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Autore: Addison_ Sophia    21/12/2008    2 recensioni
Soffiò leggermente nella tazza e bevve a piccoli sorsi la camomilla che si era preparata alle 4 di mattina. Erano arrivate a Seoul da tre giorni, e Adrienne, a differenza della sua coinquilina, non riusciva ad adattarsi al fuso orario. Si guardò intorno, l’appartamento era ancora pieno di scatoloni[...]
Genere: Romantico, Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dunque, due paroline su questa storia.
E' un'originale scritta a quattro mani da Addison e Sophia_S, su cui lavoriamo ormai da molto tempo. E' ambientata a Seoul, in Korea del Sud; i personaggi hanno comunque dei nomi semplicissimi da leggere. Come potete immaginare, ci sono alcune cose che cambiano dallo stile di vita occidentale a quello orientale, ma non vi preoccupate, tutto sarà spiegato a dovere.
Abbiamo messo qua e là qualche fanart, rappresentanti delle scene della storia, con i volti degli attori che immaginiamo somiglianti a quelli dei protagonisti. Per il momento conoscerete i personaggi femminili, mentre nel secondo capitolo avranno spazio i personaggi maschili.
Vi auguriamo quindi una buona lettura!
Giulia e Sara

Chapter 1

The Beginning


Soffiò leggermente nella tazza e bevve a piccoli sorsi la camomilla che si era preparata alle 4 di mattina.
Erano arrivate a Seoul da tre giorni, e Adrienne, a differenza della sua coinquilina, non riusciva ad adattarsi al fuso orario.
Si guardò intorno, l’appartamento era ancora pieno di scatoloni, e pensò che non sarebbero mai riuscite a mettere tutto a posto.
Prese una rivista che sporgeva dalla borsa dell’amica e iniziò a sfogliarla.
Era così intenta a leggere un articolo su degli artisti, che non si accorse che la ragazza era entrata in cucina.

“Adrienne”, bisbigliò Clemence, con la voce ancora impasta dal sonno.

“Clem! Mi hai fatto prendere uno spavento!” replicò la bionda, portandosi una mano all’altezza del cuore.

“Non pensavo di essere così orribile senza trucco.” rispose l’altra, sbadigliando.

“Spiritosa. Ti preparo la camomilla.” La ragazza si alzò e mise sul fornello il pentolino con l’acqua.

“Grazie, ne ho bisogno; anche se prima che mi addormenti ci vorrà un po’.” Sbadigliò nuovamente e si sedette.

“Cosa leggevi?” Prese la rivista e si stropicciò un occhio.

“Mhm, questo non è quel gruppo che tu ascolti sempre?” Si voltò verso l’amica, la quale annuì.

“Non so come cantino, ma sono uno peggio dell’altro; soprattutto questo al centro, ma perché non si taglia i capelli?”

“Scherzi?!” Adrienne le tolse velocemente la rivista dalle mani. “Secondo me, stai ancora dormendo. Non mi puoi smontare così Evan. Lui è… è semplicemente lui. Se lo incontrassi per strada non so cosa gli farei!” disse con voce sognante, stringendo forte la rivista.

“De gustibus.” Clemence scrollò leggermente le spalle e si diresse verso il salotto.

L’altra le si avvicinò e posò la testa sulla sua spalla, mentre lei si mise le mani sui fianchi.

“Adrienne, sai che non riusciremo mai a mettere in ordine la casa, vero?”

La bionda sospirò, lanciando un’occhiata sconsolata al salotto.

* Flashback *

Clemence era emozionata, lo si poteva capire dal fatto che non aveva mai smesso di parlare neanche per un secondo da quando erano atterrate; il che significava che stava discorrendo da quasi un’ora, visto che le loro valigie ancora non erano arrivate.
Sorrise e la guardò, mentre stava leggendo ad alta voce un volantino preso chissà dove.
Socchiuse leggermente gli occhi e pensò a quanto la loro vita sarebbe cambiata.
Entrambe erano riuscite a partire per l’anno sabbatico e avrebbero passato due anni dall’altra parte del mondo.

“Sono uscite le nostre valigie!”

La voce di Clemence la richiamò nel mondo reale.
Le loro madri si erano conosciute al liceo e dal quel momento erano rimaste sempre in contatto.
Lei, era più grande l’amica di due anni, ma a volte sembrava che fosse quella più piccola.
Non c’era una foto del suo album personale in cui la ragazza non ci fosse.
Ogni momento importante lo condivideva con lei; le confidava ogni suo timore, era la sorella che non aveva.
Erano come un paio di scarpe, senza l’una, l’altra era inutile.

“Bionda, ti sei imbambolata? Aiutami a prendere la mia valigia.”

“Agli ordini.” Si avvicinò al nastro trasportatore, afferrò il bagaglio e lo sollevò.

Mancavano ancora quattro valigie. Clemence aveva la tendenza a portarsi l’intera camera quando viaggiava.

“Adrienne!” esclamò, guardandola. “Finalmente siamo arrivate! Ma ti rendi conto? Cioè, è da una vita che lo sogniamo e ora... ora è diventato realtà!”



La ragazza in quel momento non era solo emozionata, era elettrizzata, le brillavano gli occhi.
Adrienne le sorrise e prese anche la seconda valigia.
Si abbracciarono e Clemence iniziò a salterellare ridendo come una matta. Ora era al culmine del suo entusiasmo.
Le ultime valigie uscirono insieme, le sistemarono sui carrelli e si diressero verso l’uscita.

“Però, sai cosa ci manca?” domandò la più giovane, spingendo con fatica il suo carrello.

“Cosa?”

“Due bei ragazzi. A quest’ora non saremmo qui a spingere questi cosi!” Si fermò un istante e poi riprese a camminare.

“Se non avessi portato tre valigie, dopo che abbiamo già spedito cinque pacchi qui, non faresti tutta questa fatica. Comunque pensa che questo fa tutto parte dell’avventura.” disse Adrienne.

“Magari, nella tua concezione di avventura, perché nella mia, io faccio avanti e indietro con i mezzi pubblici.”

Rabbrividì leggermente al pensiero di non avere a disposizione la macchina.
La bionda le diede un piccolo buffetto di incoraggiamento e varcarono insieme l’uscita.
Una nuova vita sarebbe iniziata per entrambe.

*Flashback*

~

“Lia, sbrigati o farai tardi!” esclamò Joy, avviandosi alla porta d’ingresso.

La ragazza si affrettò a uscire dalla stanza e le si avvicinò. Indossava l’uniforme scolastica e si stava ancora legando i lunghi capelli castani.
Non appena salirono in macchina, accese la radio e iniziò a canticchiare.

“Sei contenta che la scuola sia ricominciata?” Le chiese la sorella, voltandosi leggermente verso di lei.

“Per niente, l’unica cosa positiva è che rivedrò i miei amici.”

“E’ importante avere degli amici su cui fare affidamento. Buona giornata Lia, ci sentiamo dopo.”

La studentessa le stampò un bacio sulla guancia e scese dalla macchina.
Si fermò di fronte al semaforo rosso e picchiettò le dita sul volante.
In quel frangente passarono molte persone, tra studenti, impiegati e signore anziane; una persona più alta rispetto alla media, attirò l’attenzione di Joy.
Era un ragazzo. La sua camminata, il portamento, erano perfetti per un modello.
La giovane si sporse in avanti per vederlo meglio, ma purtroppo aveva già attraversato.
Parcheggiò la vettura nel garage dello studio fotografico, dove doveva incontrare degli agenti, e scese velocemente.

“Wow, lei si che è una bomba!” Commentò un ragazzo che stava aspettando l’ascensore con lei. Dietro di lui, una ragazza lo colpì sulla spalla; doveva essere la fidanzata.

Joy scosse leggermente la testa, abbassando lo sguardo; ormai ci era abituata.
Quando passava, sentiva i giovani che parlavano di lei e dall’altra parte, le rispettive ragazze che la maledicevano.
Il campanellino suonò quando lei entrò nello studio. Heejin, la segretaria, la salutò con un sorriso, che lei ricambiò, ma sapeva quanto in realtà fosse falso.
Una nuova ragazza, con un paio di occhiali grandi e i capelli legati in uno chignon, le passò accanto e sbadatamente fece cadere un libro.
Joy lo raccolse: “Tieni.” Le porse l’oggetto e le sorrise.
L’altra bisbigliò un ‘grazie’ e se ne andò velocemente.
Si sedette sui divani neri del corridoio, aspettando che Heejin le facesse cenno di entrare nell’ufficio del capo.
Prese una rivista lì a fianco e iniziò a sfogliarla, sapeva che sarebbero passati circa 30 minuti prima che potesse parlare con Mr Kim.
Il campanellino continuava a suonare, rilevando la presenza di molte persone; era un via-vai continuo in quello studio, ma lei non prestava particolare attenzione a tutto ciò.
Il cellulare squillò e la ragazza rispose, senza neppure controllare chi fosse.

“Pronto?” chiese, continuando a sfogliare il giornaletto con una mano.

“Joy! Sono io, Eve.” rispose l’interlocutore.

“Ciao sorellina, cosa posso fare per te?”

“Sono dalle parti del tuo studio. Volevo chiederti dov’eri, così ci incontriamo e magari mi offri una bella tazza fumante di caffè.”

“Certamente, poi voglio sapere dove sei stata tutta la notte.”

“Okay! A dopo.”

“Eve, però io ci metterò un pochino, ti richiamo io.”

“Va bene, vorrà dire che mi darò allo shopping, bacio.”

“Bacio.” Pose nuovamente il cellulare nella tasca e riprese a leggere la rivista.

~

Quel giorno, faceva più freddo del solito a Seoul.
Nascose le mani nelle tasche del cappotto viola, nonostante fossero già coperte dai guanti di lana.
Alzò il viso verso il cielo, fissando il manto bianco sopra di lei. Tra qualche minuto, probabilmente, sarebbe scesa di nuovo la neve.
Riprese a camminare, osservando senza entusiasmo i negozi del centro.
Sospirò. La voglia di fare shopping era completamente scomparsa, e naturalmente, chi ne era la causa?
Lui.
Jay, il suo ex ragazzo.
Si erano lasciati da qualche settimana. Be’, in verità, era stata soprattutto lei a voler chiudere.
In quel momento voleva solo pensare a laurearsi e a costruirsi una carriera nel mondo del design, il suo sogno sin da quando era una ragazzina; e una relazione seria era l’ultima cosa di cui voleva occuparsi. Perciò, aveva preferito finirla lì.
A quanto pareva, però, Jay non aveva ancora digerito la rottura, e non perdeva occasione per discutere con lei.
Tirò un altro sospiro ed entrò in un bar, forse una buona cioccolata calda l’avrebbe tirata su di morale.
Si avvicinò a un tavolino libero accanto alle vetrate - le piaceva guardare il via vai di persone che affollavano le strade della città, in particolare notò una bambina, che sorridente stringeva la mano a un uomo, forse troppo giovane per esserne il padre - quando, a qualche tavolo di distanza, notò una testa rossa familiare.

“Joy!” esclamò.

La ragazza alzò il viso, sentendo pronunciare il suo nome, e sorrise quando la riconobbe.

“Ciao, Tif!”

La salutò con un bacio sulla guancia e Tiffany le si sedette di fronte.

“Come stai?” le chiese.

“Bene, e tu? Stavo aspettando mia sorella.”

“Bene, più o meno. Ero venuta a fare un po’ di shopping, ma...” esitò, indecisa se parlare o meno.

“Ma...” insistette l’altra.

“Ho incontrato Jay”, mormorò. “E puoi immaginare cosa sia successo.”

Joy la guardò con aria dispiaciuta, stringendo le labbra sottili.

“Avete di nuovo litigato?” chiese.

“Già, sono stanca di queste discussioni.”

Tiffany sbuffò e appoggiò il mento ad una mano.
Una ciocca di capelli le cadde davanti al viso e l’amica gliela spostò dietro l’orecchio, con un gesto gentile.

“Vedrai, prima o poi gli passerà.” le sorrise, rassicurante.

L’altra alzò un sopracciglio biondo, guardandola scettica, attraverso gli occhi verdi.

“Non lo conosci abbastanza, è così orgoglioso e testardo. Non la smetterà finché non mi avrà ferito in qualche modo.”

E forse, lo stava già facendo. Non riusciva a togliersi quello sguardo sprezzante dalla mente.
Joy le prese una mano tra le sue, continuando a sorriderle dolcemente.

“Lo sai che io ci sono, vero?”

Tiffany le sorrise.

“Lo so.”



~

Chiuse la porta di casa e chiamò l’ascensore, picchiettando il piede a terra in segno di nervosismo. Detestava dover aspettare e abitare al 14esimo piano non aiutava affatto.
Arrivata nel garage, si affrettò a salire sulla vettura e sfrecciò via sulla sua Suzuki Ancel Lapin.
Si fermò davanti al semaforo e si guardò allo specchietto retrovisore, sistemandosi i capelli; quando inserì la prima, la macchina fece un rumore sordo e partì a singhiozzi.
Era quello il motivo per il quale Hazel si rifiutava di salire sulla sua automobile.
Sospirò e rallentò un poco, subito sentì gli automobilisti suonare il clacson. Sbuffò e riuscì finalmente a mettere la terza, ma lo strano rumore continuava a persistere.
Non voleva ammettere che suo fratello e Hazel avevano ragione: era ora di cambiarla.

“Ha ancora il cambio manuale!” Aveva sempre commentato l’amica, guardando la macchina con una smorfia. Le aveva detto che preferiva prendere i mezzi pubblici, piuttosto che diventare sorda.

La verità era che teneva molto a quell’auto: la guidava da quando aveva preso la patente, quattro anni prima.
Purtroppo, però, non era nelle migliori condizioni, e il costo delle varie riparazioni in quegli anni, ammontava a una cifra superiore al prezzo della vettura stessa.
Inserì la freccia e all’incrociò svoltò a destra, ma il rumore si fece più forte e la macchina si bloccò all’istante.
Tentò di riaccendere il motore, ma ogni volta si spegneva.
Scese velocemente dalla vettura e iniziò a spingerla per rimuoverla dall’incrocio, nel frattempo si era formata una coda dietro di lei.
Spostarla si era dimostrato un compito più difficile del previsto, ma fortunatamente un ragazzo le si avvicinò e l’aiutò.
Quando sgomberarono la strada, Hana si girò a ringraziarlo, incrociando due occhi blu.

“Grazie mille, senza il tuo aiuto non ce l’avrei fatta.” Gli porse la mano, in segno di gratitudine.

“Figurati”, rispose il giovane in perfetto coreano. “Non me ne intendo molto, ma penso proprio che il tuo motore sia completamente fuso, a giudicare dal fumo che esce.”

La ragazza sospirò, guardando il cofano della vettura, e istintivamente portò una mano sul tetto e l’accarezzò, come se fosse un cucciolo.
Frugò nella borsa in cerca del cellulare, compose il numero del carro attrezzi- che ormai conosceva a memoria- e gli diede le coordinate.

“Grazie ancora, tra una decina di minuti dovrebbero arrivare.” Sorrise al ragazzo e si infilò le mani nelle tasche del giubbotto, tirava un’aria gelida.

“Prego. Se vuoi aspetto con te. A proposito, io sono Logan.” Si presentò lui, e allungò la mano.

“Piacere di conoscerti, mi chiamo Hana. Non c’è bisogno che tu rimanga, ormai sono abituata a questi tipi di incidenti, ultimamente capitano troppo spesso.”

“Credo che sarebbe meglio se la cambiassi.” Osservò il giovane, guardando la vettura che non aveva proprio l’aria di essere sicura.

“Non sei il primo a dirmelo.” rispose sconsolata. Forse era davvero arrivato il momento.

Il cellulare squillò e la ragazza si affrettò a rispondere.

“Hana, ma dove sei?” chiese subito l’interlocutore.

“Sono…”

“Oh mio Dio! Non dirmi che sei in mezzo alla strada perché ti si è fermata la macchina?!”

“Esattamente.”

“Beh, forse ora ti convincerai a cambiarla.”

“Grazie per il suggerimento”, commentò Hana ironicamente. “Sono a un paio di isolati dal centro commerciale, aspetto che portino via l’auto e prendo un taxi. Tra una ventina di minuti dovrei arrivare.”

“Bene, a dopo allora. Anzi no! Ci vediamo davanti alla concessionaria d’auto.”

“Hazel!” esclamò indignata. “Non è ancora la sua ora.”

“No, infatti. Doveva essere un paio di mesi fa.”

“Aspettiamo almeno cosa dice il meccanico.” Cercò di persuaderla, ma sapeva che era un tentativo vano.

“Hana, non vorrai sprecare altro denaro, vero? Ti conviene comprarne una nuova.”

“Okay, okay. A dopo, allora.” Chiuse lo sportellino del cellulare e fece una linguaccia all’aggeggio, che in realtà era rivolto all’amica.

Logan ridacchiò e volse lo sguardo altrove, in quel momento arrivò il carro attrezzi e in dieci minuti caricarono l’auto.

La giovane sospirò e si rivolse al ragazzo che l’aveva aiutata. “Grazie mille per tutto.”

Lui le sorrise e si allontanò, voltandole le spalle.

~

Era seduta nella caffetteria della concessionaria aspettando Hana, che tardava ad arrivare. Controllò nuovamente l’ora sul cellulare e mangiò un pasticcino alla cremao.
La cosa migliore da fare nelle giornate d’inverno, era starsene seduti in un bar con una bella tazza fumante di caffè e dei dolcetti.

“Eccomi. Scusa il ritardo, ma i taxi erano tutti occupati, così ho dovuto prendere l’autobus.” Si scusò Hana appena arrivò, dando una leggera pacca sulla spalla all’amica.

“Non ti preoccupare. Finisco il caffè e andiamo a comprare la tua nuova auto!” disse entusiasta Hazel e si affrettò a finire la bevanda.

L’altra alzò un sopracciglio e la guardò leggermente di sbieco; ancora non riusciva a credere che fosse già arrivato il momento di dire addio alla sua Suzuki.

“Coraggio Hana, le faremo un bel funerale, così tutte le macchinette in paradiso invidieranno la tua Suzy.” Scherzò amabilmente l’amica, beccandosi un pugnetto sul braccio.



La prese sottobraccio e scesero nel salone dove le varie automobili erano esposte.

“Allora, quale ti piace?”

“Mhm, non saprei.”

“Guarda, questa è adorabile!” Hazel le lasciò il braccio e si sedette sul posto guida di una Mini Cooper decapottabile. Poggiò entrambe le mani sul volante, e fece finta di guidarla.

“Prendiamo questa, prendiamo questa!” esclamò contenta, guardandola con occhi speranzosi.

“Saresti disposta a venire in macchina con me se compriamo la Mini?” chiese Hana, sorpresa.

“Certo, era della macchina che avevo paura, non della tua guida.”

La ragazza si alzò di scatto e si mise seduta su una nuova macchina, facendo l’operazione di prima. Questa volta era una Kia Picanto rossa fiammante.
Hana non fece in tempo a raggiungerla, che la ragazza già si era accomodata in un’altra auto, questa volta era una Jeep.

“Scusa, ma tu sei la sorella di Evan, giusto?” le chiesero due ragazze timidamente.

Lei si girò e annuì, ma fortunatamente l’amica la raggiunse e la portò via.
Era difficile essere la sorella maggiore di Evan Park: aveva migliaia e migliaia di fan, e nonostante non si assomigliassero, le ragazzine riuscivano sempre a riconoscerla.

“Ho trovato la macchina perfetta: ta-dan!” Hazel spalancò le braccia, indicando la vettura davanti a loro. Era una Matiz nuova di colore blu.

“Mhm, questa è carina, ma…”

“Non potrai mai dimenticare la tua Suzy, lo so, lo so.”

“Ma ti prometto che un pensierino su questa ce lo faccio!” Promise, e le stampò un bacio sulla guancia.

Il suo umore era migliorato, quella lunga serie di eventi stava per volgere al termine e finalmente la giornata sarebbe proseguita più tranquillamente.

“Hana, corri! Questa macchina è più che p-e-r-f-e-t-t-a!” esclamò Hazel dall’altra parte della sala.

La ragazza sgranò gli occhi, non si era neppure accorta se n’era andata. Forse quella giornata non sarebbe mai finita.

~

“Adesso, mettete un po’ d’olio e friggete il pollo.”

Alicia prese la bottiglietta dell’olio e la osservò attentamente: esattamente, quanto ne avrebbe dovuto utilizzare?
Alzò le spalle, sicuramente era meglio abbondare, piuttosto che metterne troppo poco.
Si sedette su uno sgabello alto, e poggiò i gomiti al bancone in marmo della cucina.
Sorrise; di solito era una frana nel cucinare, non ci era proprio portata, tuttavia sentiva che stavolta sarebbe riuscita a tirare fuori qualcosa di buono.
Voleva preparare la cena con le sue mani, era dalle 18.30 che era sintonizzata sul canale di cucina.
Dopo qualche minuto, la voce della cuoca proveniente dal televisore, attirò nuovamente la sua attenzione.

“Togliete il pollo dalla friggitrice, conditelo, e infine servitelo in tavola assieme al riso.”

Riso.
Quando udì quella parola, spalancò gli occhi, incredula: si era dimenticata del riso.
Corse verso i fornelli, sollevando il coperchio della pentola. Assaggiò qualche chicco con un cucchiaio, e la sua faccia assunse un’espressione schifata.

“Oh, come ho potuto essere così sbadata?” Si lamentò.

Era completamente scotto, probabilmente neppure i cani randagi lo avrebbero mangiato, tanto era divenuto appiccicoso.
Be’, forse il pollo sarebbe bastato per quella sera, si disse, se solo nel frattempo, non si fosse bruciato.
Lo tolse velocemente dalla friggitrice, osservandolo con occhi lucidi.
Prese un coltello e iniziò a tagliarlo a metà, sperando che all’interno fosse ancora buono. Quasi le venne da piangere, quando constatò che dentro era rimasto crudo.
E adesso, che cosa avrebbe preparato? Tra poco Henry sarebbe tornato e inoltre, non aveva più ingredienti sufficienti per iniziare da capo a cucinare.
Qualche minuto più tardi, infatti, sentì scattare la serratura della porta di casa.

“Alicia, ci sei?” chiese una voce maschile.

“Sono in cucina.” rispose lei, con tono incerto.

L’uomo la raggiunse nella stanza e guardò con aria preoccupata il caos che vi era.

“Che cosa è successo qui?”

La ragazza lo guardò con occhi innocenti, mordendosi il labbro inferiore.

“Be’, volevo preparare una cenetta speciale per stasera, ma...” Lo guardò, senza continuare.

La fissò anche lui, con un sorriso divertito sulle labbra.

“Ehi, non guardarmi in quel modo!” esclamò lei, sbuffando.

Henry soffocò le risate, tornando serio, ma un lampo di divertimento restava nei suoi occhi.

“Ordiniamo qualcosa?” propose.

“Forse è meglio.” sussurrò la ragazza, prima di scoppiare a ridere.



To be continued...
  
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