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Autore: Jordan Hemingway    06/04/2015    1 recensioni
La Terra è stata conquistata: i nuovi padroni si fanno chiamare dèi e usano gli esseri umani come pedine nel loro eterno gioco di dominio. Solo due fratelli possono rovesciare la sorte, un uomo e una donna in grado di cambiare le carte in tavola… Se solo i loro eserciti non li considerassero empi traditori.
Si dice che siano gli dèi a governare il fato del mondo e, come dio, non ho mai avuto dubbi al riguardo: questo fino a quando il destino di Electra Bianca Lama non ha incrociato il mio.
Non che ne avessimo discusso: il vocabolario della ragazza, squisitamente vario per quel che concerneva armi e strumenti di distruzione di massa, era purtroppo limitato in ogni altro tipo di conversazione, soprattutto riguardo la filosofia.
Forse per questo quando introducevo l’argomento la sua spada si conficcava sempre a pochi millimetri dal mio orecchio destro.
Sto correndo troppo.
Prima che diventassimo così intimi, di Electra conoscevo solo quello che i suoi compagni dicevano di lei.
Traditrice della propria stirpe, assassina di regine.
La sorella dell’uomo che per un trono aveva ucciso la madre.

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Genere: Drammatico, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando gli schiavi chiudono gli occhi


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3.
 
Καλά έκανε εχθρούς όλους τους ανθρώπους, αλλά τους θεούς
Fatti pure nemici tutti gli uomini, ma non gli dèi.
Coefore, Eschilo
 
 
 
Rinvenire: non avrei mai pensato di poter sperimentare anche questa condizione umana.
La mia testa pulsava come una stella morente, i raggi del sole mi ferivano gli occhi e per un breve istante non ricordai nulla, né la mia identità né quel che era successo.
Non ero mai stato così simile a un umano.
 
 
“I sopravvissuti del nostro esercito sono stati radunati.” L’unico segnale da cui Oreste poteva capire lo stato d’animo di Pilade era la sua voce, controllata e monocorde.
La dea sapiente lo liquidò con un gesto. “Non mi interessa. Ci sono prigionieri dall’Ephestus?”
“Nessuno. La nuova arma ha distrutto l’intera nave e l’esercito attorno ad essa.”
“Molto bene.” Sorrise la dea. “La Poseidon sarà la prossima.” Con un cenno, congedò i due umani, che nel tempo di un battito d’ali si ritrovarono a palazzo, ad Argo. “Confido che l’esercito completo sia pronto entro due settimane.” La voce della divinità risuonò tra le colonne di pietra scura, svanendo nell’eco.
Finalmente.
Oreste riuscì a trascinarsi verso il trono ligneo. Qualsiasi cosa fosse accaduta quella notte, non aveva avuto nulla di divino: sotto le sue palpebre chiuse scorrevano le immagini dei suoi uomini, chiusi all’interno di una tempesta di fuoco mentre la loro carne si apriva sfrigolando e il sangue evaporava in fumi che si fondevano all’aura rossastra che li stava distruggendo.
Non avrebbe mai dimenticato quelle urla.
Le gambe cedettero, e il re di Argo si accasciò sui gradini che separavano il trono da terra: Clitemnestra aveva voluto rendere chiaro il divario che separava i re di Argo dalla natura umana.
“Quanti sopravvissuti?” Non osava alzare la testa per incontrare lo sguardo di Pilade.
Pilade che aveva rinunciato a un regno affinché lui potesse ottenerne uno. Pilade che lo aveva seguito in ogni battaglia, che aveva stretto le sue mani coperte del sangue della madre adottiva, Pilade che con la sua presenza impediva alle Erinni della follia di possederlo interamente.
La dea sapiente aveva chiesto un prezzo troppo alto per la vittoria.
“Una dozzina, forse meno.” Perché la sua voce era così distante?
“E?”
Pilade guardò il suo re, privo di maschere, la testa china di chi non reclama pietà, le spalle scosse da brividi. E nonostante tutto questo Oreste non avrebbe indietreggiato di fronte a nulla per la riuscita del piano.
“La Bianca Lama non è tra di loro.”
E Pilade, ora accanto a lui, stringendolo a sé pensò che avrebbe affrontato tutti i demoni del Tartaro per portarlo alla vittoria, se questo era il suo volere.
 
 
Il corpo di Teucro giaceva a pochi metri da lei.
Il migliore dei soldati, il migliore degli amici.
Che cosa si prova a morire per un amico?
Electra notò che, nonostante fosse crivellato di colpi, il suo viso sfigurato sembrava sorridere, di nuovo in pace con se stesso.
Si alzò, controllando al tempo stesso le ferite ricevute: a parte alcune escoriazioni e un lungo taglio in fronte, niente di rotto. Poteva combattere, se necessario, ma al momento non se ne presentava il bisogno: l’altopiano dove avevano attaccato la Ephestus era coperto da cadaveri, le cui ossa sembravano essersi fuse con il terreno, e della nave nemica rimanevano solo alcuni resti, come giganteschi denti di metallo che spuntavano dalla terra. Electra non si interrogò su cosa potesse essere successo. Recuperò la propria spada, sulla quale il sangue si era seccato in macchie brune, e si preparò ad andarsene.
“Ehi, comandante.”
Il primo impulso fu quello di ignorare la voce, per cui la donna non si fermò.
“Bianca Lama!” Un uomo uscì da uno dei mucchi di cadaveri. “Allora hanno ragione gli aedi delle taverne di Argo: sei davvero immortale come gli dèi.”
Il soldato si avvicinò: Electra vide che zoppicava leggermente, ma non sembrava aver subito danni maggiori.
“Ti ricordi di me, Bianca Lama?” Era il nuovo arrivo del suo reggimento, il mercenario. La zoppia poteva essere dovuta a una frattura, che gli avrebbe reso difficile una marcia prolungata: ad ogni modo, quell’uomo l’aveva vista.
“Mi ricordo.”
Avrebbe dovuto ucciderlo subito?
“Agamennone ha avuto ragione ad adottarti e a metterti a capo dell’esercito.”
Electra si irrigidì.
“Non che tuo fratello non sia ugualmente dotato, sia chiaro.”
Forse lo straniero non era quello che sembrava.
“Tu parli troppo, soldato.” Electra agganciò la propria spada alla corazza di cuoio.
“Anche in famiglia dicono questo.” L’uomo sorrise, mentre il sole si alzava sulla sua faccia incrostata di sangue e polvere.  “Che si fa ora, comandante?”
“Se vuoi tornare ad Argo, ripercorri il cammino fatto all’andata.” Electra lo osservò attentamente.
Lo straniero ricambiò lo sguardo. “Significa che tu non tornerai?”
“Puoi venire con me, se lo desideri.” Se avesse deciso di tornare ad Argo, avrebbe dovuto ucciderlo.
“Sono un mercenario.” Lo straniero scrollò le spalle. “La mia fede va al mio comandante. Anche se da un punto di vista più filosofico immagino si possa dire che…”
“Molto bene. In marcia allora.”
“Dove siamo diretti, Bianca Lama?”
“A nord.” Electra indicò le forme indistinte delle montagne. “Tessaglia.”
 
 
Si racconta che Agamennone fosse il discendente di una stirpe maledetta di fratricidi: lui e il fratello Menelao comparvero all’improvviso in una notte d’estate, mentre Leda di Sparta decideva il futuro delle sue figlie in base ai risultati di un torneo in cui Agamennone e Menelao ottennero la vittoria.
Non ho mai capito perché i cantori umani tendano a glissare sui dettagli importanti.
Le due ragazze, coperte solo dal sangue dei pretendenti che le avevano sfidate, schiena contro schiena, tenevano puntate le spade contro i due fratelli armati allo stesso modo, sotto lo sguardo benevolo della dea amante e del dio guerriero che facevano da giudici.
Un ballo mortale dove le coppie combattevano per la propria libertà e per la propria ambizione.
Menelao, a sorpresa, fu il primo a premere la sua lama sulla gola di Elena, lasciandole una cicatrice che avrebbe dovuto ridurre la sua bellezza innaturale. Clitemnestra emise un rantolo, e si lanciò su Menelao accecata dalla rabbia: questa fu la sua rovina, perché Agamennone non avrebbe potuto batterla altrimenti.
I soldati spartani intervennero a staccare le sorelle ansimanti da un abbraccio che poco aveva di fraterno, e a portare Elena nel talamo nuziale. Clitemnestra malediceva la propria madre mentre veniva caricata sul carro che l’avrebbe portata ad Argo, la città a lei destinata per diritto di nascita, e ora in mano ad un guerriero sconosciuto.
Perché, a dir la verità, nessuno sapeva davvero chi fossero quei due, e come mai fossero scesi dalle montagne del nord, dove Agamennone fece ritorno un’unica volta qualche anno dopo: il grembo di Clitemnestra era sterile (personalmente, più che agli dèi, imputo questo all’infuso di erbe che la regina beveva nel dopocena), e serviva una cura che solo le streghe della Tessaglia potevano fornire.
Quando tornò ad Argo portava con sé due fanciulli, maschio e femmina, entrambi pallidi come la neve in cui erano stati cresciuti.
Quella era la cura per la sterilità di Clitemnestra.
Date le premesse, c’è da meravigliarsi che quest’ultima avesse deciso di porre termine al regno di Agamennone nel più rapido dei modi?
 
 
Dal campo di battaglia raccolsero borracce, corde e tutto ciò che sarebbe potuto risultare utile senza appesantirli troppo.
La strada verso il nord sarebbe stata lunga: scudi e spade di riserva non avrebbero fatto la differenza.
Il cadavere di Teucro li fissava: obbedendo all’impulso del momento il mercenario abbassò le palpebre su quegli occhi spenti prima di allontanarsi seguendo Electra.
Smisero di marciare solo quando Vega fu alta nel cielo notturno.
Il soldato si lasciò cadere al suolo. “Avremmo dovuto impegnare l’esercito di Corinto in una marcia: sarebbe stata una strage.”
“Se sei stanco, puoi avere il secondo turno di guardia.”
“Con tutto il rispetto, comandante, siamo due presunti cadaveri accampati nel mezzo del nulla.” L’uomo indicò le brulle colline attorno a loro, segnate dai combattimenti di secoli di scismi. “Se qualche pattuglia decidesse di passare da queste parti ci scambierebbe per sassi.”
“Allora farai il primo turno.”
Il mercenario sospirò, estraendo dal suo fagotto un pezzo di pane rubato a un commilitone che non ne avrebbe più avuto bisogno. Fortunatamente il giorno dopo sarebbero giunti in vista delle foreste, e avrebbero potuto variare la loro dieta.
Masticando la mollica stantia, l’uomo osservò Electra bere a piccoli sorsi da una piccola fiasca. “Perché non sei tornata ad Argo, comandante?”
Nessuna risposta.
Il soldato terminò il suo pasto e si sdraiò sulla schiena: la Via Lattea era coperta dalle nubi, ma ogni tanto si riusciva a intravedere qualche brandello di costellazione che illuminava la notte.
“Tuo fratello, il re, e tutto l’esercito ti crederanno morta.”
“Per loro ero già morta.”
Questa volta fu l’uomo a tacere. Nel cielo si intravedevano segmenti luminosi: la cintura di Orione, Cassiopea, la Stella Polare. Nomi che, nei secoli in cui gli dèi non erano altro che storie, avevano reso l’universo meno angosciante, popolandolo di eroi e mostri che avevano guidato l’umanità sulla giusta rotta.
E che avevano indicato agli dei la strada verso la Terra.
“Pensi mai a come poteva essere tutto questo senza di loro?” Domandò a un tratto il mercenario, indicando con un braccio la distesa di terreno spoglio e bruciato. “Senza gli dèi.”
“Perché dovrei?” La Bianca Lama fissava un punto indefinibile nel buio attorno a loro.
“Forse non c’è un perché. Forse l’immaginazione non ha bisogno di spiegazioni.” Il soldato alzò lo sguardo di nuovo verso il cielo. “Una volta ho sentito un aedo cantare dei tempi antichi, quando gli dèi erano lontani. Raccontava di navi immense che solcavano i cieli, cariche di merci destinate a regni oltre le stelle, di congegni che permettevano di spostarsi su distanze incalcolabili in pochi secondi, e di sapienza che tutti condividevano, dal più potente al più umile: bastava chiudere gli occhi.”
“Non bisogna credere ai racconti degli aedi.”
“Qualche giorno dopo il cadavere di quel vecchio venne trovato vicino al tempio della dea sapiente: probabilmente le sue storie non erano piaciute.”
Electra rimase in silenzio.
“Gli esseri umani sono deboli.” La sua voce era appena percepibile dal mercenario. “Eppure, un tempo, non erano così diversi dagli dèi. E questa è stata la loro rovina.”
La donna si avvolse nel suo mantello imbrattato di sangue. “Fra quattro ore inizia il tuo turno di guardia. Non sprecarle in conversazioni, soldato.”
“Mi chiamo Lykos. Lykos il Lupo, per gli amici.”
“E’ irrilevante.”
“Buonanotte, Bianca Lama.”
 
 
Per essere un sovrano astuto, Agamennone fu incredibilmente ingenuo nei confronti della moglie.
L’amore acceca anche i più saggi.
Dieci anni a combattere sotto le mura di Ilio senza nemmeno un graffio (la gamba di legno può essere considerata un incidente di percorso) e, tornato a casa, si lasciò sgozzare come un agnello sacrificale.
La sua testa recisa era rotolata oltre il trono in cui sedeva il corpo mutilato, dal cui collo il sangue zampillava e sgorgava ancora quando Electra e Oreste lo trovarono.
Clitemnestra li attendeva: tra le mani reggeva la scure con cui aveva riconquistato il dominio su Argo.
Piegarsi o morire, fu questa la scelta che impose ai figli che Agamennone le aveva imposto.
Oreste fuggì: dalla sua parte aveva i nobili argivi fedeli al padre e il fidato Pilade.
Electra si piegò.
Trascorsero anni prima che Clitemnestra si fidasse al punto da affidare di nuovo il migliore reggimento e la propria vita nelle sue mani: anni passati a lottare fianco a fianco con coloro che aveva comandato, obbedendo agli ordini di strateghi meno esperti e combattendo per non perderne nemmeno uno inutilmente.
Quando la Bianca Lama tornò al comando del suo reggimento l’esercito proruppe in un boato di gioia.
Chi avrebbe detto che qualche mese più tardi quegli stessi uomini avrebbero sputato al suo passaggio?
Solo Cassandra lo avrebbe potuto prevedere: ma lei era già morta.




  
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