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Autore: _Lalli    05/04/2015    9 recensioni
Arya Dröttningu, ambasciatrice degli elfi, protegge l'unico uovo di drago in possesso alla resistenza; Durza lo Spettro attende da anni l'occasione di impossessarsene e finalmente pare esserci riuscito, ma l'elfa riesce a rovinare miseramente i suoi piani. Allo Spettro non rimane che un'unica soluzione: torturare la sua prigioniera senza pietà, fino a che non confessi il luogo in cui l'uovo è stato trasportato.
Ma se, durante la prigionia, qualcosa di inaspettato fosse accaduto ad Arya? Qualcosa di cui nessuno, a parte lei e Durza, è a conoscenza?
Costretta ad un viaggio avventato e ad un'improbabile alleanza, Arya scoprirà lati insospettabili del suo nemico e si lancerà in una ricerca che getterà i semi del suo destino. Coinvolta in segreti incredibili, finirà per svelare alcuni dei molti misteri che ancora oscurano la bellissima terra di Alagaësia.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arya, Durza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ciao
40. Casa

«A Tronjheim, sotto Ididar Mithrim».

Alba si era rifiutata di darmi ulteriori spiegazioni. Mi aveva semplicemente sollecitata a partire e portato due bisacce già cariche di cibo e qualche coperta leggera, insieme allo zaino per trasportare la mia bambina.
Aiedail non aveva mai volato e non ero certa di volerle fare provare già l'esperienza, avrebbe potuto soffrirne e non volevo che stesse male per.. Mi sarebbe tanto piaciuto poter sapere per cosa.
Tuttavia di fronte all'espressione grave dell'elfa e alla sua insistenza, cominciai a prendere seriamente in considerazione l'idea di assecondarla, anche se temevo per la mia salute e quella di mia figlia. Seguendo un filo di congetture, cominciai a credere che sarebbe stato Tenga la persona che dovevo incontrare. Era l'unico individuo plausibile con cui Alba poteva essere in contatto e che poteva avere qualcosa di interessante da comunicarmi.
Avevo ancora indosso il corsetto di metallo e gli indumenti regalatemi da mia madre, quando andai a cercare Däthedr per informarlo della mia partenza.
«Sì, Aiedail mi aveva già anticipato tutto» mi disse lui, ma era ovvio che non era stato sicuro di nulla fino a che non gli ero apparsa io di persona a confermarglielo.
Däthedr non aveva mai preso l'abitudine di aggiungere l'appellativo Dröttning al mio nome. Sapevo che avrei potuto considerarlo un segno di scortesia e di mancanza di rispetto, ma capivo la difficoltà dell'elfo nel vedere la sua regina sostituita, dopo tanti decenni passati al suo servizio. Inoltre non ero particolarmente ansiosa di sottolineare la mia carica, visto lo scarso entusiasmo con cui mi ci ero approcciata.
«Sarò di ritorno in non più di due settimane. Nel caso qualcosa andassi storto.. troverai un documento al mio scrittoio. Ho designato te come mio successore e sono certa che il Consiglio ti accetterà».
L'elfo sobbalzò e i suoi occhi cerulei -così simili a quelli di Alba- si colmarono di tristezza. «Non dovresti andare se la tua vita è in pericolo, Arya. Puoi almeno dirmi di cosa si tratta? Sia io che i consiglieri ne siamo all'oscuro e molti di loro avrebbero preferito che tu non accorressi così prontamente agli ultimi ordini di Nasuada. Tagliarci fuori dalle tue decisioni non è una mossa saggia».
Mi sforzai di sorridergli. «Nemmeno io so nulla di più, le mie sono solo precauzioni. Ti chiedo solo di sorvegliare un poco Aiedail nei prossimi giorni e ti prometto che al mio ritorno farò un rapporto dettagliato al Consiglio».
Däthedr mi parve molto incerto, forse anche un poco offeso, ma alla fine mi augurò buon viaggio e si ritirò per la notte.
Mancava un'ora alla mezzanotte. Ero ad Ellesméra da poco più di mezz'ora e mi preparavo a lasciarla di nuovo, senza nemmeno indossare per qualche ora la corona di regnante. Fírnen, dal canto suo, ne pareva felice, anche se non nascondeva la preoccupazione per le parole criptiche di Alba.
Avevamo scambiato anche un paio di opinioni riguardo a quanto ci aveva detto sull'albero di Menoa. Linnea non aveva risposto al mio appello e i pensieri di entrambi erano inevitabilmente caduti su Eragon e Saphira: forse saremmo partiti per le terre oltreconfine prima di quanto ci fossimo aspettati, anche solo per informare il Cavaliere di quanto era successo. L'idea quasi mi rassicurava.
Alba mi aiutò ad assicurare le bisacce alla sella di Fírnen e mi mostrò le nuove cinghie che aveva aggiunto allo zaino, che avevano lo scopo di evitare alla mia piccola cadute fatali. Non mi ero cambiata gli abiti e non avevo nemmeno avuto il tempo di concedermi un bagno caldo, quindi mi liberai del sudore e del sudiciume con un incantesimo efficace, ma decisamente meno gratificante, e creai sulla mia pelle un aroma di aghi di pino. Era il mio preferito da quando Durza mi aveva detto che l'odore era simile al mio naturale.
Nella radura ad un centinaio di iarde dall'albero di Menoa, Alba ci salutò.
«Hai un colore sempre più orribile, lucertolone» fece, rivolta ovviamente a Fírnen.
«Anche io ti trovo un'amica fantastica».
«Quello era sarcasmo?»
«Me l'hai insegnato tu. Arya non avrebbe mai potuto farlo».

Mandai un pensiero di rimprovero ad entrambi. Possibile che anche il mio drago si coalizzasse contro di me?
«Dovresti sbrigarti a salire in groppa al tuo lucertolone sarcastico, mia regina» disse Alba con un sorriso sbilenco. Poi si chinò sulla mia bambina e la baciò sulla testa. «Sé ono Waíse ilia» mormorò. Che tu sia felice.
Mi si chiuse lo stomaco. «Alba cosa stai..?»
«Puoi farmi un favore Principessina?»
«Cosa?»
Annuì in direzione della mia bimba. «Chiamala davvero Aiedail. L'ultima stella della notte e la prima del mattino, quella che consegna le tenebre alla luce del giorno, la speranza degli afflitti, la guida dei naufraghi. Mi sono sempre piaciute le stelle. Scontato, lo so, ma è così. Aiedail, mia regina, mi raccomando».
«Alba..» ritentai.
«Vai, Arya. Viaggia con calma se desideri, ma entro due settimane devi essere sotto Isidar Mithrim, a mezzanotte esatta, ricorda».
Socchiusi gli occhi. «Ho capito, ma non mi è chiaro cos'hai intenzione di fare tu qui ad Ellesméra».
«Non nuocerò al tuo popolo, stai tranquilla. Credo che andrò a riposarmi, invece» fece allungando le membra.
«Ci vediamo tra non più di due settimane» quasi ordinai.
«Certo» fu la sicura risposta.
Lentamente, con estrema cautela, presi in braccio la piccola e misi in spalla la sua culla. Poi mi avviai verso il punto in cui mi aspettava Fírnen.
Quando mi voltai in direzione di Alba trovai i suoi occhi puntati su di me. Persino da una certa distanza osservai che erano lucidi di lacrime e che l'elfa aveva le unghie conficcate nei palmi.
Stirò un sorriso tremante sulle labbra e poi alzò un braccio in segno di saluto.
Colta in flagrante, sollevai la manina della mia bambina e la agitai. Alba allargò il sorriso, poi mi diede le spalle e si incamminò in direzione dell'albero di Menoa, con la schiena curva come se reggesse il peso dell'intero mondo.
Per un lungo momento fui tentata di correrle dietro e di abbracciarla.
Il momento passò e alla fine mi costrinsi a lasciarla in pace e a preparare la mia partenza
«Fírnen, te la senti di viaggiare? Sarai molto stanco per colpa mia».
«Avevi bisogno di tornare da tua figlia e io sono abbastanza riposato per volare almeno fino all'alba».
«Vuoi mangiare qualche torta al miele?»
«Sai che non mi piacciono».
«Bugiardo».
«D'accordo»
si arrese.
Grondando gratitudine per l'immenso sforzo che aveva fatto per me, mi diressi verso le cucine e frugai nella dispensa, poi sedetti accanto al mio drago mentre inghiottiva una buona quantità di dolci, approfittando dei minuti guadagnati per legare bene la mia bimba nel suo zaino.
«Ma'!» borbottò lei all'improvviso, guardandomi con i suoi obliqui occhi elfici -momentaneamente azzurri- e scalciando.
Sfiorando la sua coscienza, seppi che il breve suono emesso non aveva alcuna relazione con la parola “mamma”, come avevo inizialmente creduto, ma mi portò comunque sull'orlo delle lacrime. Risi gaiamente, come non facevo da settimane, stringendo goffamente la piccola da dentro lo zaino rigido e riempiendo la sua testolina di baci.
Lei rise a sua volta e seppi all'improvviso che avrebbe provato a ripetere il monosillabo in futuro, sapendo quanto la cosa mi aveva rallegrata.
Fu proprio in quel momento di gioia totale che successe.
Una luce bianca esplose dal punto in cui si trovava l'albero di Menoa e mi accecò. Senza riflettere più di tanto, imbracciai lo zaino e scattai in quella direzione, sballottando malamente la mia piccola, che si mise a piangere.
L'albero di Menoa era sempre al suo posto, ma era un poco avvizzito, come se stesse appassendo. Mi avventurai alla ricerca di Alba, ma non impiegai molto a trovarla.
Era stesa a terra, sotto i rami dell'albero, con le membra rigide e il volto pallido. La luce della luna piena riempiva macabramente i suoi occhi azzurri spalancati. Vitrei. Il suo petto era immobile. Il suo cuore taceva.
I miei passi si affrettarono ancora, fino a che non divennero una corsa folle.
«Alba!» strillai raggiungendola e cadendo in ginocchio al suo fianco.
Mi rifiutai di accettare il fatto, ma non c’era più nulla che potessi fare per restituirle la vita e nascondermi all’orrore.
Le afferrai un polso e lo strinsi per ascoltare il battito del suo cuore, ma la mia mano era talmente malferma e le grida di mia figlia così forti che non vi riuscii. Allora mi chinai su di lei e posai un orecchio al centro del suo torace, ascoltando il silenzio che lo riempiva. Il suo petto non si sollevava e la sua coscienza non c'era più. Sparita. Come se non fosse mai stata.
Mi staccai da lei e la scossi. Più volte. Urlai il suo nome fino a perdere la voce. La supplicai di svegliarsi.
Il suo viso era contratto, trasfigurato da un terrore che non potevo comprendere. Gli occhi parevano incapaci di abbandonare totalmente la vita e restarono ostinatamente fissi, a rimirare le stelle alte e lontane. Luci indifferenti.
Aideail. L'ultima stella della notte e la prima del mattino, quella che consegna le tenebre alla luce del giorno, la speranza degli afflitti, la guida dei naufraghi. Mi sono sempre piaciute le stelle. Scontato, lo so, ma è così. Aiedail, mia regina, mi raccomando.
La prima luce del mattino, quella che non avrebbe mai più brillato nei suoi occhi vuoti.
No, Alba non era morta. Alba era una di quelle persone che sopravvivono a tutto. Non poteva lasciarmi anche lei dopo tutte le morti che avevo già dovuto affrontare.. Era troppo.. crudele.
«Arya si avvicinano altri elfi» disse Fírnen. La sua confusione era pari solo alla mia.
Dovevo arrivare ad Isidar Mithrim entro due settimane. Perché? Cos'era mai successo? Cosa o chi aveva ucciso Alba?
«Andiamocene o avranno timore di lasciarci partire!»
«Aspetta! Non possiamo lasciarla qui!» gridai, abbracciando il corpo vuoto di quella che negli ultimi mesi era diventata l'amica e la sorella che non avevo mai avuto. Non potevo abbandonarla, non quando lei aveva fatto così tanto per me. E poi era così fredda.. dovevo portarla al palazzo e accendere un fuoco per lei, metterle tra le mani un infuso bollente e dirle quanto profondamente la stimavo per quanto aveva dovuto sopportare, quanto ammiravo il suo amore per la vita, quanto apprezzavo i suoi rimproveri taglienti, quanto le ero grata per essersi presa cura della mia bambina, quanto sarei stata orgogliosa di darle il suo stesso nome..
Fírnen mi raggiunse e mi spinse con il muso in direzione del suo dorso, separandomi da Alba definitivamente e facendomi inerpicare fino alla sella. Poi spiccò il volo, mentre sotto di noi la radura si riempiva di volti sconvolti di elfi. Incrociai lo sguardo atterrito di Däthedr prima che la terra schizzasse lontano dai miei piedi e il pianto di mia figlia diventasse stridulo dalla paura
Gilderien il Saggio mi sfiorò la mente per informarmi che qualcosa di terribile era accaduto accanto all'albero di Menoa, che un incantesimo nefando era stato compiuto.
Non gli risposi, isolai la mia mente, mi strinsi il volto tra le mani, graffiandomi le guance, e lasciai che Fírnen mi portasse via nella notte.
Non ero propriamente svenuta, ma impiegai diversi minuti per riprendere il contatto con la realtà, nonostante il pressante richiamo di Fírnen.

«Cos'è successo?»
gli chiesi, supplichevole. Con lo stesso tono con cui mi ero rivolta a Fäolin, la notte dell'agguato.
«Abbiamo appena passato le difese di Ellesméra e adesso stiamo riprendendo quota» fu la pronta risposta di Fírnen.
«Alba!»
«Lei è morta»
mi ricordò delicatamente. «Ci ha detto che qualcosa ci aspetta nel Farthen Dur e poi è morta».
«Forse abbiamo fatto male ad andarcene così in fretta. Non ho idea di cosa ci aspetti laggiù e potrebbe essere pericoloso e inoltre..» Deglutii. «L'abbiamo lasciata sola».
Fírnen mi abbracciò con le mente e poi mi ricordò che mia figlia era ancora legata sulla mia schiena. Assicurai le cinghie delle gambe e poi abbracciai la mia piccolina, che stava ancora singhiozzando a causa della corsa folle ad Ellesméra, della mia pazzia e del primo volo compiuto a dorso di drago.
Toccando la sua coscienza, trovai solo terrore. Ritenni di stare agendo per il suo bene, quando la addormentai con una parola di potere.
Solo a quel punto Fírnen tornò a parlarmi.
«Secondo te si è uccisa?»
La domanda mi spiazzò.
«Perché avrebbe dovuto?»
«Non lo so. Ma hai visto anche tu che l'albero di Menoa era avvizzito, come se qualcuno avesse attinto dalle sue energie per.. fare qualcosa».
«O come se qualcuno avesse scagliato un incantesimo in quel punto, prosciugando tutte le energie di Alba e parte di quelle dell'albero di Menoa».
«E quella luce? Sono confuso».
«Anche io. Abbiamo decisamente sbagliato a scappare, così ci siamo resi colpevoli. A questo punto non possiamo fare altro che proseguire e tornare ad Ellesméra con una spiegazione».
«Allora mettiti comoda»
. E per una volta non percepii la solita giocosità che lo accompagnava ogni volta che si prospettava un volo.
Arrivammo a destinazione otto giorni e molte pause dopo.
Ero straziata dai dubbi e tormentata per la brusca fine di Alba. Continuavo a ripassare nella mia mente l'immagine dell'elfa, sciupata, pensierosa e stanca, ed ero convinta di essere stata incredibilmente stupida, o almeno in misura sufficiente da non capire che qualcosa stava accadendo in lei. Qualcosa che doveva averla spinta a fare un incantesimo, qualcosa che solo la famigerata persona con cui avevo appuntamento poteva spiegarmi.
Faticai a chiudere occhio e giunsi a destinazione al limite delle forze, sia fisiche che mentali.
Non seguii esattamente le istruzioni di Alba. Chiesi a Fírnen di aspettarmi fuori dal Farthen Dur, in modo da passare inosservati, e di dare l'allarme agli abitanti della montagna se non mi avesse vista tornare entro due giorni.
Portai Aiedail con me, ma non appena entrai a Tronjheim, con il cappuccio abbassato sul volto, cercai una balia a cui affidarla fino a mezzogiorno del giorno seguente. Se non fossi venuta, aveva il compito di portarla all'esterno del Farthen Dur, dove qualcuno -non dissi che si trattava di Fírnen- sarebbe venuto a prenderla.
La mia bambina non fu affatto contenta di separarsi nuovamente da me, specie quando la sua balia non era Alba, che aveva imparato a conoscere molto bene.
Quando ebbi pagato la nana in anticipo, con l'anello di ametiste che tanto amavo, mancavano una manciata di minuti a mezzanotte e mi diressi immediatamente sotto Ididar Mithirm, decisa a risolvere il mistero della morte di Alba e a farle giustizia.
Il luogo sembrava deserto, ma non appena abbassai il mantello sulle spalle, mi resi conto di non essere sola.
C'era un uomo incappucciato al limitare della piazza. Non riuscii a vederlo in volto, ma fui certa che mi stesse guardando perché staccò le spalle dal muro e mi venne incontro non appena vide che mi avviavo nella sua direzione. Tra le lunghe dita pallide reggeva una delle lanterne senza fiamma che illuminavano l'intero Farthen Dur
«Chi sei?» domandai cautamente, posando la mano sul pomolo di
Támerlein. «Sei tu la persona che devo incontrare?»
«Arya Ammazzaspettri» rispose egli con voce fredda, suadente, accarezzando ogni lettera. «Dovrò guardarmi da te d'ora in poi».
Un tremito mi squassò le membra. Conoscevo quella voce, la conoscevo alla perfezione; quante volte l'avevo rievocata, nel mio dolore e nei miei più insperati sogni?
Ma non era possibile, non poteva..
Mi sporsi in direzione dell'uomo, alzandomi quasi in punta di piedi, e gli abbassai il cappuccio, svelando un volto affilato, dal severo naso aquilino e dai piccoli occhi felini, rossi come sangue, incorniciato da lisci capelli scarlatti.
Durza mi scrutò come se potesse ingoiarmi e poi sorrise, snudando i denti appuntiti.


Avevo sognato una cosa del genere un milione di volte nell'ultimo anno: che l'uomo che amavo tornasse, che ci fosse concessa una seconda occasione, che una nuova vita potesse finalmente cominciare.
Eppure quando mi ritrovai a fissare il suo volto, la prima cosa che sentii fu la sensazione di non sapere più respirare. Mi allontanai bruscamente di un paio di passi, stringendomi le costole con una mano e annaspando alla ricerca disperata dell'aria che avrebbe dovuto fluire regolare nei miei polmoni.
Quando l'uomo mi seguì, tendendo le mani nella mia direzione, mi affrettai ad estrarre
Támerlein dal fodero e puntargliela alla gola. Solo allora si fermò, sollevando le mani in segno di resa e trasformando il sorriso in un'espressione ferita.
Restammo in quella instabile posizione fino a che la mia crisi di panico non fu passata. Conscia di avere le membra fradice di sudore gelido, strizzai gli occhi con tutte le mie forze per scacciare l'illusione e tornai a guardare di fronte a me, ma l'immagine che vedevo non era cambiata di un pollice.
Una furia cieca mi bruciò il petto.
Afferrai l'uomo per il mantello e lo sbattei violentemente contro la parete, avvicinando nuovamente la lama al suo collo.
«CHI SEI?» sbraitai, sentendo gli occhi riempirsi pericolosamente di lacrime e la voce inerpicare su quelle semplici parole.
I suoi occhi parvero svuotarsi di ogni luce.
«Arya» sussurrò con voce melliflua. «Non mi riconosci? È passato così tanto tempo da..?»
«T-tu non puoi essere qui» balbettai. «Io ti ho visto morire, io ti ho ucciso, io ho seppellito il tuo pugnale e assistito al rogo dei tuoi abiti, io ho passato mesi a piangere la tua scomparsa. Tu non puoi essere qui».
L'uomo sorrise con una malinconia profonda. «Non ho scelto io di tornare, Principessa» disse nell'antica lingua. «Ma non voglio farti del male, né farti soffrire, quindi se mi concedi qualche minuto ti spiegherò tutto ciò che so».
Abbassai l'arma lentamente. «Durza» gracchiai, incredula, sconvolta e spaventata.
«Sono io, piccola elfa».
«Tu sei morto» protestai, sull'orlo di una seconda crisi di panico.
«Vieni con me, ti spiegherò tutto davanti ad una tazza di vino. Sei pallida come un cadavere». E mi tese una mano bianca.
Cadavere.
La fissai così a lungo che l'immagine si sdoppiò sotto i miei occhi.
Poi ricordai in successione: mia figlia affidata a una balia, il mio drago, così lontano da non percepire nemmeno la sua presenza.. e Durza era morto, morto!
Non poteva.. Non poteva tornare dopo tutti quei mesi, uguale a come lo avevo lasciato, mentre io nel frattempo avevo attraversato di tutto. Non era reale, non era possibile e non era naturale.
A quel punto realizzai chi fosse il vero artefice di tutto: Alba. Ma ancora non sapevo il come o il perché. E volevo delle risposte.
Così posai la mano sulla sua, senza riuscire a fermarne il tremore. Riconobbi la ruvidezza della sua pelle quando me la strinse vigorosamente, accarezzandone il dorso. Le gambe non mi ressero più e sarei caduta a terra se l'uomo non mi avesse stretta a sé, sollevandomi tra le braccia come una bambina.
Mi parlò, ma io sentivo il sangue ruggirmi nelle orecchie e rimasi sorda alle sue parole, eppure il ritmo e il peso dei suoi passi li ricordavo alla perfezione, così come ricordavo l'odore della sua pelle.
Durza.
Sentii dita agili sciogliere i lacci del mio corsetto e liberarmi dalla sua morsa, ma tornai pienamente in me solo quando mi schiaffeggiò dolcemente in viso. Rughe di preoccupazione gli increspavano la fronte e io non riuscii a trattenermi: posai le dita sul suo volto e le spianai, toccandolo con una tale leggerezza che non dovette sentire più pressione di quanta ne avrebbe fatta una farfalla.
«Stai bene, Principessa?»
Annuii, sopraffatta dalla confusione.
Mi aveva adagiata su un grezzo sgabello di legno e mi stava sostenendo la schiena affinché non cadessi all'indietro. La piccola stanza comprendeva un camino, un tavolo, un letto e qualche scaffale, ma sembrava troppo spoglia per essere abitata.
Pochi minuti dopo sedevo eretta, con
Támerlein posata sul tavolo davanti a me, una tazza stracolma di vino tra le mani e Durza lo Spettro seduto, vivo e vegeto, su uno sgabello accanto a me.
Strinsi convulsamente la tazza e la prosciugai del suo contenuto. Durza me la riempì nuovamente e non smise un attimo di scrutarmi con gli occhi penetranti che ben ricordavo.
Restituii lo sguardo con intensità ancora maggiore, incapace di fissarlo su un qualunque punto del suo corpo per più di qualche istante consecutivo. Volevo guardarlo nella sua interezza eppure ogni dettaglio mi distraeva. Un po' come aveva fatto la cattedrale di Dras-Leona la prima volta che l'avevo osservata alla luce del giorno.
«Non è un sogno, vero?» mormorai. «O una visione? Non sei il trucco di qualche mago malvagio, qualcuno che vuole incastrarmi?»
Lo Spettro abbassò gli occhi con aria infelice. «Sono io in carne e ossa. E te lo posso provare; ricordo tutto quello che ci è accaduto prima che il cavaliere venisse a Gil'ead. La notte che ti ho catturata, le settimane passate a torturarti, la nostra alleanza, la prima volta che abbiamo fatto l'amore..»
E parlò per lunghi minuti, riesumando dettagli che solo il vero Durza poteva effettivamente conoscere. La mia diffidenza si dissipò, ma quando cercò di sfiorarmi la mente, mi rinchiusi categoricamente in me stessa, impedendogli l'accesso.
Visto il mio atteggiamento sospettoso, decise di passare al vero e proprio resoconto.
«Quel giorno, mentre mi scontravo con il Cavaliere, avevo lasciato un po' troppo spazio ai miei spiriti ed ero piuttosto coinvolto nella loro violenza. Il ragazzo era riuscito ad entrare nella mia mente e allora loro tre hanno fatto un incantesimo. Non credo di riuscire a capire cosa, ma quando l'ho colpito alla schiena, ho riversato nelle sue ossa una sorta di maledizione, qualcosa che lo avrebbe fatto soffrire a lungo».
Annuii, ricordando gli attacchi di dolore di Eragon.
«Il tuo arrivo con il drago mi ha distratto» continuò lui. «Sono tornato in me, ma ormai era troppo tardi. Ho a malapena visto l'ombra della spada del Cavaliere, poi mi sono sentito come tirare per il mantello e la lama mi è penetrata tra le costole, trapassando anche la placca di metallo, e perforandomi un polmone. Mi sono sentito strappare le membra in mille pezzi e tutto è finito nel nulla, com'era già successo a Gil'ead». Si strofinò le costole, un poco a disagio.
«Ti ha colpito al cuore» lo contraddissi, in un sussurro strozzato. «Ti ha colpito al cuore e tu sei morto. Ho visto i tuoi spiriti uscire da te e disperdersi nell'aria. Il tuo corpo è diventato polvere e..» mi interruppi. La mia voce si era spenta e la mia testa era piena d'aria. Temevo di svenire da un momento all'altro e mi concentrai per qualche secondo sul movimento delle mie, di costole, perché sembravo avere disimparato a respirare.
Durza fece l'espressione di qualcuno che è sul punto di vomitare. «Già. Deve essere quello l'ultimo ricordo che hai di me, ma non è andata così». Bevve una buona sorsata della sua tazza e io lo imitai. «All'improvviso ho sentito di nuovo dolore, un dolore atroce, paragonabile solo a quello che ho sentito quando mi sono rigenerato, a Gil'ead. È iniziato dalla testa e poi si è diffuso in tutto il corpo; ed era strano perché prima che il dolore le raggiungesse non ero certo di avere tutte quelle parti del corpo, come se comparissero mano a mano che scendeva. Per farla breve: mi sono ritrovato sotto a quella maledetta pietra a forma di rosa -di nuovo intatta-, solo e senza abiti. Mi ha recuperato un tale che sembrava passare di lì per caso. Non ha fatto commenti sul mio aspetto, mi ha dato il suo mantello e mi ha portato qui, a casa sua. Ha detto di chiamarsi Tenga, di essere in viaggio e di conoscere una persona che doveva essere mia amica e che si faceva chiamare Aiedail». A quel punto alzò gli occhi su di me, con fare interrogativo.
«Lei non c'è più» rantolai, sopprimendo un singhiozzo.
Durza si afflosciò su se stesso e chiuse gli occhi. «Lo so».
Si alzò in piedi, rovistò in un cassetto e tornò con un pezzo di carta così sgualcito da rendere indubbie le molteplici riletture che aveva subito. Stirai la lettera -perché di quello si trattava- con mani tremanti e iniziai a leggere.

Durza, amico mio, ti scrivo questa lettera per dirti un paio di cose che ti saranno necessarie per sopravvivere.
Primo: cambia la tua fisionomia e fa' in modo di poter essere scambiato per un umano.
Secondo: Non rivelare a nessuno la tua identità -Tenga sa già tutto- e rimani nascosto.
Terzo: Presentati ogni notte sotto lo Zaffiro Stellato e rimani lì da mezzanotte alla quarta ora del mattino. Quando arriverà la persona che stai aspettando sono più che certa che la riconoscerai, ma se non si presentasse nel giro di due settimane, scappa, vai più lontano che puoi e se gli dei esistono che abbiano pietà della tua vita infelice e della tua solitudine.
Quarto: Sono successe parecchie cose dall'ultima volta che hai camminato sul suolo di Alagaësia; Tenga potrà dirtene alcune, altre te le racconterà Arya, quando e se verrà.
Quinto: Non credo che ci rivedremo mai più e occupo questo ultimo punto per prendere finalmente congedo da te, in pace. Ti ho voluto molto bene, Durza, e per anni sei stato tutta la famiglia che avevo. Di questo ti ringrazio infinitamente, perché eri simile a me e perché mi sono davvero sentita a mio agio in casa tua.
Ho compiuto diverse ricerche negli ultimi mesi e, se tutto andrà come credo, entro breve tu avrai preso il mio posto. Tenga mi ha aiutata molto in tutto ciò e credo che senza il suo aiuto e quello della Venerabile non sarei mai riuscita ad elaborare il corretto incantesimo. Se ti stai chiedendo chi siano costoro: temo di non riuscire a risponderti completamente.
Tenga non parla mai di sé, nemmeno se incoraggiato a farlo, ma da quello che ho scoperto nei mesi passati con lui, posso supporre che egli sia forse l'ultimo esponente di una razza antichissima e potente: il Popolo Grigio. Conosce la magia ad un livello profondissimo e mi ha insegnato quasi distrattamente incantesimi che potrebbero portare rovina ovunque. Mi ha detto che saprà quando farsi trovare da te e che dopo se ne andrà, ma non so quale sarà la sua meta, né lui sembra intenzionato a condividerla con me.
In ogni caso, guardati da lui. Sembra un vecchietto un po' folle, ma è un essere pericolosissimo e sopratutto imprevedibile. So che sta cercando il Nome dei Nomi e non escludo che ci riesca prima o poi, come non mi stupirei se, in futuro, riuscisse a creare più problemi lui di quanti ne ha creati Galbatorix.
Riguardo alla Venerabile, so che adesso si fa chiamare Angela l'erborista, ma che in passato è stata Silvarì l'Incantatrice e che ancora prima aveva altri nomi. Dalle tue descrizioni, suppongo che sia la stessa donna che ti ha impedito di uccidere Ajihad e ti ha rovinato la spada, colei che mi hai detto essere stata per decenni, l'oracolo sotto Ilirea. Guardati anche da lei, perché è pericolosa quanto Tenga, anche se molto più saggia ed equilibrata.
Tornando al discorso originario: Angela mi ha suo malgrado fatto capire che il tempo e lo spazio possono essere plasmati e modificati a piacimento, anche se con un grosso dispendio di energie. Tenga mi ha messo tra le mani la soluzione finale: ora so come viaggiare nel tempo e come modificare avvenimenti passati, anche se io, con la mia sola energia, non potrei mai compiere grandi cambiamenti.
Non so se ricorderai il giorno della tua morte, Durza, ma sappi che se qualcuno ti avesse afferrato il mantello e ti avesse spostato di pochi pollici, il colpo del Cavaliere ti avrebbe semplicemente sfiorato il cuore, per poi permetterti di rigenerarti. E pensa se qualcuno fosse comparso al tuo fianco, ti avesse tirato di lato, avesse creato l'illusione della fuga degli spiriti dal tuo corpo, per poi tornare, dodici ore dopo la tua scomparsa, nel luogo della tua presunta morte, per trasportare il tuo corpo rigenerato in quello che per te sarebbe un futuro? Si tratta di fare piccoli saltelli nel tempo e in sé non sarebbe un incantesimo mortale, e potrei benissimo sopravvivere con l'energia che spero di ottenere dall'albero di Menoa, ma ho capito che ci sono regole che la natura stessa non permette di rompere. Una vita per una vita.
Mi sembra un prezzo piuttosto onesto.
Perché lo faccio?
Perché questo non è il mio posto, non più. Nonostante tutto l'affetto che mi avete dato tu, Arya e un'altra piccola personcina, una ferita dentro di me non si è mai richiusa: la morte di Solus mi ha distrutta e ha portato con sé un pezzo di me che non tornerà mai più.
Alla fine l'ho scoperto, il modo per farla tornare in vita. Ma poi ho realizzato che non si è mai trattato di lei, ma solo di me. Volevo riavere la mia gemella perché ero sola, questo era il punto, non si è mai trattato di volerle dare una seconda occasione, ma solo e unicamente di me stessa. Se l'avessi davvero riportata in vita l'avrei condannata all'infelicità, costretta in un'esistenza che avrebbe considerato sacrilega ed immorale, ogni istante sarebbe stato una sofferenza per lei e prima o poi si sarebbe privata di ciò che io ho cercato tanto a lungo di restituirle.
So che in parte comprenderai questo mio egoismo e l'idea mi consola, mi fa sentire meno smarrita per la decisione che ho preso. Un'altra speranza è che tu sia ancora lo stesso uomo che ho lasciato a Gil'ead, dalla morale elastica e dal cuore forte, perché altrimenti ciò che ti darò sarà una condanna almeno quanto lo sarebbe stato per Solus.
Ti prego, accetta il mio dono -o la mia maledizione- e vivi per me e la mia gemella. Qualcuno ha bisogno di te, in questo presente, costruisci la tua felicità con le persone che ami, perché senza di loro non sei
niente.
Per sempre tua amica,
Alba.
Ps: La mia scoperta morirà con me; credo che nelle mani sbagliate sarebbe troppo pericolosa, anche se suona molto ridicolo detto da me.
Pps: Ricorda ad Arya che mi deve un favore. Un altro piccolo pensiero egoistico, ma credo di meritarmelo. Ah e dille che, nonostante tutto, non è la frigida altezza reale che credevo. Le colpe di sua madre non sono le sue, e non mi deve nulla.

Riposi la lettera e una lacrima cadde dalle mie palpebre, andando a infrangersi contro la mia mano. Nel silenzio il suono fu quasi assordante.
«Mi ha riportato in vita» disse Durza con la voce che tremava. «Quando ho letto queste parole per poco non mi sono ucciso dalla paura».
«Progettava tutto da mesi.. Io l'ho aiutata senza saperlo, le ho suggerito di tirarti per il mantello, l'ho lasciata tornare da Tenga senza farle domande, non ho interpretato la sua malinconia, ho ascoltato le sue raccomandazioni distrattamente.. Io ho creduto che stesse impazzendo».
Lo Spettro alzò un sopracciglio. «Non vi ricordavo così amiche» osservò.
«Questa è una lunga storia».
«E io vorrei che tu me la raccontassi».
Scossi la testa lentamente. Alba era morta perché io non ero stata abbastanza intelligente da capire i velati indizi che mi aveva mandato a più riprese.
La promessa di non tentare di resuscitare Solus.. Mi era sembrata serena quando aveva pronunciato quelle parole. Era perché aveva già deciso di sacrificare la sua vita perché mia figlia potesse avere un padre.
Le lunghe conversazioni con Angela, le parole della Venerabile quando aveva ucciso le Ombre a Dras-Leona, quelle del suo incantesimo quando aveva salvato mia figlia.. Tempo. Era una soluzione semplicissima eppure dispendiosa.
E Alba aveva dovuto attingere all'albero di Menoa per realizzarla.
In quel momento mi era tutto chiaro. E la perdita di Alba era più amara che mai.
Alzai gli occhi dalla lettera e incontrai le iridi verticali di Durza. Ancora era tutto irreale, troppo irreale per poterlo prendere in considerazione.
Perché lui? Non era giusto che lui vivesse e altri mille no.
«Che avevi in mente il giorno in cui.. in cui sei morto?»
«Stavo cercando te. Il re mi aveva ordinato di inseguire il Cavaliere e io mi ero reso conto che il mio vero nome era cambiato, perché riuscivo ad oppormi ai suoi ordini. Così ho finto di ubbidirgli e sono venuto qui con l'idea di prelevare te, il cavaliere e il figlio di Morzan e portarvi con me ad Uru'baen, dove in qualche modo avrei trovato il modo di sconfiggere Galbatorix, una volta che fosse rimasto distratto da tre prede così interessanti. E a tal proposito..»
«Lo so».
«Lo sai?»
«So degli Eldunarí. Ce n'erano altri nascosti a Vroengard ed è con il loro aiuto che Eragon è riuscito a spingere Galbatorix al suicidio».
«Che fine ingloriosa» disse con disprezzo. «Se la meritava tutta. Ma che ne è stato degli Eldunarí? Nonostante i miei sforzi, non ricordo il metodo con cui avrei dovuto distruggerli e mi sento parecchio idiota».
Aggrottai la fronte. «Eragon ha lasciato Alagaësia e li ha portati con sé. Potrebbero aver lanciato un incantesimo di memoria, dato che lo avevano già fatto per nascondere la loro esistenza a Vroengard». Socchiusi gli occhi con sospetto. «Non starai pensando di riprendere in mano il tuo vecchio piano ed impossessarti degli Eldunarí, vero? Non funzionerebbe. Eragon ha dalla sua anche il Nome dei nomi, non credo che ci sia qualcuno, in Alagaësia o fuori, che sia in grado di batterlo».
Durza sorrise. «Vedo che in fondo non mi hai mai dimenticato. Non temere, non ho intenzione di commettere sciocchezze, ma vorrei farti ragionare sulle tue stesse parole: nessuno è in grado di battere Eragon. Ti ricorda niente?»
«Eragon non è Galbatorix. È una delle persone più moralmente integre che io abbia mai conosciuto e non si lascerà scivolare nelle tenebre» risposi con sicurezza.
«Hai conosciuto molto bene il mio assassino a quanto vedo..»
Alzai il mento. «Mi ha corteggiata per mesi».
Durza chinò il capo. «E tu?»
«L'ho respinto» ammisi. «Ero ancora legata a te. Su questo hai ragione: non ti ho mai dimenticato».
«Un ciclo» disse, assorto. «Siamo al ripetersi di un ciclo. Non vedi? Anche la tua vita è un ciclo: l'uomo che uccide il tuo amato è poi destinato a diventare il tuo corteggiatore».
«Smettila».
«Prova a prendermi sul serio, Arya. Eragon ha assunto il ruolo di Galbatorix, ed è un tiranno buono, d'accordo, ma immagino che prima o poi dovrà morire. Che ne sarà degli Eldunarí a quel punto? Passeranno al nuovo capo dei cavalieri dei draghi, suppongo, e così via, nei secoli e nei millenni, fino a che non capiteranno tra le mani di una creatura che coverà lo stesso seme di follia di Galbatorix. E allora?»
«Allora niente. Pace e guerra sono nel ciclo naturale delle cose e per quanto possiamo cercare di evitare la guerra, essa tornerà sempre, inevitabilmente. È una cosa che possiamo solo accettare».
«Tu hai sacrificato la tua vita per porre fine ad una tirannia che sai già che ritornerà?»
«Sì. Io ho speso tutta la mia vita in questo perché altrimenti la tirannia sarebbe stata eterna. Non dico che non ritornerà, ma almeno con le nostre azioni abbiamo regalato un momento di pace. È come salire e scendere una scala, all'infinito. Tutto ciò che ha fatto la ribellione è stato salire di un gradino».
Aggrottò la fronte. «Abbiamo sofferto così tanto per un gradino?»
Annuii. «Temo di sì».
Si riempì nuovamente la tazza di vino. «Diamine, preferivo non saperlo».
«Che suggerimento avresti? Riguardo al troppo potere di Eragon, intendo» indagai.
Scosse la testa. «Non ne ho. Distruggere gli Eldunarí sarebbe sciocco credo, non si sa mai quali forze superiori esistano oltre al mare. E se qualcuno minacciasse Alagaësia, suppongo che Eragon interverrà per il meglio, almeno per ora. Ma credo che sarebbe un bene che il Nome venisse dimenticato dopo la morte del Cavaliere, è troppo pericoloso».
Non gli dissi che anche io possedevo quell'informazione. «Non ti ricordavo interessato al benessere generale».
«Sono vivo e dovrò viverci, in queste terre, quindi vorrei campare un paio di secoli in pace» disse, guardandomi con espressione indecifrabile. «Immagino che i nostri progetti non siano più validi».
Tremai.
«Ora sei regina, cavaliere di drago. Hai un sacco di responsabilità e ruoli importanti» proseguì, scostando lo sguardo. «Nessuno dovrebbe essere costretto a mantenere le promesse fatte ai morti».
Tacqui.
«C'è un altro uomo?»
«Non essere ridicolo» ribattei con asprezza. «Ti ho già detto di no».
Incassò la testa nelle spalle. «Dunque che ne sarà di noi adesso?»
«Non posso fingere che gli ultimi mesi della mia vita non siano mai passati, Durza. In confronto, quei tre mesi di felicità che io e te abbiamo speso insieme sembrano di una tale piccolezza..»
Lo Spettro annuì bruscamente. «Forse Alba avrebbe fatto meglio a lasciarmi nelle ombre».
«Non voglio che tu..»
muoia di nuovo. «Ho bisogno di tempo per capire cosa sta succedendo qui» finii per dire.
Fece un gesto vago. «Salvo nuovi imprevisti dovrei avere parecchi secoli».
Non fugai i suoi dubbi, non sapevo nemmeno io cosa sarebbe accaduto da quel momento in poi, ma ero certa che c'era almeno un particolare che avrei dovuto confessargli.
«Devo dirti una cosa. Riguarda la promessa che ho fatto ad Alba».
Gettò uno sguardo fugace alla lettera abbandonata sul tavolo. «Riguarda anche me?»
«Me, te.. Alba ha dato la vita perché a noi tre fosse concessa una seconda possibilità, quindi direi che le dobbiamo almeno un favore».
Annuì. Poi parve ripensare alle mie parole e i suoi occhi si strinsero nel dubbio, poi si dilatarono nella consapevolezza. «Tre?»
Le labbra mi tremarono quando le separai per sorridere. «Ha i tuoi capelli. Avrei dovuto dirtelo quando siamo tornati a Gil'ead, ma non ne ho avuto la forza. Ho creduto che sarebbe cresciuta senza un padre, e io non potevo abbandonare la mia battaglia, così ho fatto del mio meglio, ma finora non sono stata migliore di mia madre».
Mi interruppi quando mi resi conto che Durza aveva smesso di respirare, l'intero volto deformato in un'espressione sconvolta. «Noi..?»
«Il favore che devo ad Alba riguarda lei. Non volevo darle un nome, non sapevo decidermi e così lei ha preso a chiamarla Aiedail, sostenendo che era un bel nome da dare ad una bambina e che le dava speranza. Quindi immagino che ora.. Nostra figlia si chiami Aiedail».
Durza imprecò oscenamente, poi deglutì e infine mi guardò negli occhi.
«Non è vero» sentenziò. «Diamine! Ho perso così tanto» aggiunse subito dopo. «Dov'è?» balbettò infine.
Non ci avrebbe creduto fino a che non l'avesse vista con i suoi occhi, e forse nemmeno allora. Deve essere dura addormentarsi, svegliarsi all'improvviso e ritrovarsi -nel giro di poco più di una settimana- con tutti gli equilibri sconvolti e una figlia che non sapevi di avere concepito.
«L'ho affidata ad una balia, non sapevo chi avrei dovuto incontrare e volevo lasciarla al sicuro».
«Ah».
«Posso portarla qui se vuoi» gli proposi dolcemente.
Scosse violentemente la testa. «Aspetta. Aspetta un attimo». Si massaggiò le tempie.
«Arya non voglio apparirti rude o idiota, ma ho bisogno che prima tu mi racconti tutto. So che ho perso molte cose e Tenga ha già provveduto a raccontarmi i fatti principali avvenuti in Alagaësia, ma ora voglio sentirlo da te, tutto quello che hai fatto dopo Gil'ead, inclusa la parte in cui diventi una cacciatrice di Spettri». E concluse la frase con un sorriso abbozzato.
Così gli raccontai tutto. Quasi tutto. C'erano segreti che avevo promesso di mantenere e non li avrei mai offerti a nessuno, se non fosse stato necessario, nemmeno a Durza.
Parlai fino all'alba e poi fino a mattino inoltrato. Lo Spettro si alzò solo per andarmi a prendere dell'altro vino e idratare la mia gola secca per il lungo parlare, poi sedette nuovamente sullo sgabello accanto a me.
Quando finalmente chiusi la bocca, Durza aveva l'espressione confusa di chi ha ricevuto troppe informazioni tutte insieme e sta cercando disperatamente di riordinarle nella propria mente.
«Mi dispiace tanto» disse alla fine.
«Per essere morto?»
«Per essermi fatto sconfiggere come un idiota e averti lasciata da sola ad affrontare tutte quelle difficoltà».
«Me la sono cavata, no?» mi difesi.
«Splendidamente. Molto meglio di quanto sarei mai riuscito a fare io» disse.
Tacemmo per lunghi minuti, ognuno immerso nei propri rumorosi pensieri, poi la presenza dello Spettro mi risucchiò come un vortice e le mie riserve si sciolsero un poco. E se mi fossi risvegliata all'improvviso? Avrei potuto sopportare un simile dolore? Forse era meglio mettere subito fine all'illusione.
Allungai una mano e gli accarezzai la nuca, facendo scivolare le dita tra i suoi corti capelli rossi. Durza non scomparve, e mi sfuggì un sospiro di sollievo.
Mi sfiorò il braccio, guardandomi con tenerezza mista a pietà e ammirazione.
«Posso baciarti, Principessa?» domandò stupidamente.
Mi chinai in avanti sullo sgabello, fino a portare il viso all'altezza del suo, poi mi spostai di pochi pollici e toccai le sue labbra. Erano sottili, screpolate e sapevano di menta. Non sapevo se scoppiare a ridere o a piangere.
Lo Spettro socchiuse languidamente gli occhi e rispose al mio bacio, assecondando l'esasperante lentezza con cui assaporavo la sua bocca, con la prudenza di chi ha paura di rompere un oggetto prezioso.
Feci scivolare i polpastrelli sul suo volto, saggiandone la concretezza. Percorsi la linea delle folte sopracciglia, il naso severo, la curva decisa della mascella e della mandibola. Poi li spostai sul suo collo. Durza rabbrividì e io sentii il corpo accendersi di scintille.
Il suo calore e il suo odore mi avvolsero completamente e il tocco incerto delle sue mani sulla mia vita mi fece tremare.
All'improvviso volevo afferrare i suoi capelli rossi e baciare le sue labbra sottili con più violenza di quanta ne avessi mai messa in tutte le battaglie da me combattute, affondare le dita nella sua pelle e stringere a me il suo corpo nudo, fino a distruggere quel bellissimo sogno o togliere ogni dubbio sul fatto che non fosse fatto di ombre del passato, ma di carne e sangue.
«Mi sei mancato immensamente» ansimai, stringendogli la testa tra le mani, senza fiato per lo sconvolgimento che si agitava dentro di me.
«Anche tu» soffiò, quasi stordito.
Tornai a baciarlo, leccando le sue labbra e invitandolo a separarle. Mi graffiai la lingua contro la punta dei suoi denti e il sapore di sangue si mescolò a quello di menta, mentre i suoi occhi si spalancavano su di me, cupi e indagatori. Un vuoto mi scavò lo stomaco.
Lo Spettro mi strinse come per abbracciarmi, ma non era un abbraccio che volevo. Lo tirai giù dallo sgabello e entrambi scivolammo a terra.
Mi staccai dalle sue labbra e gli strappai la casacca di dosso, con malagrazia. Durza mi restituì un'occhiata perplessa e un poco preoccupata, vagamente simile a quella che aveva avuto la nostra prima notte a Dras-Leona, eppure, quando gli sbottonai la camicia, lui scosse bruscamente le spalle, facilitandomi nell'impresa e facendola scivolare via. Nessuna cicatrice spiccava sulla sua pelle pallida, non c'era alcun segno del punto in cui Eragon lo aveva colpito. Lo toccai, poi mi sporsi a baciarlo di nuovo, per nascondere il tremito delle mie mani.
«Arya non è necessario» mi informò lui, insinuando al contempo le mani sotto il mio farsetto e sfilandomelo faticosamente dalla testa.
«Ti desidero» replicai, premendo una mano contro il suo petto, spingendolo all'indietro sulla schiena e spogliandomi a mia volta. Lo Spettro non rimase ad aspettare che finissi da sola.
Sorrise alla vista del medaglione a forma di sole che mi pendeva tra i seni e, dopo aver attorcigliato la catenella tra le dita, finì per lasciarlo dov'era.
Le sue mani vagarono leggere sulla mia pelle e a quel tocco io mi sentii rinascere, come se effettivamente tornassi a vivere dopo mesi di mera sopravvivenza. Riempii le sue spalle di baci frettolosi, poi il viso, il collo, il torace; assaggiai voracemente il sapore della sua pelle.
Ma non avevo il tempo, la pazienza, il bisogno di esitare oltre in quelle tenerezze.
Sentii un lieve bruciore quando lo guidai dentro di me. Sussultai, ma il fastidio scemò prima che riuscissi a lamentarmene.
Durza strinse le dita sui miei fianchi fino a farmi quasi male alle ossa e gettò il capo all'indietro, gemendo scompostamente e strisciando i capelli rossi nella polvere.
Mi mossi su di lui, puntellando le mani a terra e baciando talvolta la sua gola scoperta e le sue labbra, spegnendo i suoi gemiti contro la mia bocca.
Precipitai in una voragine di emozioni, dove tutto svaniva a favore di Durza, che finì per incatenare gli occhi sgranati ai miei, per non lasciarli più andare. Persi totalmente la percezione di me stessa nelle spire cremisi delle sue iridi, che grondavano di gioia feroce, e il piacere che mi invase fu talmente intenso che fui costretta a premermi una mano sulla bocca per non gridare.
Lo Spettro scoprì i denti aguzzi e si abbandonò con un singulto. Mi sciolsi da lui e gli caddi addosso, tremante di soddisfazione
.
E a quel punto realizzai diverse cose tutte insieme: che il corpo aderente al mio era rovente, che il cuore che lo irrorava di sangue batteva irregolare -come un tamburo colpito distrattamente- sotto il mio orecchio, che le dita ruvide che giocavano con i miei capelli e disegnavano pigri cerchi sulla mia schiena nuda mi erano familiari almeno quanto le mie, che l'odore di menta del suo respiro mi invadeva prepotentemente le narici.
Avevo appena giaciuto con Durza. E Durza era vivo.
Una strana sensazione mi si strinse alla gola, al punto di farmi sentire sopraffatta. Era un’emozione incontenibile, una via di mezzo tra tenerezza e commozione. Un singhiozzo mi scosse le spalle, poi un altro, poi gli argini del mio orgoglio si ruppero e scoppiai definitivamente a piangere, inondando in suo petto di lacrime.
Lo Spettro mi avvolse completamente nelle sue braccia. «Io ti amo» bisbigliò.
E me lo ripeté all'infinito, come una dolce litania, fino a che le parole non persero il loro significato e i miei singhiozzi lo contagiarono.
Così ci ritrovammo a piangere come due sciocchi, aggrappati l'uno all'altra, quasi temendo che una voragine improvvisa potesse aprirsi sul grezzo pavimento di terra, separandoci una seconda volta.
Durza era vivo. Forse avrei faticato ad accettarlo, ma era così. E non ero né inorridita né disgustata.
Avevo passato infinite sofferenze, ma non avevo mai smesso di amarlo e in quel momento stavo semplicemente scoppiando di gioia e di incredulità
Durza era vivo. Avrei potuto baciare infinitamente le sue labbra e ridere di nuovo alle sue sciocchezze. Mia figlia avrebbe avuto un padre a crescerla e io un compagno a darmi affetto.
Durza era vivo, per il Wyrda di Alagaësia, Durza era vivo!

Ci alzammo dal pavimento solo quando i nostri corpi cominciarono a raffreddarsi. Ci rivestimmo e restammo abbracciati ancora per lunghi minuti, mischiando capelli, lacrime e respiri.
«Credo sia ora di presentarti qualcuno» mormorai infine, schiudendo le labbra in un sorriso.
La mia bambina gorgogliò di gioia quando mi rivide arrivare e tese le manine per farsi prendere in braccio. La condussi con me alla casetta dove mi aspettava Durza, cullandola dolcemente e sussurrandole qualcosa a proposito del padre che stava per conoscere.
Lo Spettro era seduto sullo sgabello dove lo avevo lasciato e si stava asciugando i palmi delle mani sui pantaloni.
Gli sorrisi, intenerita dal suo atteggiamento teso e dall'espressione emozionata che assunse non appena posò gli occhi su sua figlia.
«Lei è Aiedail» mormorai.
Durza tese le mani e io gli misi la bambina tra le braccia.
Lo Spettro scrutò il visetto pallido di Aiedail a lungo e lei lo guardò con i suoi speciali occhi diversi, con curiosità. Era tranquilla e una scintilla di consapevolezza sembrava accendere il suo sguardo, come se in qualche modo sapesse perfettamente chi la stesse tenendo.
«Ciao piccolina» disse poi Durza, scompigliando i sottili capelli della bambina, rossi come i suoi. «Sono tuo padre. Sei uguale alla tua mamma e sei bellissima».
Rise deliziato quando Aiedail borbottò imbronciata, poi alzò la testa e mi guardò, gli occhi sgranati, smarriti, commossi.
«Arya», gracchiò,
«è..»
Mi sporsi a baciarlo sulle labbra. «Lo so».
Restammo seduti al tavolo per lunghi minuti. Se io non riuscivo a smettere di guardarlo e toccarlo per accertarmi che fosse reale, Durza pareva incapace di staccarsi da Aiedail. Se ne era innamorato, indubbiamente.
Poi alla fine la piccola si addormentò e lo Spettro la depose gentilmente nella sua culla. Lo sguardo adorante che mi rivolse poco dopo lo conoscevo, lo avevo visto sui volti dei monaci, quando invocavano il loro dio a Dras-Leona, nei gesti che si scambiavano Roran e Katrina, nel sussurro disperato di Murtagh quando aveva lasciato le mani di Nasuada..
«Arya» bisbigliò Durza, posando le mani sulla mia schiena e attirandomi a sé.
Mi abbracciò, mi sollevò da terra e mi depositò sul basso pagliericcio a poche iarde di distanza.
Sentii la pelle fresca della sua mano quando mi aprì il farsetto e mi strinse un seno da sotto la fascia, baciando al contempo le mie labbra. Poi spostò la bocca all'altezza del mio orecchio e mormorò una serie di sfacciate e sensuali promesse che mi fecero fremere di desiderio.
Una scia di baci scivolò sul mio collo, sul petto, sullo stomaco.. Lo Spettro non si fermò e i suoi capelli mi solleticarono le cosce. Mi ritrovai con entrambe le mani strette sulla bocca, nel goffo tentativo di bloccare i sospiri.
Prima che il sole salisse a picco per il mezzogiorno, facemmo l'amore altre due volte.
Durza posò la testa sulla mia spalla e chiuse gli occhi, asciugando con il suo respiro affannato il sudore che mi velava il collo. Esausta e ancora incerta su quanto fosse reale e quanto parte di un bellissimo e crudele sogno, voltai il viso a guardare i capelli rossi della mia bambina, mentre quelli del padre mi scivolavano tra le dita della mano destra.
Le mie due fiaccole.

[Durza]
Non appena si mosse per rivestirsi sentì la schiena bruciargli per i segni sanguinolenti che dovevano avergli lasciato le unghie della sua amante. Possibile che, con quelle unghie corte e rovinate, fosse riuscita a graffiargli la pelle a tal punto?
Li avrebbe cancellati con la magia, ma il lieve dolore portava con sé piacevoli ricordi, quindi preferì tenerseli. Rievocò gli occhi lucidi di Arya, i suoi capelli di tenebra che lo coprivano come la notte mentre era chinata su di lui, la stretta convulsa delle sue mani, la forza delle sue labbra mentre le premeva sulle sue, la voce arrochita che mormorava il suo nome e lo supplicava di prenderla di nuovo.
All'inizio aveva pensato anche di fermarla, perché più che desiderio, lo sguardo smarrito dei suoi occhi scatenava la sua pietà. Avrebbe voluto cullarla dolcemente, non stringerla nella presa della passione. Eppure lo aveva toccato e baciato con abbandono, bella come una dea, e alla fine lui aveva ceduto completamente al bisogno di averla sua.
Non lo aveva mai amato con così tanto ardore, mai.
Per lei sei morto un anno fa, idiota. Si rimproverò spietatamente.
Ma era la verità. Per lui era passata poco più di una settimana da quando aveva visto Arya l'ultima volta, invece erano trascorsi mesi su mesi. Un anno intero.
E in quell'anno era successa un'infinita quantità di cose, ovviamente. Il tempo non si era fermato per lui, lo aveva semplicemente buttato fuori e poi recuperato un po' più avanti, come se nulla fosse mai stato. Era tornato alla vita, ma era rimasto indietro.
Non aveva visto la propria donna per otto giorni e, quando era tornata da lui, l'aveva ritrovata fragile e provata, spaventata e profondamente cambiata.
E aveva una figlia. Non l'aveva vista nascere, non l'aveva vista crescere, non era stato vicino a sua madre mentre la portava in grembo.
Quando aveva visto Arya avvicinarsi sospettosa a lui, la notte precedente, aveva riconosciuto nelle sue movenze e nei suoi atteggiamenti la stessa donna che aveva lasciato per farsi un viaggetto tra i morti. Il suo primo istinto era stato quello di stringerla tra le braccia e affogare nell'odore della sua pelle, ma non appena lei l'aveva respinto aveva immediatamente capito che non poteva essere così facile come aveva sperato.
L'elfa aveva vissuto e sofferto senza di lui e, in confronto, il tempo passato insieme era una bazzecola insignificante.
Aveva ascoltato il racconto delle sue peripezie con la bocca spalancata dallo stupore, chiedendosi come una persona sola potesse sopportare tante pressioni. Certo, c'erano cose che Arya si era guardata bene dal rivelargli, lo aveva percepito.
«Ci sono segreti che ho promesso di mantenere e rivelare solo in caso di estrema necessità. E questo non è un caso di estrema necessità» aveva replicato freddamente, non appena glielo aveva fatto notare.
Certo. In fondo era sempre lei.
Il suo più grande timore era che non riuscisse ad accettarlo mai più nella sua vita, dato che il suo ritorno era opera di un incantesimo di magia nera. Non voleva dirle addio e non voleva dire addio a sua figlia.
Al suo risveglio sotto alla pietra a forma di rosa, aveva effettivamente creduto di essersi rigenerato dopo un colpo stranamente deviato.
Poi era arrivato quel bizzarro ometto di nome Tenga, gli aveva gettato un mantello addosso e lo aveva intimato di seguirlo. Lo aveva assecondato, troppo spaventato e confuso per potersi rifiutare.
L'uomo non aveva speso molte parole con lui, aveva detto di chiamarsi Tenga, di avere fatto un favore ad un'amica e che doveva assolutamente ripartire per una meta che si rifiutò di rivelare. A quel punto Durza aveva chiesto spiegazioni e l'uomo ne aveva fornite. Secche e raggelanti.
«Tu sei morto da un anno. Un cavaliere e un drago hanno ucciso un re e adesso c'è una donna sul trono. E nessuno che voglia dirmi il Nome! Bah!»
Aveva provato ad insistere, ma era palese che l'uomo non sapesse granché. Sembrava aver vissuto per anni nel più totale isolamento e non sapere nemmeno con certezza chi fosse Galbatorix.
Gli aveva messo distrattamente nelle mani una lettera e poi se n'era andato, per non tornare più. Dopo aver letto le parole di Alba, lo Spettro era inorridito ed era andato nel panico più totale.
Era rimasto chiuso in quella casa per un giorno, fino a che non si era deciso ad uscire nella notte per rubare qualche vestito e qualcosa da mangiare. Aveva presto realizzato che era circondato da nani e che di umani ce n'erano ben pochi, così aveva impiegato altre due notti di pellegrinaggio prima di trovare dei vestiti, anche se corti per lui, in una casa che pareva abbandonata.
Poi aveva cominciato a raccogliere informazioni. Piano, piano, discretamente, sfiorando qualche ignara mente qua e là.
La gente raccontava la scena della sua morte ad opera del grande Cavaliere, la scomparsa di Ajihad e la guida assunta da sua figlia, il tradimento del figlio di Morzan, le campagne militari, l'alleanza con gli Urgali, l'uccisione dei Ra'zac, Roran fortemartello, l'attacco ad Uru'baen, la scomparsa di Galbatorix, la nuova regina, la nuova regina degli elfi..
Alla fine aveva saputo tutto.
E non sembrava possibile che qualcosa di simile fosse avvenuto mentre lui era semplicemente scomparso.
Aveva riletto la lettera di Alba infinite volte. Aveva pianto, vergognandosi di sé come mai prima, perché non piangeva da quando era un ragazzo e si era ripromesso di non rifarlo mai più.
Quello che la sua amica aveva fatto sembrava incredibile e impossibile allo stesso tempo: era tornata indietro, lo aveva spostato dalla traiettoria dell'arma del Cavaliere e poi si era spostata di una dozzina d'ore, prelevandolo dal passato e portandolo nel presente. Un ultimo sforzo che le era stato fatale.
Le spiegazioni complete erano venute con Arya. Era lei che aveva aspettato per il resto della settimana, aggrappandosi disperatamente alla piccola scritta del suo nome, nella lettera di Alba.
Avevano giaciuto insieme, ma lei non gli aveva dato il beneficio di nessuna garanzia per il loro futuro. Era diventata una donna potente e influente e non poteva e non voleva pretendere che si allontanasse da tutto solo per poter giocare alla famigliola felice con lui.
Durza sentì le lacrime pungergli gli occhi e si infuriò con se stesso, perché sapeva di non averne alcun diritto. Non aveva il diritto di soffrire, non aveva il diritto di piangere il passato perduto, non aveva il diritto di temere il futuro. Non aveva nemmeno il diritto di guardarla, non dopo tutto quello che aveva dovuto affrontare.
Se solo non l'avesse abbandonata nella sua cella, quella notte..
Se solo non si fosse lasciato trascinare dall'odio e dai sussurri degli spiriti, durante l'attacco al Farthen Dur..
«Oh, Durza» lo rimproverò Arya dolcemente. «Smettila o impazzirai».
Sarebbe stato il momento perfetto per fare una battuta sarcastica, ma non gli riusciva. Aveva a malapena la forza mentale per impedirsi di scoppiare in singhiozzi.
Ormai completamente rivestito, sedette di nuovo accanto a lei e la strinse, accettando di buon grado che lo sfiorasse con mani tremanti, quasi ad accertarsi che fosse ancora reale e non fosse sul punto di sparire.
«Ti amo» le disse. E avrebbe voluto dirglielo altre mille volte, perché le fosse chiaro quanto dolorosamente profondo e reale fosse lo struggimento che provava nei suoi confronti.
Arya crollò come un muro di vetro sotto un deciso colpo di martello.
Ascoltò le sue parole.
Le ascoltò, ma sapeva già tutto. Lo aveva visto sin dal primo istante, quando gli aveva abbassato il cappuccio del mantello e puntato la spada verde alla gola, aveva visto che qualcosa in lei si era spento e spezzato.
Ma la amava. La amava forse più di quanto l'avesse amata in passato.
L'amava e voleva aiutarla, voleva sostenerla, voleva colmare i suoi vuoti e recuperare il tempo perduto, renderlo una piccolezza di fronte ai lunghi decenni passati insieme; voleva baciare la sua bocca seria e asciugare le sue lacrime; voleva vederla sorridere alla loro bambina e sentirla dargli dell'idiota.
Questo.. e molto altro.
Ma non era affatto certo che anche lei avrebbe voluto.

[Arya]
Quando Durza mi ripeté quelle due piccole parole, sentii nuovamente qualcosa dentro di me crollare.
«Io sono malata» confessai.
«E non possiamo fare nulla per guarirti?» chiese allarmato.
Scossi la testa e gli occhi mi si colmarono di lacrime. «Sono malata qui dentro» specificai, ticchettando l'indice sulla fronte.
Durza parve confuso e anche un po' spaventato. «Cosa significa?»
«Sono pazza. Fuori di testa, instabile, matta come un cavallo. Vedo cose orribili dove spuntano i fiori; ho paura di dormire; sento le grida degli uomini che ho ucciso e rivivo il loro terrore e il loro dolore; trovo macchie di sangue nel più candido dei lenzuoli e sotto alle mie unghie, anche se le ho appena ripulite; il cibo ha il sapore di carne in putrefazione e ogni volta che mi allontano dalla mia bambina mi viene da vomitare perché sono certa che non la rivedrò mai più».
Sputai fuori tutto, come un torrente che rompe gli argini, facendo però attenzione a non lasciare cadere le lacrime sul mio viso.
Durza mi guardò dapprima sconcertato, poi inorridito, poi pietosamente e infine con tenerezza.
Mi baciò tra le sopracciglia. «Io ti amo».
«Tu ami la donna che hai lasciato un anno fa».
«E tu sei la stessa donna».
«No» negai con sicurezza. «Non riuscirai a nascondermi la mia condizione, non sono così mal ridotta da non accorgermene da me».
«Sei malata» disse con semplicità. «E io ti aiuterò a guarire».
«Troverò il modo di farti stare accanto a tua figlia senza che tu debba prenderti il carico gravoso di assistere una folle».
«Amo Aiedail, ma amo anche te e le tue non sono che scuse per nascondermi la verità. Lo so che hai i tuoi impegni e i tuoi doveri, ma per una volta potresti lasciare agli altri il compito di risolvere i problemi di tutta Alagaësia. Non voglio forzarti a lasciare la tua vita per me, Principessa, ma ti prego: permettimi di starti accanto, di scacciare i tuoi incubi e gli orrori, di condividere il tuo dolore. Permettimi di prendermi cura di te, anche nell'ombra, anche di nascosto se preferisci. Alba mi ha riportato in vita e non sprecherò questa mia seconda occasione lontano da te a meno che non sia tu ad ordinarmelo». Parlò con passione e con sicurezza, gli occhi puntati nei miei ricolmi di affetto disarmante.
Ma ciò che mi proponeva era irrealizzabile. Io avevo dei doveri verso me stessa, ma ne avevo prima di tutto verso il mio popolo. Non sarei mai e poi mai riuscita a farlo entrare di nascosto nella Du Weldenvarden; i Guardiani avrebbero percepito la sua presenza e quella degli spiriti che trascinava con sé. Forse avrei potuto trovargli una sistemazione a Ceuron o a Gil'ead, e passare con lui ogni notte, ma quanti anni o anche solo mesi sarebbero passati prima che qualcuno si accorgesse che c'era qualcosa che non andava? Se Durza fosse stato scoperto, sarebbe stato ucciso. Se fossi stata scoperta io sarei stata espulsa per sempre da Alagaësia o forse condannata insieme a lui. E a quel punto che ne sarebbe stato di nostra figlia?
Stavo per dirgli tutto questo quando la mia piccola iniziò a piagnucolare.
E mi colpì una rivelazione. Forse i doveri che avevo verso il mio popolo erano più alti di quelli che avevo nei miei confronti, ma erano davvero più alti di quelli che avevo verso mia figlia?
Lo Spettro si alzò prima che potessi farlo io e sollevò la bambina dalla sua culla, mormorandole parole rassicuranti.
Risi piano, quasi temendo che il mondo esplodesse al suono della mia risata.
Durza mi guardò con aria di sfida, sollevando un sopracciglio e inarcando le labbra sottili. «Non sbattermi in faccia la tua superiorità in materia, Elfa».
«Ha solo fame» lo informai candidamente.
Sedette di nuovo sul giaciglio e me la porse. «Come non detto, pensaci tu».
Aiedail si lasciò imboccare il cibo che avevo con me nella bisaccia e si calmò.
Durza mi strinse una mano e la baciò con devozione.
Io guardai prima lei, poi lui e poi sorrisi di nuovo.
Dopo tanto vagare, finalmente ero a casa.

Cara Nasuada,
Ieri siamo arrivati sul mare e Aiedail ha provato a mangiare un pugno di sabbia. Dovrò tenerla d'occhio finché staremo qui. È la prima volta che vedo il mare e nessuna descrizione o Fairth è riuscito a rendergli pienamente giustizia. Durza, invece, lo aveva già visto in passato, ma mi ha confidato che non gli è mai piaciuto più di tanto, quindi suppongo che la malia che io provo nei confronti di questo luogo sia scritta nel mio sangue.
Come avrai intuito, è stato Fírnen a portarci fin qui. Non appena ha toccato la mia mente, al mio ritorno da Tronjheim, ha capito immediatamente. Così come io ho capito, non appena ho toccato la sua.
Come drago e cavaliere, noi due siamo un'accoppiata perfetta -e non potrebbe essere altrimenti- ma stare insieme significa rinunciare ad una fetta di felicità che per il momento non ci sentiamo di abbandonare, dato che sarà di breve durata. Se io non mi godrò mia figlia adesso, non lo farò mai più, così come Fírnen dovrà godere della passione per Saphira fino a che essa non si sarà spenta. Il ché, dato che i draghi sono molto più soggetti all'istinto e in genere non hanno un compagno per la vita, potrebbe avvenire prima che sia riuscito a viverla veramente.
Mi vergogno infinitamente, ma ammetto di essere io la vera causa della nostra separazione e della mia fuga. Sono troppo debole e provata per essere regina, eppure, se rimanessi in Alagaësia, non riuscirei a farmi da parte. In questo, la mia partenza è del tutto simile a quella di Eragon e lascia le nostre terre completamente sguarnite da draghi e cavalieri. Non so se sia un bene o meno, Nasuada, ma molti sono scettici riguardo alla rinascita dell'ordine, visti i molti problemi che ha portato, al mio popolo prima di tutti.
Forse ciò che sta facendo Eragon è un anacronistico tentativo di recuperare qualcosa che non può più rispondere alle esigenze di Alagaësia, o forse no.
Suppongo che solo il tempo ce lo dirà.
Quanto al tuo controllo sui maghi, credo di poter capire il tuo timore, anche se ai miei occhi è inconcepibile un mondo in cui si deve chiedere il permesso per usare la magia. È comprensibile la tua diffidenza nei confronti di qualcosa che non sai gestire, ma con i tuoi provvedimenti finirai per uccidere la magia nel mondo degli uomini, visti gli ostacoli che imponi per utilizzarla. Sii molto prudente con le tue scelte.
Per quanto riguarda gli elfi, sono quasi sicura che Däthedr prenderà il mio posto.
Non aspettarti eccessivo trasporto dal mio popolo; un nostro grande difetto, che io ho in parte superato solo diventando ambasciatrice, è quello della nostra superbia nei confronti delle razze mortali. Fino a che non li provocherete, gli elfi non vi nuoceranno, ma nemmeno usciranno dalla Du Weldenvarden o vi inviteranno ad entrare. Cerca di non indisporre il mio popolo, o temo che a quel punto, nonostante siamo ormai in pochi e le nostre nascite siano sempre meno, solo Eragon potrà salvarvi dal massacro.
Come ti ho già accennato in apertura, ciò che è successo ad Alba e all'albero di Menoa sarà probabilmente imputato a me e Fírnen. Sta a te scegliere a quale versione affidarti. Dal canto mio, non temo per la mia salute fino a che sarò lontana e non temo per quella del mio drago, fino a che sarà con Eragon e riuscirà in qualche modo a giustificare la mia assenza.
Forse ti starai chiedendo che ruolo avrà Durza in tutto questo, ed eccoti la risposta: sarà il mio compagno e il padre di mia figlia, almeno fino a quando lei non avrà più bisogno di noi. Non so dirti cosa accadrà allora.
Una parte di me continua a rifiutare l'idea che Durza viva. Su questo credo di avere una sorta di conflitto di interessi: vorrei ucciderlo, perché la sua vita è innaturale e sputa in faccia a tutte le morti irreversibili a cui ha portato questa guerra, ma al contempo sono certa di amarlo ancora, di un amore che potrà solo crescere in futuro. Forse Alba ha compiuto il più sacrilego degli incantesimi, ma non smetterò mai di esserle grata per avermi restituito l'uomo che ogni notte mi scuote dai miei incubi e ogni giorno mi sommerge di commenti sarcastici e gesti premurosi.
Inoltre ho un dovere verso la mia piccola. Non potrei mai guardarla negli occhi, un giorno, e ammettere di avere ucciso suo padre una seconda volta perché “era giusto così”. Quindi mi tengo il mio Spettro e mia figlia e mi allontano per qualche decennio da Alagaësia. Posso solo dirti che non andrò ad est, perché gli Eldunarí vorrebbero certamente disfarsi del mio uomo, se sapessero che è tornato.
A questo punto credo di dovermi reputare fortunata per il fatto di essere un'elfa, dato che avrò il tempo di vivere la vita banale e forse noiosa di madre e compagna, ma potrò sempre tornare ad essere cavaliere e riabbracciare il mio Fírnen, un giorno, o chissà, magari spiegherò agli elfi che è stata tutta colpa di Alba e tornerò ad essere la loro regina. Solo con questi pensieri nella mente ho trovato il coraggio di abbandonare le mie responsabilità, questo e perché sento di avere un dovere più alto nei confronti di Aiedail. Se fossi stata solo io, probabilmente avrei finito per rifiutare momentaneamente Durza per mantenere i miei impegni, anche se non sarei mai riuscita ad ucciderlo. Invece ho capito che se voglio vivere una parte della mia vita con lui e con la nostra bambina, allora devo farlo adesso, senza ulteriori indugi.
Un giorno tornerò, Nasuada. Non posso prometterti che ci rivedremo, vista la brevità della vita umana alla quale sei condannata, ma sono sicura che tornerò.
Ti consiglio, se dovessi nuovamente trovarti faccia a faccia con Angela l'Erborista, di fingere di non sapere nulla di lei, o rischieresti la vita.
Riguardo a Tenga, non so più di quanto ho già scritto, ma temo che possa rivelarsi pericoloso se scoprirà il Nome dei Nomi. Non mi farò problemi a scriverti, se venissi a sapere dove si è nascosto lo stregone.
Con questo chiudo questo mio interminabile rapporto. Ti lascio in custodia i miei ricordi, alcuni di Durza e altri di Hillr, scivolati nella mia mente prima della sua morte. Ammetto che tutto questo ha principalmente lo scopo di giustificarmi a tuoi occhi, in modo che tu possa prendere seriamente i miei avvertimenti e non perdere la fiducia nella persona che sono.
Se hai o hai avuto un minimo di rispetto per me, distruggi queste pagine senza parlarne a nessuno, ti prego. Abbi cura di te e trova la felicità in ciò che fai,
Arya.



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Cari lettori,
Che dite? Due lettere in un solo capitolo sono già troppe? Oh be', ormai che l'ho iniziata..
Ci tengo molto a ringraziare ciascuno di voi per il tempo che ha dedicato a leggere questa storia, recensirla, aggiungerla tra i seguiti, preferiti, ricordati. Se ho portato a termine questa piccola Odissea lo devo a ciascuno di voi.
Ammetto che quando ho iniziato a pubblicare la fanfiction -più di due anni fa- non avevo la minima idea di dove sarebbe andata a parare. Avevo una passione per la coppia Durza/Arya, un'amore sconfinato per il personaggio di Durza, adorazione per i libri di Paolini e un po' di amarezza per i misteri lasciati aperti dall'autore al termine di
Inheritance, il tutto condito da un caotico insieme di supposizioni.
Se ora tornaste a rileggere il primo capitolo e la prima lettera a Nasuada, vi accorgerete che sembro descrivere una visione mezza apocalittica e in tutta sincerità non ricordo cosa avessi progettato come finale, quindi credo che a breve modificherò la lettera introduttiva per addolcirne i toni. Di certo l'interruzione di un anno non ha giovato a rendere la storia migliore, ma credo di essere riuscita a prenderla in mano abbastanza decentemente, nonostante nel frattempo sia cambiata io, il mio modo di scrittura, i miei pensieri sulla vita e le mie supposizioni sul
Ciclo dell'eredità.
Per quanto riguarda questo lunghissimo capitolo conclusivo, capisco benissimo che alcuni di voi avranno storto il naso di fronte al ritorno dello Spettro. Credo di aver fatto capire che Arya avrebbe potuto benissimo vivere e morire senza di lui, ma che lo accetta nuovamente nella sua vita perché le si è presentata l'occasione e perché ama lui e la loro bambina, non per altro. Non nascondo che il destino scelto per lei da Paolini non mi ha mai entusiasmata, altrimenti non avrei mai cercato di cambiarlo.
Mentre la partenza di Eragon era amara, ma insieme esaltante, la prigionia di Arya nel ruolo di regina degli elfi mi ha davvero fatto sprofondare il cuore. Per una come lei, dal carattere indomito, solitario, intraprendente, quello di costringerla sul trono è stato davvero un colpo basso. È vero che la fedeltà alla sua gente e il suo senso del dovere sono molto radicati in lei, ma dopo tutto ciò che ha passato in guerra, merita un futuro di serenità e di libertà, non altri secoli di sacrifici per gli altri.
Questo è ovviamente il mio umile parere di lettrice appassionata, ma ciascuno di voi avrà il suo e io li rispetto tutti!
Sarà triste per me non scrivere più di questi personaggi, mi ci ero davvero affezionata e mi sembra di avere lasciato una parte minuscola di me in ciascuno di loro, nessuno escluso. Questa è la prima fanfiction scritta da me e devo dire che l'esperienza mi è piaciuta e che probabilmente tornerò a scrivere qualcosa sul
Ciclo dell'eredità in futuro. Magari qualcosa sui rinnegati, magari la vita di Athala, i segreti di Arcaena, o la storia di un Urgali.. O forse scriverò una storia fantasy originale e pubblicherò anche quella.. Chissà!
Vi invito a lasciarmi commenti perché sono curiosa di sapere cosa pensate di tutto (:
E niente! La storia è conclusa, ma prima di chiudere totalmente inserirò un paio di appendici nei prossimi mesi (con mooolta calma) sui nomi dei personaggi che ho inventato, sul futuro della religione dell'Helgrind (un piccolo racconto che volevo inserire nella storia, ma sarebbe risultato fuori dai tempi, quindi vi ho rinunciato), un punto di vista di Alba quando sceglie di sacrificarsi per Durza e con qualsiasi altra cosa che mi verrà in mente nei prossimi giorni.

Grazie per essere stati con me. Sé onr sverdar sitja hvass!
Baci,
Lalli

  
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