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Autore: mgrandier    05/04/2015    17 recensioni
"Avanza verso la fontana attratta dal fruscio incessante e inespressivo dell’acqua che rapisce la sua attenzione soffocando lo scricchiolio odioso del ghiaietto sotto le suole delle sue scarpette così come il sussulto spezzato del suo respiro."
Ispirata dall'immagine creata da Sabrina Sala, il racconto nasce in parallelo al suo "Istanti", di cui consiglio vivamente la lettura, e propone una visione personale di quell'attimo fissato mirabilmente su carta.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avanza verso la fontana attratta dal fruscio incessante e inespressivo dell’acqua che rapisce la sua attenzione soffocando lo scricchiolio odioso del ghiaietto sotto le suole delle sue scarpette così come il sussulto spezzato del suo respiro. La mano destra regge la seta ricamata, le dita strette attorno ad un lembo di stoffa in un gesto che non le è mai appartenuto, scoprendo ad ogni passo la punta di una scarpa, mentre l’orlo della gonna sfiora appena la sua caviglia sottile; la mano sinistra, abbandonata lungo il fianco, ondeggia accarezzando inconsapevolmente il drappeggio celeste.
Giunge alla fontana, abbandonandosi sulla pietra fredda del bordo della vasca senza esitazione e appoggiandovi i palmi delle mani fino quasi ad aggrapparvisi. Chiude gli occhi stringendo le palpebre e sporgendosi un poco sull’acqua, lasciando che i ricordi dolorosi di quella serata scivolino nella sua mente, lacerando il suo cuore e soffocandole l’anima. Si sente sopraffatta dalla delusione per un sogno sfumato, un’illusione rincorsa inutilmente, per la quale ha rinnegato la sua intera esistenza, riducendosi a somigliare a se stessa, ad essere una immagine opaca, un rimando lontano ed irriconoscibile.
La brezza fresca della notte gioca con le ciocche sciolte ai lati del viso, e con quelle sfuggite all’acconciatura con la quale mai prima di quella sera aveva accettato di costringere i suoi capelli, muovendole in un ondeggiare continuo, in una carezza quasi insolente.
Dagli occhi serrati lascia che le lacrime scivolino libere lungo le guance, avvertendone la corsa prima lenta e poi più rapida, fino a raggiungere il mento, per poi spiccare quel salto che, una goccia dopo l’altra, le conduce al dorso della sua mano destra.
Si sente sola, rifiutata, sbagliata e si vergogna di se stessa per il compromesso che era sempre stato inaccettabile e che ha deliberatamente scelto, rendendosi ridicola ai suoi stessi occhi.
Non ha nemmeno il coraggio di aprirli quegli occhi, nel timore e nel disgusto per quell’immagine sconosciuta che scorgerebbe riflessa sull’acqua.
- Oscar … - il suo nome pronunciato da quella voce calda e amica, che la sorprende, perché assolutamente inattesa. Si ritrae un poco dall’acqua e si volge alla sua sinistra, lasciando finalmente che le palpebre liberino la realtà attorno a sé, tenendo lo sguardo basso, senza il coraggio di sollevarlo oltre la propria spalla.
Scorge una mano, grande e gentile, che regge una giacca, quella stoffa color fango che le è impossibile non riconoscere. La osserva per qualche attimo, resa opaca dalle lacrime che tornano ad offuscare la vista, e poi abbassa gli occhi alle proprie mani.
- Non ho freddo … - mormora con voce incerta.
E la risposta non si fa attendere – Lo so, Oscar. Ma credo che ti faccia bene ugualmente … -
Vorrebbe rifiutare, dirgli di allontanarsi, ma un brivido percorre il suo collo scoperto e scende fra le scapole spigolose, e l’aria fresca della notte le restituisce l’immagine limpida della sua schiena esposta, delle sue spalle appena celate dalla stoffa sottile. Inarca un poco la schiena, avverte la seta sollevarsi dalla pelle, lasciando che la notte si insinui come una carezza leggera.
Torna a voltarsi, a cercare la mano e la trova ancora ferma ad un palmo dal suo viso. Solleva lo sguardo dalla mano, segue il braccio e le volute della manica che brillano della luce notturna, scivola dalla spalla fino al collo, e poi allo smeraldo dei suoi occhi; di lì non si muove. Si morde le labbra, esita un istante e poi toglie una mano dal bordo della fontana per afferrare la giacca. Se la accomoda con gesti rapidi su una spalla, mentre lui la sistema sull’altra.
Allora torna ad abbassare lo sguardo, cercando furtivamente la propria immagine e scorgendola nel riflesso tremolante sull'acqua. Si osserva, si asciuga una lacrima strofinando il dorso della mano sulla guancia.
Torna ancora a quella visione incerta, che le pare ora le assomigli almeno un poco. Si guarda negli occhi, segue le volute capricciose dei capelli, le ciocche che lambiscono la fronte, le tempie e le spalle ora coperte.
Socchiude gli occhi e quando li riapre riesce a scorgere la figura di lui, ferma alle sue spalle, e, sul suo viso apparentemente tranquillo, l’ombra di un sorriso triste e caldo, appena accennato.
Non ha bisogno di parole …
Con un gesto istintivo infila le braccia nelle maniche della giacca e si stringe i lembi sul petto, sovrapponendoli e stringendosi nel tessuto appena ruvido che la avvolge, in un abbraccio rassicurante e caldo, di cui ora riconosce di aver bisogno. Inspira profondamente, chiude gli occhi e lo deve ammettere: si sente già meglio.
Si volta di nuovo a cercarlo, si solleva rapida dal marmo freddo della fontana e infila il proprio braccio tra il gomito e il fianco di lui, stringendolo energicamente.
In effetti, aveva ragione: lei non aveva freddo, ma con la giacca si sente davvero bene.


 
  
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