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Autore: Viltynes    07/04/2015    1 recensioni
Arvice, una ragazza di quindici anni, dopo scuola aspetta alla fermata del treno per un'ora circa. Dopo quasi un mese, però, incontra Shern, un ragazzo con il quale stringerà un'amicizia destinata ad affogare tra le lacrime e la tristezza...
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza sospirò. Avrebbe dovuto aspettare. Individuò una panchina e ci si sedette, tirando fuori un libro dalla cartellina e cominciando a leggere. Ormai era così, tutti i giorni. Quella volta però, dopo qualche minuto, Arvice vide comparire dinnanzi a sé due scarpe. Alzando lo sguardo, scorse un ragazzo che le sorrideva, gli occhi azzurri come non ne aveva mai visti che scintillavano in controluce. "Ciao" le disse senza smettere di sorridere "Posso sedermi?" La quindicenne lo guardò confusa, poi spostò lo sguardo sulla panchina e si affrettò a togliere la cartellina "Oh, ma certo, dammi solo un attim…" i libri le scivolarono di mano e caddero a terra, sparpagliando tutti gli appunti sul terreno ciottolato. Arvice imprecò. Il ragazzo scoppiò in una fragorosa risata "Cielo, è la mia presenza che attira questi disastri?" chiese chinandosi a raccogliere tutto. La ragazza, facendo altrettanto, cercò di nascondere il viso tra la riccia chioma color ruggine per evitare di far vedere che era arrossita. Quando ebbero finito di mettere tutto a posto, Arvice alzò lo sguardo color smeraldo sul ragazzo biondo, spostandosi una ciocca di capelli dietro ad un orecchio. Lo sorprese a fissarla in silenzio, con un'espressione indecifrabile dipinta sul volto "Cosa… cosa c'è?" chiese balbettando. Lui scrollò le spalle e sorrise "Non c'è un motivo. Io sono Shern, comunque." "Io mi chiamo Arvice" Ed in quel momento la ragazza non poté fare a meno di sorridere.
I mesi passavano veloci e tutti i giorni i due si ritrovavano alla stazione, in attesa del treno. Un giorno la ragazza arrivò in ritardo e lo vide in disparte, seduto sulla solita panchina. Prima di andargli incontro, però, si fermò un attimo. Aveva un'aria così… stanca. Il suo bel viso era smunto e magro, la pelle pallida pareva potersi sgretolare al minimo tocco. Sembrava malato. Arvice prese un profondo respiro e gli si avvicinò di soppiatto da dietro, per poi portargli le mani davanti agli occhi "Chi sono?" gli sussurrò in un orecchio. "Mmmh… non so, mi arrendo!" ribatté lui, scherzando. Lei ridacchiò e gli si sedette accanto, osservandolo bene. Gli occhi azzurri parevano grigi e spenti, il sorriso che solitamente era stampato sul volto sembrava solo un vago ricordo, un ricordo di una vita passata… Shern fece guizzare le pupille verso di lei "Perché mi guardi in quel modo?" le chiese. Arvice scosse il capo "Non c'è un motivo" il sedicenne abbozzò un sorriso, ma subito tornò serio. "Ascoltami Arvice…" disse con un filo di voce. Fece una pausa, sfiorandole la mano con le dita fredde. A quel contatto, la ragazza sussultò e lui scostò velocemente la mano, ricominciando a parlare "Domani non mi vedrai… non verrò qui. Okay?" Lei batté le palpebre perplessa "Oh, va bene. Hai un impegno?" "Beh… sì, diciamo così." "E non mi vuoi dire dove vai?" I tratti del volto di Shern si addolcirono "In un posto che un semplice treno come quello che verrà a prenderci oggi non può raggiungere. In un posto dove non mi troverà nessuno. In un posto dove, un giorno, verrai anche tu." La quindicenne era leggermente confusa "Promesso?" chiese. "Promesso" sorrise l'altro "Mi mancherai" Arvice scoppiò a ridere "E' solo un giorno, Shern! Sei sempre troppo sentimentale!" Ed a quel punto la ragazza scorse nello sguardo dell'amico un'espressione che la stupì: gli occhi gli divennero languidi e profondi come il mare, le pupille si restrinsero fino quasi a sparire completamente. Le labbra gli si strinsero e le guance gli s'infossarono "Già" rispose "Forse è proprio questo il problema." Ignorando lo stato confusionale dell'amica, Shern si alzò e si chinò frettolosamente per baciarle la guancia "Ciao, Arvice." detto questo si girò e, senza voltarsi, se ne andò.
La ragazza dagli occhi color smeraldo si sedette, corrugando la fronte. Che giornata strana. A scuola nessuno aveva proferito parola, nessuno aveva avuto voglia di scherzare. Aveva sentito una voce che circolava, riguardo ad un ragazzo che si era tolto la vita. Come se non bastasse quel giorno Shern non sarebbe venuto, aveva da fare. Arvice si sfiorò la guancia e sorrise, ripensando al bacio del giorno prima. Aveva sentito uno strano senso di euforia e di dolcezza che ancora non si spiegava. Ripensò alla conversazione che aveva avuto. "E non mi vuoi dire dove vai?" "In un posto che un semplice treno come quello che verrà a prenderci oggi non può raggiungere. In un posto dove non mi troverà nessuno. In un posto dove, un giorno, verrai anche tu." _ "Mi mancherai" "E' solo un giorno, Shern!"_"Sei troppo sentimentale." "Già. Forse è proprio questo il problema."  Il sorriso le svanì dalle labbra. No, non poteva essere. Stava viaggiando troppo di fantasia. La memoria le corse involontariamente indietro nel tempo, a qualche giorno prima. "Basta, non ce la faccio più!" "Che cos'hai? Cosa c'è che non va?" "Io. Io sono il problema." "Tu?" "Già. Non mi sopporto. Sono un emarginato. Non vado bene a scuola. Sono anche brutto, per giunta!" "Ma va'!" "Ah sì? Guardami. Guardami e dimmi quello che pensi di me." "Beh, tu… sei carino…" "So quando menti, Arvice. Lo so." Era vero. Gli aveva mentito. Lui non era carino. Era stupendo. Stupendo e basta. Avrebbe voluto dirglielo. Avrebbe voluto urlargli che era la persona più bella che avesse mai conosciuto. Ma non l'aveva fatto, no. Ci aveva provato, ma il coraggio le era venuto meno. Aveva mentito. Gli aveva mentito. "Mi mancherai." Mi mancherai, mi mancherai… "Hai un impegno?" "Beh… sì, diciamo così." Un impegno? Che genere di impegno? Doveva andare in un luogo dove non l'avrebbero mai trovato… un luogo che un treno non poteva raggiugere… un luogo dove però, lei, un giorno sarebbe andata. Ripensò alla scuola. Ripensò alle occhiate impietosite che aveva ricevuto. Ripensò alle domande strane che le avevano fatto. "Stai bene?" chiedevano. Certo che stava bene, perché non avrebbe dovuto…? Ripensò alle voci, ripensò ai pianti, ripensò al ragazzo che si era suicidato. La gola le si chiuse, gli occhi cominciarono a bruciarle terribilmente. Cercava di scacciare quel pensiero assurdo dalla testa, ma questo le stringeva le viscere e le perforava la mente, senza andarsene. Quel giorno lo aveva visto? No, anche se di solito non lo vedeva quasi mai… "Mi mancherai…" Sì. Era lui. Shern… Shern era morto. Morto. Morto. Morto. Più se lo ripeteva, più le sembrava impossibile. Morto…? Come poteva essersi… tolto la vita? Lo aveva fatto davvero? Sì, lo aveva fatto. L'aveva anche avvertita. Morto. Non l'avrebbe più rivisto. Se n'era andato, via. Via da lei, via da quel mondo, via da quella panchina, via da quel treno. Via da quelle persone che lo avevano ferito per tutta la vita. Via dalla vita stessa, che lo aveva rifiutato, che lo aveva dimenticato. Morto. Lei. Lei lo aveva ferito. Aveva scostato la mano il giorno prima. Non gli aveva detto cosa pensava realmente di lui. Non gli aveva detto che lo amava. Le lacrime cominciarono a scivolarle lungo le guance. Ma lei lo amava? Sì. Sì, lo amava. Come poteva non amarlo? Come? Morto. Era morto. Non avrebbe potuto riportarlo indietro. Alzò lo sguardo e lo vide. Sì, lo vide, dal finestrino del treno. Le sorrideva, le sorrideva in quel modo che a lei piaceva tanto. Le sorrideva alzando l'angolo della bocca, divertito. I suoi occhi erano bianchi, inespressivi, ma il suo sorriso era vita. Shern mise una mano sopra il vetro, rivelando il polso segnato di tagli. Arvice singhiozzò e si coprì il viso. Era venuto a salutarla. Un'ultima volta. Era venuto a salutare lei. Solo lei. Lei che aveva consolato. Lei che aveva supportato. Lei che aveva aiutato. Lei che aveva adorato. Lei che aveva amato. Lei che non aveva ricambiato. Lei che l'aveva ucciso. Perché in fondo, era solo colpa sua.
   
 
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