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Autore: Artemide12    07/04/2015    2 recensioni
Settembre.
Kadic.
20 anni dopo.

La preside Delmas dà il benvenuto a Franz Belpois, Emma della Robbia, Carlotta Dunbar e Chris Stern.
Sei amici si rincontrano per l'ennesima volta.
Nulla sembra veramente cambiato al Kadic. Tranne in fatto che XANA è stata sconfitta ovviamente.
Franz, Rebecca, Emma, Carlotta, Ludovic e Chris sembrano ragazzi normali, ma presto dovranno fare i conti con ciò che i loro genitori hanno fatto tanti anni prima.
Realtà e Mondo Virtuale si intrecciano e si confondono per chi ha immediato e incontrollato accesso ad entrambi. È la conseguenza di una metamorfosi che nessuno aveva considerato.
Ma quando questo potere diventerà un pericolo?
Presto il Kadic tornerà ad essere ciò che non ha mai smesso di essere: lo scenario di una guerra virtuale che non è ancora finita.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, X.A.N.A.
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Metamorfosi Cap2;

begin

    write('Pazzia, o genialità');

    readln;

end.


«Che cos'era? Quell'uccello, dico.»

«Non lo so di preciso. Vedo esseri simili dall'inizio dell'anno scorso. Appaiono praticamente all'improvviso, senza una logica apparente. Non sono sempre animali, a volte li ricordano solo vagamente. Ci ho messo un po' a capire che ero il solo a vederli. Gli altri non si accorgono minimamente della loro presenza. Ma loro possono attraversarli come fossero inconsistenti, io se vado loro contro mi faccio male.»

Carlotta annuì ripensando agli artigli dell'uccello che le arpionavano la spalla.

«Credevo di essere impazzito. Credevo di vedere delle specie di demoni nella mia testa» continuò Ludovic. «Quando ho cominciato a parlare con ogni apparecchio elettronico stavo seriamente per farmi ricoverare.»

«Come hai fatto prima con l'antifurto e la telecamera?»

«Già, se non fosse stato per quei due non sarei mai sopravvissuto. Riescono a vedere quei cosi e avvertirmi prima che mi raggiungano. Credevo che anche loro fossero il frutto della mia immaginazione, una specie di campanello per avvertirmi dell’arrivo di allucinazioni più grosse. Tu però li hai sentiti. Ah, non posso crederci! È troppo bello per essere vero!»

«Sì, Ludovic, davvero è fantastico vedere cose che non ci sono…»

«Ma se le vediamo entrambi significa che ci sono eccome! Che sono gli altri ad essere ciechi!»

Una folata di vento sollevò i capelli di Carlotta e glieli spalmò sulla faccia. Lei se li risistemò furiosamente dietro le orecchie e tornò a stringersi le ginocchia al petto. Non soffriva di vertigini, ma il tetto spiovente non le sembrava esattamente sicuro.

«Se ci trovano qui siamo fregati» commentò mentre saggiava la resistenza di una delle mattonelle con il piede.

«Nessuno viene mai sul tetto» le assicurò il fratello. «E, anche se qualcuno dovesse farlo, Jessy mi avviserebbe subito. È una gran pettegola, sai?»

«Ludo, stai parlando di una telecamera, come poi essere tanto tranquillo?»

«Possibile che tu non ti renda conto? Abbiamo delle specie di super-poteri, come quelli dei film.»

«Quelli in cui i malcapitati finiscono in laboratorio, o quelli in cui sono costretti a vivere emarginati a causa del loro segreto e a combattere nemici per poi sentirsi dire dalla stampa che sono a loro volta dei criminali?»

Ludovic sbuffò. «Ti ho fatto vedere troppe volte l'uomo ragno e X-man, Lott.»

«Decisamente.»

Finalmente un sorriso attraversò il viso di Carlotta. I suoi occhi blu scintillarono alla luce del sole mentre quelli di Ludovic si fecero, se possibile, ancora più neri.


ʘ –


Emma sbadigliò rumorosamente e appoggiò la testa alle braccia incrociate sul banco. Era il primo giorno, ma già sentiva che non ce l'avrebbe mai fatta.

Chris, accanto a lei, si appoggiò allo schienale della sedia. «Se questa è la prof più allegra penso che troverò il modo di farmi espellere.»

«Perché? È così male?»

Chris la fissò divertito. «Ma la stai ascoltando?»

Emma scosse la testa. «Per niente.»

«Una più noiosa non poteva capitarci. Meno male che non c'è Franz a ricordarci quanto sia importante la storia.»

«Già, però se lo dovrà sorbire Lott!»

«Lei potrebbe sopportare un terremoto senza neanche alzarsi dalla sedia.»

Emma alzò la mano e chiese di poter andare in bagno. Chris la seguì fuori dalla classe senza dire niente e senza farsi notare.

«Hai intenzione di seguirmi anche in bagno?»

«Perché, hai davvero intenzione di andare in bagno?»

«No» rispose la bionda, incrociando le braccia dietro la testa e riprendendo a camminare.

Chris si infilò le mani nelle tasche e la seguì.

«Giro di esplorazione?» propose dopo un po' il ragazzo.

«Io voto per il cortile.»

«Chi arriva per ultimo fa i compiti all'altro per un settimana» dichiarò Chris cominciando a correre.

Emma assottigliò lo sguardo. Si chinò in avanti e scattò. Guadagnò terreno in poco tempo.

Quando si vide raggiungere, Chris accelerò all'istante.

Sfrecciarono per i corridoi così velocemente che molti non li videro neanche passare.

Erano così concentrati da dimenticare tutto il resto. In quel momento per loro esisteva soltanto il terreno sotto i piedi e l'avversario da superare.

Girarono un angolo a tutta velocità e per poco non si schiantarono contro una parete.

«Ma qui...» ansimò Chris «non doveva... esserci... una porta?»

«Forse... dobbiamo... studiare meglio la piantina della scuola prima della prossima gara.»

«Sono d'accordo. Tanto penso che in questa prima settimana non ci daranno tanti compiti.»

Emma stava per ribattere, ma dei passi interruppero entrambi.

La preside fu davanti a loro in pochi istanti. Non sembrava più la donna avvenente che li aveva chiamati all'entrata, o meglio, lo era ancora, ma in quel momento tutto in lei incuteva rispetto.

Divaricò leggermente le gambe trovando il giusto equilibrio sui tacchi alti e li fulminò con lo sguardo. «Della Robbia, Stern, che state facendo?»

«Noi... ci siamo persi, dobbiamo ancora orientarci.»

Lo sguardo di Elisabeth si spostò sulla parete dietro di loro.

«Tornate in classe. Subito!»

Emma e Chris le sfilarono accanto e si affrettarono a tornare sui loro passi. Rientrarono in classe proprio durante il cambio d'ora e nessun insegnate sembrò accorgersi di nulla.

Fecero appena in tempo a tornare ai loro posti in terza fila, che entrò un uomo alto e muscoloso. Li scrutò uno per uno, poi disse loro di accomodarsi.

Si presentò come il professore di ginnastica. Aveva un'aria giovanissima, avrà avuto poco più di vent'anni. Il suo bell'aspetto bastò ad attirare l'attenzione di Emma, gli occhi vispi e il sorriso simpatico quella di Chris.


ʘ –


Franz guardò l'ora per l'ennesima volta. Non era da Carlotta assentarsi così a lungo da una lezione.

Tra poco la nuova professoressa avrebbe rifatto l'appello e avrebbe certamente notato la sua mancanza.

Ma Carlotta rientrò appena in tempo. Aveva lo sguardo completamente assente, ma almeno c'era fisicamente.

Un paio di ragazzi non riuscivano a levarle gli occhi di dosso. Lei li ignorò. Franz spesso si chiedeva se almeno li notasse. A volte era convinto di no.

«Dove sei stata?»

«In giro.»

«A fare che?»

«A chiacchierare con mio fratello, una telecamera e un antifurto.»

Franz alzò gli occhi al cielo e la lasciò perdere.


ʘ –


«Forza ragazze, basta riscaldamenti. Sono solo cento metri, prenderò i tempi migliori» annunciò il professore prendendo il cronometro che portava appeso al collo.

Emma si posizionò insieme alle altre cinque ragazze sulla linea di partenza.

Alla destra del percorso si trovavano dei grossi alberi secolari, a sinistra c'erano i maschi e le altre ragazze che si stavano ancora riscaldando.

Guardò le altre ragazze. A parte una, non sembravano molto atletiche.

«Forza, ragazze!» le incitò l'insegnante.

Emma si chinò in avanti, le mani che toccavano terra.

«Ai vostri posti,»

Fissò intensamente la linea di arrivo.

«pronti,»

Tese i muscoli.

«VIA!»

Il suo scatto fu talmente rapido che distanziò immediatamente le altre ragazze di almeno dieci metri. Sentiva il terreno sotto i piedi retrocedere, come se fosse esso a muoversi e lei a stare ferma. Il vento le si infrangeva sulla faccia e su tutto il corpo cercando inutilmente di rallentarla.

A meno di due metri dall'arrivo, la vista le si appannò leggermente e batté più volte le palpebre. Quando nel giro di pochissimi istanti tutto tornò nitido, davanti a lei c'era un gatto viola.

Fermarsi di botto a quella velocità era impossibile. Puntò i piedi e tentò di scavalcarlo saltandolo. Rotolò a terra fermandosi sulle quattro zampe.

Sentiva il ritmo martellante del suo cuore nelle orecchie.

Girò la testa. Le altre ragazze erano ancora a metà percorso.

Il gatto viola era al suo posto. Lo vide agitare la coda e voltarsi verso di lei e, per quanto assurdo che fosse, sorriderle. Fu un movimento appena accennato, ma spaventosamente reale.

Batté di nuovo le palpebre. Il gatto era scomparso. Non come se fosse corso via, come se quel semplice movimento lo avesse cancellato.

Le altre ragazze ormai erano arrivate e tutti la guardavano sbigottiti.

«Miglior tempo e nuovo record della scuola per una ragazza del primo anno durante la prima corsa» si complimentò il professore. «Mi aspetto molto da te, della Robbia.»

Emma annuì senza alzare lo sguardo.

Si spostarono dalla pista.

«Come diavolo hai fatto? A saltare in quel modo, intendo!» La voce di Chris le fece risollevare lo sguardo.

Il ragazzo trasalì e si zittì.

«Che c'è?»

«I tuoi occhi! Sono lilla.»

«Ah» commentò svogliatamente la ragazza.

«No, Emma, non sono grigiastri come al solito, sono serio, sono proprio lilla!»

«Sì, e il gatto era viola. Dev'essere colpa della luce.»

«Quale gatto?»

Emma si morse la lingua.

Se l'era immaginato. Doveva esserselo immaginato. Non esistevano gatti viola. Così come non esistevano gatti che apparivano e scomparivano o che sorridevano.

Andò a sedersi su una panchina e immediatamente una ragazza dai capelli rossi e ricci e gli occhi verdi le fu accanto.

«Fai atletica? Sei una campionessa? Non ho mai visto nessuno così veloce! Potresti tenere testa ad un maschio!» La ragazza la guardava eccitata.

«Mi alleno al parco ogni tanto» si limitò a dire.

Un miagolio attirò la sua attenzione. Abbassò lo sguardo.

Il gatto viola era proprio ai suoi piedi. Gli occhi gialli la fissavano giocosi.

Ignoralo, Emma, ignoralo.

Il gatto le si avvicinò e si strusciò affettuosamente sulle sue gambe. Come poteva non essere reale? Quel gatto era lì, non c'era dubbio!

Alzò immediatamente lo sguardo sulla rossa che stava continuando a farle domande a raffica.

«Io sono Anna, tu come ti chiami? E come si chiama il tuo amico moro? E conosci anche quella spilungona con gli occhi blu? Vi ho visto parlare insieme e...» trasalì e sgranò gli occhi.

Avvicinò il volto così velocemente a quello di Emma che lei capì di essersi ritratta solo dopo qualche secondo.

«Hai degli occhi bellissimi! È impossibile, sono lilla. Hai le lenti a contatto?»

Forse quella era un'ottima scusa. Si limitò ad annuire.

«Oh, corrono i maschi!»

Emma fissò Chris. Lui non fece altrettanto. Era concentrato sul percorso come lo era stata lei pochi minuti prima.

Il professore diede il via.

Chris non diede il meglio di sé. Emma lo vide chiaramente: si impegnò per arrivare secondo invece che primo.

Il gatto continuava a strusciarsi insistentemente contro la sua gamba. Facendo finta di allacciarsi una scarpa si chinò e tentò di allontanarlo.

Le saltò in grembo, poi balzò sulle ginocchia di Anna. Lei non sembrò accorgersi di nulla. Continuava a parlare praticamente da sola e a gesticolare.

Alcuni ragazzi si stavano lamentando di essere stati spinti e insistevano nel rifare la gara.

Il gatto viola saltò su un muretto e scomparve dall’altra parte, ma il suo miagolio continuò a sentirsi. Si fece sempre più forte.

Emma si portò le mani alle orecchie.

«Tutto bene?» sobbalzò e soffocò un grido nel sentire la voce di Chris così vicina. Mentre tentava inutilmente di regolarizzare il respiro, Emma lo fissò con gli occhi spalancati.

La testa le girava leggermente. La vista di Chris le dava inspiegabilmente fastidio. Era come se lui fosse troppo nitido rispetto a tutti gli altri ragazzi. Come se tutti gli altri non fossero altro che uno sfondo per qualcos'altro.

Per un momento Chris la fissò come se fosse pazza, la lasciò andare e fece qualche passo indietro. Il modo in cui si muoveva era troppo dinamico, troppo fluido... Troppo!

Emma inspirò profondamente e chiuse gli occhi. Quando li riaprì Chris era accanto alla fontanella e si stava sciacquando la faccia.

Emma allontanò le mani dalle orecchie. Tutto sembrava stranamente silenzioso.

Aguzzò l'udito.

Sentiva gli uccelli sugli alberi canticchiare dei motivetti allegri e rispondersi a vicenda. Uno seguiva l'altro, come in un'infinita e incessante reazione a catena.

Più ascoltava e più sentiva.

Troppi suoni le arrivavano alle orecchie e sembravano rimbombarle all'interno del cranio. Con orrore si accorse che le sue orecchie si stavano muovendo autonomamente, quasi avessero autonomia propria. Al contrario di quanto ordinava loro il cervello, continuavano a tendersi per registrare nuovi suoni, come un'antenna della radio avida di nuove frequenze.

Ma non erano solo le orecchie a ribellarsi al suo controllo e a funzionare troppo bene.

La sua vista si fece all'improvviso nitidissima. Poteva vedere tutto: ogni singolo granello di polvere nell'aria, ogni singola foglia su ogni singolo ramoscello su ogni singolo albero, ogni singolo sassolino sul terreno, ogni singolo studente all'interno delle aule attraverso ogni singola finestra.

Al suo naso arrivavano molti più odori di quanti potesse registrare. Si accumulavano creando ancora più confusione in quel delirio di sensi.

Si guardò intorno senza sapere cosa fare.

Il naso le bruciava, le orecchie le pulsavano, gli occhi sembravano dover uscire fuori dalle orbite.

Serrò le palpebre. Si portò le mani alle orecchie. Trattenne il respiro.

Mentre i polmoni smaniavano aria nuova, lei si trovò a chiedersi se fosse più insopportabile quel dolore o il caos incontrollabile nella sua testa.

Poi l'istinto ebbe la meglio e ispirò.

L'aria che le uscì dalla bocca portò con sé un rantolo.

Il suo cervello, incapace di gestire tutti quei dati, sembrò andare in tilt. In un istantaneo blackout tutto si fece nero e silenzioso e ogni sensazione si annullò.

Non sentì il suo corpo cadere a terra. Accolse con sollievo torpore e incoscienza. Sperò che il buio inghiottisse tutto il resto abbastanza a lungo.


ʘ –


Seduta sul letto, le cuffie stereo in testa, gli occhi fissi sullo schermo del portatile posizionato sulle gambe incrociate e la schiena appoggiata alla parete, Rebecca non sollevò neanche lo sguardo quando qualcuno entrò con la chiave.

Entrò una ragazza minuta con lunghi capelli ricci color sangue e occhi verde smeraldo.

«Ciao.»

Rebecca non sembrò neanche accorgersi di lei.

«Io sono Anna, condivideremo la stanza.»

Le dita di Rebecca continuarono a scorrere rapidissime sulla tastiera e mosse impercettibilmente la testa a ritmo della musica.

Anna appoggiò la valigia e le due borse che portava con sé sul letto e cominciò a disfarle.

«Tu quale armadio hai preso?» chiese avvicinandosi ai due mobili identici.

Ne aprì uno e lo trovò vuoto. Aggrottò le sopracciglia e aprì anche l'altro. Vuoto. Anna fece spallucce e mise i suoi vestiti in quello di sinistra.

«I capelli li hai tinti, vero?» domandò continuando a tentare di cominciare una conversazione.

Rebecca non annuì neanche. Tanto, anche se avesse detto la verità, che quello era il suo colore naturale, nessuno le avrebbe creduto. Si assicurò che gli chignons in cui aveva legato i capelli rosa fossero ancora ben saldi sulla testa.

Gli occhi così chiari da avere solo un vago riflesso azzurrino non si staccarono neanche per un momento dallo schermo.


ʘ –


«Franz? Tutto okay?»

Carlotta gli sventolò una mano davanti alla faccia.

Lui si riscosse appena. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla lavagna.

L'insegnante aveva scritto una semplice espressione, ma appena aveva posato il gesso lui aveva visto altri numeri e strani simboli comparire sulla lavagna come se non fosse altro che uno schermo.

Cercava di leggere, di capire. Inutilmente. Era come ipnotizzato, non riusciva a distogliere lo sguardo.

Le sue pupille si muovevano freneticamente nel tentativo disperato e praticamente involontario di comprendere la logica con cui numeri e simboli nuovi si affollavano sulla superficie nera mentre altri scomparivano come se vi affondassero.

«Franz!»

Allarmata, Carlotta lo scosse leggermente.

Pessima idea. Franz per poco non diede di stomaco. Si prese la testa tra le mani, premendosi le tempie con le dita. Serrò le palpebre sugli occhi finché non vide altro che nero.

Altra pessima idea. I simboli riapparvero. Tornarono a galla e gli si ripresentarono davanti agli occhi. Scacciarli era impossibile.

Spalancò gli occhi, ma continuava a vederli. Gli stavano entrando nella testa. Li sentiva vorticare dentro al cervello, intrecciarsi ai suoi pensieri fino a rendere incomprensibili entrambi.

Per un attimo, sfruttando uno dei suoi ultimi pensieri coerenti, credette di impazzire.

Poi, all'improvviso, tutto cominciò a defluire, come acqua stangante che aveva finalmente trovato uno sbocco.

La vista tornò nitida. E Franz si rese conto che Carlotta gli aveva afferrato il polso e lo fissava preoccupata.

Si sentiva già maglio, ma il respiro accelerò di nuovo quando si rese conto di quello che stava succedendo. Era come se tramite il contatto Carlotta stesse scaricando informazioni direttamente dal suo cervello. Lo stava liberando da quei segni demoniaci, ma come? Cosa stava facendo?

Era così tranquilla, se ne rendeva conto? Lo stava facendo apposta, per aiutarlo, o era un gesto inconscio e involontario? E perché funzionava?

Poi, come se seguissero lo stesso flusso dei simboli, anche quelle domande scivolarono via. Il vuoto nella testa lo fece sentire meglio, anche se leggermente disorientato.

«Tutto okay, grazie» disse sorridendo per il sollievo.

Gli occhi blu di Carlotta lampeggiarono, ma così rapidamente che Franz credette di esserselo immaginato. Come tutto il resto, d'altronde.

Anche Carlotta accennò un sorriso.

Cautamente, Franz rialzò lo sguardo sulla lavagna. Un ragazzo, Xavier se ricordava bene, stava risolvendo l'espressione. Era a buon punto.

Nessuno sembrava essersi accorto di nulla.


ʘ –


Stava chiacchierando con Julien quando sentì bussare.

«Vado io» fece il suo compagno di stanza alzandosi.

Ludovic si appollaiò sulla sedia e cominciò a disfare lo zaino dando le spalle alle porta.

«Porca miseria, Ludov, c'è uno schianto di ragazza fuori dalla porta che cerca te! Ma dove l'hai trovata?»

Ludovic alzò un sopracciglio. «Capelli neri e occhi blu?»

«Proprio lei.»

«Carlotta è mia sorella.»

«Vuoi dire che non state insieme?»

Ludovic alzò gli occhi al cielo divertito, poi sorpassò il suo compagno di stanza e aprì la porta.

«Devo parlati» annunciò secca Carlotta.

«Dritta al punto, eh?» fece Julien alle loro spalle.

Ludovic lo ignorò.

«E serviva avventurarsi nel dormitorio maschile?»

«Ho usato la scusa di accompagnare Franz, mi sembrava piuttosto... stordito. E poi di Emma e Chris non c'è nemmeno l'ombra.» Con uno sguardo eloquente fece capire al fratello che dovevano parlare da soli.

Ludovic si voltò verso Julien che gli vece l'occhiolino, poi uscì in corridoio chiudendosi la porta alle spalle. Alcuni ragazzi fuori dalle stanze si fermarono a lanciare occhiate poco discrete a Carlotta.

«Cosa c'è?» chiese Ludovic andando verso una finestra aperta. «Ne hai visti altri?»

Carlotta annuì. «Anche Franz.»

Il ragazzo alzò immediatamente lo sguardo su di lei.

«Ne sei sicura?»

«Non me l'ha detto, ma sì, ne sono sicura.»

Gli occhi nerissimi di Ludovic si illuminarono. «Questo vuol dire che non siamo gli unici! Che sono reali, avevo ragione poco fa! Cos'era? Il gatto viola con gli occhi gialli? Lo vedo spesso. O l'uccello che hai visto tu? Magari ti ha presa di mira. O il granchio verde?»

«Numeri» tagliò corto Carlotta. «E simboli. Sono comparsi sulla lavagna all'improvviso. Ho visto il panico nei suoi occhi. Per un momento ho creduto che fossero più dorati del normale, che brillassero. Gli occhi intendo. Poi l'ho toccato e si è calmato. Non li ha più visti.»

«E tu?»

«Sono spariti quando Xavier ha finito l'espressione e cancellato tutto.»

Ludovic era pensieroso. «Non mi era mai successo niente del genere» ammise.

«Deve esserci una spiegazione logica!» protestò Carlotta, sebbene non ce l'avesse con lui.

«È quello che penso anch'io.»

«...ma non possiamo dirlo a nessuno perché ci prenderebbero per pazzi e bla bla bla» la ragazza imitò la voce del fratello maggiore.

«Invece io credo di sapere a chi chiedere» dichiarò Ludovic fiondandosi fuori dal corridoio e imboccando quello che portava al dormitorio femminile.

«Chi?»

«Hai detto che anche Franz li vedeva.»

«Sì, e allora?»

«Ci sono solo due persone in tutta la scuola che possono sapere tutto di tutti: una è la preside, l'altra è Rebecca.»

Ludovic si fermò davanti ad una porta senza neanche assicurarsi che fosse quella giusta. Bussò ma non ricevette risposta.

Entrò come se qualcuno lo avesse invitato a farlo. Rebecca era nella stessa identica posizione in cui l'aveva trovata e poi lasciata Anna mezz’ora prima.

«Ehi, Becky, ci serve una mano.»

La ragazza non alzò lo sguardo.

«Sta bene?» fece Carlotta «Sembra più stramba, apatica e asociale del solito» disse, sapendo che di solito quella battuta bastava a risvegliare l'amica.

Probabilmente la musica sparata al massimo nelle cuffie stereo inghiottì le sue parole.

Carlotta fece per avvicinarsi al letto, ma un essere verde fosforescente attraversò la porta e le sfrecciò davanti. Ci mise un po' ad identificare in quello strano essere un granchio.

Ludovic si mosse quasi all'improvviso e ad una velocità sorprendete. Levò le cuffie a Rebecca e con un gesto fece ricadere il portatile sul letto.

Per la prima volta la ragazza alzò gli occhi. Le iridi erano di un verdeacqua inconsistente.

«Ciao Ludovic» la sua voce era spettrale, come in trance.

«Allora ci sei! Abbiamo bisogno di aiuto.»

«Non posso esserti utile» dichiarò meccanicamente la ragazza dai capelli rosa.

Ludovic alzò un sopracciglio. Carlotta si arrampicò su una sedia per sfuggire alle chele del ragno verde. Nessuno dei due si accorse della porta che si apriva e della ragazza che entrava.

«Lei sicuramente non potrà dirti niente, ma io sì» dichiarò una seconda Rebecca, le braccia incrociate e la schiena appoggiata alla porta chiusa.

Lo sguardo dei due fratelli Dunbar saettò tra la Rebecca ancora seduta sul letto e quella in piedi alla loro destra.

Erano identiche. O quasi. Quella sul letto aveva un che di troppo perfetto. Quella in piedi era decisamente più reale, ma la differenza si sarebbe notata solo avendo davanti entrambe.

«Congratulazioni, sei il primo che riesce ad attirare la sua attenzione toccandola anziché attraversandola» disse Rebecca indicando la se stessa sul letto con un cenno del capo.

«Che vuol dire?» chiese Carlotta frastornata.

«Solo che spesso non voglio far sapere dove sono veramente» dichiarò la rosa afferrando un telecomando che era dentro un cassetto del suo comodino e puntandolo verso la ragazza sul letto. Premette un pulsante e quella scomparve sotto gli occhi degli altri due ragazzi.

«E in questo caso dove sei stata?» chiese Ludovic mentre allontanava da sé il granchio verde con una gamba, senza darlo troppo a vedere.

Rebecca non sembrò accorgersi di nulla finché il granchio zampettò fino a lei e chiuse una chela intorno alla sua caviglia e un rivolo di sangue le scivolò lungo il piede.

Puntò gli occhi sul granchio. «Reverso» sibilò e le sue iridi si illuminarono d'argento.

L'essere sussultò e corse via attraversando la porta.

«Ma che...» fece Ludovic.

«Lenti a contatto modificate, sarei impazzita senza.»


  
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