per aver spaventato uno di loro?”.
“Il
tuo discorso non
ha senso. Io sono fedele a mio padre e per nessuna ragione al mondo
potrei
tradirlo e combattere in fazione opposta alla sua!”.
“Mio
padre non ha
mai mosso un dito per difendermi. Immagino che anche tu ti diverta a
vessare
chi è più debole. Pensi che di questo siano tutti
contenti?”.
“Io
seguo la mia
natura”.
“Ed
io la mia!”.
“Allora
non ha senso
che tu stia accanto a mio fratello, Discordia!”.
“Lui
è l’unico che,
in tanti anni, mi ha aiutata”.
“Perché
non sapeva
chi eri. Se avesse saputo che eri Discordia, la romana gemella di
Marte, non lo
avrebbe mai fatto”.
“E
come puoi esserne
certo? E poi fai tutti questi discorsi ma..cosa credi che
accadrà in futuro?
Ora siete tutti alleati ma..quanto durerà? Fra quanto tempo
sarete di nuovo
tutti divisi, a bisticciare fra voi? Ora andate tutti
d’accordo perché avete un
grande nemico comune, ma quando tutto questo
passerà?”.
“Non
sono affari che
ti riguardano!”.
“Io
rimarrò accanto
a tuo fratello, che questo ti piaccia oppure no”.
“Se,
quando sarà
sveglio, ti vorrà fra i piedi..saranno solo affari suoi! Ma
finché è inerme e
svenuto, non osare avvicinarti”.
“Altrimenti?
Mi
uccidi?”.
“Potrei
prenderla in
considerazione come opzione..”.
Giove,
dopo
l’ennesimo colpo parato e “rispedito al
mittente”, decise di fare sul serio.
Ares, furioso, lanciò un grido minaccioso e volò
di nuovo contro il Dio romano.
Giove sorrise e si concentrò, scagliando un colpo
potentissimo. Il Dio della
guerra fu travolto e lanciato contro una colonna. Parte
dell’armatura che lo
proteggeva andò in frantumi e Ares poi ricadde in terra,
senza riuscire a
rialzarsi. Il marchingegno costruito da Efesto doveva aver ceduto,
perché il
Dio non era più in grado di muovere le gambe.
“Sei
in trappola,
storpio!” lo minacciò Giove, avvicinandosi con un
largo sorriso.
“Lascialo
stare!”
intervenne Atena, compiendo un balzo e roteando il bastone in aria.
Giungere
fino ai
cinque picchi era impegnativo. La strada era lunga e pericolosa e Kiki
fin là
non era mai arrivato. Quando finalmente riuscì a scorgervi
la cascata in
lontananza, sorrise. Non ne poteva più di camminare fra
rocce e sentieri
pessimi in compagnia di quei due bronzetti piagnucolosi!
“Là
ci attende
Sirio?” domandò il giovane.
“Sì”
annuì Hyoga
“Lui è il maestro Dohko sono a guardia dei
sigilli”.
“E
non ci faranno
problemi?”.
“Vedremo..”.
Preso
alla
sprovvista, Giove fu trafitto dal bastone di Atena. Gemette,
rigirandosi di
scatto e colpendo la Dea, che si trascinò sul pavimento in
pietra per un buon
tratto.
“Non
puoi
sconfiggermi con così poco!” gridò il
padre degli Dei romani, voltandosi verso
la Dea e preparandosi ad infierire sulla donna.
Avanzò
di qualche
pazzo ed Atena arrancò, ferita e senza lo scettro fra le
mani. Chiuse gli
occhi, preparandosi al peggio. Ares osservava la scena e
tentò di reagire. Si
trascinò con le braccia, maledicendo le gambe che non
accennavano a muoversi.
Riusciva a vedere chiaramente la ferita aperta di Giove, che lentamente
si
stava rimarginando grazie al potere del Dio romano. Il greco
lanciò un grido,
di quelli che erano in grado di terrorizzare chiunque.
“Ανδρειφοντης
Μαλερός!”
lanciò di nuovo, questa volta concentrando il
cosmo verso una
sola direzione: la lacerazione che Giove aveva su petto e schiena
“Brucia, mio
dannatissimo cosmo! Brucia il romano e non lasciare di lui nemmeno una
briciola!”.
Anche
Sarah aveva
raggiunto la tredicesima e non le piacque vedere Deimos e Discordia
discutere.
“Vi
sembra il caso
di litigare?” li ammonì, ignorando il fatto che
lei era mortale, con dinnanzi
due divinità incollerite “Ci sono delle persone in
terra che stanno male, e voi
perdete tempo!”.
“Tranquilla”
le
parlò Deimos, piuttosto infastidito “Appena Atena
avrà finito di combattere,
ridarà loro la forza di alzarsi”.
“E
se Atena dovesse
morire?”.
“Atena
morire?!”.
“Non
hai preso in
considerazione questa possibilità?”.
La
donna si avvicinò
a Kanon, in pensiero. Sperava che almeno il gran sacerdote fosse
rimasto in
piedi, ma dovette subito abbandonare quell’idea. Da fuori, si
udivano boati e
grida.
“Non
avere paura”
sorrise Deimos.
“Se
sei tu a dirlo,
non c’è da fidarsi..”.
Giove
non capì
subito l’accaduto. Poi avvertì qualcosa bruciare
nel suo petto e sentì un
calore insopportabile espandersi lungo tutte le vene.
“Che
mi hai fatto?”
domandò, voltandosi verso Ares.
Il
Dio della guerra
non rispose. Rimase con un braccio proteso verso il nemico.
“Ares..tu..sei
in
piedi?” si stupì la Dea.
“Non
lo resterà
ancora per molto” rispose Giove, correndo di scatto verso
Ares.
Il
greco si
irrigidì, non sapendo più che fare. Ma Giove non
giunse alla sua meta. Si fermò
e cadde in terra, lanciando un gemito. Il cosmo del Dio della guerra
era
penetrato nel corpo del romano attraverso la ferita inferta da Atena e
lo stava
rapidamente consumando. In pochi attimi, del corpo di Giove non rimase
più
nulla.
“Ares!”
chiamò Atena
“Atena..”
rispose
Ares.
“Sei
in piedi!”
sorrise lei.
Il
Dio della guerra
rispose a quel sorriso, ansimando per la fatica.
“Abbiamo
vinto.
Visto?”.
“Sei..sei
un
coglione!” urlò lei, accigliandosi “Hai
agito senza pensare e ti sei fatto
colpire un sacco di volte! Se ti fossi fermato a riflettere, non
saresti
ridotto in quello stato!”.
“E
tu, allora?”
sbottò il Dio “Fai tanto la saputella ma sei
ridotta peggio di me! Che cazzo
vuoi?”.
“Hai
messo in
pericolo l’intero tempio!”.
“Anche
tu. Perché
non hai permesso ai tuoi cavalieri di aiutarti? Una freccia
d’oro non andava
male, in testa a quel coso enorme!”.
“E
tu perché hai
fermato i tuoi figli?”.
“Io..tu..ti
odio!”.
“Anche
io ti odio!
Sei incapace di ragionare”.
“E
tu sei una
rammollita che si sente tanto figa ma non lo è nemmeno un
po’! Strega!”.
“Ma
torna dalle tue
puttane e lasciami in pace!”.
“Ti
detesto. Non
vedo l’ora che questa guerra finisca, così da non
vederti più!”.
“Vale
lo stesso per
me”.
I
due, ora
vicinissimi, si fissavano negli occhi con odio. Poi qualcosa nel loro
sguardo
cambiò e rimasero in silenzio. Fu Ares a scattare in avanti,
unendosi a lei in
un bacio da cui la Dea non si sottrasse. Non importavano più
le guerre, i
problemi, le paure.. Qualche goccia di ikor cadde in terra, mentre le
due
divinità si guarivano a vicenda. Le nubi, intanto, si
diradavano, lasciando
spazio ad uno splendido sole.
“Sirio!”
sorrise
Seiya, raggiungendo l’amico accanto alla cascata
“Come va?”.
“Come
mai siete
qui?” sorrise a sua volta Sirio, salutando Hyoga e Kiki.
“Abbiamo
una
missione importante da compiere” spiegò Pegaso
“Dove si trova il tuo maestro?”.
“Dohko?
A casa, ma
ci raggiungerà presto. È successo qualcosa di
grave?”.
“Abbastanza”
annuì
Kiki “E, te lo devo far notare, il tuo maestro non ha
risposto ai richiami
lanciati dal santuario”.
“Lo
so ma vedi,
Kiki, il mio maestro ha ancora dei dubbi sul gran sacerdote attuale e
non
obbedisce facilmente ai suoi ordini”.
“Cominciamo
bene..”
borbottò il giovane, capendo che la missione sarebbe durata
più del previsto.
Atena
non parlava,
per la prima volta sentiva che le parole non erano necessarie. Si
lasciava avvolgere
da Ares, più che lieto di sentirla silenziosa per una volta.
Lui la baciò sul
collo e lei si scostò leggermente. Incrociò di
nuovo lo sguardo di Ares, che si
era fatto interrogativo.
“Grazie”
mormorò
lei.
“Per
cosa?” alzò un
sopracciglio il Dio.
“Per
concedermi i
miei tempi..”.
“TI
concedo tutto il
tempo che ritieni necessario, Atena”.
Lei
sorrise. Con i
lunghi capelli sparsi per i letto che iniziava a sfarsi, la Dea
circondò il
collo del Dio e sorrise con ancora più convinzione. Ares le
si poggiò contro
delicatamente, annusandone la pelle e facendosi accarezzare i capelli.
“Ti
odio” sussurrò
ancora lei.
“Anch’io”
rispose
lui “Ti odio tantissimo”.
Ares
riprese a
baciarla.
“Voglio
vedere il
tuo tatuaggio”disse lei, piano, fra un bacio ed un altro.
“Che
bambina cattiva
che sei!” ghignò il Dio
“C’è altro che vorresti
vedere?”.
“Che
bambino cattivo
che sei!” ammiccò la Dea.
Riaprendo
gli occhi,
Arles vide per prima cosa il volto di Discordia. Si scosse, non
riuscendo bene
a capire cosa stesse succedendo e cosa fosse accaduto.
“Stai
bene?” domandò
la donna.
“Che
mal di testa!”
gemette il sacerdote, mettendosi a sedere “Che è
successo? Non ricordo”.
“Storia
lunga”
sorrise Deimos.
“Una
cosa mi
ricordo: io stavo cadendo e tu non mi hai preso!”.
“E
perché avrei
dovuto?”.
“Ma..ok..non
fa
niente. Perché ero per terra? E perché gli altri
cavalieri sono ancora
svenuti?”.
“Anche
Kanon si sta
risvegliando!”.
“La
battaglia dunque
è finita? Cosa è successo?”.
“Non
lo so. Io ero
qui esattamente come te, fratellino!”.
Arles
gemette di
nuovo per il mal di testa. Che fatica era essere a servizio di Atena!
Ares
si svegliò
quando un piccolo raggio di sole lo colpì sul viso. Gemette,
infastidito.
“Grazie
per essere
rimasto” parlò Atena.
Il
Dio si scosse,
cercando di capire dove fosse. Lentamente iniziò a
focalizzare e sbadigliò. La
stanza di quella Dea era decisamente troppo pomposa per i suoi gusti.
Ributtò
la testa sul cuscino e la padrona di casa ridacchiò.
“Grazie?”
bofonchiò
il Dio, mezzo intontito.
“Sì.
Avresti potuto
rivestirti ed andartene e invece sei rimasto. È stato carino
da parte tua”.
“Avrei
potuto, sì.
Però..avevo voglia di restare”.
“E
perché?”.
“Serve
una
ragione?”.
“Di
solito sì..”.
“Forse..forse
ti
odio troppo”.
Atena
si lasciò
abbracciare. Era fiera di se stessa. Aveva sconfitto Giove, questo
voleva dire
che poteva farcela a sostituire Zeus! Inoltre, con Ares al suo fianco
si
sentiva ancora più forte.
“Atena!”
parlò una
voce dall’esterno.
La
Dea sobbalzò,
allarmata. Aiolos! Scattò fuori dal letto e cercò
in fretta le sue vesti,
finite sul pavimento. Si vestì di corsa ed uscì,
cercando di sistemarsi alla
bene e meglio.
“Atena!
Mia signora,
siete lì? Tutto bene?”.
La
Dea apparve,
sforzandosi di apparire composta.
“Aiolos!”
disse,
sforzando un sorriso “Cosa ci fai qui?”.
“Sono
in pensiero
per voi, mia signora! State bene? Temevo vi avessero rapito di
nuovo!”.
“Ma
no, che dici ?
Sto bene. Sono solo stanca. Ho combattuto e mi sono coricata. Ora, se
vuoi
scusarmi, vorrei tornare a letto”.
“Ah,
comprendo. E
Ares?”.
“Ares
che cosa?”.
“Dov’è?”.
“Non
lo so ma stava
bene l’ultima volta che l’ho visto. Ora
scusami..”.
Atena
si congedò e
rientrò in camera, buttandosi di nuovo a letto.
“Il
tuo galoppino è
un vero seccatore” borbottò Ares, con la testa
affondata fra i cuscini.
“Si
preoccupa per
me. I tuoi figli non lo fanno?”.
“I
miei figli sanno
che dopo una battaglia mi vado a divertire, se ho vinto. Se ho perso
invece
voglio restare solo, senza scocciatori. In entrambi i casi loro sanno
che
devono starmi alla larga”.
“Che
bravi..chissà
se Arles è rinvenuto..”.
“Chi
lo sa..”.
“Magari
Discordia lo
ha aiutato..”.
“Non
mi piace quella
femmina” ammise Ares, accigliandosi.
“Perché?
È carina”.
“Non
mi piace che
ronzi tanto attorno al piccolo della famiglia. È una Dea,
sai quanti anni ha?”.
“Meno
di noi,
essendo romana”.
“Sì
ma molti più di
Arles!”.
“Questo
è ovvio. Ma
su..che vuoi che succeda?”.
“Non
lo. Non mi
piace e basta”.
“E
credi che io
possa piacere ai tuoi figli?”.
“No,
non credo
proprio”.
“Allora
è tutto a
posto. Siete pari”.
“Ma
non è vero! Io non
ti ronzo attorno. Io ti odio!”.
“Sì,
hai ragione. Anch’io
ti odio da morire”.
Dohko
lesse
attentamente la missiva e non cambiò espressione.
Fissò poi Kiki ed i cavalieri
di bronzo, perplesso.
“Non
vorrete mica
che io conceda una cosa del genere, vero?” domandò.
“Sono
ordini del
sacerdote” rispose Kiki “Noi obbediamo agli
ordini”.
“Gli
ordini di un
folle!”.
“Ma..sono
ordini
diretti di Atena! Anche lei ha firmato quella missiva!”.
“Non
posso averne la
certezza” commentò Bilancia, continuando a
rigirare il figlio del grande tempio
fra le mani “Più volte quell’uomo ha
plagiato chi aveva attorno. Ho motivo di
pensare che potrebbe essere un inganno”.
“Ma
come un inganno?!”.
“Dovresti
fidarti
del vecchio maestro” lo rimproverò Sirio
“Lui conosce molte cose, Kiki”.
“Sì
ma perché siete
tutti complottisti? Vedete gente che trama alle vostre spalle
ovunque!”.
“Tu
non puoi capire,
Kiki..”.
“Allora
spiegatemi. Che
deve fare un uomo per avere la vostra fiducia?”.
“Non
tradirla, tanto
per iniziare”.
“Voi
tutti
sospettate di me. Ma io che vi ho fatto? Non sono forse stato un vostro
fedele
compagno ed amico, fin da bambino?”.
Nessuno
rispose. Si guardarono
fra loro, in cerca di una risposta che non arrivò.
“Tu
obbedirai a
quell’ordine, Dohko di Libra” si impuntò
il giovane “O sarò costretto ad usare
la forza. È una questione d’emergenza”.
“Credi
di potermi
sconfiggere, ragazzo?” sorrise Dohko, divertito.
“Vogliamo
provare?”.
“Che
fai lì per
terra?” domandò Ares, entrando alla tredicesima.
Il
sacerdote, seduto
in terra, si stava facendo pettinare i capelli da Discordia. Nel
frattempo,
preparava altri sigilli.
“E
tu dove sei
stato?” rispose Arles.
“Non
sono affari tuoi!”.
“Idem!”.
Il
padre sospirò e
si avvicinò.
“Avete
ucciso Giove?”
chiese il sacerdote.
“Sì,
esatto”.
“Ottimo.
Immagino che
tu sia già andato a festeggiare”.
Ares
sorrise. Sedette
accanto al figlio, osservando i foglietti che il sacerdote stava
compilando. Arles
alzò lo sguardo e lo fissò. Il padre sostenne lo
sguardo ed inclinò leggermente
la testa.
“Cosa
c’è?” domandò
il Dio.
“Tu
hai..avuto un
incontro molto ravvicinato con Atena, vero?”.
“Ho
combattuto con
lei”.
“Non
raccontarmi
balle. C’è il suo odore su di te..”.
“E
tu che ne sai?”.
“Ho
imparato a conoscerlo
con gli anni. Ma potrei anche sbagliarmi..”.
Ares
scoppiò a
ridere. Il figlio rimase in silenzio, non capendo il perché
di quella risata.
“Sei
un ragazzo
perspicacie” commentò il Dio “Di certo
è questa una dote che non hai preso
molto da me. Ti confermo che ho avuto un incontro ravvicinato con la
tua Dea”.
“Quanto
ravvicinato?”.
“Molto
ravvicinato. Estremamente
ravvicinato”.
“Entro
il limite
dell’accettabile?”.
“Dipende
da cosa
credi che sia accettabile”.
“Te
la sei scopata?”.
“Come
sei
volgare..comunque sì e, tranquillo, era consenziente. Non
sono uno stupratore
di fanciulle IO”.
“Non
serve
infierire..”.
“E
a te non serve
essere così curioso. E vedi di non farmi la
predica”.
“Di
quel che fate
voi Dei, a me poco importa. Puoi anche ingravidarla, per quel che mi
riguarda!”.
“Come
sei acido”.
“Vai
a cagare”.
Ares
si accigliò
leggermente ma poi alzò le spalle. Delle opinioni di un
mortale non doveva
preoccuparsi. Si rialzò, stiracchiandosi, ed uscì
dalla sala. Arles scosse la
testa, non sapendo che altro fare.
“Sei
troppo teso”
gli mormorò Discordia “Non tutto il peso del mondo
grava su di te”.
La
donna accennò un
massaggio alle spalle del sacerdote, che sospirò.
“Forse
hai ragione”
parlò lui, rigirando fra le dita un sigillo.
“Perché
non provi a
rilassarti un pochino? Ti faccio un massaggio con gli oli, se vuoi.
Aiuta a
stendere i muscoli e lenire il dolore di percosse e ferite. Fin
dall’antichità
i guerrieri lo usavano”.
“Sei
gentile. Ma dovresti
proporlo ai cavalieri che sono stati feriti sul serio”.
“Tu
non lo sei
stato?”.
“Mi
feriscono più i
miei fratelli..”.
“Sono
sempre dolori
da calmare. Sono certa che poi ti sentirai molto meglio. Riposato e
rinvigorito. Ti posso preparare anche un bell’impacco per i
capelli. Sono così
belli..è un peccato vederli rovinati dallo
stress!”.
“Discordia!
Andiamo..sono
un cavaliere, non modello!”.
“Anche
i gladiatori
si concedevano dei momenti di relax. Perché tu dovresti
essere da meno? O preferisci
un altro tipo di attività rilassante?”.
La
Dea mormorò e
scese dolcemente con le braccia. Arles si scansò, scuotendo
il capo.
“Non
ti fidi di me?”
domandò lei.
“Non
è questo il
punto. È che i rapporti umani non hanno fatto altro che
portarmi guai, rimorsi
e dolore. Perciò scusami ma..non credo di volerne creare
degli altri!”.
“Capisco..”.
La
Dea si alzò.
Arles la osservò, mentre muoveva pochi passi.
“D’altronde..”
aggiunse poi lui “..tu non sei propriamente umana, dico bene?
Sei una Dea..”.
“Dove
vuoi arrivare?”
sorrise discordia.
“È
ancora valido l’invito
per quel massaggio?”.