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Autore: Ode To Joy    06/04/2015    5 recensioni
REWRITING in Progress
[Kageyama x Hinata]
[Iwaizumi x Oikawa]
[Daichi x Suga]
"Ti racconto una cosa: quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno gli rimane accanto per tutta la vita."
In un mondo la cui storia è scritta da continui giochi di potere tra principi e re, due regni continuano a scontrarsi senza che vi sia mai un vincitore.
"C'è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo, è un Re sconfitto in partenza."
In un mondo in cui si può solo perdere o vincere tutto, alle volte è utile ricordare che anche il più grande avversario può divenire il più forte degli alleati.
"Alla fine, il Re più potente è sempre quello con a fianco più compagni disposti a seguirlo fino alla fine."
[Medieval+Fantasy -AU]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Koushi Sugawara, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Raven Crown '
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1
Di Demoni e Cavalieri

 



C'era una volta, molte stagioni prima...


“Il princ-princi…” Il piccolo Demone sbuffò, frustrato. “Questa parola è difficile, mamma!”

La Regina si allontanò dalla finestra con un sospiro stanco. “No, non è difficile.” Si sedette accanto al figlio, aggiustandosi la lunga gonna dell’abito nero sulle gambe. “Sei perfettamente in grado di leggerla, devi solo smetterla di arrenderti alla prima difficoltà. Riprova.” Passò l’indice sotto la parola incriminata, aiutando il bambino con la pronuncia. “Insieme: prin-

“Prin-”

“Ci-”

“Princi-pio.” Gli occhi scuri del Principe s’illuminarono. “Principio!”

La sovrano gli posò un bacio tra le piccole corna. “Bravissimo, Tooru. Continua.”

Il bimbo prese un respiro profondo, afferrando il grande libro con entrambe le mani. “Il principio fu la magia,” ripeté la frase due volte, ma non riuscì a comprenderne il significato. “Che vuol dire, mamma?”

La Regina incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò il mento. “Vuol dire che la magia ha dato inizio al nostro mondo, amore mio. Se tu sei nato, è proprio grazie a essa.”

Tooru non ne era convinto. “La balia mi ha detto che i bambini nascono dall’amore.”

Gli occhi della Regina si fecero tristi, ma fu svelta ad alzarsi per nasconderlo a suo figlio. “Sì, immagino che per gli altri sia così.” Si avvicinò allo scaffale pieno di libri, passando gli occhi blu sui titoli per trovare qualche volume utile alla loro lezione. 

Tooru si voltò a osservarla. “Che vuoi dire?”

Sua madre gli rivolse un sorriso forzato da sopra la spalla. “Voglio dire che i bambini che avrai nasceranno da te e dall’amore della tua vita.”

Era ciò che sperava di più per suo figlio, qualcosa che lei non aveva mai conosciuto.

Tooru scese dalla sedia, affiancandosi a lei. “Mio padre era l’amore della tua vita?”

Per lei, il giorno in cui avevano celebrato il funerale del suo Consorte era stato più felice di quello del loro matrimonio. In quanto unica erede al trono del Regno di Seijou, il consiglio aveva preteso solo una cosa da lei: un erede. Per averlo, le avevano imposto uno sposo bellissimo e crudele. Il giorno in cui era caduto in battaglia era stato lo stesso in cui era tornata a respirare.

“Mamma?”

La Regina guardò l’unica creatura a cui era mai appartenuto il suo cuore. Non poteva dirgli la verità - Tooru non meritava quel peso - ma gli doveva comunque una risposta. S’inginocchiò per guardare il suo Principe in quei grandi, profondi, occhi scuri. Le assomiglia in tutto, tranne che in quel piccolo particolare. Per sua fortuna, non era un’eredità di suo marito ma di suo padre, il Re Demone che l’aveva preceduta. Lo stesso sovrano nobile e valoroso di cui il suo bambino portava il nome.

“Tu sei l’amore della mia vita, mio Principe,” dichiarò la sovrana.

Tooru sorrise, orgoglioso di se stesso.

“Vai, continua a leggere.”

Il piccolo Principe ubbidì e riprese i suoi studi con entusiasmo. “La magia si può mani-manif-”

“Manifestare,” lo aiutò la Regina.

“La magia si può manifestare in varie forme… Attribu-buendo a ogni individuo talenti unici e irripetibili.”

“Questo non è del tutto vero,” intervenne la sovrana, afferrando un nuovo libro e tornando accanto al figlio. “Nel nostro caso, la magia ha attribuito le stesse doti a un intero popolo. Per questo Seijou è un Regno di Demoni, Tooru. Tutti noi siamo dotati di corna, per esempio. Il nostro corpo è più forte di quello di un comune essere umano. Ferite, malattie, il passare del tempo… Noi li affrontiamo in maniera diversa.”

“E perché proprio io sono il Principe Demone?”

“Perché tu discendi da una dinastia più antica delle altre. Grazie alle tue origini, nel tuo sangue c’è più magia di quello di chiunque altro in queste terre.” La Regina aprì il libro tra su di un’antica mappa. “In principio, molto tempo fa, queste terre erano dominate dai Signori dei Draghi,” raccontò, indicando la catena montuosa a nord. “Non ci è arrivato molto delle loro famiglie, ma sappiamo che regnavano da qui.”

“Quelle montagne segnano il confine estremo di quasi ogni regno. Perché nessuno riesce a conquistarle?”

“Diciamo che sono difficili da esplorare senza due ali forti e grandi, Tooru.”

“Ma continuiamo a respingere barbari che vengono da là.”

“Tribù. Popoli divisi dalla crudeltà delle terre in cui sono nati, incapaci di creare un regno unificato… Ma ora lasciami finire la storia.”

Tooru chiuse la bocca e rimase in ascolto.

“Ricordi chi si è ribellato all’oppressione dei Draghi?”

“I Demoni.”

“E chi altro?”

“Quelli capaci di trasformarsi in uccelli.”

La Regina rise. “Qualcuno li chiama mutaforma, io preferisco Spiriti della Natura. In fin dei conti, attraverso loro, la magia della terra ha avuto la sua massima espressione.”

Tooru storse il naso. “Sono diversi dai Demoni perché hanno le ali al posto delle corna?”

Sua madre scrollò le spalle. “Ammetto di non averne mai visto uno, ma tre di loro parteciparono alla guerra contro i Signori dei Draghi. Ricordi cosa è accaduto ai generali di quelle tre armate?”

“Sono divenuti i capostipiti delle dinastie di Shiratorizawa, Fukurodani e Karasuno,” rispose Tooru, indicando i tre regni segnati sulla carta. “Mentre i due generali Demoni divennero i fondatori del Regno di Seijou e del Regno di Nekoma,” aggiunse.

“Bravissimo,” lo lodò sua madre.

“E l’arcipelago di Dateko?” Domandò il Principe, indicando le uniche isole presenti sulla mappa, in direzione ovest.

“Dateko è un regno di uomini,” spiegò la Regina. “Sì, gli esseri umani combatterono nella guerra, ma a loro non venne riconosciuto un granché.”

Tooru cadde in uno stato di profonda riflessione e per un paio di minuti non parlò. “Ma se Tetsuro di Nekoma ha le corna, allora Wakatoshi di Shiratorizawa ha le ali?”

Sua madre gli sorrise, paziente. “Nei secoli, la magia si è dispersa, Tooru. Vi sono ancora creature che ce l’hanno nel sangue in questo mondo, spesso sono gli unici della loro famiglia a essere stati baciati dal destino. Questi possono essere Maghi, oppure Omega… Per quanto ne so, nessuno degli eredi degli Spiriti della Natura possiede delle ali da molto tempo.”

“Uhm…” Tooru s’imbronciò. “Peccato.”

“Quindi, con la fondazione dei regni di cui abbiamo parlato, che cosa è accaduto?” 

“Si sono formati i Regni Liberi,” rispose Tooru. “Suddivisi in cinque Regni Maggiori - Seijou, Shiratorizawa, Nekona, Fukurodani e Karasuno - e diversi Regni Minori, tra cui Dateko.”

La Regina gli posò un bacio tra i capelli. “Benissimo, amore mio.”

Tooru studiò la mappa sotto i suoi occhi con sguardo critico. “Mamma?”

“Dimmi, tesoro.”

“Sarà uno di questi Principi a divenire l’amore della mia vita?”

Fu una domanda innocente, ma colpì la Regina dritta al cuore. Posò gli occhi blu su quella mappa e ripensò a tutti i piani dinastici che le erano stati proposti da quando era nato il suo bambino. Qualcuno diceva Tetsuro di Nekoma, per mantenere puro il sangue di Demone della dinastia reale. Qualcun altro, Daichi di Karasuno: un’offerta di pace dopo che il Re dei Corvi e il Consorte della Regina Demone erano caduti sullo stesso campo di battaglia. I più, quelli che contavano davvero, indicavano come candidato migliore Wakatoshi di Shiratorizawa, il regno più grande tra quelli liberi.

E tra tutti quei giochi di potere, la Regina voleva che Tooru conoscesse l’amore, quello che a lei era stato negato.

Bussarono alla porta e la lezione finì lì.

Una fanciulla della servitù si presentò con un inchino. “I Cavalieri sono tornati con ciò che cercavate, Maestà.”

La Regina sorrise, sollevata. “Vieni, Tooru,” prese per mano il suo Principe. “Ho una sorpresa per te.”




 

La prima volta che Hajime vide Tooru, prestò poca attenzione ai grandi occhi marroni che lo fissavano entusiasti, ma non riuscì proprio a staccare lo sguardo dalle due piccole corna nere sulla sua testa.

Aveva sei anni ed era nato con la sfortuna di essere un comune bimbo umano in un regno di Demoni. Quella era la prima volta che ne vedeva uno da vicino.

“Hajime.” La Regina pronunciò il suo nome con un sorriso dolce, che gli ricordò la sua mamma. “Avvicinati, non aver paura.” 

Assicurandosi di tenere gli occhi verdi fissi sul pavimento di pietra, il bambino fece tre passi. Non vide la sovrana alzarsi in piedi, ma sentì il frusciare del suo vestito mentre scendeva i gradini del Trono Nero. Quando s’inginocchiò di fronte a lui, Hajime non poté evitare di guardarla. Era bella, i suoi occhi erano dello stesso colore del cielo poco prima del sorgere del sole e i lunghi capelli le ricadevano sulle spalle con eleganza. Anche le sue corna erano nere, più grandi, ma Hajime non ne ebbe paura. 

La sovrana gli accarezzò il viso con dolcezza e il bimbo seppe che non aveva nulla da temere.

“Dove lo avete trovato?” Domandò ai due Cavalieri che lo avevano scortato nella sala del trono.

“Lavorava per una famiglia di contadini,” rispose uno dei due soldati. “Sono stati ben lieti di venderlo.”

La Regina non fu felice di sentire quella storia. “Era la tua famiglia?” Domandò, rivolgendosi a lui.

Hajime scosse prontamente la testa. 

“Dove sono i tuoi genitori, piccolo?”

Il bimbo strinse i pugni e abbassò lo sguardo. Non voleva piangere di fronte alla Regina di Seijou.

“La famiglia che lo aveva in custodia ci ha detto che sono morti entrambi lo scorso inverno, a causa dell’epidemia di tosse,” disse il secondo Cavaliere. “Si era ammalato anche lui, ma è sopravvissuto.”

“Capisco…” Mormorò la sovrana. Prese il viso del bambino tra le mani, invitandolo a guardarla negli occhi. “Sei sopravvissuto a un destino crudele, Hajime. Questo fa di te un guerriero. Non abbassare la testa di fronte a nessuno.”

Sebbene il pianto gli chiudesse la gola, il bambino annuì. Quegli occhi verdi si fecero fieri, insolitamente adulti. 

La Regina sorrise soddisfatta. “I miei Cavalieri ti hanno trattato bene?”

“Sì, mia signora.” Hajime parlò per la prima volta.

“Hai avuto paura?”

“Un po’?”

“E adesso?”

“Ho freddo, Maestà,” rispose il bambino con sincerità.

“Lo capisco.” La Regina gli passò una mano tra i neri capelli ribelli. “Temo dovrai farci l’abitudine. Ti prometto che qui non soffrirai mai per la fame o per la troppa fatica, ma è difficile riscaldare queste mura di pietra.”

Hajime aveva solo sei anni e non riuscì a comprendere l’avvertimento nascosto in quelle parole. 

Stanco di essere messo in disparte, il Principe saltellò lontano dal Trono Nero. “Ciao!” Esclamò con entusiasmo, affiancandosi alla madre. “Hai un nome strano, puoi ripeterlo?”

“Tooru, sii gentile,” lo rimproverò la Regina.

“Hajime Iwaizumi,” rispose il piccolo umano, stando attento a scandire bene ogni sillaba.

Tooru storse la bocca in una smorfia. “Hajime Iwa-Iwai...” Scosse la testa. “Non importa, ti chiamerò Iwa-chan!”

Hajime sgranò gli occhi verdi. “Eh?”

Tooru annuì con entusiasmo. “Sì, Iwa-chan!” Ripeté, afferrando la mano del bambino appena arrivato. “Da oggi, Iwa-chan, sei tutto mio!”

Se avesse dato retta all’istinto, Hajime gli avrebbe dato un pugno per cancellare quell’espressione felice dalla sua faccia. 

“Con rispetto, Tooru,” intervenne la Regina, per nulla divertita. “Hajime è una persona, non un giocattolo. Da oggi, riceverà la tua stessa educazione. Sarà un tuo pari in tutto e per tutto, a dispetto di qualsiasi corona.”

“Ho capito, mamma,” disse Tooru con determinazione, quasi che gli fosse stata affidata una missione importante. “Da oggi, io e Iwa-chan saremo amici.”

Hajime lo guardò storto. “Non lo so se voglio essere tuo amico.”

“Non essere rude, Iwa-chan!”

“Mi chiamo Hajime!”

La Regina posò una mano sulla guancia del figlio e sulla spalla dell’altro bambino. “La mia speranza è che impariate a volervi bene,” disse. “E che riusciate a prendervi cura l’uno dell’altro.”




 

Hajime non seppe mai perché toccò proprio a lui.

Il Regno di Seijou era pieno di bambini umani - orfani o meno - che vivevano vite miserabili. Alcune forse lo erano più di quella da cui era stato salvato.

“Perché io?” Questa domanda lo accompagnò per tutto il suo primo anno al Castello Nero. Non osò mai rivolgerla a Tooru, né tantomeno alla Regina. Il suo più grande timore era quello di essere additato come ingrato, perciò decise di mettersi il cuore in pace e ringraziare la sua buona stella. Si era lasciato alle spalle fame, schiavitù e un’esistenza fatta di continui espedienti per sopravvivere.

Lì, al sicuro tra le mura del Castello Nero, aveva la sua occasione di vivere.

E poi c'era Tooru.

Tooru, che era capace di fargli rimpiangere anche i suoi giorni più bui.

Era un bel bambino, il piccolo Demone. Un principino tutto moine e sorrisi, bravissimo a far innamorare chiunque di sé. Era perfettamente - e disgraziatamente - consapevole di quel suo talento e non aveva paura di usarlo.

Accanto a lui, Hajime non faceva che sfigurare nel modo più umiliante possibile: era nato forte ma, di sicuro, non aveva niente di carino con cui vincere i cuori degli altri.

La sua più grande disgrazia era che, nonostante tutto, Tooru non sembrava vedere altri che lui.

La Regina aveva redarguito il figlio più volte riguardo al suo modo di porsi con Hajime, ma il Principe viveva nella convinzione che Iwa-chan esistesse al solo scopo di esaudire ogni suo desiderio. Di conseguenza, non c'era modo per Hajime di staccarselo di dosso, neanche con tutta la violenza del mondo. 

Un "Iwa-chan, mi annoio!" seguito da un ben più lagnoso "Iwa-chan è così cattivo con me!" erano le strofe fisse di un ritornello che scandiva le ore di ogni loro giornata. Solitamente, si arrivava a sera con le imprecazioni di Hajime e il sorrisetto sfrontato di Tooru, che sapeva di averla avuta vinta una volta di più. 

No, Hajime non scoprì mai perché toccò proprio a lui, ma non fu difficile intuire la ragione che aveva spinto quei Cavalieri a portarlo a corte. Tooru era cresciuto isolato, seguendo le regole di un’etichetta che anche alla sovrana doveva stare piuttosto stretta. Circondata da una vecchia nobiltà, che le era per lo più ostile, la Regina Demone aveva rimediato alla solitudine di suo figlio comprandogli un amico. Perché se era disdicevole che un Principe scendesse nei giardini del Castello Nero per sbucciarsi le ginocchia e sporcarsi di fango con gli altri bambini Demoni, nessuno aveva nulla da ridire sulla presenza nella sua quotidianeità di un piccolo schiavo umano.

Il lato positivo di tutto questo era che nessuno impedì mai a Hajime di essere sincero con Tooru. Ben presto, il primo arrivò a dimenticarsi di essere in presenza di un Principe e il piccolo Demone - nonostante fosse irreparabilmente viziato - non fece mai nulla per ricordarglielo.

Non c’era un istante della giornata che non trascorressero l’uno in compagnia dell’altro. Hajime seguiva le stesse lezioni di Tooru, poi passavano il resto del tempo a correre lungo i corridoi del Castello Nero, creando confusione nei grandi saloni della corte di Seijou. Il legame che si creò tra loro fu la naturale conseguenza di una continua condivisione di tempo e spazio. In assenza di definizioni migliori, la si poteva chiamare amicizia, ma con una tinta di dipendenza in cui era difficile indovinare chi dei due possedesse la personalità dominante.

Nonostante la caparbietà, non c'era realmente nulla che Hajime potesse negare a Tooru e, da parte sua, il Principe cercava il suo compagno di giochi in ogni momento di fragilità.

Avevano otto anni, quando la Regina cominciò a mostrare i segni di una strana debolezza. Per sicurezza, Tooru fu allontanato dagli appartamenti di sua madre. Nei mesi successivi, la presenza di Hajime accanto al Principe divenne indispensabile per il piccolo Demone.

"Iwa-chan?"

Hajime grugnì, tirandosi le coperte fin sopra la testa.

Tooru era così: non stava zitto tutto il giorno e pretendeva anche di fare conversazione nel cuore della notte.

"Com'è il mondo di fuori?" 

Hajime aveva perso il conto delle volte che l’amico gli aveva fatto quella domanda. In cuor suo, gli dispiaceva non potergli dare una risposta esauriente, o non avere esperienze del mondo fuori che non avessero a che fare con la crudeltà della gente. 

"Un giorno ti ci porterò," rispose Hajime, mezzo addormentato. "Così lo vedrai con i tuoi occhi."

Perché un giorno quell’insopportabile bambino viziato sarebbe divenuto il Re Demone di Seijou e non poteva governare su una terra che non conosceva nemmeno.

Gli occhi di Tooru si fecero luminosi come due stelle. "Me lo prometti?"

Hajime sbuffò. "Certo, stupido. Ora, dormi!"

 

 


Tooru era stato educato all'arte della guerra dall'età di cinque anni.

A otto era già il più bravo Arciere della corte e non faceva mistero di quanto ne andasse orgoglioso. Hajime aveva assistito di rado ai suoi allenamenti. Raggiunta l’età giusta, fu spinto a seguire l’addestramento da Cavaliere nel cortile interno del Castello Nero.

Quella fu la prima occasione in cui Tooru e Hajime vennero separati, la sola in cui quest’ultimo ebbe occasione di conoscere gli altri bambini Demoni della corte di Seijou. 

“Non capisco perché vogliano che diventi un Cavaliere. È ovvio che non sarò mai all’altezza di un’intera generazione di Demoni.” Hajime espresse ad alta voce quella sua perplessità dopo i primi tre mesi di addestramento. 

"Sei sempre al fianco del Principe," gli spiegò Issei Matsukawa, il figlio di una famiglia nobile residente a corte. "Ci si aspetta che tu sia in grado di proteggerlo."

Hajime lo fissò atterrito. “Vuoi dire che passerò il resto della mia vita a fare da balia al principe degli idioti?” Si fidava, sapeva di poter essere sincero.

Non lo avrebbe mai detto a Tooru, ma poter parlare con qualcuno che non fosse lui era come una ventata di aria fresca.

"Non credo sia possibile," intervenne Takahiro Hanamaki, un altro bambino di nobili natali.

A Hajime quel commento non piacque. "Perché no?" 

L'altro scrollò le spalle. "Di regola, la guardia del corpo del Principe e del Re è il Primo Cavaliere e tu sei un umano a una corte di Demoni. Sei bravo con la spada e lo diventerai ancora di più, ma dovresti essere migliore di tutti noi per restare al fianco del Principe."

Per la prima volta in due anni, Hajime si ricordò di essere quello che i Demoni consideravano meno di niente. Uno schiavo, al massimo. Non aveva diritti, solo una lunga lista di doveri che lo avrebbero accompagnato fino alla morte. Tooru era tutto ciò che lo salvava da un’esistenza miserabile. Non si era meritato il suo posto in quella corte, gli era stato donato solo perché il destino aveva deciso così.

Strinse la spada di legno con forza in un futile tentativo di scacciare via l'ondata d'insicurezza che lo travolse.

Non ne parlò mai con Tooru.



 

Dodici anni e Hajime era ancora a fianco del Principe Demone. 

Aveva dovuto dimostrare di possedere una forza - soprattutto di volontà - superiore a quella dei giovani Demoni che lo circondavano. Più di una volta si era ritrovato piegato, in lacrime, sopraffatto dalla stanchezza e dalla convinzione di non potersi rialzare più. Si era nascosto da Tooru, dagli amici che aveva trovato in quegli anni di duro lavoro e, alla fine, sarebbe stato uno dei primi della sua generazione a essere investito del titolo di Cavaliere.

Tooru ne era orgoglioso come se fosse una vittoria sua.

“Io ci ho sempre creduto, Iwa-chan,” gli confidò, mentre avvolgeva le bende pulite intorno alla mano dell’amico. Avevano smesso di giocare con le spade di legno da anni. Con quelle vere, non era difficile che capitasse qualche incidente. 

“Non dovresti essere tu a farlo,” disse Hajime, alludendo al modo in cui l’erede al trono si prendeva cura di lui. 

Tooru scrollò le spalle. “Infatti, non devo,” chiarì, finendo di medicare la ferita. “Però lo voglio.”

Erano soli, in camera del Principe, seduti di fronte al caminetto acceso. Da quando la loro educazione aveva preso direzioni diverse, quei momenti erano divenuti preziosi. La Regina aveva fatto di tutto per garantire a entrambi gli stessi privilegi, ma ciò non toglieva che Tooru fosse destinato a divenire Re, Hajime no. In un modo o nell’altro, le loro strade si sarebbero divise. 

Quello che più disturbava il fanciullo umano era sapere di non avere alcun potere su quello che ne sarebbe stato di loro. Stava a Tooru - e solo a Tooru - scegliere se tenerlo accanto a sé, oppure decidere che poteva fare a meno di lui.

In cuor suo, Hajime sapeva che l’amico non gli avrebbe mai fatto del male privandolo del suo posto a corte. 

Ma che legame poteva mai esserci tra un sovrano e un orfano raccolto per strada? Perché Hajime poteva essersi conquistato il titolo di Cavaliere contro le aspettative di tutta la corte di Seijou, ma questo non toglieva che fosse nessuno.

“Ecco fatto!” Quando ebbe finito, Tooru posò un bacio sul dorso della sua mano.

Preso in contropiede, Hajime la ritrasse. “Ma che fai?”

“Un bacio per mandare via il dolore, come dice la mamma.”

“Non siamo più piccoli, Tooru. Non serviva.”

“Forse,” ammise Tooru con un’altra scrollata di spalle. “Ma io volevo farlo.”

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Però lo voglio è il tuo nuovo modo di approcciarti al mondo?”

Tooru rise e scosse la testa. “Non so nemmeno come è fatto il mondo, Iwa-chan,” gli ricordò. “Non mi sto comportando in modo diverso dal solito. Ho voglia di prendermi cura del mio Cavaliere e lo faccio, tutto qui. Non mi sembra che qualcuno me lo stia impedendo.”

“Non sono ancora un Cavaliere, Tooru.”

“Lo diventerai presto,” ribatté il Principe con sicurezza. “E quando io diverrò Re, tu sarai il mio Primo Cavaliere.”

Era una bella favola, ma Hajime non se la sentiva di assecondarla. “Non penso di poter essere migliore di così, Tooru.”

“Che brutta cosa da dire a dodici anni. Dobbiamo ancora diventare grandi!”

Hajime si sporse verso di lui. “Tooru, il tuo Primo Cavaliere dovrà essere qualcuno in grado di guadagnarsi la fiducia dei tuoi soldati e di proteggere te.”

Tooru sorrise, paziente, come se stesse parlando a un bambino che proprio non ne voleva sapere di ascoltare. “E sai dov’è questo prodigioso Cavaliere?” Domandò. “Proprio di fronte a me.”

“Tooru, per favore-“

“Non conosco nessuno dei fanciulli con cui hai trascorso gli ultimi quattro anni,” disse Tooru. Non sorrideva più. “Saranno i nobili della mia corte, i Cavalieri del mio esercito. Io non so chi sono e loro non sanno chi sono io. Tu parli di fiducia e di protezione... In chi altri dovrei cercarle, se non in te?”

Hajime non aveva una risposta da dargli. 

Era sbagliato. Tutto era sbagliato. 

La Regina aveva agito in modo che suo figlio non crescesse da solo, ma il Re che era destinato a diventare sarebbe stato un estraneo per chiunque si sarebbe inchinato al suo cospetto. Lui era l’unico ponte tra Tooru e quel mondo che gli apparteneva per diritto di sangue. In quel momento, Hajime comprese che sulle sue spalle gravava un dovere che non era riconosciuto da nessun titolo.

Tooru aveva bisogno di lui perché non conosceva altro.

Bussarono alla porta. Una fanciulla della servitù si presentò col fiato corto e l’espressione allarmata. “Vostra Altezza, si tratta di vostra madre…”




 

I malesseri che avevano perseguitato la Regina Demone negli ultimi anni si tramutarono in una malattia a cui nessun curatore seppe dare un nome. 

Fu allora che Tooru cominciò a fare una cosa per cui Hajime non avrebbe mai smesso di odiarlo.

"Andrà meglio,"cercò di convincersi il Principe, mentre erano seduti entrambi davanti al fuoco della sua camera. Hajime lo osservava con occhi attenti, ma l’altro ignorava il suo sguardo con determinazione.

"Starà bene," si disse ancora, i grandi occhi scuri fissi sulle fiamme. 

Sorrideva. Un sorriso falso.

Hajime non se lo dimenticò mai e sperò con tutta l'anima di non doverlo vedere mai più.

Fu solo il primo di molti.




 

Per un intero anno, quello fu l’unico sorriso a graziare le labbra di Tooru.

Hajime finse di non accorgersi delle crepe sempre più profonde che si stavano formando nell'animo del Principe. Non aveva il potere di cambiare le cose e restare al fianco di Tooru non bastava.

“La stanno uccidendo,” disse Tooru, gli occhi scuri persi nelle fiamme del camino acceso.

Era un’idea troppo pericolosa da coltivare, anche per l’erede al trono. Prima che mettesse radici solide, Hajime si sentì in dovere di estirparla dalla testa dell’amico. “Tua madre è malata, Tooru.”

“I Demoni non si ammalano,” replicò il Principe con rabbia. 

Hajime gli strinse la mano tanto forte da fargli male. “Qualunque cosa ti passi nella testa in questo momento, non dargli voce.” Non era nella posizione per sapere se Tooru avesse ragione o meno, ma era abbastanza sveglio da capire che se esisteva una congiura contro i reali di Seijou, non si sarebbe fermata di fronte a un bambino scomodo.

Gli occhi di Tooru si riempirono di lacrime. “Non posso permettere che la uccidano, Iwa-chan.”

“Nessuno sta uccidendo nessuno.” Hajime aveva bisogno che l’altro se ne convincesse. “Tooru, se qualcuno provasse a farti del male, io non saprei come proteggerti. Lo capisci?”

Il Principe Demone lo guardò con sdegno. “Non ho bisogno che tu mi protegga,” disse, freddo. “Se hai paura di aiutarmi, allora fatti da parte!”

La mano di Hajime si abbatté sul viso di Tooru con una rabbia che non si era mai permesso di dimostrare. Se ne pentì non appena quegli occhi scuri lo guardarono spaventati e una mano tremante andò a coprire la guancia lesa.

Hajime strinse i pugni e non chiese scusa. Afferrò Tooru per le spalle e lo tirò in piedi. “Tu siederai sul trono di Seijou,” disse, fermo. “Fosse l’ultima cosa che faccio, tu diventerai Re di questo regno… Ma non posso prometterti altro, Tooru. Non posso.”

Il Principe Demone nascose il viso contro la sua spalla e pianse.

Col passare delle stagioni, le condizioni della Regina Demone non migliorarono. Il consiglio si vide costretto a preparare Tooru a un’incoronazione che poteva avvenire in qualsiasi momento. 

Per tutto il tempo, Hajime lo guardò da vicino, vide la tristezza in quei grandi occhi scuri trasformarsi in brina. Impossibile dire se Tooru avesse paura di quello che stava per accadere perché non chinò mai la testa di fronte a nessuno.

Se si fosse dimostrato debole, quel gioco di potere lo avrebbe distrutto.

E se non era forte abbastanza, lo sarebbe diventato.




 

Arrivò di nuovo l’estate ed entrambi compirono tredici anni.

“Come sta mio figlio?” Domandò la Regina Demone, stringendosi nella vestaglia di seta nera. Nonostante il pallore del bel viso, la sua naturale fierezza non era stata intaccata dalla malattia. Era in piedi, ma Hajime ebbe l’impressione che fosse solo l’orgoglio a sorreggerla.

“So che viene a farvi visita ogni giorno,” rispose l’apprendista Cavaliere.

“Avanti, Hajime, sai che Tooru non sarebbe mai sincero con me.”

Gli appartamenti reali erano bui e freddi, come se fossero sospesi in un eterno inverno, incuranti del sole estivo che brillava fuori da quelle mura di pietra.

“Si sta preparando per salire al trono,” raccontò Hajime. “È un erede fiero, che non si lascia intimorire dai nobili della corte, mia signora.”

“Fiero? Sì, Tooru lo è sempre stato,” la Regina si lasciò cadere stancamente sulla poltrona di fronte al caminetto spento. “Ma sarà sufficiente?”

Hajime non poteva rispondere a quella domanda.

La donna allungò una mano nella sua direzione. “Avvicinati, mio Cavaliere.”

Il fanciullo evitò di ricordarle che ancora non era stato investito di alcun titolo. S’inginocchiò di fronte alla sua signora. Non abbassò lo sguardo come l’etichetta comandava, perché sapeva che lei preferiva così.

Quegli occhi blu sembravano coperti da un velo, come se la luce che rendeva quel colore speciale si fosse spenta del tutto. Eppure, la Regina Demone appariva soddisfatta. “Sei un animo fiero anche tu, mio caro Hajime.”

“Cerco di essere all’altezza del mio Principe, Maestà.”

“Oh, lo sei.” La Regina allungò una carezza tra i capelli ribelli del fanciullo. “Ho sempre saputo che lo saresti stato. Sono felice che Tooru sia toccato a te, non lo avrei messo nelle mani di nessun altro uomo.”

Hajime aveva tredici anni e, nonostante le responsabilità che pesavano sulle sue spalle, non si sentiva affatto un uomo

“Tooru indosserà la Corona Corvina, ma non sarà in grado di sorreggerla da solo,” mormorò la Regina Demone, come se stesse parlando nel sonno. “Lascio tutto nelle tue mani, Hajime.”



 

Quando accadde, Hajime era nella sala delle armi. Furono Issei a Takahiro a dargli la notizia.

Sebbene nessuno lo avesse convocato ufficialmente, l’apprendista Cavaliere salì le scale degli appartamenti reali due a due. Intorno a lui, c’era un gran via vai: servi che andavano a comunicare il triste evento ai loro signori, nobili che accorrevano per averne conferma. Nessuno si accorse di lui. 

Quando arrivò a destinazione, Tooru era in mezzo al corridoio, a pochi passi dalla camera di sua madre. Hajime fece per corrergli incontro, poi si ricordò di chi aveva davanti.

Il Principe bambino a cui era stato dato in dono non c’era più.

L’apprendista Cavaliere piegò il ginocchio destro e abbassò la testa in un inchino maldestro. 

Tooru esaurì la distanza tra loro con passi veloci, afferrò il suo migliore amico per le spalle e lo costrinse a rimettersi in piedi. “Non farlo,” mormorò con voce rotta, abbracciandolo. “Non farlo mai. Non tu.”

Hajime ricambiò la stretta. La porta della camera da letto reale era socchiusa e la gente della corte continuava a entrare e uscire, come in preda a un delirio. Nessuno fece caso all’erede al trono - no, al nuovo Re - che si aggrappava disperatamente a un giovane umano senza famiglia e senza titolo. Hajime posò la mano sulla nuca di Tooru per tenerlo più vicino a sé. “Che cosa vuoi che faccia?” Non gli avrebbe negato nulla, non in quel momento.

“Portami via,” lo pregò il Demone. “Anche se solo per questa notte, portami via.”



 

Hajime conosceva quella cascata da quando era bambino. Prima di morire, i suoi genitori lo avevano portato lì per insegnargli a nuotare e per trovare un po’ di refrigerio nelle giornate più calde. 

Scelse quel luogo perché non era vicino alle mura del Castello Nero, ma nemmeno troppo lontano da rendere il viaggio estenuante. 

Quando Tooru smontò da cavallo, fu la prima volta che mise piede fuori dalla sua casa.

Mentre Hajime legava il destriero a un albero, Tooru si avvicinò alla sponda del laghetto. Tutto era nuovo per lui, persino l’aria che respirava sembrava avere un odore diverso. S’inginocchiò sull’erba umida, vi fece scivolare sopra la mano, fino a immergerla nell’acqua cristallina. 

Sopra le loro teste, il cielo era limpido e la luna brillava come un sole notturno, conferendo alla radura un qualcosa di magico. 

In quell’atmosfera, che nulla aveva di paragonabile a quella claustrofobica dei saloni del Castello Nero, Tooru sentì il cuore leggero dopo tanto tempo. Sì, sua madre era appena morta e non appena fossero tornati a casa, il peso di quel lutto gli sarebbe crollato inevitabilmente addosso. Lì e ora, Tooru decise di cancellare ogni cosa, tranne loro due.

“È bellissimo,” commentò, cercando gli occhi dell’apprendista Cavaliere.

Hajime lo interpretò come un permesso ad avvicinarsi. Si sedette sull’erba, accanto al Demone fanciullo e quando questi gli afferrò la mano, non la ritrasse. 

“Ho avuto paura di questo momento per molto tempo,” confessò Tooru. “Ora che è arrivato, sono quasi sollevato.”

“È comprensibile,” disse Hajime. “Non è facile guardare la propria madre spegnersi un giorno alla volta. È una tortura per l’anima e vuoi solo che finisca, non importa quanto possa sembrare crudele.”

“Anche i tuoi genitori sono morti di malattia, vero?”

Prima di allora, non ne avevano mai parlato.

“Ricordo poco,” ammise Hajime. “Sono stato il primo ad ammalarmi. Sono stato io a contagiarli. Non so per quanto tempo ho delirato per la febbre, ricordo solo che quando sono tornato in me, loro non c’erano più.”

Tooru intrecciò le dita alle sue e si portò la mano al petto. “Non hai più le mani morbide,” commentò, senza una reale ragione. “Sono anche più grandi delle mie. Non hai più le mani di un bambino, ma quelle di un uomo.”

Nel corso dell’ultimo inverno, anche Tooru era cambiato: i tratti morbidi e infantili si erano modellati nei lineamenti raffinati che indossava ora. 

“Siamo cresciuti,” disse Hajime.

“Perché nessuno dice che crescere fa male?” Domandò Tooru. 

“A te non ha fatto così male.”

Il Demone inarcò le sopracciglia. “Che vuoi dire?” 

“Assomigli molto a tua madre,” disse Hajime. “Anche se non avete gli stessi occhi blu, sicuramente condividete la stessa bellezza.” Lo disse senza imbarazzo. 

Tooru strinse con più forza la mano dell’apprendista Cavaliere nella sua. “Prometti che non cambierà niente.”

Questo Hajime non poteva farlo. “È già cambiato tutto, Tooru. Il primo passo è accettarlo."

“Lo so, ma…” Tooru era sempre stato bravo con le parole, ma in quell’occasione inciampò nei suoi stessi pensieri. “Resta con me,” disse senza troppe cerimonie. “Quel che deve cambiare, cambierà. Ma tu resta con me.”

Hajime si portò la mano del Demone fanciullo alle labbra. “Non vado da nessuna parte,” promise.

Tooru prese un respiro profondo. “Sii mio,” lo pregò, e le prime lacrime scesero a bagnargli le guance. “E ti prometto che sarò tuo. Tuo e di nessun altro.”

Hajime non riuscì a dire nulla. L’impressione di star toccando qualcosa di proibito non lo intimorì. Al contrario, quando Tooru lo guardava in quel modo, si sentiva invincibile.

Si mossero insieme.

Il loro primo bacio ebbe il sapore delle lacrime di Tooru, ma per quel misero, insignificante, instante, non esistette nulla all’infuori di loro.



 

Tre giorni più tardi, Tooru seppellì sua madre e fece il suo primo passo sulla strada verso il Trono Nero.

Poco dopo, Hajime venne investito del titolo di Cavaliere, fu il primo umano a ricevere un simile onore in una terra di Demoni.

Di quel bacio rubato sotto la luna di una notte di mezza estate, non parlarono più.



 

Quattordici anni compiuti e ormai non esisteva più nulla del mondo in cui erano cresciuti. Le giornate che avevano condiviso tra giochi e litigi divennero solo un ricordo in pochi mesi. Non c'era più tempo per giocare, non c'era più modo di litigare perché mancava il tempo di stare insieme.

Hajime era tanto impegnato negli addestramenti con gli altri Cavalieri, che spesso si addormentava ancor prima di cenare con il suo giovane signore.

Tooru, da parte sua, ingaggiava una battaglia di parole con ogni membro del consiglio che tentava di plagiarlo e usarlo a proprio vantaggio. Nonostante se ne stesse zitto, il pensiero che sua madre fosse stata uccisa da qualcuno di quegli avvoltoi non lo aveva mai abbandonato. Il suo talento naturale nel persuadere e ammagliare divenne la sua arma vincente, in attesa del giorno in cui avrebbe potuto creare una cerchia di fedelissimi tutta sua.

Non si erano dimenticati l'uno dell'altro. Il mondo si era solo intromesso tra loro ed era difficile aggirare la sua ingombrante presenza.

Tooru non mancò di tendere una mano al suo Cavaliere. 

“Hajime, dillo che non sei capace di medicarti una ferita da solo. Non ti prenderemo in giro, promesso!” Lo punzecchiò Takahiro.

Issei ci mise il carico. “Se continui così, qualcuno potrebbe pensare che ti faccia male a posta.”

“Ma volete stare zitti?” Hajime gli ringhiò contro, mentre Tooru rideva e gli annodava il suo fazzoletto intorno alla mano dell’amico, come medicazione di fortuna.

“Ecco fatto!” Cinguettò Tooru, posando un bacio sulle nocche del Cavaliere. “Per mandare via il dolore.”

Hajime si ritrasse velocemente. “Sono sporco di fango, Tooru.”

“Porti solo i segni della fatica che fai per essere un degno Cavaliere del Re,” replicò Tooru. “Non hai nulla di cui vergognarti,” si rivolse agli altri due. “Dovrei essere io a inchinarmi a voi.”

Issei e Takahiro si ricomposero e abbassarono la testa con rispetto. 

“Non ditelo neanche per scherzo, Maestà,” disse quest’ultimo.

“Onorati di potervi servire,” aggiunse il primo.

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Falsi,” commentò. “Siete dei falsi. Se poteste, stareste tutto il giorno seduti sulle scale a giocare a carte.”

“Gli altri puntano la virtù della propria sorella,” si difese Takahiro. “Uno si deve pure guadagnare il pane.”

“Siete in presenza di un futuro Re!” Li rimproverò Hajime. “Tenete per voi le vostre volgarità!”

“Oh, penso che il futuro Re sia già un esperto di volgarità,” intervenne Tooru. Gli baciò la mano una seconda volta, prima di lasciarlo andare. “Perché gli piace scandalizzare la corte con questi gesti,” aggiunse con un sorrisetto malizioso, poi si voltò. “Ti aspetto per cena, Iwa-chan. Prova a non deludermi di nuovo addormentandoti.”

L’espressione del Cavaliere era una maschera di frustrazione, ma non riuscì a staccare gli occhi di dosso da Tooru fino a che non scomparve dal suo campo visivo. Alla fine, lasciò andare un sospiro sconsolato. Nell’accorgersi che gli altri due lo scrutavano con attenzione, quel poco di buon umore che si era guadagnato scomparve. “Che cosa c’è?” Domandò esasperato.

“Fate sul serio?” Domandò Issei.

Hajime non comprese. “Cenare insieme? Sì, lo facciamo da sempre.”

“No, non è questo.” Takahiro gli afferrò il polso per meglio guardare il fazzoletto avvolto intorno alla sua mano. “Questa è una cosa da amanti.”

Hajime sbuffò. “Non per Tooru. Lo fa da sempre.”

“Oh, come siete precoci,” commentò Issei.

“Non c’è molto da scherzare.” Takahiro lo lasciò andare. “Non si diventa amanti di un Re pensando di uscirne indenni.”

Hajime li mandò al diavolo, chiudendo quella conversazione scomoda sul nascere.

Lui e Tooru non erano amanti.

Forse non erano semplici amici, ma c’era un confine inviolabile a dividerli e andava rispettato. Solo una volta, un anno prima, si erano permessi di desiderare di più.

Non c’erano stati altri baci perché, ragionevolmente, nessuno dei due poteva permettersi quella follia.



 

Alla fine di quella stessa estate, a Hajime venne il dubbio di essere l’unico a pensarla in quel modo.

Quando gli impegni di corte gli permettevano di allontanarsi dal Castello Nero per un po’, Tooru era solito andare da lui per chiedergli di cavalcare fino alla loro cascata. Dopo la morte della Regina, si erano potuti recare in quel luogo tante volte da poterle contare sulla punta delle dita - di solito, quando Tooru si sentiva soffocare dalle pressioni del consiglio e desiderava solo poter respirare un po’ di libertà - ma Hajime era felice che fosse divenuto speciale per il suo Principe.

Che qualcosa turbasse Tooru, il Cavaliere lo comprese quando gli propose di andare con un solo cavallo. La sua vicinanza lo confortava e Hajime lo accontentò di buon grado, lasciandosi abbracciare per tutto il tragitto.

Fecero il bagno insieme senza vergogna, trovando sollievo dal caldo soffocante nell’acqua fresca. Hajime si accorse di come lo sguardo di Tooru indugiò su di lui in più di un’occasione. Di contro, il Cavaliere fece tutto il possibile per tenere gli occhi lontano dal Principe. Era un gioco a dir poco ridicolo, ma Tooru fu bravo ad attirare l’attenzione di quelle iridi verdi su di sé. “Il consiglio vuole che scelga un Consorte,” disse, come se stesse parlando del tempo. “O che qualcuno scelga me per diventarlo.”

Sebbene fossero entrambi distesi sotto il sole di agosto, Hajime si sentì gelare. Se Tooru voleva farsi guardare, aveva trovato il modo per farlo. 

Il Principe rise del suo tacito sgomento, ma quel suono non conteneva alcuna allegria. “Non restare in silenzio, Iwa-chan.” Ora era lui a non riuscire a guardare l’altro negli occhi. “Dì qualcosa.”

“Non ti hanno neanche incoronato.” Quella fu l’unica obiezione a cui Hajime riuscì a pensare.

Tooru si sollevò sui gomiti, le labbra graziate da quel sorriso che non era un vero sorriso. “Far coincidere il mio matrimonio con la mia ascesa al trono farebbe la fortuna di molti,” disse. “Con l’alleanza giusta, io finirei per essere un pupazzo nelle mani di un altro Re e questo potrebbe risolvere molti problemi per il consiglio.”

“Ad esempio?”

“Avanti, Iwa-chan… La mia condotta e il mio modo di pensare sono spregevoli per i Demoni più anziani. Sono un fanciullo che non ha ancora preso in mano il potere che gli spetta di diritto. Legato allo sposo giusto, quel potere non diverrà mai mio e non rischierò di fare danni.”

Hajime si sentiva irrequieto. Aveva voglia d’impugnare la spada e duellare con qualcuno fino a metterlo in ginocchio. Ci ripensò: la sua non era irrequietezza, ma vera e propria rabbia. “E adesso che cosa accadrà?” Domandò.

Tooru lo guardò e lo fece per un lungo minuto di silenzio. “Sai che tutte le fanciulle della servitù parlano di te?” 

Hajime inarcò le sopracciglia. “Questo adesso non ha alcuna importanza.”

“Strano, vero? Eri il bambino più brutto della corte e adesso non fanno che tenerti gli occhi addosso.”

“Tooru, piantala…”

“Oh, come sei permaloso!”

“Tooru!” Quegli occhi verdi inchiodarono il Principe al suo posto. “Non me ne importa niente e lo sai. Quello che m’interessa è quello che accadrà a te.”

Tooru si mise a sedere. I suoi occhi scuri erano tinti di una sfumatura oscura, pericolosa. “Dipende…” Si fece più vicino, tanto che Hajime poté sentire il suo respiro contro la pelle nuda. “Tu che cosa vuoi farmi?”

Quando il Cavaliere capì il vero motivo per cui il Principe li aveva voluti lì, nel loro luogo segreto, tutto si fermò. Non appena Tooru premette le labbra contro il suo collo, persino la cascata tacque.

Hajime artigliò l’erba su cui era seduto. Non poteva toccare Tooru - ma voleva - e non poteva allontanarsi - ma doveva.

“Tooru, aspetta.”

“Shhh…”

Hajime non fece niente per impedire al Demone fanciullo di arrivare alle sue labbra. Fu completamente diverso dal bacio dell’estate precedente. Era passato solo un anno, ma ne sembrarono dieci. Tutta l’innocenza della prima volta si era trasformata in qualcosa di sconosciuto, quasi spaventoso. Hajime ne fu sopraffatto. Quando Tooru lo tirò sopra di sé, lo assecondò, frastornato dai baci che si facevano sempre più umidi. Era stato uno stupido. Aveva mentito a se stesso per troppo tempo.

Tooru era destinato a diventare Re e tanto bastava a renderlo irraggiungibile.

Eppure, erano lì, incuranti dei titoli che portavano e del mondo che non avrebbe mai permesso loro di stare insieme. 

Non fu quello il loro momento. 

Hajime sentì Tooru tremare sotto di sé e si fermò. Quando lo guardò, tutta la spregiudicatezza era scomparsa e in quegli occhi scuri trovò solo il timore di un fanciullo di quattordici anni. Fu a quel punto che Hajime tornò a essere ragionevole.

“No, aspetta!” Tooru comprese che qualcosa si era spezzato, ma non riuscì a fermarlo. 

Il Cavaliere gli gettò addosso il proprio mantello. “Rivestiti, per favore.” Lo disse con gentilezza. Non era il momento di essere brusco, anche se l’istinto gli gridava di prendere a pugni l’albero più vicino fino a farsi sanguinare le mani. Come se fosse improvvisamente conscio della sua nudità, Hajime si rivestì in fretta, stando attento a dare le spalle al Demone fanciullo per tutto il tempo.

“Torniamo a casa,” disse, fermo.

“Hajime, aspetta!” Tooru gli si gettò addosso, lo costrinse a guardarlo in faccia. Piangeva, aveva di nuovo i vestiti addosso ma erano in disordine. Il suo era l’aspetto di un ragazzo comune a cui si stava spezzando il cuore. “È stato solo un momento d’insicurezza. Io so quello che voglio, l’ho sempre saputo.”

Hajime sentiva la testa girare. Era difficile restare saldo quando quegli occhi scuri lo guardavano in quel modo.

Tooru gli prese il viso tra le mani, poggiando la fronte alla sua. “E ora so che lo vuoi anche tu,” mormorò, con voce rotta dal pianto. “L’ho sentito che mi vuoi anche tu.” Cercò un altro bacio, lo trovò. 

Si strinsero in un abbraccio, quasi volessero sparire l’uno tra le braccia dell’altro.

Hajime chiuse gli occhi, certo che quello che stava per fare avrebbe dilaniato l’animo di entrambi. “Non posso farlo, Tooru.”

“Puoi, se sono io a chiedertelo!” Ribatté il Principe, come se fosse ancora il bambino viziato che aveva conosciuto. “Se sapranno che hai intaccato il mio onore, nessun erede dei Regni Liberi vorrà più toccarmi. Il consiglio reale non potrà più vendermi al migliore offerente. A quel punto, saremo solo io e te.”

A Hajime fecero male quelle parole. Si sentì usato, umiliato. Come se non bastasse, quel piano era tanto idiota che era inspiegabile come fosse uscito dalla testa dell’erede al trono di Seijou.

“Saremo io e te all’interno di una corte che ci farà a pezzi,” disse Hajime. “Pensi che avere diritto alla Corona Corvina basti a darti potere? Lo hai detto tu che vogliono venderti per impedirti di essere un sovrano emancipato.”

“Che ci provino!” Tuonò Tooru. “Nessun erede dei Regni Liberi vorrà toccare un Consorte rovinato da un Cavaliere qualunque.”

“Ma io non voglio rovinarti, Tooru. Io voglio amarti!” Hajime lo urlò con tutta la voce che aveva in gola. 

Tooru fece due passi indietro, come se fosse stato spinto da una forza invisibile. 

“E se ci fosse un modo…” Aggiunse Hajime, l’inclinazione della sua voce terribilmente vicina al pianto. “Se ci fosse un modo in cui essere tuo non equivalga a condannarti, nessuno ti porterebbe via da me.”

Tooru fece per parlare, ma le lacrime ebbero il sopravvento e fu costretto ad abbassare lo sguardo. “Hajime, ti prego…” 

Non c’era nessuno da pregare. Se i timori del Principe Demone erano veri e la Regina era stata uccisa dai suoi consiglieri, allora Tooru non poteva permettersi nessun passo falso. Doveva divenire Re e doveva conquistare un tipo di potere che una corona sulla testa non poteva garantirgli. Doveva crescere, divenire forte, scegliere con cura i suoi alleati e saper riconoscere i traditori. E Hajime sarebbe rimasto al suo fianco per tutto il tempo, ma sempre un passo indietro.

“Torniamo a casa, Tooru.”

Per tutto il viaggio di ritorno, il Principe Demone si strinse al suo Cavaliere come se la sua vita dipendesse da questo.

Per quell’estate furono quasi amanti, nulla di più.





 

I consiglieri reali impiegarono tre stagioni a sviluppare le loro trame.

Il primo ballo di corte si tenne alla fine di maggio e l’ospite d’onore fu l’erede al trono del Regno di Nekoma.

Fu un grande evento per tutti i fanciulli del Castello Nero. L’ultima volta che la corte di Seijou aveva impiegato tempo e denaro nell’organizzare dei festeggiamenti era stato in occasione del matrimonio della Regina Demone, anni prima della nascita del Principe e della maggior parte dei giovani della loro generazione. 

Dopo quasi tre lustri, quei saloni si animarono e si riempirono di facce nuove, per la gioia di tutti i giovani Cavalieri. Tranne Hajime.

I suoi compagni di addestramento bevevano e mangiavano come se non ci fosse un domani, commentando l’aspetto dei fanciulli e delle giovani dame di Nekoma. Mentre gli ospiti, ignari, s’impegnavano a rendere onore alla loro casa reale, la giovane nobiltà di Seijou faceva una distribuzione delle risorse per evitare di entrare in conflitto con qualche vecchio amico. Il fatto che fossero tutti - ma proprio tutti - muniti di corna, rendeva le cose più facili. 

Hajime non sapeva se il Principe Tetsuro avrebbe scelto Tooru come suo consorte, ma era certo che, prima dell’inizio dell’inverno, l’alleanza con Nekona sarebbe stata resa solida da almeno una decina di matrimoni nobili. Non si poteva definire un esperto, ma ipotizzava che il consiglio avrebbe visto anche quella come una vittoria.

“Hajime, dimostra un po’ di voglia di vivere, avanti!” Takahiro cercò di coinvolgerlo nei festeggiamenti per la terza volta dall’inizio della serata.

Issei era stato abbastanza magnanimo da smetterla, dopo il secondo tentativo andato a vuoto. Anche se nessuno dei due aveva fatto parola dell’accaduto, Hajime sapeva che entrambi lo avevano sorpreso più di una volta a piangere da solo in armeria - epilogo di giornate passate a discutere con Tooru di un futuro che non poteva avverarsi. Gli avevano fatto il favore di non umiliarlo chiedendogli il perché, ma si sentivano in dovere di fare qualcosa per il suo cuore spezzato.

Perché di questo si trattava.

Tooru ballava sotto gli occhi di due Regni Liberi con un fanciullo che non era lui. Hajime, semplicemente, non voleva vederlo. Non era colpa sua se l’unico modo per non farsi altro male era starsene nell’angolo più buio della sala del trono, attaccato alla parete di pietra.

“Divertitevi a sprecare tutto quel cibo senza di me,” ringhiò il Cavaliere. “Intanto il popolo muore di fame e i consiglieri aumentano le tasse.”

Takahiro gli allungò un calice di vino. “Non si vincono le guerre con i contadini, Hajime.”

Il Cavaliere accettò l’offerta, ma lo guardò in cagnesco. “Sono nato in una famiglia di contadini e non sono meno Cavaliere di te e Issei.”

Rendendosi conto di aver fatto un passo falso, Takahiro accettò il contrattacco con un sospiro. “Ai Cavalieri non viene concessa la mano dei Principi, amico mio.”

I suoi due amici avevano saputo di lui e di Tooru ancor prima che Hajime fosse pronto ad ammetterlo a se stesso, ma non gli serviva che fossero loro a mostrargli la cruda realtà in cui viveva. No, era troppo, specialmente dopo che era stato lui a rifiutare Tooru.

Tracannò il vino che gli era stato offerto e restituì il calice all’amico. “Apprezzo l’amicizia tua e d’Issei, Takahiro, davvero,” disse con tono più gentile. “Ma ho bisogno di stare solo e qui dentro si soffoca.”

Sulla strada per raggiungere la balconata, Hajime fu costretto a costeggiare la pista da ballo. Non appena la musica finì, alzò gli occhi per dare un’occhiata: Tooru era al centro - bellissimo, col mantello rosso di pelliccia di ermellino sulle spalle - e sorrideva al giovane dai capelli corvini che gli teneva le mani sui fianchi. Da dove si trovava, Hajime non poteva vedere il Principe Tetsuro in faccia. Da come Tooru era a suo agio, dedusse che era un tipo che gli stava andando a genio.

Non riuscì a sopportare oltre e proseguì per la sua strada.

Non vi era ancora traccia del tepore dell’estate nell’aria della notte. Giocò a suo favore: aveva freddo ma, almeno, la balconata era deserta.

Hajime si appoggiò al parapetto di marmo e prese tre respiri profondi, illudendosi che questo sarebbe bastato a calmare il suo cuore impazzito. Quando si rese conto che il nodo che gli stringeva la gola non faceva che peggiorare, abbassò la testa sconfortato. Non voleva piangere di nuovo nel bel mezzo di un ballo. Tutta la corte di Seijou lo conosceva e non c’era modo di nascondersi adeguatamente in quella situazione.

“Perdonatemi.”

Ecco. Le cose potevano ancora peggiorare.

“Spero di non arrecarvi disturbo.”

Fu sorpreso di scoprire che era un giovane di Nekoma ad avergli rivolto la parola.

Era più basso di lui, i capelli biondi gli arrivavano quasi alle spalle. Notò che era vestito con eleganza, ma in modo più sobrio dei suoi compatrioti. 

Non sapendo di quale titolo fosse investito, Hajime s’inchinò goffamente optando per un neutro: “Sir…”

“Oh, no, vi prego, alzate la testa.”

Hajime lo fece, sebbene ne fosse sorpreso. Non aveva corna da esibire e a Seijou tanto bastava per provare che era di basso rango. Ma quando guardò lo sconosciuto per la seconda volta, si rese conto che le tenebre non lo avevano ingannato.

“No,” confermò il fanciullo dai capelli biondi. “Non sono un Demone, sono un comune umano. Esattamente come voi, immagino. Mi spiace avervi disturbato.”

“Non mi avete disturbato,” 

Il fanciullo non mostrava evidenti segni di timidezza, ma si vedeva chiaramente che era in difficoltà a parlare con lui. “Sei il Cavaliere del Principe Demone, vero?”

Hajime scosse la testa prontamente. “Sono un Cavaliere e basta.”

“Ma sei cresciuto accanto al Principe come suo pari, giusto? In molti parlano del compagno di giochi umano che la Regina ha fatto in dono al suo erede.”

Uno dono. Ecco come il mondo al di fuori di Seijou lo considerava 

“Non sapevo che qualcuno fuori dalle mura di questo castello conoscesse il mio nome,” ammise il Cavaliere.

“In effetti è così,” disse il fanciullo. “Ma mi piacerebbe conoscerlo.”

“Hajime. Hajime Iwaizumi.”

“Hajime…” Ripeté. “Io sono Kenma. Solo Kenma e, a differenza tua, non posseggo alcun titolo ufficiale. Ho solo avuto la fortuna di crescere al fianco di un Principe.”

Il Cavaliere sgranò gli occhi. “Siete amico di Tetsuro di Nekoma?” Gli sembrava così assurdo che qualcun altro avesse condiviso la sua stessa infanzia.

Kenma annuì. “Sono qui per lui,” ammise. “Voleva a tutti costi che conoscessi il Cavaliere del Principe Demone.”

“Sono solo un Cavaliere.”

“Lo avete già detto.”

Hajime non fu felice di sapere che l’erede al trono di Nekoma lo considerava una specie di attrazione, ma non abbastanza degno della sua personale attenzione. “E che cosa si aspetta il vostro Principe da me?” Domandò, non riuscì a nascondere il sarcasmo.

“Sono desolato di avervi offeso,” disse Kenma.

“Non mi avete offeso,” disse Hajime, per nulla intenzionato a fingersi cortese. “Il vostro Principe lo ha fatto. Se è così interessato al Cavaliere del Principe Demone, che mi parli di persona.”

“Hai perfettamente ragione, Cavaliere.”

Hajime si pietrificò, mentre un giovane più alto di lui gli passava a fianco per avvicinarsi a Kenma. 

Tetsuro di Nekoma non aveva l’aspetto di un Principe - bensì da criminale - ma di sicuro rendeva onore alla sua natura di Demone. “Dunque, dunque…” A dispetto dell’oscurità, squadrò il Cavaliere da capo a piedi. “Il tuo compagno di giochi ha davvero un bel carattere. Degno di te, Tooru.”

Il Principe Demone comparve al suo fianco e Hajime trattenne il respiro.

“Te l’ho detto,Tetsuro,” disse Tooru, orgoglioso. “Guardalo bene, perché il mio Hajime diventerà il Primo Cavaliere di Seijou, un giorno.”

Hajime lo guardò come se fosse del tutto impazzito.

Tetsuro, al contrario, sembrava molto soddisfatto - di cosa, era un mistero. “Non c’è che dire,” disse, afferrando la mano di Kenma come se fosse una cosa del tutto normale, “i miei complimenti, Tooru. Siete davvero belli insieme.”

 



 

Il Principe Demone e il suo Cavaliere si ritirarono negli appartamenti reali insieme.

Hajime era terrorizzato. Tooru, al contrario, era estatico.

"Il Principe Tetsuro non è poi così male," commentò l’erede al trono di Seijou, mentre si liberava degli stivali lucidi e del mantello di ermellino. 

Hajime controllò che il corridoio fosse vuoto e nessuno potesse udirli, poi sbatté le porta con rabbia. “Sei completamente impazzito?!”

Tooru sbuffò e sul suo viso comparve un’espressione annoiata. “Stai calmo, Iwa-chan,” disse. “Tetsuro è un nostro prezioso alleato.”

“Che cosa intendi per nostro?”

Tooru s’inginocchiò sul tappeto del salotto per ravvivare il fuoco nel camino. “Eppure, avevo dato ordine di tenere la stanza calda.”

“Tooru, mi vuoi rispondere!” Hajime non aveva la pazienza di assecondare i suoi giochetti.

“Stai calmo,” gli ordinò Tooru. “Tetsuro non potrà mai essere il mio sposo. Lui può guadagnare qualcosa da me - come io da lui - solo se la nostra amicizia è solida.” Si lasciò cadere sulla poltrona.

Hajime si avvicinò. "Per quale motivo?"

Tooru scrollò le spalle. "Nekoma è un regno d'incredibile stabilità: è autosufficiente, non perde risorse economiche e umane nell'organizzare guerre e, a differenza del nostro, non ha leggi razziali particolari. Ultimo ma non ultimo, è una terra di Demoni e questo farà piacere ai consiglieri bigotti.”

"No, mi riferivo al fatto che Tetsuro non potrà mai essere il tuo sposo.”

Le labbra di Tooru si piegarono in un sorriso complice. "Ama un altro," rispose, scivolando sul tappeto. “Vieni, Iwa-chan, siedi con me.”.

Hajime lo accontentò. “Te lo ha detto lui?”

“Gliel’ho fatto confessare,” rispose Tooru. “Non riusciva a smettere di parlare del suo amico d’infanzia, non aveva importanza quale fosse l'argomento della conversazione. È stato interessante... Rassicurante quasi."

"Perché?"

"Perché anche io non posso fare a meno di parlare di Iwa-chan con chiunque," confessò Tooru a cuor leggero, come se quelle parole non fossero una stilettata nel petto per Hajime. "Tetsuro mi diceva di raccontargli qualcosa di me e io continuavo a ripetere il tuo nome.” Gli occhi scuri si tinsero di malinconia. “Dovevi sentirlo mentre parlava del suo amante. È venuto qui per accontentare i suoi consiglieri, non ha mai avuto intenzione di sposarmi. Ha una sorella che è pronta a convolare a giuste nozze. Quando arriverà il momento, Tetsuro è deciso a riconoscere il suo primo nipote come legittimo erede al trono.”

Hajime percepì dell’invidia nella sua voce. “Smettila di pensarci, Tooru.”

Il Principe fissò il fuoco per non doverlo guardare negli occhi. “A cosa, Iwa-chan?”

“Smettila di cercare una soluzione per noi,” disse Hajime, apertamente. “Vuoi l’amicizia di Tetsuro perché la sua relazione illecita può giustificare la nostra?”

“Perché non mi permetti di lottare per te?” Urlò Tooru, esasperato, alzandosi in piedi.

“Perché non voglio che tu ti faccia male!” Ribatté Hajime con la stessa rabbia. “Vuoi farmi felice? Trova qualcuno che ti ami, qualcuno che sia davvero alla tua altezza!” Il dolore che stava provocando a se stesso era incalcolabile.

Tooru non si fece scrupoli a mostrargli il proprio. “Non dici sul serio.” Stava per mettersi a piangere.

Hajime con lui, ma doveva resistere. Strinse i pugni. “Io non sarò l’unico amore della tua vita, Tooru.” Faceva dannatamente male. “Siamo il primo amore l’uno dell’altro, ma cresceremo, incontreremo altre persone sulla nostra strada.”

“Ma io amo te,” confessò Tooru, piangendo. “Io amo te.”

Hajime serrò i denti sul labbro inferiore, obbligandosi a mantenere un tono di voce fermo. “Non hai avuto altri che me per tutta la vita, Tooru,” gli ricordò. “Non conosci altro, per questo sei convinto di amarmi.”

Tooru scosse la testa. “Non ti permettere di sminuire i miei sentimenti in questo modo!” Urlò. “Sei solo troppo codardo per lottare per me. Questa è la verità!”

Se era quello che voleva credere, Hajime glielo avrebbe permesso. Qualsiasi cosa, purché Tooru si allontanasse dalla strada di autodistruzione che aveva imboccato a causa sua.

Toccò a Hajime, seppur col cuore a pezzi, concludere quella conversazione: “penso che siamo entrambi d’accordo che ti meriti più di questo codardo.”





 

Tetsuro di Nekoma e la sua corte rimasero ospiti al Castello Nero per tre settimane. 

Lui e Tooru furono bravi a illudere tutti che le trattative matrimoniali stessero andando a buon fine. Si facevano vedere insieme nei corridoi del palazzo e nei giardini reali. Sorridevano, davano l’idea di divertirsi molto in compagnia l’uno dell’altro.

E forse era anche vero.

Per i loro amici d’infanzia, al contrario, il tempo sembrava essersi dilatato a causa della noia.

“Parlami di te, Kenma,” disse Hajime, per disperazione, sedendosi sul bordo della fontana al centro del parco reale. Qualunque cosa pur di non sentire Tooru ocheggiare come un idiota e Tetsuro dargli man forte. Erano impegnati a tirare con l’arco - così che il Principe Demone avesse la sua occasione per dimostrarsi il migliore nella sua arte - ma potevano benissimo essere due nobili pettegole sedute in un salotto, con una tazza fumante tra le mani.

“Non c’è molto da dire,” rispose il fanciullo coi capelli biondi. Anche lui sedeva sul bordo della fontana, un libro aperto tra le mani.

Magari non voleva essere disturbato, ma Hajime non ne poteva davvero più di avere solo Tooru su cui concentrare la sua attenzione. “Hai detto di non avere alcun titolo,” ricordò. “Che cosa fai a corte?”

Kenma voltò la pagina che aveva appena finito di leggere. “Il Mago,” rispose.

Hajime sbatté le palpebre un paio di volte, poi lo fissò come se gli fossero spuntate di colpo due teste. “Prego?”

“E sto studiando per divenire un curatore. Un mestiere decisamente più pratico e utile.”

“No-Non ho capito la prima parte.”

“Sono un Mago,” ripeté Kenma, come se non vi fosse nulla di strano.

Il Cavaliere aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “E… Ehm... Che cosa faresti?”

“Subisco gli influssi della magia nel mio sangue,” rispose Kenma, chiudendo il libro e abbandonandolo da una parte. “Nel mio caso, questo processo si concretizza nell’avere visioni, sogni premonitori e cose di questo genere.”
Per un attimo, Hajime temette che la sua mandibola cadesse a terra. Scosse la testa e decise di darsi un tono. “Credevo che i Maghi lanciassero sortilegi.”

“I più preparati,” spiegò Kenma. “Questo mio talento mi ha permesso di entrare alla corte di Nekoma, nonostante le mie umili origini. Non appena Tetsuro si è reso conto che non era la mia strada, mi ha concesso di fare della mia vita quello che preferivo. Quindi, sì, io subisco la magia.” Una pausa. “Tu, invece, hai litigato col tuo Principe?”

Hajime avrebbe saputo gestire meglio una coltellata alla schiena che quella domanda. “Tooru non è il mio Principe nel modo in cui lo intendete tu e Tetsuro.”

Kenma lo guardò confuso. “Non siete amanti?”

Suo malgrado, Hajime arrossì. “Non siamo mai arrivati a quel punto.” 

“Pensavo che vi amaste.”

Perché tutti la facevano suonare come una cosa così semplice? Hajime cominciava a sentirsi un idiota. “Tu sai perché Tetsuro è qui.”

“Certo, ma il tuo Principe sa che non è interessato.”

“Ce ne saranno altri dopo di lui,” disse Hajime, con un sorriso amaro. “Tooru sceglierà uno di loro, non me. È giusto così.”

“Capisco.” La voce di Kenma rimase neutrale, ma abbassò lo sguardo con rispetto. “Deve essere molto doloroso per te.”
Hajime non credeva fosse il caso di specificare che era stato lui a rifiutare Tooru - due volte. “Lo è per entrambi, ma non posso permettere che il nostro legame lo distrugga.”

“Perché dici questo?” Kenma suonava sinceramente confuso.

E il Cavaliere si sentì ancora più stupido. “È proibito,” disse. “Il consiglio, i nobili… Nessuno sosterrebbe Tooru, se scegliesse me. È troppo pericoloso per lui e non posso permettere che si faccia male. Proteggerlo è la ragione per cui la Regina mi ha donato a lui.”

“Uhm…”

“Cosa?”

“Non fraintermi, Cavaliere,” disse Kenma con cortesia. “Pensi davvero che il tuo amore possa distruggerlo e un matrimonio basato sul potere no?”

Hajime non ebbe il tempo di rispondere a quella domanda. 

“Vostra Altezza.”
Issei e Takahiro comparvero sulla scena, inginocchiandosi al cospetto del loro Principe.

Tooru adagiò l’arco contro un cespuglio. “Parlate,” concesse loro.

“Un ospite vi attende nella sala del trono,” disse Issei, permettendosi di alzare un poco lo sguardo.

Tooru aggrottò la fronte. “Quale ospite?”




 

Solo Hajime seguì il Principe Demone.

Vista la situazione senza precedenti, era meglio che gli ospiti di Nekoma fossero tenuti fuori dalla questione.

“È in anticipo di giorni,” borbottò Tooru, procedendo ad ampi passi verso la sala del trono.

“È da solo,” aggiunse Hajime. “Quanto può essere folle un Re per presentarsi in una corte straniera senza scorta?”

Si scambiarono uno sguardo veloce ed entrarono nel salone fianco a fianco.

I membri del consiglio erano lì, intorno a quell’ospite inatteso, quasi dovessero intrattenerlo. Fu impossibile non notarlo, perché era più alto di tutti loro. 

Tooru si umettò le labbra e simulò un paio di colpi di tosse.

Il vociare che riempiva la sala si tramutò in silenzio e non appena i Demoni riconobbero il loro Principe, non esitarono a inginocchiarsi a terra. 

Hajime storse la bocca in una smorfia, guardandoli con disprezzo uno a uno. Fingevano di essere spaventati da un fanciullo di quattordici anni, poi tentavano di approfittarsi della sua giovane età per giocare con un potere non loro.

Tooru non li considerò degni di alcuna attenzione. Li superò uno a uno, arrivando di fronte al giovane Re giunto all’improvviso alla corte di Seijou.

“Wakatoshi di Shiratorizawa, presumo,” disse Tooru.

Hajime lo guardò in faccia solo allora. Se ricordava bene, l’erede al trono di quel regno aveva la loro età, ma quello che stava guardando era un giovane uomo e non un ragazzino.

“Presumete bene, mio Principe.” Wakatoshi chinò la testa con rispetto ma non s’inginocchiò.

Tooru storse la bocca in una smorfia. “Siete in largo anticipo rispetto al vostro invito, ne siete consapevole?”

“Credevo che il viaggio sarebbe stato più lungo e complicato, Altezza,” si giustificò Wakatoshi.

Tooru sorrise divertito - no, infervorato. “Siete davvero giunto fino a qui completamente da solo?”

“Non rischierei mai di lasciare la mia corte priva di difese, Principe Demone,” spiegò il giovanissimo sovrano. 

“Il Primo Cavaliere di Shiratorizawa deve essere degno di molta fiducia, allora.”

“Sono io il Primo Cavaliere di Shiratorizawa.”

Tooru smise di sorridere, ma solo per un istante. “Un Re di quattordici anni che è anche Primo Cavaliere.”

Da dove era, dimenticato da entrambi i giovani reali, Hajime vide gli occhi scuri del suo Principe accendersi di sincero interesse. Sentendosi di troppo, abbassò lo sguardo.

Alla fine, Tooru accolse quell’inatteso ospite ben volentieri. “Benvenuto alla corte di Seijou, Re dell’Aquila.”



 

Nessuno dei tre avrebbe mai dimenticato quel giorno.

Fu solo l’inizio della loro storia.

   
 
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