«A
Tronjheim, sotto Ididar Mithrim».
Alba si era rifiutata di
darmi ulteriori spiegazioni. Mi aveva semplicemente sollecitata a
partire e portato due bisacce già cariche di cibo e qualche
coperta
leggera, insieme allo zaino per trasportare la mia bambina.
Aiedail
non aveva mai volato e non ero certa di volerle fare provare
già
l'esperienza, avrebbe potuto soffrirne e non volevo che stesse male
per.. Mi sarebbe tanto piaciuto poter sapere per cosa.
Tuttavia di
fronte all'espressione grave dell'elfa e alla sua insistenza,
cominciai a prendere seriamente in considerazione l'idea di
assecondarla, anche se temevo per la mia salute e quella di mia
figlia. Seguendo un filo di congetture, cominciai a credere che
sarebbe stato Tenga la persona che dovevo incontrare. Era l'unico
individuo plausibile con cui Alba poteva essere in contatto e che
poteva avere qualcosa di interessante da comunicarmi.
Avevo ancora
indosso il corsetto di metallo e gli indumenti regalatemi da mia
madre, quando andai a cercare Däthedr per informarlo della mia
partenza.
«Sì, Aiedail mi aveva già anticipato
tutto» mi disse
lui, ma era ovvio che non era stato sicuro di nulla fino a che non
gli ero apparsa io di persona a confermarglielo.
Däthedr non
aveva mai preso l'abitudine di aggiungere l'appellativo
Dröttning al
mio nome. Sapevo che avrei potuto considerarlo un segno di scortesia
e di mancanza di rispetto, ma capivo la difficoltà dell'elfo
nel
vedere la sua regina sostituita, dopo tanti decenni passati al suo
servizio. Inoltre non ero particolarmente ansiosa di sottolineare la
mia carica, visto lo scarso entusiasmo con cui mi ci ero
approcciata.
«Sarò di ritorno in non più di due
settimane. Nel
caso qualcosa andassi storto.. troverai un documento al mio
scrittoio. Ho designato te come mio successore e sono certa che il
Consiglio ti accetterà».
L'elfo sobbalzò e i suoi occhi cerulei
-così simili a quelli di Alba- si colmarono di tristezza.
«Non
dovresti andare se la tua vita è in pericolo, Arya. Puoi
almeno
dirmi di cosa si tratta? Sia io che i consiglieri ne siamo all'oscuro
e molti di loro avrebbero preferito che tu non accorressi
così
prontamente agli ultimi ordini di Nasuada. Tagliarci fuori dalle tue
decisioni non è una mossa saggia».
Mi sforzai di sorridergli.
«Nemmeno io so nulla di più, le mie sono solo
precauzioni. Ti
chiedo solo di sorvegliare un poco Aiedail nei prossimi giorni e ti
prometto che al mio ritorno farò un rapporto dettagliato al
Consiglio».
Däthedr mi parve molto incerto, forse anche un poco
offeso, ma alla fine mi augurò buon viaggio e si
ritirò per la
notte.
Mancava un'ora alla mezzanotte. Ero ad Ellesméra da poco
più di mezz'ora e mi preparavo a lasciarla di nuovo, senza
nemmeno
indossare per qualche ora la corona di regnante. Fírnen, dal
canto
suo, ne pareva felice, anche se non nascondeva la preoccupazione per
le parole criptiche di Alba.
Avevamo scambiato anche un paio di
opinioni riguardo a quanto ci aveva detto sull'albero di Menoa.
Linnea non aveva risposto al mio appello e i pensieri di entrambi
erano inevitabilmente caduti su Eragon e Saphira: forse saremmo
partiti per le terre oltreconfine prima di quanto ci fossimo
aspettati, anche solo per informare il Cavaliere di quanto era
successo. L'idea quasi mi rassicurava.
Alba mi aiutò ad
assicurare le bisacce alla sella di Fírnen e mi
mostrò le nuove
cinghie che aveva aggiunto allo zaino, che avevano lo scopo di
evitare alla mia piccola cadute fatali. Non mi ero cambiata gli abiti
e non avevo nemmeno avuto il tempo di concedermi un bagno caldo,
quindi mi liberai del sudore e del sudiciume con un incantesimo
efficace, ma decisamente meno gratificante, e creai sulla mia pelle
un aroma di aghi di pino. Era il mio preferito da quando Durza mi
aveva detto che l'odore era simile al mio naturale.
Nella radura
ad un centinaio di iarde dall'albero di Menoa, Alba ci
salutò.
«Hai
un colore sempre più orribile, lucertolone» fece,
rivolta ovviamente a Fírnen.
«Anche
io ti trovo un'amica fantastica».
«Quello era sarcasmo?»
«Me
l'hai insegnato tu. Arya non avrebbe mai potuto farlo».
Mandai
un pensiero di rimprovero ad entrambi. Possibile che anche il mio
drago si coalizzasse contro di me?
«Dovresti sbrigarti a salire
in groppa al tuo lucertolone sarcastico, mia regina» disse
Alba con
un sorriso sbilenco. Poi si chinò sulla mia bambina e la
baciò
sulla testa. «Sé ono Waíse
ilia» mormorò. Che tu sia felice.
Mi
si chiuse lo stomaco. «Alba cosa stai..?»
«Puoi farmi un favore
Principessina?»
«Cosa?»
Annuì in direzione della mia bimba.
«Chiamala davvero Aiedail. L'ultima stella della notte e la
prima
del mattino, quella che consegna le tenebre alla luce del giorno, la
speranza degli afflitti, la guida dei naufraghi. Mi sono sempre
piaciute le stelle. Scontato, lo so, ma è così.
Aiedail, mia
regina, mi raccomando».
«Alba..» ritentai.
«Vai, Arya.
Viaggia con calma se desideri, ma entro due settimane devi essere
sotto Isidar Mithrim, a mezzanotte esatta, ricorda».
Socchiusi
gli occhi. «Ho capito, ma non mi è chiaro cos'hai
intenzione di
fare tu qui ad Ellesméra».
«Non nuocerò al tuo popolo, stai
tranquilla. Credo che andrò a riposarmi, invece»
fece allungando le
membra.
«Ci vediamo tra non più di due
settimane» quasi
ordinai.
«Certo» fu la sicura risposta.
Lentamente, con
estrema cautela, presi in braccio la piccola e misi in spalla la sua
culla. Poi mi avviai verso il punto in cui mi aspettava
Fírnen.
Quando mi voltai in direzione di Alba trovai i suoi occhi
puntati su di me. Persino da una certa distanza osservai che erano
lucidi di lacrime e che l'elfa aveva le unghie conficcate nei
palmi.
Stirò un sorriso tremante sulle labbra e poi alzò
un
braccio in segno di saluto.
Colta in flagrante, sollevai la manina
della mia bambina e la agitai. Alba allargò il sorriso, poi
mi diede
le spalle e si incamminò in direzione dell'albero di Menoa,
con la
schiena curva come se reggesse il peso dell'intero mondo.
Per un
lungo momento fui tentata di correrle dietro e di abbracciarla.
Il
momento passò e alla fine mi costrinsi a lasciarla in pace e
a
preparare la mia partenza
«Fírnen,
te la senti di viaggiare? Sarai molto stanco per colpa mia».
«Avevi
bisogno di tornare da tua figlia e io sono abbastanza riposato per
volare almeno fino all'alba».
«Vuoi mangiare qualche torta al
miele?»
«Sai che non mi piacciono».
«Bugiardo».
«D'accordo»
si arrese.
Grondando gratitudine per l'immenso sforzo che aveva
fatto per me, mi diressi verso le cucine e frugai nella dispensa, poi
sedetti accanto al mio drago mentre inghiottiva una buona
quantità
di dolci, approfittando dei minuti guadagnati per legare bene la mia
bimba nel suo zaino.
«Ma'!» borbottò lei all'improvviso,
guardandomi con i suoi obliqui occhi elfici -momentaneamente azzurri-
e scalciando.
Sfiorando la sua coscienza, seppi che il breve suono
emesso non aveva alcuna relazione con la parola
“mamma”, come
avevo inizialmente creduto, ma mi portò comunque sull'orlo
delle
lacrime. Risi gaiamente, come non facevo da settimane, stringendo
goffamente la piccola da dentro lo zaino rigido e riempiendo la sua
testolina di baci.
Lei rise a sua volta e seppi all'improvviso che
avrebbe provato a ripetere il monosillabo in futuro, sapendo quanto
la cosa mi aveva rallegrata.
Fu proprio in quel momento di gioia
totale che successe.
Una luce bianca esplose dal punto in cui si
trovava l'albero di Menoa e mi accecò. Senza riflettere
più di
tanto, imbracciai lo zaino e scattai in quella direzione,
sballottando malamente la mia piccola, che si mise a piangere.
L'albero di Menoa era sempre al suo posto, ma era un poco
avvizzito, come se stesse appassendo. Mi avventurai alla ricerca di
Alba, ma non impiegai molto a trovarla.
Era stesa a terra, sotto
i rami dell'albero, con le membra rigide e il volto pallido. La luce
della luna piena riempiva macabramente i suoi occhi azzurri
spalancati. Vitrei. Il suo petto era immobile. Il suo cuore taceva.
I
miei passi si affrettarono ancora, fino a che non divennero una corsa
folle.
«Alba!» strillai raggiungendola e cadendo in
ginocchio al
suo fianco.
Mi rifiutai di accettare il fatto, ma non c’era
più
nulla che potessi fare per restituirle la vita e nascondermi
all’orrore.
Le afferrai un polso e lo strinsi per ascoltare il
battito del suo cuore, ma la mia mano era talmente malferma e le
grida di mia figlia così forti che non vi riuscii. Allora mi
chinai
su di lei e posai un orecchio al centro del suo torace, ascoltando il
silenzio che lo riempiva. Il suo petto non si sollevava e la sua
coscienza non c'era più. Sparita. Come se non fosse mai
stata.
Mi
staccai da lei e la scossi. Più volte. Urlai il suo nome
fino a
perdere la voce. La supplicai di svegliarsi.
Il suo viso era
contratto, trasfigurato da un terrore che non potevo comprendere. Gli
occhi parevano incapaci di abbandonare totalmente la vita e restarono
ostinatamente fissi, a rimirare le stelle alte e lontane. Luci
indifferenti.
Aideail.
L'ultima
stella della notte e la prima del mattino, quella che consegna le
tenebre alla luce del giorno, la speranza degli afflitti, la guida
dei naufraghi. Mi sono sempre piaciute le stelle. Scontato, lo so, ma
è così. Aiedail, mia regina, mi raccomando.
La
prima luce del mattino, quella che non avrebbe mai più
brillato nei
suoi occhi vuoti.
No, Alba non era morta. Alba era una di quelle
persone che sopravvivono a tutto. Non poteva lasciarmi anche lei dopo
tutte le morti che avevo già dovuto affrontare.. Era
troppo..
crudele.
«Arya
si avvicinano altri elfi»
disse Fírnen. La sua confusione era pari solo alla mia.
Dovevo
arrivare ad Isidar Mithrim entro due settimane. Perché?
Cos'era mai
successo? Cosa o chi aveva ucciso Alba?
«Andiamocene
o avranno timore di lasciarci partire!»
«Aspetta!
Non possiamo lasciarla qui!» gridai, abbracciando il corpo
vuoto di
quella che negli ultimi mesi era diventata l'amica e la sorella che
non avevo mai avuto. Non potevo abbandonarla, non quando lei aveva
fatto così tanto per me. E poi era così fredda..
dovevo portarla al
palazzo e accendere un fuoco per lei, metterle tra le mani un infuso
bollente e dirle quanto profondamente la stimavo per quanto aveva
dovuto sopportare, quanto ammiravo il suo amore per la vita, quanto
apprezzavo i suoi rimproveri taglienti, quanto le ero grata per
essersi presa cura della mia bambina, quanto sarei stata orgogliosa
di darle il suo stesso nome..
Fírnen mi raggiunse e mi spinse con
il muso in direzione del suo dorso, separandomi da Alba
definitivamente e facendomi inerpicare fino alla sella. Poi
spiccò
il volo, mentre sotto di noi la radura si riempiva di volti sconvolti
di elfi. Incrociai lo sguardo atterrito di Däthedr prima che
la
terra schizzasse lontano dai miei piedi e il pianto di mia figlia
diventasse stridulo dalla paura
Gilderien il Saggio mi sfiorò la
mente per informarmi che qualcosa di terribile era accaduto accanto
all'albero di Menoa, che un incantesimo nefando era stato
compiuto.
Non gli risposi, isolai la mia mente, mi strinsi il
volto tra le mani, graffiandomi le guance, e lasciai che
Fírnen mi
portasse via nella notte.
Non ero propriamente svenuta, ma
impiegai diversi minuti per riprendere il contatto con la
realtà,
nonostante il pressante richiamo di Fírnen.
«Cos'è
successo?» gli
chiesi, supplichevole. Con lo stesso tono con cui mi ero rivolta a
Fäolin, la notte dell'agguato.
«Abbiamo
appena passato le difese di Ellesméra e adesso stiamo
riprendendo
quota»
fu la pronta risposta di Fírnen.
«Alba!»
«Lei
è morta»
mi ricordò delicatamente. «Ci
ha detto che qualcosa ci aspetta nel Farthen Dur e poi è
morta».
«Forse
abbiamo fatto male ad andarcene così in fretta. Non ho idea
di cosa
ci aspetti laggiù e potrebbe essere pericoloso e
inoltre..»
Deglutii. «L'abbiamo
lasciata sola».
Fírnen
mi abbracciò con le mente e poi mi ricordò che
mia figlia era
ancora legata sulla mia schiena. Assicurai le cinghie delle gambe e
poi abbracciai la mia piccolina, che stava ancora singhiozzando a
causa della corsa folle ad Ellesméra, della mia pazzia e del
primo
volo compiuto a dorso di drago.
Toccando la sua coscienza, trovai
solo terrore. Ritenni di stare agendo per il suo bene, quando la
addormentai con una parola di potere.
Solo a quel punto Fírnen
tornò a parlarmi. «Secondo
te si è uccisa?»
La
domanda mi spiazzò. «Perché
avrebbe dovuto?»
«Non lo so. Ma hai visto anche tu che l'albero
di Menoa era avvizzito, come se qualcuno avesse attinto dalle sue
energie per.. fare qualcosa».
«O come se qualcuno avesse
scagliato un incantesimo in quel punto, prosciugando tutte le energie
di Alba e parte di quelle dell'albero di Menoa».
«E quella luce?
Sono confuso».
«Anche io. Abbiamo decisamente sbagliato a
scappare, così ci siamo resi colpevoli. A questo punto non
possiamo
fare altro che proseguire e tornare ad Ellesméra con una
spiegazione».
«Allora mettiti comoda».
E per una volta non percepii la solita giocosità che lo
accompagnava
ogni volta che si prospettava un volo.
Arrivammo a destinazione
otto giorni e molte pause dopo.
Ero straziata dai dubbi e
tormentata per la brusca fine di Alba. Continuavo a ripassare nella
mia mente l'immagine dell'elfa, sciupata, pensierosa e stanca, ed ero
convinta di essere stata incredibilmente stupida, o almeno in misura
sufficiente da non capire che qualcosa stava accadendo in lei.
Qualcosa che doveva averla spinta a fare un incantesimo, qualcosa che
solo la famigerata persona con cui avevo appuntamento poteva
spiegarmi.
Faticai a chiudere occhio e giunsi a destinazione al
limite delle forze, sia fisiche che mentali.
Non seguii
esattamente le istruzioni di Alba. Chiesi a Fírnen di
aspettarmi
fuori dal Farthen Dur, in modo da passare inosservati, e di dare
l'allarme agli abitanti della montagna se non mi avesse vista tornare
entro due giorni.
Portai Aiedail con me, ma non appena entrai a
Tronjheim, con il cappuccio abbassato sul volto, cercai una balia a
cui affidarla fino a mezzogiorno del giorno seguente. Se non fossi
venuta, aveva il compito di portarla all'esterno del Farthen Dur,
dove qualcuno -non dissi che si trattava di Fírnen- sarebbe
venuto a
prenderla.
La mia bambina non fu affatto contenta di separarsi
nuovamente da me, specie quando la sua balia non era Alba, che aveva
imparato a conoscere molto bene.
Quando ebbi pagato la nana in
anticipo, con l'anello di ametiste che tanto amavo, mancavano una
manciata di minuti a mezzanotte e mi diressi immediatamente sotto
Ididar Mithirm, decisa a risolvere il mistero della morte di Alba e a
farle giustizia.
Il luogo sembrava deserto, ma non appena abbassai
il mantello sulle spalle, mi resi conto di non essere sola.
C'era
un uomo incappucciato al limitare della piazza. Non riuscii a vederlo
in volto, ma fui certa che mi stesse guardando perché
staccò le
spalle dal muro e mi venne incontro non appena vide che mi avviavo
nella sua direzione. Tra le lunghe dita pallide reggeva una delle
lanterne senza fiamma che illuminavano l'intero Farthen Dur
«Chi
sei?» domandai cautamente, posando la mano sul pomolo di Támerlein.
«Sei tu la persona che devo incontrare?»
«Arya Ammazzaspettri»
rispose egli con voce fredda, suadente, accarezzando ogni lettera.
«Dovrò guardarmi da te d'ora in poi».
Un tremito mi squassò le
membra. Conoscevo quella voce, la conoscevo alla perfezione; quante
volte l'avevo rievocata, nel mio dolore e nei miei più
insperati
sogni?
Ma non era possibile, non poteva..
Mi sporsi in
direzione dell'uomo, alzandomi quasi in punta di piedi, e gli
abbassai il cappuccio, svelando un volto affilato, dal severo naso
aquilino e dai piccoli occhi felini, rossi come sangue, incorniciato
da lisci capelli scarlatti.
Durza mi scrutò come se potesse
ingoiarmi e poi sorrise, snudando i denti appuntiti.
Avevo
sognato una cosa del genere un milione di volte nell'ultimo anno: che
l'uomo che amavo tornasse, che ci fosse concessa una seconda
occasione, che una nuova vita potesse finalmente cominciare.
Eppure
quando mi ritrovai a fissare il suo volto, la prima cosa che sentii
fu la sensazione di non sapere più respirare. Mi allontanai
bruscamente di un paio di passi, stringendomi le costole con una mano
e annaspando alla ricerca disperata dell'aria che avrebbe dovuto
fluire regolare nei miei polmoni.
Quando l'uomo mi seguì,
tendendo le mani nella mia direzione, mi affrettai ad estrarre
Támerlein
dal fodero e puntargliela alla gola. Solo allora si fermò,
sollevando le mani in segno di resa e trasformando il sorriso in
un'espressione ferita.
Restammo in quella instabile posizione fino
a che la mia crisi di panico non fu passata. Conscia di avere le
membra fradice di sudore gelido, strizzai gli occhi con tutte le mie
forze per scacciare l'illusione e tornai a guardare di fronte a me,
ma l'immagine che vedevo non era cambiata di un pollice.
Una furia
cieca mi bruciò il petto.
Afferrai l'uomo per il mantello e lo
sbattei violentemente contro la parete, avvicinando nuovamente la
lama al suo collo.
«CHI SEI?» sbraitai, sentendo gli occhi
riempirsi pericolosamente di lacrime e la voce inerpicare su quelle
semplici parole.
I suoi occhi parvero svuotarsi di ogni
luce.
«Arya» sussurrò con voce melliflua.
«Non mi riconosci? È
passato così tanto tempo da..?»
«T-tu non puoi essere qui»
balbettai. «Io ti ho visto morire, io ti ho ucciso, io ho
seppellito
il tuo pugnale e assistito al rogo dei tuoi abiti, io ho passato mesi
a piangere la tua scomparsa. Tu non puoi essere qui».
L'uomo
sorrise con una malinconia profonda. «Non ho scelto io di
tornare,
Principessa» disse nell'antica lingua. «Ma non
voglio farti del
male, né farti soffrire, quindi se mi concedi qualche minuto
ti
spiegherò tutto ciò che so».
Abbassai l'arma lentamente.
«Durza» gracchiai, incredula, sconvolta e
spaventata.
«Sono io,
piccola elfa».
«Tu sei morto» protestai, sull'orlo di una
seconda crisi di panico.
«Vieni con me, ti spiegherò tutto
davanti ad una tazza di vino. Sei pallida come un cadavere».
E mi
tese una mano bianca.
Cadavere.
La
fissai così a lungo che l'immagine si sdoppiò
sotto i miei
occhi.
Poi ricordai in successione: mia figlia affidata a una
balia, il mio drago, così lontano da non percepire nemmeno
la sua
presenza.. e Durza era morto, morto!
Non poteva.. Non poteva
tornare dopo tutti quei mesi, uguale a come lo avevo lasciato, mentre
io nel frattempo avevo attraversato di tutto. Non era reale, non era
possibile e non era naturale.
A quel punto realizzai chi fosse il
vero artefice di tutto: Alba. Ma ancora non sapevo il come o il
perché. E volevo delle risposte.
Così posai la mano sulla sua,
senza riuscire a fermarne il tremore. Riconobbi la ruvidezza della
sua pelle quando me la strinse vigorosamente, accarezzandone il
dorso. Le gambe non mi ressero più e sarei caduta a terra se
l'uomo
non mi avesse stretta a sé, sollevandomi tra le braccia come
una
bambina.
Mi parlò, ma io sentivo il sangue ruggirmi nelle
orecchie e rimasi sorda alle sue parole, eppure il ritmo e il peso
dei suoi passi li ricordavo alla perfezione, così come
ricordavo
l'odore della sua pelle.
Durza.
Sentii dita agili sciogliere i
lacci del mio corsetto e liberarmi dalla sua morsa, ma tornai
pienamente in me solo quando mi schiaffeggiò dolcemente in
viso.
Rughe di preoccupazione gli increspavano la fronte e io non riuscii a
trattenermi: posai le dita sul suo volto e le spianai, toccandolo con
una tale leggerezza che non dovette sentire più pressione di
quanta
ne avrebbe fatta una farfalla.
«Stai
bene, Principessa?»
Annuii, sopraffatta dalla confusione.
Mi
aveva adagiata su un grezzo sgabello di legno e mi stava sostenendo
la schiena affinché non cadessi all'indietro. La piccola
stanza
comprendeva un camino, un tavolo, un letto e qualche scaffale, ma
sembrava troppo spoglia per essere abitata.
Pochi minuti dopo
sedevo eretta, con
Támerlein posata sul tavolo davanti a me, una tazza
stracolma di
vino tra le mani e Durza lo Spettro seduto, vivo e vegeto, su uno
sgabello accanto a me.
Strinsi convulsamente la tazza e la
prosciugai del suo contenuto. Durza me la riempì nuovamente
e non
smise un attimo di scrutarmi con gli occhi penetranti che ben
ricordavo.
Restituii lo sguardo con intensità ancora maggiore,
incapace di fissarlo su un qualunque punto del suo corpo per
più di
qualche istante consecutivo. Volevo guardarlo nella sua interezza
eppure ogni dettaglio mi distraeva. Un po' come aveva fatto la
cattedrale di Dras-Leona la prima volta che l'avevo osservata alla
luce del giorno.
«Non è un sogno, vero?» mormorai.
«O una
visione? Non sei il trucco di qualche mago malvagio, qualcuno che
vuole incastrarmi?»
Lo Spettro abbassò gli occhi con aria
infelice. «Sono io in carne e ossa. E te lo posso provare;
ricordo
tutto quello che ci è accaduto prima che il cavaliere
venisse a
Gil'ead. La notte che ti ho catturata, le settimane passate a
torturarti, la nostra alleanza, la prima volta che abbiamo fatto
l'amore..»
E parlò per lunghi minuti, riesumando dettagli che
solo il vero Durza poteva effettivamente conoscere. La mia diffidenza
si dissipò, ma quando cercò di sfiorarmi la
mente, mi rinchiusi
categoricamente in me stessa, impedendogli l'accesso.
Visto il mio
atteggiamento sospettoso, decise di passare al vero e proprio
resoconto.
«Quel
giorno, mentre mi scontravo con il Cavaliere, avevo lasciato un po'
troppo spazio ai miei spiriti ed ero piuttosto coinvolto nella loro
violenza. Il ragazzo era riuscito ad entrare nella mia mente e allora
loro tre hanno fatto un incantesimo. Non credo di riuscire a capire
cosa, ma quando l'ho colpito alla schiena, ho riversato nelle sue
ossa una sorta di maledizione, qualcosa che lo avrebbe fatto soffrire
a lungo».
Annuii, ricordando gli attacchi di dolore di
Eragon.
«Il tuo arrivo con il drago mi ha distratto»
continuò
lui. «Sono tornato in me, ma ormai era troppo tardi. Ho a
malapena
visto l'ombra della spada del Cavaliere, poi mi sono sentito come
tirare per il mantello e la lama mi è penetrata tra le
costole,
trapassando anche la placca di metallo, e perforandomi un polmone. Mi
sono sentito strappare le membra in mille pezzi e tutto è
finito nel
nulla, com'era già successo a Gil'ead». Si
strofinò le costole, un
poco a disagio.
«Ti ha colpito al cuore» lo contraddissi, in un
sussurro strozzato. «Ti ha colpito al cuore e tu sei morto.
Ho visto
i tuoi spiriti uscire da te e disperdersi nell'aria. Il tuo corpo
è
diventato polvere e..» mi interruppi. La mia voce si era
spenta e la
mia testa era piena d'aria. Temevo di svenire da un momento all'altro
e mi concentrai per qualche secondo sul movimento delle mie, di
costole, perché sembravo avere disimparato a respirare.
Durza
fece l'espressione di qualcuno che è sul punto di vomitare.
«Già.
Deve essere quello l'ultimo ricordo che hai di me, ma non è
andata
così». Bevve una buona sorsata della sua tazza e
io lo imitai.
«All'improvviso ho sentito di nuovo dolore, un dolore atroce,
paragonabile solo a quello che ho sentito quando mi sono rigenerato,
a Gil'ead. È iniziato dalla testa e poi si è
diffuso in tutto il
corpo; ed era strano perché prima che il dolore le
raggiungesse non
ero certo di avere tutte quelle parti del corpo, come se comparissero
mano a mano che scendeva. Per farla breve: mi sono ritrovato sotto a
quella maledetta pietra a forma di rosa -di nuovo intatta-, solo e
senza abiti. Mi ha recuperato un tale che sembrava passare di
lì per
caso. Non ha fatto commenti sul mio aspetto, mi ha dato il suo
mantello e mi ha portato qui, a casa sua. Ha detto di chiamarsi
Tenga, di essere in viaggio e di conoscere una persona che doveva
essere mia amica e che si faceva chiamare Aiedail». A quel
punto
alzò gli occhi su di me, con fare interrogativo.
«Lei non c'è
più» rantolai, sopprimendo un singhiozzo.
Durza si afflosciò su
se stesso e chiuse gli occhi. «Lo so».
Si alzò in piedi,
rovistò in un cassetto e tornò con un pezzo di
carta così
sgualcito da rendere indubbie le molteplici riletture che aveva
subito. Stirai la lettera -perché di quello si trattava- con
mani
tremanti e iniziai a leggere.
Durza,
amico mio, ti scrivo questa lettera per dirti un paio di cose che ti
saranno necessarie per sopravvivere.
Primo: cambia la tua
fisionomia e fa' in modo di poter essere scambiato per un
umano.
Secondo: Non rivelare a nessuno la tua identità -Tenga sa
già tutto- e rimani nascosto.
Terzo: Presentati ogni notte sotto
lo Zaffiro Stellato e rimani lì da mezzanotte alla quarta
ora del
mattino. Quando arriverà la persona che stai aspettando sono
più
che certa che la riconoscerai, ma se non si presentasse nel giro di
due settimane, scappa, vai più lontano che puoi e se gli dei
esistono che abbiano pietà della tua vita infelice e della
tua
solitudine.
Quarto: Sono successe parecchie cose dall'ultima volta
che hai camminato sul suolo di Alagaësia; Tenga
potrà dirtene
alcune, altre te le racconterà Arya, quando e se
verrà.
Quinto:
Non credo che ci rivedremo mai più e occupo questo ultimo
punto per
prendere finalmente congedo da te, in pace. Ti ho voluto molto bene,
Durza, e per anni sei stato tutta la famiglia che avevo. Di questo ti
ringrazio infinitamente, perché eri simile a me e
perché mi sono
davvero sentita a mio agio in casa tua.
Ho compiuto diverse
ricerche negli ultimi mesi e, se tutto andrà come credo,
entro breve
tu avrai preso il mio posto. Tenga mi ha aiutata molto in tutto
ciò
e credo che senza il suo aiuto e quello della Venerabile non sarei
mai riuscita ad elaborare il corretto incantesimo. Se ti stai
chiedendo chi siano costoro: temo di non riuscire a risponderti
completamente.
Tenga non parla mai di sé, nemmeno se incoraggiato
a farlo, ma da quello che ho scoperto nei mesi passati con lui, posso
supporre che egli sia forse l'ultimo esponente di una razza
antichissima e potente: il Popolo Grigio. Conosce la magia ad un
livello profondissimo e mi ha insegnato quasi distrattamente
incantesimi che potrebbero portare rovina ovunque. Mi ha detto che
saprà quando farsi trovare da te e che dopo se ne
andrà, ma non so
quale sarà la sua meta, né lui sembra
intenzionato a condividerla
con me.
In ogni caso, guardati da lui. Sembra un vecchietto un po'
folle, ma è un essere pericolosissimo e sopratutto
imprevedibile. So
che sta cercando il Nome dei Nomi e non escludo che ci riesca prima o
poi, come non mi stupirei se, in futuro, riuscisse a creare
più
problemi lui di quanti ne ha creati Galbatorix.
Riguardo alla
Venerabile, so che adesso si fa chiamare Angela l'erborista, ma che
in passato è stata Silvarì l'Incantatrice e che
ancora prima aveva
altri nomi. Dalle tue descrizioni, suppongo che sia la stessa donna
che ti ha impedito di uccidere Ajihad e ti ha rovinato la spada,
colei che mi hai detto essere stata per decenni, l'oracolo sotto
Ilirea. Guardati anche da lei, perché è
pericolosa quanto Tenga,
anche se molto più saggia ed equilibrata.
Tornando al discorso
originario: Angela mi ha suo malgrado fatto capire che il tempo e lo
spazio possono essere plasmati e modificati a piacimento, anche se
con un grosso dispendio di energie. Tenga mi ha messo tra le mani la
soluzione finale: ora so come viaggiare nel tempo e come modificare
avvenimenti passati, anche se io, con la mia sola energia, non potrei
mai compiere grandi cambiamenti.
Non so se ricorderai il giorno
della tua morte, Durza, ma sappi che se qualcuno ti avesse afferrato
il mantello e ti avesse spostato di pochi pollici, il colpo del
Cavaliere ti avrebbe semplicemente sfiorato il cuore, per poi
permetterti di rigenerarti. E pensa se qualcuno fosse comparso al tuo
fianco, ti avesse tirato di lato, avesse creato l'illusione della
fuga degli spiriti dal tuo corpo, per poi tornare, dodici ore dopo la
tua scomparsa, nel luogo della tua presunta morte, per trasportare il
tuo corpo rigenerato in quello che per te sarebbe un futuro? Si
tratta di fare piccoli saltelli nel tempo e in sé non
sarebbe un
incantesimo mortale, e potrei benissimo sopravvivere con l'energia
che spero di ottenere dall'albero di Menoa, ma ho capito che ci sono
regole che la natura stessa non permette di rompere. Una vita per una
vita.
Mi sembra un prezzo piuttosto onesto.
Perché lo
faccio?
Perché questo non è il mio posto, non
più. Nonostante
tutto l'affetto che mi avete dato tu, Arya e un'altra piccola
personcina, una ferita dentro di me non si è mai richiusa:
la morte
di Solus mi ha distrutta e ha portato con sé un pezzo di me
che non
tornerà mai più.
Alla fine l'ho scoperto, il modo per farla
tornare in vita. Ma poi ho realizzato che non si è mai
trattato di
lei, ma solo di me. Volevo riavere la mia gemella perché ero
sola,
questo era il punto, non si è mai trattato di volerle dare
una
seconda occasione, ma solo e unicamente di me stessa. Se l'avessi
davvero riportata in vita l'avrei condannata all'infelicità,
costretta in un'esistenza che avrebbe considerato sacrilega ed
immorale, ogni istante sarebbe stato una sofferenza per lei e prima o
poi si sarebbe privata di ciò che io ho cercato tanto a
lungo di
restituirle.
So che in parte comprenderai questo mio egoismo e
l'idea mi consola, mi fa sentire meno smarrita per la decisione che
ho preso. Un'altra speranza è che tu sia ancora lo stesso
uomo che
ho lasciato a Gil'ead, dalla morale elastica e dal cuore forte,
perché altrimenti ciò che ti darò
sarà una condanna almeno quanto
lo sarebbe stato per Solus.
Ti prego, accetta il mio dono -o la
mia maledizione- e vivi per me e la mia gemella. Qualcuno ha bisogno
di te, in questo presente, costruisci la tua felicità con le
persone
che ami, perché senza di loro non sei niente.
Per
sempre tua amica,
Alba.
Ps: La mia scoperta morirà con me;
credo che nelle mani sbagliate sarebbe troppo pericolosa, anche se
suona molto ridicolo detto da me.
Pps: Ricorda ad Arya che mi deve
un favore. Un altro piccolo pensiero egoistico, ma credo di
meritarmelo. Ah e dille che, nonostante tutto, non è la
frigida
altezza reale che credevo. Le colpe di sua madre non sono le sue, e
non mi deve nulla.
Riposi
la lettera e una lacrima cadde dalle mie palpebre, andando a
infrangersi contro la mia mano. Nel silenzio il suono fu quasi
assordante.
«Mi ha riportato in vita» disse Durza con la voce
che tremava. «Quando ho letto queste parole per poco non mi
sono
ucciso dalla paura».
«Progettava
tutto da mesi.. Io l'ho aiutata senza saperlo, le ho suggerito di
tirarti per il mantello, l'ho lasciata tornare da Tenga senza farle
domande, non ho interpretato la sua malinconia, ho ascoltato le sue
raccomandazioni distrattamente.. Io ho creduto che stesse
impazzendo».
Lo Spettro alzò un sopracciglio. «Non vi ricordavo
così amiche» osservò.
«Questa è una lunga storia».
«E io
vorrei che tu me la raccontassi».
Scossi la testa lentamente.
Alba era morta perché io non ero stata abbastanza
intelligente da
capire i velati indizi che mi aveva mandato a più riprese.
La
promessa di non tentare di resuscitare Solus.. Mi era sembrata serena
quando aveva pronunciato quelle parole. Era perché aveva
già deciso
di sacrificare la sua vita perché mia figlia potesse avere
un
padre.
Le lunghe conversazioni con Angela, le parole della
Venerabile quando aveva ucciso le Ombre a Dras-Leona, quelle del suo
incantesimo quando aveva salvato mia figlia.. Tempo. Era una
soluzione semplicissima eppure dispendiosa.
E Alba aveva dovuto
attingere all'albero di Menoa per realizzarla.
In quel momento mi
era tutto chiaro. E la perdita di Alba era più amara che mai.
Alzai
gli occhi dalla lettera e incontrai le iridi verticali di Durza.
Ancora era tutto irreale, troppo irreale per poterlo prendere in
considerazione.
Perché lui? Non era giusto che lui vivesse e
altri mille no.
«Che avevi in mente il giorno in cui.. in cui
sei morto?»
«Stavo cercando te. Il re mi aveva ordinato di
inseguire il Cavaliere e io mi ero reso conto che il mio vero nome
era cambiato, perché riuscivo ad oppormi ai suoi ordini.
Così ho
finto di ubbidirgli e sono venuto qui con l'idea di prelevare te, il
cavaliere e il figlio di Morzan e portarvi con me ad Uru'baen, dove
in qualche modo avrei trovato il modo di sconfiggere Galbatorix, una
volta che fosse rimasto distratto da tre prede così
interessanti. E
a tal proposito..»
«Lo so».
«Lo sai?»
«So degli
Eldunarí. Ce n'erano altri nascosti a Vroengard ed
è con il loro
aiuto che Eragon è riuscito a spingere Galbatorix al
suicidio».
«Che
fine ingloriosa» disse con disprezzo. «Se la
meritava tutta. Ma che
ne è stato degli Eldunarí? Nonostante i miei
sforzi, non ricordo il
metodo con cui avrei dovuto distruggerli e mi sento parecchio
idiota».
Aggrottai la fronte. «Eragon ha lasciato Alagaësia e
li ha portati con sé. Potrebbero aver lanciato un
incantesimo di
memoria, dato che lo avevano già fatto per nascondere la
loro
esistenza a Vroengard». Socchiusi gli occhi con sospetto.
«Non
starai pensando di riprendere in mano il tuo vecchio piano ed
impossessarti degli Eldunarí, vero? Non funzionerebbe.
Eragon ha
dalla sua anche il Nome dei nomi, non credo che ci sia qualcuno, in
Alagaësia o fuori, che sia in grado di batterlo».
Durza sorrise.
«Vedo che in fondo non mi hai mai dimenticato. Non temere,
non ho
intenzione di commettere sciocchezze, ma vorrei farti ragionare sulle
tue stesse parole: nessuno è in grado di battere Eragon. Ti
ricorda
niente?»
«Eragon non è Galbatorix. È una delle
persone più
moralmente integre che io abbia mai conosciuto e non si
lascerà
scivolare nelle tenebre» risposi con sicurezza.
«Hai conosciuto
molto bene il mio assassino a quanto vedo..»
Alzai il mento. «Mi
ha corteggiata per mesi».
Durza chinò il capo. «E tu?»
«L'ho
respinto» ammisi. «Ero ancora legata a te. Su
questo hai ragione:
non ti ho mai dimenticato».
«Un ciclo» disse, assorto. «Siamo
al ripetersi di un ciclo. Non vedi? Anche la tua vita è un
ciclo:
l'uomo che uccide il tuo amato è poi destinato a diventare
il tuo
corteggiatore».
«Smettila».
«Prova a prendermi sul serio,
Arya. Eragon ha assunto il ruolo di Galbatorix, ed è un
tiranno
buono, d'accordo, ma immagino che prima o poi dovrà morire.
Che ne
sarà degli Eldunarí a quel punto? Passeranno al
nuovo capo dei
cavalieri dei draghi, suppongo, e così via, nei secoli e nei
millenni, fino a che non capiteranno tra le mani di una creatura che
coverà lo stesso seme di follia di Galbatorix. E
allora?»
«Allora
niente. Pace e guerra sono nel ciclo naturale delle cose e per quanto
possiamo cercare di evitare la guerra, essa tornerà sempre,
inevitabilmente. È una cosa che possiamo solo
accettare».
«Tu
hai sacrificato la tua vita per porre fine ad una tirannia che sai
già che ritornerà?»
«Sì. Io ho speso tutta la mia vita in
questo perché altrimenti la tirannia sarebbe stata eterna.
Non dico
che non ritornerà, ma almeno con le nostre azioni abbiamo
regalato
un momento di pace. È come salire e scendere una scala,
all'infinito. Tutto ciò che ha fatto la ribellione
è stato salire
di un gradino».
Aggrottò la fronte. «Abbiamo sofferto
così
tanto per un gradino?»
Annuii. «Temo di sì».
Si riempì
nuovamente la tazza di vino. «Diamine, preferivo non
saperlo».
«Che
suggerimento avresti? Riguardo al troppo potere di Eragon,
intendo»
indagai.
Scosse la testa. «Non ne ho. Distruggere gli
Eldunarí
sarebbe sciocco credo, non si sa mai quali forze superiori esistano
oltre al mare. E se qualcuno minacciasse Alagaësia, suppongo
che
Eragon interverrà per il meglio, almeno per ora. Ma credo
che
sarebbe un bene che il Nome venisse dimenticato dopo la morte del
Cavaliere, è troppo pericoloso».
Non gli dissi che anche io
possedevo quell'informazione. «Non ti ricordavo interessato
al
benessere generale».
«Sono vivo e dovrò viverci, in queste
terre, quindi vorrei campare un paio di secoli in pace»
disse,
guardandomi con espressione indecifrabile. «Immagino che i
nostri
progetti non siano più validi».
Tremai.
«Ora sei regina,
cavaliere di drago. Hai un sacco di responsabilità e ruoli
importanti» proseguì, scostando lo sguardo.
«Nessuno dovrebbe
essere costretto a mantenere le promesse fatte ai
morti».
Tacqui.
«C'è un altro uomo?»
«Non essere
ridicolo» ribattei con asprezza. «Ti ho
già detto di no».
Incassò
la testa nelle spalle. «Dunque che ne sarà di noi
adesso?»
«Non
posso fingere che gli ultimi mesi della mia vita non siano mai
passati, Durza. In confronto, quei tre mesi di felicità che
io e te
abbiamo speso insieme sembrano di una tale piccolezza..»
Lo
Spettro annuì bruscamente. «Forse Alba avrebbe
fatto meglio a
lasciarmi nelle ombre».
«Non voglio che tu..» muoia
di nuovo. «Ho
bisogno di tempo per capire cosa sta succedendo qui» finii
per
dire.
Fece un gesto vago. «Salvo nuovi imprevisti dovrei avere
parecchi secoli».
Non fugai i suoi dubbi, non sapevo nemmeno io
cosa sarebbe accaduto da quel momento in poi, ma ero certa che c'era
almeno un particolare che avrei dovuto confessargli.
«Devo dirti
una cosa. Riguarda la promessa che ho fatto ad Alba».
Gettò uno
sguardo fugace alla lettera abbandonata sul tavolo. «Riguarda
anche
me?»
«Me, te.. Alba ha dato la vita perché a noi tre
fosse
concessa una seconda possibilità, quindi direi che le
dobbiamo
almeno un favore».
Annuì. Poi parve ripensare alle mie parole e
i suoi occhi si strinsero nel dubbio, poi si dilatarono nella
consapevolezza. «Tre?»
Le labbra mi tremarono quando le separai
per sorridere. «Ha i tuoi capelli. Avrei dovuto dirtelo
quando siamo
tornati a Gil'ead, ma non ne ho avuto la forza. Ho creduto che
sarebbe cresciuta senza un padre, e io non potevo abbandonare la mia
battaglia, così ho fatto del mio meglio, ma finora non sono
stata
migliore di mia madre».
Mi interruppi quando mi resi conto che
Durza aveva smesso di respirare, l'intero volto deformato in
un'espressione sconvolta. «Noi..?»
«Il favore che devo ad Alba
riguarda lei. Non volevo darle un nome, non sapevo decidermi e
così
lei ha preso a chiamarla Aiedail, sostenendo che era un bel nome da
dare ad una bambina e che le dava speranza. Quindi immagino che ora..
Nostra figlia si chiami Aiedail».
Durza imprecò oscenamente, poi
deglutì e infine mi guardò negli occhi. «Non
è vero» sentenziò. «Diamine!
Ho perso così
tanto» aggiunse subito dopo.
«Dov'è?» balbettò infine.
Non ci
avrebbe creduto fino a che non l'avesse vista con i suoi occhi, e
forse nemmeno allora. Deve essere dura addormentarsi, svegliarsi
all'improvviso e ritrovarsi -nel giro di poco più di una
settimana-
con tutti gli equilibri sconvolti e una figlia che non sapevi di
avere concepito.
«L'ho affidata ad una balia, non sapevo chi
avrei dovuto incontrare e volevo lasciarla al sicuro».
«Ah».
«Posso
portarla qui se vuoi» gli proposi dolcemente.
Scosse
violentemente la testa. «Aspetta. Aspetta un
attimo». Si massaggiò
le tempie. «Arya
non voglio apparirti rude o idiota, ma ho bisogno che prima tu mi
racconti tutto. So che ho perso molte cose e Tenga ha già
provveduto
a raccontarmi i fatti principali avvenuti in Alagaësia, ma ora
voglio sentirlo da te, tutto quello che hai fatto dopo Gil'ead,
inclusa la parte in cui diventi una cacciatrice di Spettri».
E
concluse la frase con un sorriso abbozzato.
Così gli raccontai
tutto. Quasi tutto. C'erano segreti che avevo promesso di mantenere e
non li avrei mai offerti a nessuno, se non fosse stato necessario,
nemmeno a Durza.
Parlai fino all'alba e poi fino a mattino
inoltrato. Lo Spettro si alzò solo per andarmi a prendere
dell'altro
vino e idratare la mia gola secca per il lungo parlare, poi sedette
nuovamente sullo sgabello accanto a me.
Quando finalmente chiusi
la bocca, Durza aveva l'espressione confusa di chi ha ricevuto troppe
informazioni tutte insieme e sta cercando disperatamente di
riordinarle nella propria mente.
«Mi dispiace tanto» disse alla
fine.
«Per essere morto?»
«Per essermi fatto sconfiggere
come un idiota e averti lasciata da sola ad affrontare tutte quelle
difficoltà».
«Me la sono cavata, no?» mi
difesi.
«Splendidamente. Molto meglio di quanto sarei mai
riuscito a fare io» disse.
Tacemmo per lunghi minuti, ognuno
immerso nei propri rumorosi pensieri, poi la presenza dello Spettro
mi risucchiò come un vortice e le mie riserve si sciolsero
un poco.
E se mi fossi risvegliata all'improvviso? Avrei potuto sopportare un
simile dolore? Forse era meglio mettere subito fine
all'illusione.
Allungai
una mano e gli accarezzai la nuca, facendo scivolare le dita tra i
suoi corti capelli rossi. Durza non scomparve, e mi sfuggì
un
sospiro di sollievo.
Mi sfiorò il braccio, guardandomi con
tenerezza mista a pietà e ammirazione. «Posso
baciarti, Principessa?» domandò stupidamente.
Mi chinai in
avanti sullo sgabello, fino a portare il viso all'altezza del suo,
poi mi spostai di pochi pollici e toccai le sue labbra. Erano
sottili, screpolate e sapevano di menta. Non sapevo se scoppiare a
ridere o a piangere.
Lo Spettro socchiuse languidamente gli occhi
e rispose al mio bacio, assecondando l'esasperante lentezza con cui
assaporavo la sua bocca, con la prudenza di chi ha paura di rompere
un oggetto prezioso.
Feci scivolare i polpastrelli sul suo volto,
saggiandone la concretezza. Percorsi la linea delle folte
sopracciglia, il naso severo, la curva decisa della mascella e della
mandibola. Poi li spostai sul suo collo. Durza rabbrividì e
io
sentii il corpo accendersi di scintille.
Il suo calore e il suo
odore mi avvolsero completamente e il tocco incerto delle sue mani
sulla mia vita mi fece tremare.
All'improvviso volevo afferrare i
suoi capelli rossi e baciare le sue labbra sottili con più
violenza
di quanta ne avessi mai messa in tutte le battaglie da me combattute,
affondare le dita nella sua pelle e stringere a me il suo corpo nudo,
fino a distruggere quel bellissimo sogno o togliere ogni dubbio sul
fatto che non fosse fatto di ombre del passato, ma di carne e
sangue.
«Mi sei mancato immensamente» ansimai,
stringendogli la
testa tra le mani, senza fiato per lo sconvolgimento che si agitava
dentro di me.
«Anche tu» soffiò, quasi stordito.
Tornai a
baciarlo, leccando le sue labbra e invitandolo a separarle. Mi
graffiai la lingua contro la punta dei suoi denti e il sapore di
sangue si mescolò a quello di menta, mentre i suoi occhi si
spalancavano su di me, cupi e indagatori. Un vuoto mi scavò
lo
stomaco.
Lo Spettro mi strinse come per abbracciarmi, ma non era
un abbraccio che volevo. Lo tirai giù dallo sgabello e
entrambi
scivolammo a terra.
Mi staccai dalle sue labbra e gli strappai la
casacca di dosso, con malagrazia. Durza mi restituì
un'occhiata
perplessa e un poco preoccupata, vagamente simile a quella che aveva
avuto la nostra prima notte a Dras-Leona, eppure, quando gli
sbottonai la camicia, lui scosse bruscamente le spalle, facilitandomi
nell'impresa e facendola scivolare via. Nessuna cicatrice spiccava
sulla sua pelle pallida, non c'era alcun segno del punto in cui
Eragon lo aveva colpito. Lo toccai, poi mi sporsi a baciarlo di
nuovo, per nascondere il tremito delle mie mani.
«Arya non è
necessario» mi informò lui, insinuando al contempo
le mani sotto il
mio farsetto e sfilandomelo faticosamente dalla testa.
«Ti
desidero» replicai, premendo una mano contro il suo petto,
spingendolo all'indietro sulla schiena e spogliandomi a mia volta. Lo
Spettro non rimase ad aspettare che finissi da sola.
Sorrise alla
vista del medaglione a forma di sole che mi pendeva tra i seni e,
dopo aver attorcigliato la catenella tra le dita, finì per
lasciarlo
dov'era.
Le sue mani vagarono leggere sulla mia pelle e a quel
tocco io mi sentii rinascere, come se effettivamente tornassi a
vivere dopo mesi di mera sopravvivenza. Riempii le sue spalle di baci
frettolosi, poi il viso, il collo, il torace; assaggiai voracemente
il sapore della sua pelle.
Ma non avevo il tempo, la pazienza, il
bisogno di esitare oltre in quelle tenerezze.
Sentii un lieve
bruciore quando lo guidai dentro di me. Sussultai, ma il fastidio
scemò prima che riuscissi a lamentarmene.
Durza strinse le dita
sui miei fianchi fino a farmi quasi male alle ossa e gettò
il capo
all'indietro, gemendo scompostamente e strisciando i capelli rossi
nella polvere.
Mi mossi su di lui, puntellando le mani a terra e
baciando talvolta la sua gola scoperta e le sue labbra, spegnendo i
suoi gemiti contro la mia bocca.
Precipitai
in una voragine di emozioni, dove tutto svaniva a favore di Durza,
che finì per incatenare gli occhi sgranati ai miei, per non
lasciarli più andare. Persi totalmente la percezione di me
stessa
nelle spire cremisi delle sue iridi, che grondavano di gioia feroce,
e il piacere che mi invase fu talmente intenso che fui costretta a
premermi una mano sulla bocca per non gridare.
Lo Spettro scoprì
i denti aguzzi e si abbandonò con un singulto. Mi sciolsi da
lui e
gli caddi addosso, tremante di soddisfazione.
E
a quel punto realizzai diverse cose tutte insieme: che il corpo
aderente al mio era rovente, che il cuore che lo irrorava di sangue
batteva irregolare -come un tamburo colpito distrattamente- sotto il
mio orecchio, che le dita ruvide che giocavano con i miei capelli e
disegnavano pigri cerchi sulla mia schiena nuda mi erano familiari
almeno quanto le mie, che l'odore di menta del suo respiro mi
invadeva prepotentemente le narici.
Avevo appena giaciuto con
Durza. E Durza era vivo.
Una
strana sensazione mi si strinse alla gola, al punto di farmi sentire
sopraffatta. Era un’emozione incontenibile, una via di mezzo
tra
tenerezza e commozione. Un
singhiozzo mi scosse le spalle, poi un altro, poi gli argini del mio
orgoglio si ruppero e scoppiai definitivamente a piangere, inondando
in suo petto di lacrime.
Lo
Spettro mi avvolse completamente nelle sue braccia. «Io
ti amo» bisbigliò.
E me lo ripeté all'infinito, come una dolce
litania, fino a che le parole non persero il loro significato e i
miei singhiozzi lo contagiarono.
Così ci ritrovammo a piangere
come due sciocchi, aggrappati l'uno all'altra, quasi temendo che una
voragine improvvisa potesse aprirsi sul grezzo pavimento di terra,
separandoci una seconda volta.
Durza era vivo. Forse avrei
faticato ad accettarlo, ma era così. E non ero né
inorridita né
disgustata.
Avevo passato infinite sofferenze, ma non avevo mai
smesso di amarlo e in quel momento stavo semplicemente scoppiando di
gioia e di incredulità
Durza era vivo. Avrei potuto baciare
infinitamente le sue labbra e ridere di nuovo alle sue sciocchezze.
Mia figlia avrebbe avuto un padre a crescerla e io un compagno a
darmi affetto.
Durza era vivo, per il Wyrda di Alagaësia, Durza
era vivo!
Ci alzammo dal pavimento solo quando i nostri corpi
cominciarono a raffreddarsi. Ci rivestimmo e restammo abbracciati
ancora per lunghi minuti, mischiando capelli, lacrime e
respiri.
«Credo sia ora di presentarti qualcuno» mormorai
infine, schiudendo le labbra in un sorriso.
La mia bambina
gorgogliò di gioia quando mi rivide arrivare e tese le
manine per
farsi prendere in braccio. La condussi con me alla casetta dove mi
aspettava Durza, cullandola dolcemente e sussurrandole qualcosa a
proposito del padre che stava per conoscere.
Lo Spettro era seduto
sullo sgabello dove lo avevo lasciato e si stava asciugando i palmi
delle mani sui pantaloni.
Gli sorrisi, intenerita dal suo
atteggiamento teso e dall'espressione emozionata che assunse non
appena posò gli occhi su sua figlia.
«Lei è Aiedail»
mormorai.
Durza tese le mani e io gli misi la bambina tra le
braccia.
Lo Spettro scrutò il visetto pallido di Aiedail a lungo
e lei lo guardò con i suoi speciali occhi diversi, con
curiosità.
Era tranquilla e una scintilla di consapevolezza sembrava accendere
il suo sguardo, come se in qualche modo sapesse perfettamente chi la
stesse tenendo.
«Ciao piccolina» disse poi Durza, scompigliando
i sottili capelli della bambina, rossi come i suoi. «Sono tuo
padre.
Sei uguale alla tua mamma e sei bellissima».
Rise deliziato
quando Aiedail borbottò imbronciata, poi alzò la
testa e mi guardò,
gli occhi sgranati, smarriti, commossi.
«Arya», gracchiò,
«è..»
Mi sporsi a baciarlo sulle labbra. «Lo so».
Restammo
seduti al tavolo per lunghi minuti. Se io non riuscivo a smettere di
guardarlo e toccarlo per accertarmi che fosse reale, Durza pareva
incapace di staccarsi da Aiedail. Se ne era innamorato,
indubbiamente.
Poi alla fine la piccola si addormentò e lo
Spettro la depose gentilmente nella sua culla. Lo sguardo adorante
che mi rivolse poco dopo lo conoscevo, lo avevo visto sui volti dei
monaci, quando invocavano il loro dio a Dras-Leona, nei gesti che si
scambiavano Roran e Katrina, nel sussurro disperato di Murtagh quando
aveva lasciato le mani di Nasuada..
«Arya» bisbigliò Durza,
posando le mani sulla mia schiena e attirandomi a sé.
Mi
abbracciò, mi sollevò da terra e mi
depositò sul basso
pagliericcio a poche iarde di distanza.
Sentii la pelle fresca
della sua mano quando mi aprì il farsetto e mi strinse un
seno da
sotto la fascia, baciando al contempo le mie labbra. Poi
spostò la
bocca all'altezza del mio orecchio e mormorò una serie di
sfacciate
e sensuali promesse che mi fecero fremere di desiderio.
Una scia
di baci scivolò sul mio collo, sul petto, sullo stomaco.. Lo
Spettro
non si fermò e i suoi capelli mi solleticarono le cosce. Mi
ritrovai
con entrambe le mani strette sulla bocca, nel goffo tentativo di
bloccare i sospiri.
Prima che il sole salisse a picco per il
mezzogiorno, facemmo l'amore altre due volte.
Durza posò la testa
sulla mia spalla e chiuse gli occhi, asciugando con il suo respiro
affannato il sudore che mi velava il collo. Esausta e ancora incerta
su quanto fosse reale e quanto parte di un bellissimo e crudele
sogno, voltai il viso a guardare i capelli rossi della mia bambina,
mentre quelli del padre mi scivolavano tra le dita della mano
destra.
Le mie due fiaccole.
[Durza]
Non appena si mosse
per rivestirsi sentì la schiena bruciargli per i segni
sanguinolenti
che dovevano avergli lasciato le unghie della sua amante. Possibile
che, con quelle unghie corte e rovinate, fosse riuscita a graffiargli
la pelle a tal punto?
Li avrebbe cancellati con la magia, ma il
lieve dolore portava con sé piacevoli ricordi, quindi
preferì
tenerseli. Rievocò gli occhi lucidi di Arya, i suoi capelli
di
tenebra che lo coprivano come la notte mentre era chinata su di lui,
la stretta convulsa delle sue mani, la forza delle sue labbra mentre
le premeva sulle sue, la voce arrochita che mormorava il suo nome e
lo supplicava di prenderla di nuovo.
All'inizio aveva pensato
anche di fermarla, perché più che desiderio, lo
sguardo smarrito
dei suoi occhi scatenava la sua pietà. Avrebbe voluto
cullarla
dolcemente, non stringerla nella presa della passione. Eppure lo
aveva toccato e baciato con abbandono, bella come una dea, e alla
fine lui aveva ceduto completamente al bisogno di averla sua.
Non
lo aveva mai amato con così tanto ardore, mai.
Per
lei sei morto un anno fa, idiota. Si
rimproverò spietatamente.
Ma era la verità. Per lui era passata
poco più di una settimana da quando aveva visto Arya
l'ultima volta,
invece erano trascorsi mesi su mesi. Un anno intero.
E in
quell'anno era successa un'infinita quantità di cose,
ovviamente. Il
tempo non si era fermato per lui, lo aveva semplicemente buttato
fuori e poi recuperato un po' più avanti, come se nulla
fosse mai
stato. Era tornato alla vita, ma era rimasto indietro.
Non aveva
visto la propria donna per otto giorni e, quando era tornata da lui,
l'aveva ritrovata fragile e provata, spaventata e profondamente
cambiata.
E aveva una figlia. Non l'aveva vista nascere, non
l'aveva vista crescere, non era stato vicino a sua madre mentre la
portava in grembo.
Quando aveva visto Arya avvicinarsi sospettosa
a lui, la notte precedente, aveva riconosciuto nelle sue movenze e
nei suoi atteggiamenti la stessa donna che aveva lasciato per farsi
un viaggetto tra i morti. Il suo primo istinto era stato quello di
stringerla tra le braccia e affogare nell'odore della sua pelle, ma
non appena lei l'aveva respinto aveva immediatamente capito che non
poteva essere così facile come aveva sperato.
L'elfa aveva
vissuto e sofferto senza di lui e, in confronto, il tempo passato
insieme era una bazzecola insignificante.
Aveva ascoltato il
racconto delle sue peripezie con la bocca spalancata dallo stupore,
chiedendosi come una persona sola potesse sopportare tante pressioni.
Certo, c'erano cose che Arya si era guardata bene dal rivelargli, lo
aveva percepito.
«Ci sono segreti che ho promesso di mantenere e
rivelare solo in caso di estrema necessità. E questo non
è un caso
di estrema necessità» aveva replicato freddamente,
non appena
glielo aveva fatto notare.
Certo. In fondo era sempre lei.
Il
suo più grande timore era che non riuscisse ad accettarlo
mai più
nella sua vita, dato che il suo ritorno era opera di un incantesimo
di magia nera. Non voleva dirle addio e non voleva dire addio a sua
figlia.
Al suo risveglio sotto alla pietra a forma di rosa, aveva
effettivamente creduto di essersi rigenerato dopo un colpo
stranamente deviato.
Poi era arrivato quel bizzarro ometto di nome
Tenga, gli aveva gettato un mantello addosso e lo aveva intimato di
seguirlo. Lo aveva assecondato, troppo spaventato e confuso per
potersi rifiutare.
L'uomo non aveva speso molte parole con lui,
aveva detto di chiamarsi Tenga, di avere fatto un favore ad un'amica
e che doveva assolutamente ripartire per una meta che si
rifiutò di
rivelare. A quel punto Durza aveva chiesto spiegazioni e l'uomo ne
aveva fornite. Secche e raggelanti.
«Tu sei morto da un anno. Un
cavaliere e un drago hanno ucciso un re e adesso c'è una
donna sul
trono. E nessuno che voglia dirmi il Nome! Bah!»
Aveva provato ad
insistere, ma era palese che l'uomo non sapesse granché.
Sembrava
aver vissuto per anni nel più totale isolamento e non sapere
nemmeno
con certezza chi fosse Galbatorix.
Gli aveva messo distrattamente
nelle mani una lettera e poi se n'era andato, per non tornare
più.
Dopo aver letto le parole di Alba, lo Spettro era inorridito ed era
andato nel panico più totale.
Era rimasto chiuso in quella casa
per un giorno, fino a che non si era deciso ad uscire nella notte per
rubare qualche vestito e qualcosa da mangiare. Aveva presto
realizzato che era circondato da nani e che di umani ce n'erano ben
pochi, così aveva impiegato altre due notti di
pellegrinaggio prima
di trovare dei vestiti, anche se corti per lui, in una casa che
pareva abbandonata.
Poi aveva cominciato a raccogliere
informazioni. Piano, piano, discretamente, sfiorando qualche ignara
mente qua e là.
La gente raccontava la scena della sua morte ad
opera del grande Cavaliere, la scomparsa di Ajihad e la guida assunta
da sua figlia, il tradimento del figlio di Morzan, le campagne
militari, l'alleanza con gli Urgali, l'uccisione dei Ra'zac, Roran
fortemartello, l'attacco ad Uru'baen, la scomparsa di Galbatorix, la
nuova regina, la nuova regina degli elfi..
Alla fine aveva saputo
tutto.
E non sembrava possibile che qualcosa di simile fosse
avvenuto mentre lui era semplicemente scomparso.
Aveva riletto la
lettera di Alba infinite volte. Aveva pianto, vergognandosi di
sé
come mai prima, perché non piangeva da quando era un ragazzo
e si
era ripromesso di non rifarlo mai più.
Quello che la sua amica
aveva fatto sembrava incredibile e impossibile allo stesso tempo: era
tornata indietro, lo aveva spostato dalla traiettoria dell'arma del
Cavaliere e poi si era spostata di una dozzina d'ore, prelevandolo
dal passato e portandolo nel presente. Un ultimo sforzo che le era
stato fatale.
Le spiegazioni complete erano venute con Arya. Era
lei che aveva aspettato per il resto della settimana, aggrappandosi
disperatamente alla piccola scritta del suo nome, nella lettera di
Alba.
Avevano giaciuto insieme, ma lei non gli aveva dato il
beneficio di nessuna garanzia per il loro futuro. Era diventata una
donna potente e influente e non poteva e non voleva pretendere che si
allontanasse da tutto solo per poter giocare alla famigliola felice
con lui.
Durza sentì le lacrime pungergli gli occhi e si
infuriò
con se stesso, perché sapeva di non averne alcun diritto.
Non aveva
il diritto di soffrire, non aveva il diritto di piangere il passato
perduto, non aveva il diritto di temere il futuro. Non aveva nemmeno
il diritto di guardarla, non dopo tutto quello che aveva dovuto
affrontare.
Se solo non l'avesse abbandonata nella sua cella,
quella notte..
Se solo non si fosse lasciato trascinare dall'odio
e dai sussurri degli spiriti, durante l'attacco al Farthen Dur..
«Oh,
Durza» lo rimproverò Arya dolcemente.
«Smettila o
impazzirai».
Sarebbe stato il momento perfetto per fare una
battuta sarcastica, ma non gli riusciva. Aveva a malapena la forza
mentale per impedirsi di scoppiare in singhiozzi.
Ormai
completamente rivestito, sedette di nuovo accanto a lei e la strinse,
accettando di buon grado che lo sfiorasse con mani tremanti, quasi ad
accertarsi che fosse ancora reale e non fosse sul punto di
sparire.
«Ti amo» le disse. E avrebbe voluto dirglielo altre
mille volte, perché le fosse chiaro quanto dolorosamente
profondo e
reale fosse lo struggimento che provava nei suoi confronti.
Arya
crollò come un muro di vetro sotto un deciso colpo di
martello.
Ascoltò le sue parole.
Le ascoltò, ma sapeva già
tutto. Lo aveva visto sin dal primo istante, quando gli aveva
abbassato il cappuccio del mantello e puntato la spada verde alla
gola, aveva visto che qualcosa in lei si era spento e spezzato.
Ma
la amava. La amava forse più di quanto l'avesse amata in
passato.
L'amava e voleva aiutarla, voleva sostenerla, voleva
colmare i suoi vuoti e recuperare il tempo perduto, renderlo una
piccolezza di fronte ai lunghi decenni passati insieme; voleva
baciare la sua bocca seria e asciugare le sue lacrime; voleva vederla
sorridere alla loro bambina e sentirla dargli dell'idiota.
Questo..
e molto altro.
Ma non era affatto certo che anche lei avrebbe
voluto.
[Arya]
Quando Durza mi ripeté quelle due piccole
parole, sentii nuovamente qualcosa dentro di me crollare.
«Io
sono malata» confessai.
«E non possiamo fare nulla per
guarirti?» chiese allarmato.
Scossi la testa e gli occhi mi si
colmarono di lacrime. «Sono malata qui dentro»
specificai,
ticchettando l'indice sulla fronte.
Durza parve confuso e anche un
po' spaventato. «Cosa significa?»
«Sono pazza. Fuori di testa,
instabile, matta come un cavallo. Vedo cose orribili dove spuntano i
fiori; ho paura di dormire; sento le grida degli uomini che ho ucciso
e rivivo il loro terrore e il loro dolore; trovo macchie di sangue
nel più candido dei lenzuoli e sotto alle mie unghie, anche
se le ho
appena ripulite; il cibo ha il sapore di carne in putrefazione e ogni
volta che mi allontano dalla mia bambina mi viene da vomitare
perché
sono certa che non la rivedrò mai più».
Sputai fuori tutto,
come un torrente che rompe gli argini, facendo però
attenzione a non
lasciare cadere le lacrime sul mio viso.
Durza mi guardò dapprima
sconcertato, poi inorridito, poi pietosamente e infine con
tenerezza.
Mi baciò tra le sopracciglia. «Io ti
amo».
«Tu
ami la donna che hai lasciato un anno fa».
«E tu sei la stessa
donna».
«No» negai con sicurezza. «Non riuscirai
a nascondermi
la mia condizione, non sono così mal ridotta da non
accorgermene da
me».
«Sei malata» disse con semplicità.
«E io ti aiuterò a
guarire».
«Troverò il modo di farti stare accanto a tua
figlia
senza che tu debba prenderti il carico gravoso di assistere una
folle».
«Amo Aiedail, ma amo anche te e le tue non sono che
scuse per nascondermi la verità. Lo so che hai i tuoi
impegni e i
tuoi doveri, ma per una volta potresti lasciare agli altri il compito
di risolvere i problemi di tutta Alagaësia. Non voglio
forzarti a
lasciare la tua vita per me, Principessa, ma ti prego: permettimi di
starti accanto, di scacciare i tuoi incubi e gli orrori, di
condividere il tuo dolore. Permettimi di prendermi cura di te, anche
nell'ombra, anche di nascosto se preferisci. Alba mi ha riportato in
vita e non sprecherò questa mia seconda occasione lontano da
te a
meno che non sia tu ad ordinarmelo». Parlò con
passione e con
sicurezza, gli occhi puntati nei miei ricolmi di affetto disarmante.
Ma
ciò che mi proponeva era irrealizzabile. Io avevo dei doveri
verso
me stessa, ma ne avevo prima di tutto verso il mio popolo. Non sarei
mai e poi mai riuscita a farlo entrare di nascosto nella Du
Weldenvarden; i Guardiani avrebbero percepito la sua presenza e
quella degli spiriti che trascinava con sé. Forse avrei
potuto
trovargli una sistemazione a Ceuron o a Gil'ead, e passare con lui
ogni notte, ma quanti anni o anche solo mesi sarebbero passati prima
che qualcuno si accorgesse che c'era qualcosa che non andava? Se
Durza fosse stato scoperto, sarebbe stato ucciso. Se fossi stata
scoperta io sarei stata espulsa per sempre da Alagaësia o
forse
condannata insieme a lui. E a quel punto che ne sarebbe stato di
nostra figlia?
Stavo per dirgli tutto questo quando la mia piccola
iniziò a piagnucolare.
E mi colpì una rivelazione. Forse i
doveri che avevo verso il mio popolo erano più alti di
quelli che
avevo nei miei confronti, ma erano davvero più alti di
quelli che
avevo verso mia figlia?
Lo Spettro si alzò prima che potessi
farlo io e sollevò la bambina dalla sua culla, mormorandole
parole
rassicuranti.
Risi piano, quasi temendo che il mondo esplodesse al
suono della mia risata.
Durza mi guardò con aria di sfida,
sollevando un sopracciglio e inarcando le labbra sottili.
«Non
sbattermi in faccia la tua superiorità in materia,
Elfa».
«Ha
solo fame» lo informai candidamente.
Sedette di nuovo sul
giaciglio e me la porse. «Come non detto, pensaci
tu».
Aiedail
si lasciò imboccare il cibo che avevo con me nella bisaccia
e si
calmò.
Durza mi strinse una mano e la baciò con devozione.
Io
guardai prima lei, poi lui e poi sorrisi di nuovo.
Dopo tanto
vagare, finalmente ero a casa.
Cara
Nasuada,
Ieri siamo arrivati sul mare e Aiedail ha provato a
mangiare un pugno di sabbia. Dovrò tenerla d'occhio
finché staremo
qui. È la prima volta che vedo il mare e nessuna descrizione
o
Fairth è riuscito a rendergli pienamente giustizia. Durza,
invece,
lo aveva già visto in passato, ma mi ha confidato che non
gli è mai
piaciuto più di tanto, quindi suppongo che la malia che io
provo nei
confronti di questo luogo sia scritta nel mio sangue.
Come avrai
intuito, è stato Fírnen a portarci fin qui. Non
appena ha toccato
la mia mente, al mio ritorno da Tronjheim, ha capito immediatamente.
Così come io ho capito, non appena ho toccato la sua.
Come drago
e cavaliere, noi due siamo un'accoppiata perfetta -e non potrebbe
essere altrimenti- ma stare insieme significa rinunciare ad una fetta
di felicità che per il momento non ci sentiamo di
abbandonare, dato
che sarà di breve durata. Se io non mi godrò mia
figlia adesso, non
lo farò mai più, così come
Fírnen dovrà godere della passione
per Saphira fino a che essa non si sarà spenta. Il
ché, dato che i
draghi sono molto più soggetti all'istinto e in genere non
hanno un
compagno per la vita, potrebbe avvenire prima che sia riuscito a
viverla veramente.
Mi vergogno infinitamente, ma ammetto di essere
io la vera causa della nostra separazione e della mia fuga. Sono
troppo debole e provata per essere regina, eppure, se rimanessi in
Alagaësia, non riuscirei a farmi da parte. In questo, la mia
partenza è del tutto simile a quella di Eragon e lascia le
nostre
terre completamente sguarnite da draghi e cavalieri. Non so se sia un
bene o meno, Nasuada, ma molti sono scettici riguardo alla rinascita
dell'ordine, visti i molti problemi che ha portato, al mio popolo
prima di tutti.
Forse ciò che sta facendo Eragon è un
anacronistico tentativo di recuperare qualcosa che non può
più
rispondere alle esigenze di Alagaësia, o forse no.
Suppongo che
solo il tempo ce lo dirà.
Quanto al tuo controllo sui maghi,
credo di poter capire il tuo timore, anche se ai miei occhi
è
inconcepibile un mondo in cui si deve chiedere il permesso per usare
la magia. È comprensibile la tua diffidenza nei confronti di
qualcosa che non sai gestire, ma con i tuoi provvedimenti finirai per
uccidere la magia nel mondo degli uomini, visti gli ostacoli che
imponi per utilizzarla. Sii molto prudente con le tue scelte.
Per
quanto riguarda gli elfi, sono quasi sicura che Däthedr
prenderà il
mio posto.
Non aspettarti eccessivo trasporto dal mio popolo; un
nostro grande difetto, che io ho in parte superato solo diventando
ambasciatrice, è quello della nostra superbia nei confronti
delle
razze mortali. Fino a che non li provocherete, gli elfi non vi
nuoceranno, ma nemmeno usciranno dalla Du Weldenvarden o vi
inviteranno ad entrare. Cerca di non indisporre il mio popolo, o temo
che a quel punto, nonostante siamo ormai in pochi e le nostre nascite
siano sempre meno, solo Eragon potrà salvarvi dal massacro.
Come
ti ho già accennato in apertura, ciò che
è successo ad Alba e
all'albero di Menoa sarà probabilmente imputato a me e
Fírnen. Sta
a te scegliere a quale versione affidarti. Dal canto mio, non temo
per la mia salute fino a che sarò lontana e non temo per
quella del
mio drago, fino a che sarà con Eragon e riuscirà
in qualche modo a
giustificare la mia assenza.
Forse ti starai chiedendo che ruolo
avrà Durza in tutto questo, ed eccoti la risposta:
sarà il mio
compagno e il padre di mia figlia, almeno fino a quando lei non
avrà
più bisogno di noi. Non so dirti cosa accadrà
allora.
Una parte
di me continua a rifiutare l'idea che Durza viva. Su questo credo di
avere una sorta di conflitto di interessi: vorrei ucciderlo,
perché
la sua vita è innaturale e sputa in faccia a tutte le morti
irreversibili a cui ha portato questa guerra, ma al contempo sono
certa di amarlo ancora, di un amore che potrà solo crescere
in
futuro. Forse Alba ha compiuto il più sacrilego degli
incantesimi,
ma non smetterò mai di esserle grata per avermi restituito
l'uomo
che ogni notte mi scuote dai miei incubi e ogni giorno mi sommerge di
commenti sarcastici e gesti premurosi.
Inoltre ho un dovere verso
la mia piccola. Non potrei mai guardarla negli occhi, un giorno, e
ammettere di avere ucciso suo padre una seconda volta perché
“era
giusto così”. Quindi mi tengo il mio Spettro e mia
figlia e mi
allontano per qualche decennio da Alagaësia. Posso solo dirti
che
non andrò ad est, perché gli Eldunarí
vorrebbero certamente
disfarsi del mio uomo, se sapessero che è tornato.
A questo punto
credo di dovermi reputare fortunata per il fatto di essere un'elfa,
dato che avrò il tempo di vivere la vita banale e forse
noiosa di
madre e compagna, ma potrò sempre tornare ad essere
cavaliere e
riabbracciare il mio Fírnen, un giorno, o chissà,
magari spiegherò
agli elfi che è stata tutta colpa di Alba e
tornerò ad essere la
loro regina. Solo con questi pensieri nella mente ho trovato il
coraggio di abbandonare le mie responsabilità, questo e
perché
sento di avere un dovere più alto nei confronti di Aiedail.
Se fossi
stata solo io, probabilmente avrei finito per rifiutare
momentaneamente Durza per mantenere i miei impegni, anche se non
sarei mai riuscita ad ucciderlo. Invece ho capito che se voglio
vivere una parte della mia vita con lui e con la nostra bambina,
allora devo farlo adesso, senza ulteriori indugi.
Un giorno
tornerò, Nasuada. Non posso prometterti che ci rivedremo,
vista la
brevità della vita umana alla quale sei condannata, ma sono
sicura
che tornerò.
Ti consiglio, se dovessi nuovamente trovarti faccia
a faccia con Angela l'Erborista, di fingere di non sapere nulla di
lei, o rischieresti la vita.
Riguardo a Tenga, non so più di
quanto ho già scritto, ma temo che possa rivelarsi
pericoloso se
scoprirà il Nome dei Nomi. Non mi farò problemi a
scriverti, se
venissi a sapere dove si è nascosto lo stregone.
Con questo
chiudo questo mio interminabile rapporto. Ti lascio in custodia i
miei ricordi, alcuni di Durza e altri di Hillr, scivolati nella mia
mente prima della sua morte. Ammetto che tutto questo ha
principalmente lo scopo di giustificarmi a tuoi occhi, in modo che tu
possa prendere seriamente i miei avvertimenti e non perdere la
fiducia nella persona che sono.
Se hai o hai avuto un minimo di
rispetto per me, distruggi queste pagine senza parlarne a nessuno, ti
prego. Abbi cura di te e trova la felicità in ciò
che fai,
Arya.
______________________________________________________________________________________________
Cari
lettori,
Che dite? Due lettere in un solo capitolo sono già
troppe? Oh be', ormai che l'ho iniziata..
Ci tengo molto a
ringraziare ciascuno di voi per il tempo che ha dedicato a leggere
questa storia, recensirla, aggiungerla tra i seguiti, preferiti,
ricordati. Se ho portato a termine questa piccola Odissea lo devo a
ciascuno di voi.
Ammetto che quando ho iniziato a pubblicare la
fanfiction -più di due anni fa- non avevo la minima idea di
dove
sarebbe andata a parare. Avevo una passione per la coppia Durza/Arya,
un'amore sconfinato per il personaggio di Durza, adorazione per i
libri di Paolini e un po' di amarezza per i misteri lasciati aperti
dall'autore al termine di Inheritance,
il tutto condito da un caotico insieme di supposizioni.
Se ora
tornaste a rileggere il primo capitolo e la prima lettera a Nasuada,
vi accorgerete che sembro descrivere una visione mezza apocalittica e
in tutta sincerità non ricordo cosa avessi progettato come
finale,
quindi credo che a breve modificherò la lettera introduttiva
per
addolcirne i toni. Di certo l'interruzione di un anno non ha giovato
a rendere la storia migliore, ma credo di essere riuscita a prenderla
in mano abbastanza decentemente, nonostante nel frattempo sia
cambiata io, il mio modo di scrittura, i miei pensieri sulla vita e
le mie supposizioni sul Ciclo
dell'eredità.
Per
quanto riguarda questo lunghissimo capitolo conclusivo, capisco
benissimo che alcuni di voi avranno storto il naso di fronte al
ritorno dello Spettro. Credo di aver fatto capire che Arya avrebbe
potuto benissimo vivere e morire senza di lui, ma che lo accetta
nuovamente nella sua vita perché le si è
presentata l'occasione e
perché ama lui e la loro bambina, non per altro. Non
nascondo che il
destino scelto per lei da Paolini non mi ha mai entusiasmata,
altrimenti non avrei mai cercato di cambiarlo.
Mentre la partenza
di Eragon era amara, ma insieme esaltante, la prigionia di Arya nel
ruolo di regina degli elfi mi ha davvero fatto sprofondare il cuore.
Per una come lei, dal carattere indomito, solitario, intraprendente,
quello di costringerla sul trono è stato davvero un colpo
basso. È
vero che la fedeltà alla sua gente e il suo senso del dovere
sono
molto radicati in lei, ma dopo tutto ciò che ha passato in
guerra,
merita un futuro di serenità e di libertà, non
altri secoli di
sacrifici per gli altri.
Questo è ovviamente il mio umile parere
di lettrice appassionata, ma ciascuno di voi avrà il suo e
io li
rispetto tutti!
Sarà triste per me non scrivere più di questi
personaggi, mi ci ero davvero affezionata e mi sembra di avere
lasciato una parte minuscola di me in ciascuno di loro, nessuno
escluso. Questa è la prima fanfiction scritta da me e devo
dire che
l'esperienza mi è piaciuta e che probabilmente
tornerò a scrivere
qualcosa sul Ciclo
dell'eredità in futuro.
Magari qualcosa sui rinnegati, magari la vita di Athala, i segreti di
Arcaena, o la storia di un Urgali.. O forse scriverò una
storia
fantasy originale e pubblicherò anche quella..
Chissà!
Vi invito
a lasciarmi commenti perché sono curiosa di sapere cosa
pensate di
tutto (:
E niente! La storia è conclusa, ma prima di chiudere
totalmente inserirò un paio di appendici nei prossimi mesi
(con
mooolta calma) sui nomi dei personaggi che ho inventato, sul futuro
della religione dell'Helgrind (un piccolo racconto che volevo
inserire nella storia, ma sarebbe risultato fuori dai tempi, quindi
vi ho rinunciato), un punto di vista di Alba quando sceglie di
sacrificarsi per Durza e con qualsiasi altra cosa che mi
verrà in
mente nei prossimi giorni.
Grazie per essere stati con me. Sé
onr sverdar sitja hvass!
Baci,
Lalli