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Autore: SellyLuna    06/04/2015    5 recensioni
«Hinata è sempre più distante» confidò in seguito, a bassa voce, Naruto.
La sua paura – quella che Hinata diventasse irraggiungibile e irrecuperabile – era tangibile, sia Sakura sia Sasuke la sentirono pesare sui loro cuori.
«Naruto, tu non devi demordere. Devi farle sentire che ci sei, senza risultare pressante. Bastano i piccoli gesti» gli consigliò Sakura, sorridendo incoraggiante.

Come è possibile che abbia dimenticato il suo credo ninja?
In fondo, era di questo che si trattava: di non arrendersi mai, di fare il possibile per aiutare Hinata, per renderla felice.
Sarebbe stata dura, ma Sakura sapeva che Naruto ce l’avrebbe fatta, magari servivano molto più tempo, molto più sudore e fatica ma infine era certa di rivederli entrambi sorridere, amare e amarsi.
Presto la vita avrebbe donato loro quello che avevano perso.

[NaruHina♥]
[Partecipante al ‘NaruHina Contest – VI° Edizione: ‘Traccia madreperlacea di lumaca’ indetto da Mokochan e Yume_no_Namida.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la serie
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Autore: SellyLuna
Titolo: L’amore troverà la via
Personaggi e Pairing: Naruto, Hinata,Sakura, Sasuke; NaruHina
Genere: malinconico, introspettivo, sentimentale
Rating: giallo
Avvertimenti: tematiche delicate, missings moments,  what if?, OOC lieve
Introduzione: La one-shot si colloca tra il capitolo 699 e il 700. Naruto e Hinata stanno vivendo un momento particolare della loro vita, un momento doloroso che li ha portati ad allontanarsi l’uno dall’altra. Vivono la sofferenza da soli, invece che viverla insieme traendo forza dal partner.
Riusciranno a ricucire il loro legame, riusciranno a riavvicinarsi?
«Hinata è sempre più distante» confidò in seguito, a bassa voce, Naruto.
La sua paura – quella che Hinata diventasse irraggiungibile e irrecuperabile – era tangibile, sia Sakura sia Sasuke la sentirono pesare sui loro cuori.
«Naruto, tu non devi demordere. Devi farle sentire che ci sei,  senza risultare pressante. Bastano i piccoli gesti» gli consigliò Sakura, sorridendo incoraggiante.
Come è possibile che abbia dimenticato il suo credo ninja?
In fondo, era di questo che si trattava: di non arrendersi mai, di fare il possibile per aiutare Hinata, per renderla felice.
Sarebbe stata dura, ma Sakura sapeva che Naruto ce l’avrebbe fatta, magari servivano molto più tempo, molto più sudore e fatica ma infine era certa di rivederli entrambi sorridere, amare e amarsi.
Presto la vita avrebbe donato loro quello che avevano perso.
Note dell'Autore:  Ecco qui la mia prima Naruhina. È con timore e insicurezza che ve la sottopongo. 
Prima di tutto non sono sicura di essere riuscita a rendere, anche solo per una minima parte, questi due personaggi e il loro rapporto speciale. Non vorrei averli resi così male da mettersi le mani nei capelli, insomma non vorrei deludere tutti i fan NaruHina e soprattutto le giudici. Dopotutto, dispiacerebbe moltissimo anche a me scoprire che sono andata totalmente fuori strada; mi è sempre piaciuta come coppia, mi ha sempre infuso dolcezza e tenerezza. Ma Naruto e Hinata non sono solo questo.
In secondo luogo, non sono del tutto convinta che questa one-shot possa rientrare per tutto nelle consegne del contest.
Sono stata – e lo sono ancora – molto combattuta se presentarla o meno.
Ora passiamo alle cose più tecniche. Questo spaccato di vita si inserisce nel lungo lasso di tempo che va dal capitolo 699 al 700. Ovviamente è una what if ed ho immaginato che Naruto e Hinata avessero vissuto un momento particolarmente doloroso. La fic dovrebbe mostrare la loro sofferenza, il loro allontanamento, ma anche il desiderio nonostante tutto di riavvicinarsi, di sconfiggere il dolore per ritornare a sorridere ad una vita piena e vera, ritornare ad amare e amarsi.
Questo è quanto. ^^
Ora lascio queste parole parlare al mio posto, perché ho spesso la sensazione di non essere capace di spiegarmi molto bene e spero che loro lo facciano meglio di me. ;)  
Quindi, vi auguro una buona lettura! ♥

 
 
 
 
 

L’amore troverà la via
 
 
 
 
 


Non ricordava assolutamente come era arrivata fin lì e non sapeva neppure identificare quel luogo: era totalmente immerso nell’oscurità.
Non aveva più paura del buio, tuttavia provava un leggero senso di inquietudine: e se c’era qualcuno pronto ad attaccarla? Come sarebbe potuta scappare, se non vedeva dove si trovava?
Non riusciva a classificare quell’ambiente e questo le metteva addosso una certa ansia: per quel che ne sapeva poteva trovarsi in una zona ristretta, senza nessuna via d’uscita – e solo all’idea iniziava a tremare a disagio – oppure era in un luogo aperto, magari in una fitta foresta che non lasciava filtrare nemmeno un piccolo raggio di luce.
In ogni caso, era in balia degli eventi. Pregò intensamente i Kami che non le succedesse nulla di male, augurandosi di trovare un modo per cavarsela.
Percepiva addosso degli sguardi minacciosi, che la facevano sentire inappropriata, fuori luogo; cercava di comprendere da dove l’osservavano, ma ancora una volta non ottenne risultati in questo senso.
Naruto. Aiutami tu.
Le venne naturale immaginare il viso sereno e protettivo del ninja e si sentì subito meglio, ritrovò il coraggio. Fiera alzò lo sguardo e ritornò ad analizzare la situazione.
Chiunque le stava puntando gli occhi addosso, non doveva trovarsi troppo lontano da lei.
Acuì i sensi alla ricerca di indizi, ma nonostante l’impegno non riuscì a quantificare il nemico.
Cosa si sarebbe inventata, ora?
Percepì un forte slittamento e capì che lo scenario era cambiato. Non notò molto di diverso dal precedente, anche qui era l’oscurità a farla da padrona.
«C’è nessuno?» si ritrovò a domandare.
Ma le rispose solamente il silenzio, una calma sinistra si era appropriata di quel luogo.
Non le piaceva, non c’era luce, era tetro e buio. E lei era sola, non c’era nessuno che conosceva, nessuno di cui fidarsi, nessuno cui domandare dove fosse e che stesse succedendo.
Si sentiva perduta.
Poi, ad un tratto, pian piano, quasi stessero strisciando udì delle voci, delle risate maligne. Un po’ alla volta apparvero degli individui vestiti di nero, dei quali non si potevano vedere i lineamenti del viso, perché portavano delle maschere bianche.
Le incutevano timore ed erano inquietanti.
Le si avvicinarono sempre più mozzandole il fiato in gola, mentre le loro derisioni aumentavano di intensità. Si accorse che in quegli scherni c’era un tono d’accusa che non sapeva spiegarsi, ma che la feriva profondamente.
Quelle persone le erano addosso, impedendole ogni possibile via di fuga e rendendole difficoltoso il respiro. Non ce la faceva più, calde lacrime le rigarono le guance.
Perché? Perché mi sta succedendo questo? Cosa ho fatto?
Queste erano le domande che si poneva, senza trovare alcuna risposta.
Così come erano comparsi, quegli individui sparirono, lasciandola disperata e nuovamente sola, tremendamente confusa.
Con la testa ancora piena di domande, cercò di ristabilirsi e per l’ennesima volta di intuire dove fosse.
Questa volta non era sicura di essere stata teletrasportata in un nuovo ambiente, poteva essere lo stesso luogo privo di quegli individui malefici.
La calma che albergava ora le sembrava rilassante e amichevole.
Sospirò sollevata. Forse non avrebbe più fatto spiacevoli incontri, si augurò.
Si alzò da terra e fece alcuni passi.
Quello che la colpì positivamente fu che ora era circondata da tanta luce, che donava a quel luogo una parvenza evanescente. Quel bianco le trasmetteva un senso di serenità e sicurezza, sapeva che non era in pericolo.
Tuttavia era di nuovo sola, non c’era nessuno a cui rivolgere domande per avere delle risposte. Si rattristò perché pensò che sarebbe stato giusto condividere con qualcuno quell’angolo di paradiso.
Continuò a camminare, inspirando l’aria sentendosi a proprio agio.
Nulla sarebbe andato storto, ne era sicura.
«Mamma!» un lamento disperato «Mamma!»
Hinata sentì un’improvvisa quanto inspiegabile angoscia: c’era un bambino da solo che aveva bisogno d’aiuto e lei voleva essere utile.
Corse con affanno, perché era suo dovere di madre raggiungerlo e soccorrerlo. Correva più veloce che poteva, incurante delle ferite che si procurava cadendo.
Suo figlio la stava chiamando.
Quella voce, che non aveva mai udito ma che sapeva appartenere a suo figlio, la chiamò ancora e ancora, sempre più insistentemente.
Il bambino continuava a invocarla e nel suo tono Hinata percepì un’accusa.
Perché tutti mi denigrano? Ho fatto qualcosa di grave?
Non sapeva come farsi perdonare e soprattutto non era sicura di essere nel torto; non sapeva nemmeno di cosa l’accusassero.
Però non poteva che sentirsi una miserabile per la sua presunta colpevolezza.
Quel dolore era insopportabile, presto sarebbe rimasta schiacciata da quel peso.
«Mamma! Mamma! Perché?» continuava a ripetere senza sosta suo figlio.
Non riusciva a emettere fiato, non sapeva come giustificarsi, come spiegare al suo bambino che non avrebbe mai voluto che andasse a finire così, che gli voleva un mondo di bene e che sempre gliene avrebbe voluto, ma che qualcosa era andato storto. Non c’era giorno che non patisse per quell’evento funesto e non si sentisse in colpa, come se fosse dipeso interamente da lei e dalla sua volontà.
Pressata dalle sofferenze, distesa a terra, allungò una mano verso il figlio, chiedendo un muto perdono. 
Ma nemmeno il viso rigato di lacrime di una madre riuscì a impietosire una giovane vita mai nata.
Ricevette, come risposta, solo uno sguardo carico d’odio, mentre lei sprofondava sempre più nelle tenebre.
 
 
 
 
Si svegliò di soprassalto. Il cuore le martellava furiosamente nel petto, vi posò sopra la mano sinistra per cercare di calmarsi.
Si portò la mano destra sulla fronte per scoprirla madida di sudore.
Quell’incubo le aveva giocato proprio un brutto scherzo; si augurò di non aver urlato o di essersi dimenata come un’ossessa. Per accertarsi di ciò, girò il viso al suo fianco, dove un Naruto ignaro e tranquillo dormiva beatamente con la bocca schiusa; Hinata non aveva alcun dubbio che stesse facendo dei bei sogni.
Decise che per regolarizzare il proprio respiro e per scacciare i brutti pensieri avrebbe fatto bene a fare una passeggiata in giardino.
Silenziosamente si alzò dal letto, infilò i piedi nelle ciabatte; il contatto con il freddo legno la fece rabbrividire, ma si abituò ben presto alla sua consistenza.
Senza far rumore, lasciò la stanza da letto, per immettersi nel silenzioso corridoio fino a raggiungere la porta finestra del soggiorno che dava sul giardino.
Appena mise piede sul prato, si sentì già molto meglio; la brezza notturna le scompigliò i capelli e le rinfrescò le guance.
Sospirò liberamente, lasciando fluire senza timore tutte le sue preoccupazioni. Qui era libera di essere se stessa, senza dover allarmare nessuno.
Quella era la zona della casa che preferiva in assoluto, aveva da sempre un legame speciale con il giardino interno.
Da bambina lo vedeva come un luogo irraggiungibile, dove suo padre si allenava e dove un giorno, quando sarebbe stata pronta e degna, si sarebbe allenata anche lei. Lo sentiva come un luogo sacro, silenzioso e, quando si trovava nelle vicinanze, non osava nemmeno alzare gli occhi, per paura che il suo sguardo impuro potesse in qualche modo alterarlo: chissà poi cosa avrebbe detto suo padre!
Era un luogo mistico e lei, da brava bambina diligente, non si era mai inoltrata al suo interno, quando suo padre non era in casa, anzi cercava di stare nelle zone più lontane possibili dal giardino.
Voleva essere invisibile, come se il giardino avesse avuto una sua essenza e possedesse degli occhi che la scrutavano, che seguivano i suoi movimenti.
Poi pian piano imparò ad apprezzarlo, fino a che si sentì amata e accolta in quello spazio ristretto. Lì poteva essere se stessa, non c’era nessuno che la giudicava, nessuno da rendere orgoglioso, nessuno che si arrabbiava perché non era forte abbastanza, nessuno che l’avrebbe potuta deridere.
Il giardino era diventato il suo luogo prediletto, dove passava la maggior parte del suo tempo, non solo allenandosi, ma soprattutto a riflettere e a nascondersi dalle responsabilità e dal mondo esterno.
Quando si sentiva triste o quando le cose non erano andate bene, si rifugiava in quel piccolo angolo di paradiso, il suo paradiso personale.
Si sedeva sotto il ciliegio, facendo aderire la schiena al legno rassicurante e si tranquillizzava, si sentiva protetta come se la pianta la stringesse in un affettuoso abbraccio con braccia invisibili.
Scomparsa la crisi, alzava il volto verso il cielo e si attardava a guardare i rami più alti del ciliegio, imparando a riconoscere le vesti che indossava nelle diverse stagioni.
La sua preferita era la primavera: il ciliegio si colorava di rosa e bianco delicati, era popolato da diverse specie di uccelli che l’accoglievano ognuno con il suo canto particolare, era spesso e volentieri circondato da una miriade di farfalle variopinte. Era uno spettacolo che riempiva il cuore di gioia e qualsiasi pensiero negativo si volatilizzava in un battibaleno.
Come aveva già fatto molte volte nella sua infanzia, raggiunse il grande albero e vi si sedette contro.
Si lasciò cullare da quell’atmosfera familiare e piacevole, abbassò le palpebre e ascoltò i rumori della notte.
Quei piccoli suoni l’aiutavano a distendersi e scoprì che non c’era nulla da temere dall’oscurità.
In quell’ultimo periodo divenne un’abitudine, quella di uscire nel cuore della notte per godere della natura notturna.
Come ogni volta, sprofondò infine in un sonno senza sogni, vigilata dal possente ciliegio.
 
 
 
***
 
 
 
Naruto si svegliò a causa della luce insistente che proveniva dalla finestra e che, puntualmente, si posava sulle sue palpebre.
Ancora assonnato, si stropicciò gli occhi e si mise seduto. Voltò poi il capo alla sua destra per vedere come stava Hinata e, quando realizzò che l’altra parte del letto era vuota, iniziò a entrare in panico.
Che fine ha fatto?
Si lanciò letteralmente fuori dal letto, inciampò un paio di volte prima di riuscire a dirigersi verso la porta per andare alla ricerca della moglie.
A piedi nudi si fiondò al piano terra, raggiunse la cucina, sperando di trovarla ai fornelli o comunque alle prese con la colazione e allora si sarebbe dato dello stupido, perché come i fatti gli avrebbero sottolineato non c’era nulla di cui allarmarsi.
Ma così non fu, la cucina era candida e vuota, l’unico suono che vi albergava era il cessante e fastidioso sgocciolio del rubinetto.
Ma in quel momento il suo cervello non registrò quel particolare e, come un razzo, si diresse in soggiorno per avvedersi ancora una volta che Hinata non era nemmeno lì.
C’era solo un altro luogo dove era sicuro che la compagna amava sostare e in cui si sentiva a proprio agio. Senza altri indugi, spalancò la porta finestra e andò in fondo al giardino, dove il grande ciliegio li riparava dal sole.
Hinata era accoccolata al suo tronco, con la testa abbassata e Naruto intuì che dormiva ancora.
Non era la prima volta che al suo risveglio non la trovava al suo fianco; era diventata ormai una consuetudine e, se all’inizio non aveva compreso questa sua decisione, ora sapeva bene per quale motivo Hinata preferiva isolarsi.
Non sapeva come aiutarla, l’amava con tutto il suo cuore, ma questo non bastava: doveva fare qualcosa in più e non aveva nessuna idea di come muoversi senza fare ulteriori danni.
Lei non era l’unica che soffriva, anche lui provava dolore per lo stesso evento. C’erano giorni in cui non era troppo difficile convincersi che non era colpa di nessuno, che quello che era successo doveva accadere, ma negli altri giorni diventava terribilmente più complesso farsene una ragione; la sua mente cercava una falla, l’errore che aveva condotto a quella circostanza spiacevole. Se non riusciva a esserne convinto lui per primo, come poteva essere d’aiuto per la compagna?
Doveva essere forte per entrambi, doveva mostrarsi affidabile, la spalla forte su cui lei poteva piangere tutte le sue lacrime, doveva infonderle coraggio.
Ma non ci riusciva; più tentava di avvicinarsi a lei e ai suoi sentimenti, più lei si scansava, si chiudeva in se stessa, diventava inarrivabile e lui non aveva coraggio abbastanza per continuare, per andare oltre.
Così, giorno dopo giorno, la perdeva sempre un po’ di più, il suo sguardo diveniva sempre più spento e lui aveva una paura tremenda di perderla per sempre.
Ma oggi no, sarò forte!
Le si avvicinò lentamente e le si accucciò vicino, con delicatezza le toccò una spalla per svegliarla.
«Hinata, svegliati!» le sussurrò dolcemente vicino all’orecchio.
Bastarono pochi richiami che la donna si mosse, dando segnali di aver recepito il messaggio.
Aprì gli occhi sul mondo e incontrò due meraviglie celesti che la guardavano un po’ apprensive.
«Buongiorno, amore!» la salutò con grande gioia, un largo sorriso a illuminargli il viso.
«Buongiorno anche a te» gli rispose lei cortesemente.
«Tutto bene?» osò chiederle Naruto.
La giovane donna annuì; non voleva preoccupare inutilmente il marito: aveva ben altro a cui pensare. Lui sarebbe diventato il prossimo Hokage ed era giusto che dedicasse tutte le sue energie per realizzare il suo sogno; non voleva fargli perdere tempo a causa dei suoi incubi e delle sue brutte sensazioni.
Il giovane ninja si fece bastare la risposta, non indagò oltre sulla questione e aiutò la donna ad alzarsi e insieme si diressero all’interno della casa.
Hinata fu grata a Naruto per aver compreso che non era quello il momento giusto per discutere della loro situazione; era da qualche giorno che aveva percepito una strana inquietudine intorno alla sua figura e comprese che il giovane volesse delle spiegazioni, voleva trovare delle soluzioni. Ma era lei quella che non era preparata ad affrontare tutta quella fiumana di sentimenti.
Con disinvoltura si prodigò a preparare un’ottima colazione per il suo Uzumaki preferito; Naruto doveva possedere tutte le forze possibili per affrontare una giornata lavorativa.
Le risultava sempre piacevole preparare il cibo per il suo consorte e in particolar modo in quei momenti di crisi riusciva a risollevarla, a farla sentire bene e importante, metteva ordine nel caos di tutte le sue emozioni, relegandole in un angolino del suo essere.
Trasportata da una momentanea serenità, improvvisò un allegro motivetto.
Sentendola canticchiare, a Naruto brillarono gli occhi di speranza.
Forse non è così male come credevo. Forse Hinata è sulla strada giusta per guarire dal male della sua anima.  
Non credeva possibile che sarebbe alfine giunto quell’istante tanto atteso; si sentiva l’uomo più felice del mondo.
La donna si girò e mise sulla tavola tutto l’occorrente per la sua colazione ideale; Naruto cercò impaziente il suo sguardo per potersi finalmente specchiare in quelle due perle cristalline; non avrebbe più scorto nessuna ombra nei suoi occhi.
Ma le sue aspettative non corrisposero per nulla alla realtà: Hinata non era ancora guarita da quella sofferenza che serpeggiava maligna nel suo cuore, notò ancora delle aree opache nei suoi occhi e sentì come se mille lame gli avessero trafitto il petto.
Con un sorriso di circostanza, la ringraziò per la sua dedizione, il cibo era fantastico come sempre, nonostante quella mattina gli riuscì molto più arduo mandar giù tutte quelle prelibatezze; il suo stomaco si era chiuso ermeticamente.
Sperò che Hinata non si accorgesse delle sue difficoltà a ingerire i suoi manicaretti.
Finito di mangiare, si alzò da tavola e le si parò davanti.
«Stammi bene, mi raccomando» la sua sembrava una supplica e la ragazza si sentì in colpa, perché Naruto teneva a lei e alla sua salute; le era chiaro che soffriva parecchio pure lui. In quel momento desiderò con tutte le sue forze che tutto tornasse come era sempre stato, che tutto fosse semplice e normale, che entrambi potessero ridere e gioire della loro vita insieme.
Lui le accarezzò dolcemente il viso; ad entrambi sembrò che il tempo si fermasse.
Quel gesto, così semplice e intimo, riuscì ad emozionarla, lacrime spontanee le si formarono ai bordi degli occhi e premevano per uscire, ma Hinata si sforzò di tenerle a bada; non voleva mostrare la sua instabilità psichica a Naruto, non voleva sentirsi inferiore e indegna come sposa.
Naruto la salutò con un tenero bacio sulla guancia.
«Buona giornata. Ci vediamo al mio ritorno» e si voltò, lasciandola sola e scombussolata.
Dopo che sentì chiudersi la porta d’entrata, semplicemente scoppiò. Lasciò che tutte le lacrime di dolore e di gioia – erano un mix pazzesco –  le rigassero le guance, mentre imbambolata osservava il punto in cui Naruto era scomparso.
 
 
 
***
 
 
 
Non era stata cosa facile trovare un impegno, le aveva provate tutte per distrarsi, ma nulla riusciva a tenerle lontana la mente dai suoi problemi per non più di cinque minuti e alla fine non le era restato altro da fare se non arrendersi all’evidenza che non sarebbe riuscita a trovare alcunché di adatto per quella particolare circostanza.
Poi verso le quattro del pomeriggio, il suo sguardo venne calamitato verso la finestra, osservò fuori dove una luce particolare la invogliava a camminare fra le vivaci vie del villaggio.
Prese una giacca di jeans leggera, si mise i sandali e si lasciò guidare dall’istinto e dai propri piedi.
Fece un bel tratto di strada, superò il centro pullulante di vita di Konoha, finché non si ritrovò nella zona più periferica e abbandonata del villaggio.
Qui regnava una calma invitante, la giovane donna decise di prendersi qualche minuto da dedicare a quel luogo dimenticato e sperduto.
In fondo, non ci sarebbe stato nessuno che poteva indignarsi per la sua sosta.
Si accomodò su un grosso masso bianco, sotto un possente albero, dal quale aveva l’intera panoramica di un vasto prato. A lato si ergeva una piccola villa pericolante, dal cancello dismesso e dal giardino infestato dall’erba gramigna.
Poteva trattarsi di un piccolo rifugio per gli animali randagi; non osava pensare a come dovesse apparire nelle tenebre, era certa che a lei avrebbe fatto un po’ d’impressione.
Ma era giorno, non aveva nulla da temere, si rilassò e abbassò le palpebre per meglio catalizzare i suoni e racimolare tutte le energie positive che quell’ambiente poteva offrirle.
Ad un tratto sentì raschiare; inizialmente lasciò correre ma poi pensò che fosse un rumore fuori luogo, quasi disturbante.
Aprì un occhio e cercò la fonte di tale fastidio. La sua visione era parziale, così attivò anche l’altro occhio nella ricerca. Avrebbe potuto affidarsi al Byakugan per velocizzare i tempi, ma le sembrava uno spreco esagerato di energie.
Si sarebbe fatta bastare il risultato approssimativo che occhi e orecchie le avrebbero dato.
Al raschiare si unì anche un miagolio, che cresceva sempre più d’intensità. Quella creatura sembrava in seria difficoltà; Hinata fece il possibile per scovarla in fretta.
Infine, trovò una piccola palla di pelo bianco nascosta in una scatola distrutta di cartone. Il micino, appena s’accorse di essere osservato, smise di piagnucolare, felice che ci fosse qualcuno a fargli compagnia.
Aveva due occhioni tenerissimi, Hinata provò da subito un profondo affetto per lui. Il legame che li unì era dipeso dal fatto che il piccolo gattino si trovava in una situazione disagiata: era orfano e viveva in un luogo poco ospitale per un cucciolo.
La donna si accovacciò e con cautela protese le mani per accarezzarlo. Il micio non si ritrasse ma osservò le sue mani con curiosità e diffidenza.
Ma quando sentì la dolcezza delle sue carezze, si acquietò, lasciandosi accarezzare. Al piccolino piacevano parecchio quei tocchi gentili.
«Miao!» il micio commentò il suo assenso per quelle affettuose attenzioni.
Era soffice come la lana e le nuvole, se avesse mai potuto constatarne la leggerezza di queste ultime. Il colore, però, lo avvicinava incredibilmente a quell’ammasso di morbidezza.
Lasciare scorrere le sue dita avanti e indietro in mezzo a quel pelo morbido era un vero toccasana, ripeté quell’azione innumerevoli volte e avrebbe tanto desiderato non fermarsi mai. Ma arrivò alla conclusione che il piccolino aveva sicuramente fame, così gli diede l’ultima carezza e si alzò.
«Aspettami qui, piccolino. Torno subito» gli promise.
Con un sorriso che voleva rassicurarlo, si allontanò alla volta del centro di Konoha.
Hinata corse più velocemente che poteva; non voleva fare troppo tardi. Arrivò infine al primo supermercato che incontrò sulla sua strada, entrò e con passo deciso si diresse allo scomparto del cibo per gli animali. Comprò una scatoletta e tutta contenta fece la fila alla cassa.
Una volta fuori dal negozio, si fiondò nuovamente verso il quartiere disabitato.
«Eccomi qui, ho fatto più in fretta che ho potuto» si annunciò.
Buttò un occhio alla scatola e stava per andare in crisi non scorgendo subito il micio: il gattino si era nascosto nella zona più in ombra di quella che era la sua cuccia.
Hinata si inginocchiò e preparò il pasto al gattino che, appena percepì quell’ottimo profumino, non ci pensò due volte ad abbuffarsi su quella piccola scatolina di latta.
La giovane l’osservò intenerita.
Ben presto arrivò il tempo di dividersi, tranquillizzò il micino promettendogli che sarebbe andata a trovarlo il giorno seguente.
A malincuore, prese la via del ritorno.
 
 
 
***
 
 
 
Per il giovane apprendista Hokage non era stata affatto una bella giornata, non tanto per le complicazioni che i consiglieri gli avevano sottoposto – per tutte quelle si sarebbe certamente trovata una degna soluzione, quasi immediata, d’altronde si trattava di problematiche di minor entità, non poteva decidere su questioni più gravi nel suo tirocinio – piuttosto per il fatto che, nonostante fosse attento ai problemi della città, una buona parte della sua mente cercava di escogitare un piano per risolvere le sue difficoltà – se così potevano essere definite – famigliari. Si era arrovellato il cervello, aveva progettato numerose soluzioni, aveva immaginato la loro efficacia, ma ogni volta trovava  delle imprecisioni. Ad ogni piccola pausa che si era concesso, davanti a una bella fumante ciotola di Ramen, aveva direzionato tutte le sue forze su quell’unico dilemma.
Come posso aiutare Hinata?
Era sicuro; non ce l’avrebbe fatta ancora molto a reggere tutta quella tensione. Non vedeva l’ora che il peggio passasse, di poter finalmente scorgere i primi progressi che annunciavano una felicità possibile.
Per quanto odiasse ammetterlo, era abbattuto. Proprio lui che aveva sempre trovato la forza di andare contro l’ignoto, contro il nemico dalla potenza inaudita; non aveva avuto  paura di nulla, con la sua forza di volontà e il suo credo ninja, aveva sfidato la sorte, temerario e quasi arrogante.
Ma ora sentiva di aver già perso, non poteva sconfiggere quel male, che si era insinuato nell’anima di Hinata, presto avrebbe catturato anche la sua e li avrebbe condotti all’inevitabile sconfitta totale.
Mestamente, si trascinò per strada.
«Naruto!» si sentì chiamare da una voce femminile. Riconobbe subito a chi apparteneva.
Sakura lo raggiunse in meno di pochi secondi.
Quanto invidiava, in quel momento, la sua felicità: se ne avesse avuto anche solo la metà…
Non poteva farsi vedere così distrutto; accolse l’amica con il migliore dei suoi sorrisi, o almeno con il migliore che poteva donare in quel periodo.
Sapeva che Sakura avrebbe notato, in ogni caso, che c’era qualcosa che non andava: i suoi occhi non potevano mentire.
Si augurò, tuttavia, che la sua ex compagna di team avrebbe avuto l’accortezza di non insistere nel farsi dire che cosa gli frullasse in testa.
Anche se, ne era certo, sarebbe potuta giungere alla conclusione da sé, senza nessun fiato da parte sua. Era lampante e già una volta si era confidato con lei e Sasuke.
«Come va?» gli chiese cortesemente la kunoichi dagli occhi verdi.
Sebbene Naruto non dubitasse che Sakura glielo aveva chiesto per reale interesse, tuttavia lo trovò particolarmente fastidioso, perché sapeva che la sua era una modalità per giungere al nocciolo della questione, girandoci alla larga.
«Tutto normale. Come sempre» rispose senza nessun tipo di emozione nella voce.
«Oh. Scusa» commentò lei «Non volevo sembrarti indelicata.»
Le sue scuse riuscirono a raddolcirlo.
«Dispiace anche a me» ammise Naruto.
In quella confessione involontaria Naruto si stava scusando per una totalità di eventi, per il suo comportamento degli ultimi mesi, per la sua poca pazienza, per il suo scattare per un nonnulla e confidava nella ragazza poiché capisse tutti i significati celati.
Che senso ha fingere?  
Sospirò, affranto.
Sakura riconosceva che la coppia di amici stava vivendo un momento delicato – ne era venuta a conoscenza perché lo stesso Naruto glielo aveva confidato; ed era stato meglio così, perché se lo avesse sentito da Ino, non voleva immaginare quanto le loro ipotesi sarebbero state lontane dalla realtà – ma non pensava che la situazione fosse peggiorata così tanto, quanto i suoi occhi stavano constatando in quel preciso istante.
E sentiva una morsa al cuore; non poteva sopportare di vedere soffrire due amici, due persone così dolci e buone, due persone che si meritavano il meglio dalla vita, si sentiva impotente, senza avere la possibilità di fare alcunché per cambiare il loro destino.
Era insopportabile, le morirono le parole in gola.
«Sakura! Ecco dove sei!» si aggiunse una voce spazientita. 
Si avvicinò loro un Sasuke alquanto contrariato.
«Perdonami, Sasuke-kun» si giustificò lei.
«Meno male mi hai detto di aspettarti fuori dal lavoro» commentò sarcasticamente Sas’ke.
Si fece subito attento alle espressioni dei volti di Sakura e di Naruto e afferrò che era un momento grave che richiedeva la massima serietà.
Sakura se le sentirà più tardi, per questo piccolo scherzetto…
Intuì che l’Haruno si stesse fustigando interiormente e maledicendo per la sorte avversa dei coniugi Uzumaki; se avesse potuto, avrebbe fatto volentieri cambio.
Poi si concentrò su Naruto e lo trovò particolarmente malinconico; una tale visione incredibile – perché mai e poi mai avrebbe anche solo immaginato di vedere in quello stato l’eroe della Foglia – scaturì in lui, l’apparente insensibile Sasuke Uchiha, un’indistinta emozione di partecipazione.
Era incredulo.
Dovevano trovare al più presto qualcosa per aiutarlo; una cosa del genere era inammissibile.
«È stato un piacere vedervi. Ora è meglio che torni a casa» il giovane Uzumaki si congedò così, allontanandosi dalla coppietta.
Ma Sakura, che si era ripresa giusto in tempo, fu più veloce e si affiancò all’amico.
«Dai, io e Sasuke ti accompagniamo a casa. Ti va?»
Sasuke l’avrebbe ripresa anche per questa sua iniziativa; non amava che gli altri parlassero a nome suo.
Tuttavia, silenziosamente li seguì.
Dal canto proprio, Naruto non fece nulla per desistere gli amici dal proprio intento. A cosa sarebbe servito?
Tanto lo sapeva che Sakura aveva una gran testa dura, quasi quanto la sua, e non sarebbe riuscito a farle cambiare idea.
Il rumore sordo dei loro passi riecheggiava nelle loro orecchie.
Nessuno osava proferire parola, ognuno perso nei propri pensieri.
Davanti al cancello della villa Hyuuga, i tre si fermarono. Naruto volse uno sguardo di commiato agli amici.
Sakura non era sicura che fosse un bene lasciare Naruto da solo in casa, ma non sapeva come fare per rimanere ancora qualche minuto in sua compagnia; era compito del padrone di casa invitare, se lo avesse desiderato, gli amici a entrare in casa. Ma se non gli sarebbe sembrato il caso, lei non poteva biasimarlo e soprattutto non poteva cambiare il suo giudizio.
«Beh ci si vede in giro» Naruto si girò per entrare nella sua proprietà.
E così sarebbe sfumata la loro occasione per aiutarlo.
«Naruto!» lo richiamò Sakura. Dove avesse trovato il coraggio, non lo sapeva nemmeno lei.
«Cosa c’è?»
«Senti, ti andrebbe se ti facessimo ancora un po’ di compagnia?» gli chiese la kunoichi candidamente.
Naruto alzò le spalle, noncurante. A lui, in quel momento, non faceva né caldo né freddo.
Questa volta furono in tre a raggiungere la porta d’ingresso della villa.
In religioso silenzio varcarono la soglia, proseguirono il loro cammino fino ad arrivare in salotto, dove si accomodarono.
«Bene, ora che siete qui che pensate di fare?» chiese loro un Naruto indolente.
Sasuke era proprio curioso di scoprire cosa avrebbe detto la sua dolce metà, perché in pratica aveva avuto la faccia tosta di autoinvitarsi in casa d’altri e a nessuno – a maggior ragione a Naruto stesso – interessava sapere per quale motivo era stata spinta a compiere una tale impulsività.
Cercò i suoi occhi e vi lesse un certo disagio: non aveva una risposta.
«Dobe, dovresti sapere com’è Sakura, no? Si preoccupa per te» intervenne il valoroso Sasuke Uchiha, scagionando la moglie, che si trovava in seria difficoltà.
«Non ne vedo il motivo!»
Era proprio un osso duro! Ma Sasuke non avrebbe detto una sillaba in più sulla questione, Sakura doveva vedersela da sola.
«Ma come!» s’indignò lei, ritrovando parole e forze per controbattere. «Guardati!»
Sperava di essere eloquente e convincente.
Ma lo sguardo che le lanciò Naruto non parve essere stato scalfito dalle sue parole: cos’era esattamente che non andava in lui?
«Su dimmi, cosa c’è che non va» l’invitò a proseguire lui, con tono beffardo.
Sakura era troppo indignata per rispondergli.
Come osa rivolgersi così a me?
Voleva solo aiutarlo – anche se forse non aveva esplicitato le sue ragioni – e cosa riceveva in cambio?
La sua espressione, diventata tutta ad un tratto più dura e ostile, riportò Naruto sulla retta via e lo redarguì che forse aveva esagerato un po’.
«Scusami, Sakura- chan. Ma come sai è un momentaccio.»
«Lo so. Per questo siamo qui» il suo tono si addolcì. «Vogliamo aiutarti.»
Come aveva potuto dimenticarsi dei suoi amici?
Aveva la fortuna di avere accanto a sé due persone fantastiche come loro, che lo avevano accompagnato in tutti i momenti più importanti della sua vita, quelle persone che erano diventate la sua famiglia.
Non poteva negare il loro aiuto e non poteva trattarle così male come stava facendo.
«Raccontaci un po’. Sfogati. Noi siamo qui.»
Come poteva non accettare quel salvagente? Come poteva rifiutare l’occasione di buttare fuori tutti i suoi pensieri, le sue sensazioni?
«D’accordo» accettò, infine, la mano che gli veniva tesa.
 
 
 
 
Lo trovò liberatorio, poter finalmente parlare in libertà di quello che provava.
«Sto cercando di fare del mio meglio, ma non è facile» iniziò a raccontare «E poi mi sembra sempre di sbagliare, non so mai se quello che faccio è troppo poco, se dovrei fare qualcosa in più. Ma ho anche paura che se provassi a osare di più, attraverserei il limite e peggiorerei le cose.»
La sua voce era incrinata, era prossima al pianto. Era disperato; non sapeva più cosa fare.
«Ho cercato una soluzione, anche più di una, ma tutte quelle che mi venivano in mente non erano adatte» continuò il suo discorso.
«E Hinata non è d’aiuto. Lei è chiusa nel suo dolore, non mi fa avvicinare e per me questo è un duro colpo. Oserei dire – e non mi piace per niente farlo – che lei pensa solo a se stessa, come se a soffrire per quel bambino che abbiamo perso, fosse soltanto lei. Ma in realtà, soffro tantissimo anch’io.
Quando ho saputo che sarei diventato padre, ero al settimo cielo. In un secondo momento, poi, sono sopraggiunti i timori di non essere capace di fare il padre, visto che io non ho conosciuto il mio. Come potrei esserlo, se non ho un modello come guida?
Poi mi sono tranquillizzato: avevo davanti a me ancora tanti mesi prima di ripropormi il problema e intanto mi sarei documentato. Ero tranquillo, perché sapevo di avere Hinata; insieme potevamo vincere ogni cosa.
Avevo iniziato a fantasticare sul piccolo, come sicuramente avrà fatto lei. Cercavo di figurarmelo e mi chiedevo: assomiglierà più a Hinata o a me? Speravo che avrebbe preso il carattere della mamma, non volevo che sarebbe stato un monello come lo sono stato io. Mi domandavo se avrebbe ereditato il Byakugan oppure  se avesse avuto gli occhi azzurri come i miei.
Ho immaginato anche qualche episodio futuro.
Chissà quale sarebbe stata la sua prima parola? Avrebbe adorato il Ramen?
Mi immaginavo il tempo che avremmo trascorso insieme, padre e figlio, pensavo a tutte le cose che gli avrei insegnato, gli avrei parlato dei grandi ninja, di Jiraiya, di Itachi, del Terzo Hogake e dei leggendari Madara Uchiha e Hashirama Senju. Gli avrei insegnato la nostra storia, la storia dei ninja. Gli avrei insegnato ad amare e proteggere il nostro Paese, ad essere giusto e un bravo ninja, rispettoso dei sensei e delle regole.»
Calò il silenzio.  
«Hinata è sempre più distante» confidò in seguito, a bassa voce, Naruto.
La sua paura – quella che Hinata diventasse irraggiungibile e irrecuperabile – era tangibile, sia Sakura sia Sasuke la sentirono pesare sui loro cuori.
«Naruto, tu non devi demordere. Devi farle sentire che ci sei,  senza risultare pressante. Bastano i piccoli gesti» gli consigliò Sakura, sorridendo incoraggiante.
Come è possibile che abbia dimenticato il suo credo ninja?
In fondo, era di questo che si trattava: di non arrendersi mai, di fare il possibile per aiutare Hinata, per renderla felice.
Sarebbe stata dura, ma Sakura sapeva che Naruto ce l’avrebbe fatta, magari servivano molto più tempo, molto più sudore e fatica ma infine era certa di rivederli entrambi sorridere, amare e amarsi.
Presto la vita avrebbe donato loro quello che avevano perso.
«Sono sicura che ce la farai» e Sakura alzò un pollice, così come tante volte aveva fatto Naruto in passato per mostrare che tutto sarebbe andato per il meglio, che lui ci credeva e che avrebbe fatto di tutto per realizzarlo.
Era commosso. Non credeva di meritarseli, due amici fantastici come Sakura e Sasuke.
E avevano ragione: avrebbe vinto anche questa battaglia, se non altro si sarebbe rialzato come un fiero cavaliere, non avrebbe lasciato che il Dolore avesse la meglio su di lui; era ancora vivo, aveva tutte le energie per rimettersi in pista.
Non erano i primi ad avere vissuto un aborto, e non sarebbero stati quelli che si sarebbero fatti schiacciare da quella brutta esperienza.
Sorrise, Naruto, grato per la vicinanza dei suoi migliori amici.
 
 
 
 
 
Hinata rincasò nel tardo pomeriggio. Quando rientrò, si accorse che Naruto non era solo, stava conversando con Sakura e Sasuke.
Preferì non annunciarsi, ma rimase nascosta dietro la porta, ascoltando cosa il suo consorte stava rivelando agli amici.
Si vergognò di origliare, ma fu più forte di lei; era curiosa di sapere cosa provasse suo marito, perché – lo riconosceva – erano passate molte lune dall’ultima volta che si erano scambiati opinioni, pensieri, idee e desideri.
Era a disagio a non sapere cosa Naruto pensasse e provasse, era un po’ come vivere con uno sconosciuto; non era più sicura di nulla.
Chissà se anche lui prova lo stesso?
Da quello che captò, anche Naruto era insicuro nei suoi riguardi, non sapeva più come approcciarsi a lei e soprattutto provava lo stesso dolore per quel bambino che le era stato strappato dal grembo.
Aveva paura di perderla.
Quanto dolore che stava causando, ma non era pronta per risistemare tutto. Quanto si odiava per questa sua debolezza!
Pianse lacrime amare.
 
 
 
 
Hinata si era rivelata dopo che Sasuke e Sakura avevano chiuso la porta dietro alle loro spalle, era riuscita a non far capire al marito che si trovava già in casa.
La serata era trascorsa tranquillamente, nulla di diverso dal solito. I due sposi aveva parlato cortesemente fra loro, avevano cenato e poi si erano preparati per andare a dormire.
«Allora cosa hai fatto oggi di bello?» chiese Naruto alla moglie, che si era appena infilata sotto le coperte.
«Ho fatto un giro.»
Naruto incassò il colpo; Hinata aveva risposto, ma era stata molto sulle sue, aveva sperato di fare qualche progresso e invece…
La donna non si seppe spiegare il motivo di tutta quella sgarbatezza, non avrebbe voluto risultare così maleducata, ma ad essere sincera, c’era qualcosa che l’aveva infastidita.
«E dove sei stata di bello?» ritentò Naruto con cautela.
«Sono arrivata fino alla periferia di Konoha» questa volta Hinata fu più gentile.
«Capisco.»
In realtà, Naruto non sapeva più cosa dire per mantenere viva quella conversazione e per cercare di raggiungere i sentimenti della moglie.
La donna se ne accorse e con un «Allora buona notte!» gli diede la schiena e si sdraiò.
Era lampante come la Hyuuga non volesse più parlare con lui e, con un sospiro, si adagiò aspettando di addormentarsi.
Non te la prendere, andrà meglio più avanti. Domani è un altro giorno, sorridi.
Più tranquillo, scivolò nel sonno.
Per Hinata, invece, fu molto più complicato addormentarsi, un po’ perché aveva paura che la venissero a trovare gli ormai consueti incubi, un po’ perché covava della rabbia repressa.
Si rigirò più e più volte, ma senza trovare sollievo, finché stufa non esplose.
«Uffi!» sbottò, senza curarsi di fare piano per non svegliare il consorte.
«Uh? Cosa c’è?» chiese, infatti, Naruto con la voce impastata dal sonno.
Si alzò a sedere e donò tutta l’attenzione alla moglie, che nel frattempo si trovava con la schiena appoggiata alla spalliera del letto, braccia conserte.
Aveva un’espressione che Naruto non le aveva mai visto in viso, era particolarmente scocciata. Si allarmò.
«Hinata?» la chiamò, preoccupato.
«Non riesco a dormire» se ne uscì fuori lei, dopo un po’.
«Come mai, si può sapere?» le domandò timoroso di conoscere la risposta.
La donna lo guardò indecisa se dirgli tutta la verità. Non voleva sembrare antipatica, ma pensieri poco carini le avevano fatto compagnia per tutta la serata.
Ed era fuori discussione fare accenno degli incubi che la tormentavano di notte e di giorno.
«Pensavo.»
Naruto la guardò perplesso. Aveva intuito che la donna non desiderava sbilanciarsi più di tanto, ma ora lui voleva sapere cosa la turbava.
«A cosa?»
Hinata sospirò: era giunto il momento che più temeva.
«Sai, oggi sono venuta a casa prima, ma non mi hai sentito. Mi sono fermata, quando ho capito che non eri solo» le parole le uscivano a fatica. «Ho sentito quello che dicevi a Sakura e a Sasuke»
Lo disse a voce bassissima, perché se ne vergognava da morire.
Quando Naruto comprese appieno la sua confessione, sbiancò. Ora Hinata avrebbe potuto saltare alle conclusioni sbagliate, perché non aveva parlato molto bene di lei e della sua sofferenza. Forse, il più egoista dei due era stato proprio lui, sfogandosi e dando voce a certi brutti pensieri.
«Hinata, mi dispiace. Io non volevo» si scusò subito, con sincerità.
«No, non scusarti. Hai ragione» ammise lei.
Il giovane la guardò stupito.
«È vero: mi sono rinchiusa in me stessa. Sono stata sorda al tuo dolore, pensando solo alla mia sofferenza. Ma hai ragione, soffriamo entrambi per il nostro bambino.»
Non era stato facile dire quelle parole, però Hinata riconobbe che si sentì già un po’ meglio; si era tolta una piccola parte del peso che gravava sul suo cuore.
«Mi sono sentita esclusa, perché hai deciso di aprirti con i tuoi amici, invece che con me. E non mi è piaciuto molto che parlassi di me e della nostra situazione. So che loro vogliono aiutarci, ma in quel momento li ho sentiti di troppo. Mi dispiace di aver pensato male di loro. Scusami.»
Si era liberata quasi di tutto, aveva deciso di rivelare i suoi piccoli segreti un po’ alla volta, bisognava dare tempo al tempo.
«Oh Hinata» Naruto espresse così la tristezza. Avrebbe tanto desiderato stringerla fra le sue braccia, ma aveva lo strano presentimento che un gesto del genere fosse troppo, allora delicatamente le posò una mano sulla spalla.
Lui c’era e ci sarebbe sempre stato, doveva saperlo, sentirlo e si augurò che quel messaggio  riuscisse a trapelare dalla sua mano, scorresse sulla sua pelle fino ad arrivare dritto al suo cuore.
Restarono alcuni minuti così, in silenzio, l’uno vicino all’altra, iniziando a rinforzare quel filo del loro legame che stava andando a deteriorarsi.
 
 
 
***
 
 
 
Da quel momento di confronto, il rapporto fra i due si distese e non sentirono più quella tensione opprimente, tuttavia i miglioramenti erano lenti, perché quella ferita aveva bisogno di tempo per ricucirsi. Lo sapevano entrambi. Erano sereni adesso, sapevano che presto o tardi avrebbero aggiustato tutto e si sarebbero accorti che quel momentaccio era passato così veloce, da non rendersene nemmeno conto.
Hinata prese a uscire tutti i giorni, sia la mattina sia il pomeriggio, per andare a trovare quel piccolo gattino. Le piaceva stare in sua compagnia e pensava che la sensazione fosse reciproca.
Giorno dopo giorno, avevano imparato a conoscersi e il micino, che al primo incontro le era sembrato così impulsivo, nei giorni seguenti fu molto più cauto prima di avvicinarsi e farsi coccolare dalla ragazza.
Inizialmente, Hinata ci rimase un po’ male, ma paragonò quel comportamento al suo: anche lei aveva bisogno di tempo per ritornare in sintonia con Naruto.
Più o meno era lo stesso con quel piccolo micino, con l’unica eccezione che per loro si trattava di conoscersi.
Una settimana dopo dal giorno in cui lo aveva scovato nel giardino di quella villa abbandonata, miagolò tutto felice non appena riconobbe il ritmo dei suoi passi. Uscì dal suo nascondiglio e le andò incontro.
Per Hinata fu davvero un bellissimo regalo, inaspettato ma ben accetto.
Il batuffolino si lasciò coccolare sia sul dorso sia sulla pancia. E iniziò a fare le fusa, tutto contento.
Gli offrì da mangiare e, dopo ancora qualche coccola, ritornò a casa.
La prossima volta devo portargli qualche gioco.
 
 
 
***
 
 
 
Naruto tornava a casa sempre prima della moglie e si era attardato a domandarsi dove mai trascorresse tutto il suo tempo. Doveva essere un luogo salutare, perché quando rincasava la vedeva molto serena. I suoi occhi, però, erano ancora di un colore spento, ma Naruto era sicuro che presto sarebbero tornati a brillare.
Si era chiesto se era il caso di farsi dire dove andava, ma poi rifletté che sarebbe stato più saggio aspettare che fosse stata lei a voler condividere quel piccolo segreto.
A lui bastava sapere che stava bene. 
Aveva notato che Hinata riusciva a passare un’intera notte a letto, non si alzava più per rifugiarsi sotto il ciliegio.
A quanto sembrava gli incubi le avevano concesso una tregua. Ne era felice; erano tutti piccoli segni del miglioramento tanto sperato.
 
 
 
***
 
 
 
«Micino, dove sei?» lo chiamò, non vedendolo.
Era strano, di solito era nei paraggi che l’aspettava.
Non gli sarà successo qualcosa?
La giovane donna si allarmò, pensando agli incidenti più catastrofici accaduti al suo piccolo amico.
No, non voleva crederci.
Perché mi fate questo?
Si rivolse ai Kami; non comprendeva perché avevano già deciso che lei dovesse separarsi da quel batuffolo bianco. Sapevano che l’aveva aiutata molto in quel periodo e probabilmente erano stati proprio loro a fare in modo che i loro destini si incrociassero. E allora perché adesso era già giunto il momento di dirsi addio?
«Miao!» sentì esclamare con gioia la donna.
Il furbetto si era andato a nascondere, le aveva tirato un brutto scherzo.
Le corse incontro e lei lo prese in braccio, piangendo dalla felicità.
«Mi hai fatto proprio spaventare, piccolo birbante!»
Il gatto non fece caso al velato rimprovero e omaggiò la ragazza ronfando il suo personale benvenuto.
Successivamente, rimise il gatto a terra, mentre rovistava nella borsa che aveva con sé.
«Guarda cosa ti ho portato!» e tirò fuori una piccola pallina colorata.
Il felino osservò quel nuovo oggetto con curiosità; i suoi occhi si accesero non appena si accorse che si era mosso.
Senza altri indugi, corse al suo inseguimento.
Quando la pallina si fermò, il gatto rimase stupefatto: che strani poteri aveva?
Gli girò intorno guardingo, non poteva essere sicuro che a quello strano essere non  venisse in mente di rianimarsi di nuovo e magari di attaccarlo. Doveva essere pronto per qualsiasi evenienza.
Ma il suo avversario non era dello stesso avviso: rimase immobile.
Nuovamente, lo studiò con fare circospetto.
Intanto, Hinata vegliava sulle mosse del gattino e la divertirono: era davvero buffo!
Pian piano avvicinò la sua zampetta e toccò la pallina; si accertò così che non gli avrebbe fatto del male.
Però, così fermo, non c’era nessun divertimento. Come poteva farla muovere ancora?
Questa volta gli diede una zampata più decisa e la pallina si spostò di qualche centimetro.
Il micino era affascinato; aveva capito come funzionava. Ma, concluse, era meglio quando l’oggetto veniva lanciato dalla ragazza. Così ritornò da lei per convincerla a giocare assieme.
Hinata accolse volentieri il desiderio del gatto, insieme si diressero alla pallina, la raccolse e nuovamente la lanciò lontano.
Il micino si fiondò nella sua direzione, con l’intenzione di acciuffarla quanto prima.
Era uno spettacolo splendido vedere il gatto alle prese con la pallina. Sorrise di cuore.
«Sai una cosa?» la ragazza diede voce ai suoi pensieri «Ti ci vorrebbe un nome.»
Il micino alzò le orecchie in ascolto pur continuando a rimanere impegnato nella sua battaglia.
«Vediamo…» disse pensierosa, mentre puntava lo sguardo verso il cielo.
I suoi occhi vennero catturati da una piccola nuvola che le ricordava il suo piccolo amico. Riportò il suo sguardo sull’oggetto dei suoi pensieri e le venne l’illuminazione.
«Kumo!» l’appellò «Ti chiamerò Kumo, che ne dici?»
Perché non c’ho pensato prima?
Il suo pelo era bianco come una nuvola e probabilmente era della sua stessa morbidezza. Era il nome perfetto.
«Kumo» risentì come suonava e la convinse.
 
 
 
***
 
 
 
«Hinata?»
Facendo due passi, Naruto si era imbattuto in uno dei quartieri da tempo disabitati. Si meravigliò quando sentì una voce dolce, quella della sua Hinata-chan.
Cosa ci fa qui?
Era sbalordito; non riusciva a capire cosa ci fosse di interessante in quel luogo dimenticato, poi realizzò che non era sola, in sua compagnia c’era un piccolo gattino bianco.
La sentì ridere, finalmente libera di essere se stessa. Da quanto tempo non la sentiva così felice?
Presto il cuore gli sarebbe scoppiato dalla gioia.
«Hinata?»
Questa volta la chiamò con un tono più udibile.
La donna lo sentì, infatti smise di accarezzare il gatto; anche il felino puntò le sue pupille sulla sua figura.
«Naruto-kun!» disse lei meravigliata. Non se lo aspettava.
Naruto-kun. Da quanto tempo non mi sento chiamare così.
A piccoli passi, il giovane ninja si avvicinò alla moglie. Lungo tutto il tragitto, Kumo non gli aveva staccato gli occhi di dosso; si era fatto, tutto d’un tratto,vigile.
Naruto si fermò di fronte a Hinata e puntò i propri occhi nei suoi: il color perla era finalmente sereno e splendente.
Le espressioni della giovane non erano più forzate, ma erano rilassate; Hinata si sentiva bene e non doveva più fingere nulla. Era guarita quasi del tutto.
Questo era un enorme passo avanti e Naruto era fiero di sua moglie, perché era forte, era riuscita a combattere contro quel maledetto male e infine ci stava riuscendo. Lui aveva seguito i saggi consigli di Sakura, era rimasto in disparte, ma sempre pronto a intervenire se mai Hinata fosse scivolata, era pronto a prenderla al volo e insieme a rialzarsi per fronteggiare tutto e tutti.
Questo piccolo miracolo era avvenuto anche grazie a quel piccolo micino che lo stava guardando storto e Naruto si sentì grato verso quel felino per lui sconosciuto, ma per il quale provava già un certo legame basato sulla riconoscenza.
«Ehi piccolino!» Naruto si inginocchiò per accarezzare il gatto. Questi, a primo acchito, avrebbe voluto soffiargli contro arrabbiato, ma, alzato lo sguardo su Hinata, la trovò serena.
Si lasciò toccare.
Percepì che anche il nuovo venuto era una brava persona, sentiva che era legato a Hinata e il suo tocco era molto gentile, gli piaceva.
«Naruto, ti presento Kumo» pronunciò Hinata indicando il felino.
«Kumo, questo è Naruto.»
Sembrava che i due andassero d’amore e d’accordo, Hinata ne era molto felice.
Anche per quel giorno, arrivò il momento di salutarsi; diventava sempre più doloroso per Hinata lasciare Kumo.
Da qualche giorno aveva ventilato l’ipotesi di portarlo a casa, ma non aveva mai avuto il coraggio di domandare a Naruto cosa ne pensava.
«Ciao Kumo! Fa’ il bravo. Ci vediamo domani» lo salutò.
Si affiancò a Naruto e insieme si incamminarono verso casa.
«E se lo portassimo con noi?» propose Naruto, dopo pochi passi.
La Hyuuga non credeva alle sue orecchie: Naruto aveva davvero proposto una cosa del genere?
«Sarebbe fantastico» concordò lei.
Il suo sguardo era colmo di felicità, e Naruto si innamorò di nuovo di quella donna apparentemente così fragile ma forte come una roccia; si era specchiato in quell’espressione felice ed era riuscito a scorgere il loro avvincente futuro: entrambi erano ritornati a vivere.
 
 
 
***
 
 
 
 
«Boruto, dove sei?»
La piccola peste bionda si trovava in giardino; adocchiò la sua preda, che ignara se ne stava sdraiata sull’engawa a prendere il sole.
In silenzio, Boruto uscì fuori dal nascondiglio e cautamente si avvicinò alla sua vittima.
Era ad un soffio dalla coda di Kumo, gli sarebbe bastato davvero poco per spaventarlo, quando la voce autoritaria di sua madre lo colse sul fatto.
«Boruto! Lascia in pace Kumo»
Non avrebbe potuto fare altrimenti, nascose le mani dietro la schiena, sorridendo angelico.
«Sì, mamma. Scusa» e poi via come un fulmine, all’interno della casa, sicuramente con l’intenzione di combinare qualche altra marachella.
Non c’era mai un attimo di pace con Boruto, riusciva a inventarsene sempre una; la faceva disperare, la sera era distrutta, ma ringraziava sempre i Kami per averle concesso quel bambino meraviglioso, anche se esuberante.
Nel carattere era tutto suo padre, per questo non poteva che amarlo così com’era.
 













 

Ed eccoci qui. ^^
In realtà, la mia intenzione era quella di non stressarvi più del dovuto (XD), ma ho dimenticato qualcosa. E ti pareva? Lo sapevo, con quella testa che ho. :D
Ad ogni modo ringrazio Nede per avermi segnalato la mia dimenticanza. Ed ora rimedio subito. :D
Come avrete intuito il titolo della one-shot è ispirata all’omonima canzone del Re Leone 2 – Il regno di Simba. C: [Non si capisce che adoro il Re Leone, vero? XD]
Vi rubo ancora qualche secondo…
Kumo dovrebbe significare nuvola. Non sono sicurissima, perché non ho la fortuna di studiare giapponese e mi sono affidata a internet. ^^ Se trovate delle incongruenze, ditemelo pure e io così intanto imparo qualcosa di nuovo. :)
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui. ♥
Commenti, osservazioni e critiche costruttive sono sempre ben accetti.
E ora ho proprio finito. ^^
A presto! ;)
Selly
   
 
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