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Autore: Artemide12    07/04/2015    2 recensioni
Settembre.
Kadic.
20 anni dopo.

La preside Delmas dà il benvenuto a Franz Belpois, Emma della Robbia, Carlotta Dunbar e Chris Stern.
Sei amici si rincontrano per l'ennesima volta.
Nulla sembra veramente cambiato al Kadic. Tranne in fatto che XANA è stata sconfitta ovviamente.
Franz, Rebecca, Emma, Carlotta, Ludovic e Chris sembrano ragazzi normali, ma presto dovranno fare i conti con ciò che i loro genitori hanno fatto tanti anni prima.
Realtà e Mondo Virtuale si intrecciano e si confondono per chi ha immediato e incontrollato accesso ad entrambi. È la conseguenza di una metamorfosi che nessuno aveva considerato.
Ma quando questo potere diventerà un pericolo?
Presto il Kadic tornerà ad essere ciò che non ha mai smesso di essere: lo scenario di una guerra virtuale che non è ancora finita.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, X.A.N.A.
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Metamorfosi Cap5;

begin

    write('Cercare, o cercarsi');

    readln;

end.


Ludovic percorse il corridoio deserto con passo felpato. Alle sue spalle Emma e Carlotta, rimaste sulla soglia della loro camera, lo seguivano con lo sguardo.

Si fermò davanti alla stanza di Rebecca. Bussò piano. Non ottenne nessuna risposta. Si chinò per guardare attraverso la serratura, ma ovviamente fu inutile.

Era impossibile che Rebecca si fosse addormentata, quindi non era in camera. Ma dove? Perché non era venuta, come lei stessa aveva organizzato?

«Ludo, allora?» sussurrò Emma nervosa.

«Aspettatemi lì. Non muovetevi.»

Corse lungo il corridoio, poi imboccò quello che conduceva al dormitorio maschile. Controllò velocemente i nomi sulle porte fino a trovare la stanza Belpois – Stern.

Sentiva delle voci provenire da dentro. Bussò forte.

«Chi è?» la voce di Franz tradiva non poca agitazione.

«Ludovic.»

Gli arrivarono rumori di sedie e mobili spostati. Li avevano messi davanti all’entrata? La porta si socchiuse, Franz sbirciò fuori prima di aprirla completamente.

«Sì?»

«Cerco tua sorella. Sai dov'è?» mentre parlava Ludovic studiò l'amico.

Franz aveva gli occhi rossi, anche se asciutti, e i suoi vestiti erano sporchi di terra. «Lei...»

Ludovic lo inchiodò con lo sguardo.


ʘ –


Jeremy guidava tenendo lo sguardo fisso sulla strada. Tentava invano di concentrarsi sul percorso che conosceva bene, la sua mente continuava a tornare a quella raccapricciante telefonata. A quella voce spettrale, per non dire animale.

L'ipotesi di una “normale” aggressione da parte di un malintenzionato non lo aveva neppure sfiorato. Rebecca non era quel tipo di ragazza, non dare nell'occhio era la sua specialità.

Strinse ancora di più le mani intorno al volente. La macchina nera e lucida sfrecciava per le strade deserte molto al di sopra dei limiti di velocità. Nell'abitacolo regnava il silenzio più assoluto.

Aelita, sul sedile del passeggero, teneva le ginocchia strette contro il petto. Yumi, William, Odd e Ulrich si stringevano in silenzio nei sedili posteriori. L'unica soluzione era stata che Yumi si sedesse in braccio a William.

Erano tutti ancora piuttosto assonnati. Jeremy non aveva dato il tempo ad Aelita di chiamarli, si erano presentati direttamente a casa loro, buttandoli letteralmente giù dal letto uno dopo l’altro.

Dylan, il golden retriever di Ulrich, era stato sistemato nel bagagliaio e Odd, in ginocchio sul sedile con il busto appoggiato allo schienale e le braccia a penzoloni nel bagagliaio senza tettuccio, si limitava a scompigliargli il pelo sulla testa. Avrebbe voluto che avessero preso la sua macchina, quella a sei posti, ma Jeremy aveva personalmente apportato delle modifiche al motore della propria.

Yumi, in braccio a William, estrasse di nuovo il cellulare dalla tasca dei pantaloni neri e compose velocemente i. numero di Ludovic. Si portò il telefono all'orecchio, in attesa, ma per l'ennesima volta scattò la segreteria telefonica.


ʘ –


Erano da poco passate le due di notte quando cominciò a piovere, non gradualmente, ma di botto. Grosse gocce d'acqua picchiavano contro la finestra con violenza e ogni tanto qualche lampo di elettricità violacea squarciava il cielo delineando per pochi secondi le sagome degli enormi nuvoloni neri che occupavano il cielo e incombevano sulla scuola come belve malvagie sulla preda. I tuoni sembravano ruggiti e facevano tramare tutto.

Strinse le dita al bordo della scrivania di legno. Ormai le unghie rosse stavano lasciando delle tacche.

Si rifiutava di farsi spaventare da un temporale estivo, ma per quanto fosse forte la sua volontà, il suo corpo era debole e l'istinto di allontanarsi il più possibile dall'acqua si faceva sempre più aggressivo. Era più un comando che un istinto vero e proprio. E la paura era legata alla confusione, non tanto al temporale.

Si costrinse ad aprire le mani e a lasciare il bordo del tavolo. Appoggiò i gomiti sul legno, poi si premette i palmi sulle tempie e affondò le dita nei capelli neri.

Un nuovo fulmine illuminò il cielo e la stanza.

Per soffocare un urlo si morse il labbro inferiore finché non sentì un sapore metallico sulla lingua.

Stava succedendo. Stava impazzendo.

Infondo lo sapeva, sapeva che sarebbe successo. Lo aveva sempre saputo, ma era il prezzo da pagare. Il prezzo da far pagare.

Sì, li avrebbe fatti pagare per quello che le avevano fatto.

Ricacciò indietro le lacrime e il suo sguardo passò dal dolore alla rabbia. Si alzò in piedi di scatto e andò verso la finestra. Allungò una mano fino a toccare il vetro gelido e ve la tenne premuta.

«Hai promesso» sussurrò.

«Anche tu, Elisabeth.»


ʘ –


«Oddio» ripeté Carlotta per l'ennesima volta, sempre più agitata, mentre continuava a gettare lo sguardo fuori. Era seduta a gambe incrociate accanto ad Emma, sul letto di Chris. Lui e Franz stavano sul letto di quest'ultimo.

Ludovic girava inquieto per la stanza. «No, no, no. No! Rebecca era l'unica di noi che avrebbe potuto venire a capo di tutto questo macello!» esclamò.

«Lo hai già detto» commentò Chris.

Ludovic fece per ribattere, ma uno strano beep lo interruppe. Estrasse il cellulare dalla tasca. «Che succede?» chiese ad alta voce.

«TI HA CHIAMATO TUA MADRE, ALMENO UNA DECINA DI VOLTE» rispose il cellulare.

Emma, Franz e Chris si scambiarono occhiate perplesse e stupite.

«E non potevi dirmelo mentre mi chiamava?»

«EHI! È GIÀ TANTO SE TE L'HO DETTO IN ANTICIPO, QUESTO STUPIDO CAMPO ELETTROMAGNETICO BLOCCA LE COMUNICAZIONI.»

«Ti riferisci alla pioggia?»

«CERTO CHE NO! SE SMETTESSIMO DI FUNZIONARE TUTTE LE VOLTE CHE PIOVE SAREMMO PRESTO SOSTITUITI, TI PARE? C'È UN CAMPO DI FORZA INTORNO ALLA SCUOLA.»

Ludovic si guardò intorno, istintivamente cercò Rebecca per avere spiegazioni, ma lei non c'era. «Sai dov'era mia madre quando ha chiamato?»

«E COME FAREI A SAPERLO?»

«Oh, avanti, lo so che volendo puoi essere meglio di qualsiasi GPS o roba simile, sei o non sei il cellulare più efficiente del mondo?»

L'apparecchio rimase in silenzio per un po'. «OKAY, ERA SULLA STRADA PER ARRIVARE QUI, MA ANCORA PARECCHIO LONTANA. FORSE SARÀ QUI DOMANI.»

«Non potresti essere un po' più preciso?»

«SONO SOLO UN CELLULARE.»

«Va bene, va bene, ho capito» disse Ludovic rimettendoselo in tasca dopo averlo bloccato.

«Ha... ha parlato. Lo avete sentito?» balbettò Emma «Un cellulare che parla!»

«Lui non ce l'ha un nome?» chiese invece Carlotta.

«Non ancora, non ne trovo uno adatto.»

«Il suo telefono ha parlato!» gridò ancora Emma, rivolta più che altro a Chris che era l'unico che le dava retta e che si limitò a commentare: «Incredibile».

«Ha parlato!» insistette Emma.

«Abbiamo capito!» esclamarono Franz, Ludovic e Carlotta in coro.

Emma si zittì.

Chris alzò lo sguardo su Ludovic. Al momento, essendo il più grande, era stato silenziosamente ma comunemente eletto capo. «Che facciamo?» gli chiese con la massima serietà.

«No ne ho idea» ammise il ragazzo passandosi una mano tra i capelli neri.

«Dobbiamo andare a cercare Rebecca!» esclamò Franz e la voce non sembrava la sua per quanto era intrisa di preoccupazione.

«Lì fuori?» fece Emma con un tono di voce troppo alto che si affrettò a correggere. «Ti rendi conto che c'è un temporale con i fiocchi? E poi cosa vuoi che facciamo? Che ci mettiamo a girare intorno alla scuola con delle torce gridando il suo nome?»

L'espressione di Franz diceva che era esattamente quello che avrebbe voluto fare.

«Ma sei matto?» insistette la ragazza bionda scattando in piedi. «Ci prenderemo una polmonite e ci andrà bene se finiremo in presidenza e ci arresteranno per vagabondaggio, disturbo della quiete pubblica e magari anche tentato suicidio! Nel migliore dei casi! Perché quelle... creature potrebbero essere ancora là fuori e potrebbero catturare anche noi e farci chissà che cosa!»

«Se sono ancora là fuori...» provò ad osservare Franz.

«Sono passate ore, non credo che Rebecca sia ancora lì» disse Carlotta più dolcemente, ma guardandolo dritto negli occhi con fermezza.

Franz tentò di ribattere, ma di nuovo fu interrotto.

«Andare lì fuori, ora, è fuori discussione Franz» tagliò corto Ludovic e la sua decisione bastò a metterlo a tacere.

«E allora che facciamo?» chiese di nuovo Chris.

«Non lo so! Accidenti non lo so! Aspettiamo domani mattina. Si accorgeranno dell'assenza di Rebecca, la faremo notare noi, o ci penserà la sua compagna di stanza. La cercheremo dopo le lezioni.»

«Dopo le lezioni!» Franz era sconvolto. «Saranno passate dodici ore!»

«Ludovic, ha ragione» lo sostenne Carlotta.

Ludovic si lasciò cadere su una sedia. «Allora lo faremo prima. A colazione avvicineremo Anna, la sua compagna di stanza, e le chiederemo dov'è Rebecca con la scusa di doverle dire qualcosa. Lei non saprà dircelo e noi cominceremo a cercare in tutta la scuola, qualcuno ci noterà e si spargerà la voce, vedrete, ma prima non possiamo fare nulla.»

«Okay, ma se ci chiedono cosa dovevamo dirle?» domandò Chris.

«Ehm...»

«Che sto male, ho un'emicrania e non so cosa dovevo prendere» suggerì Franz. «Non è del tutto falso, ho davvero mal di testa, da stamattina. A casa mamma mi dava delle pasticche, ma non ricordo cosa fossero.»

Ludovic annuì. «D'accordo, faremo così, ora però cerchiamo di dormire.»

Gli altri annuirono.

Lui, Carlotta ed Emma uscirono dalla stanza.

In corridoio faceva più freddo e i vetri meno spessi non attutivano i rombi dei tuoni né schermavano i lampi dei fulmini.

«A domani» le salutò Ludovic in un sussurro prima di dirigersi verso la sua stanza.

Carlotta ed Emma, invece, dovettero tornare al dormitorio femminile. Camminando sobbalzando ogni volta che i loro passi riecheggiavano nei corridoi deserti, rabbrividendo ogni volta che un fulmine squarciava il cielo e pietrificandosi ad ogni tuono.

Mentre Emma armeggiava con la chiave della stanza, Carlotta osò avvicinarsi ad una finestra. «Emma! Vieni a vedere» soffiò.

L'altra avanzò a scatti.

«Guarda» Carlotta indicò il cielo.

Videro chiaramente un fulmine violaceo illuminare i nuvoloni grigi. Solo che non proveniva dalle nuvole. Aveva la sua origine da qualche parte, oltre il bosco, e si abbatteva su quella che sembrava una cupola sopra la scuola.

«Non ha senso.»

«Non mi importa cosa ha senso!» sibilò Emma rabbrividendo. «Voglio solo che smetta!»


ʘ –


«Perché ci fermiamo?» chiese William.

«Proseguire è troppo rischioso» rispose Jeremy indicando il temporale poco prima di entrare nel parcheggio del motel. «Dormiremo qui, domani mattina ripartiremo e per le undici saremo arrivati.»

Yumi mise via il telefono. «Inutile, qui c'è campo, ma non funziona» disse prima di scendere dalla macchina.

Ulrich andò ad aprire il bagagliaio per fare uscire Dylan, ma poi fu Odd ad occuparsi del cane.

L'uomo della reception stava insultando il proprio computer e la connessione internet e per poco non fece cadere delle tazze di caffè ormai vuote impilate accanto al monitor gesticolando.

Guardò i nuovi arrivati non troppo bene. «Il cane resta fuori» disse come benvenuto. «Non voglio che impeli tutte le mie camere. A proposito, me n'è rimasta solo una matrimoniale.»

«Andrà bene lo stesso» dichiarò Jeremy.

«Contenti voi» commentò l'uomo con un'alzata di spalle. «Il cane fuori.»

«E dove in corridoio?» sbottò Odd.

«Può restare in macchina.»

«Allora dormo anch'io lì» dichiarò il biondo.

«Come vuoi» continuò l'uomo. «Voi altri?»

«Ci faremo bastare la camera matrimoniale» ribadì William.

«Io dormo in macchina con Odd» annunciò Ulrich.

Gli altri quattro salirono nella camera.

Il letto lo presero William e Yumi, Aelita si sistemò su una poltrona reclinabile e Jeremy disse che comunque non sarebbe riuscito a dormire. Si andò a sedere sulla poltrona e si prese la testa tra le mani.

«Jeremy, dovresti riposare.»

«Sarebbe inutile.»

«Ci servi lucido, Jeremy.»

«Io...»

Aelita lo fece sedere sulla poltrona reclinabile e gli si accoccolò in grembo. «Andrà tutto bene, Rebecca se la caverà» disse, costringendosi a crederci per prima.

«Tu non l'hai sentita quella voce» replicò Jeremy. «Non era umana.» E queste non erano solo le parole di un padre, era un dato di fatto, qualcosa che lo spaventava, ma che era indiscutibilmente vero.


ʘ –


Ulrich si sistemò sul sedile del passeggero, abbassandolo al massimo mentre Odd si sedette accanto a lui. Erano entrambi molto assonnati ora che lo spavento iniziale si era lievemente attutito, ma nessuno dei due sembrava realmente intenzionato a addormentarsi subito.

Ulrich si preparò all'inevitabile chiacchierata. Non che gli dispiacesse. Non capitava spesso, ormai che avesse tempo per dare retta a Odd. Decidette di precederlo.

«Odd...» cominciò, ma le parole gli morirono in gola.

«Sì?» fece l'altro tenendo un solo occhio aperto.

«Tu e Melanie?» chiese cambiando completamente discorso.

Odd lo fissò per qualche istante, come se la domanda richiedesse concentrazione. Probabilmente si stava chiedendo cosa diavolo passasse per la testa dell'amico.



«Non c'è male» disse in tono neutro, forse senza neanche rendersene conto. Richiuse l'occhio e cercò di rispondere anche alla domanda che Ulrich non gli aveva fatto. «Non devi per forza tornare in quella scuola se non ti va. Puoi aspettare in macchina con Dylan.»

Il golden retriever lanciò un sommesso verso di risposta, nel sonno.

«Molto spiritoso.»

«Dicevo sul serio.»

«Tu non sei mai serio, Odd.»

Il biondo sorrise, come se gli avesse fatto un complimento.

Ulrich sospirò.

«Non è la scuola che mi preoccupa, ma le persone che ci sono.»

«Hai paura di qualche ragazzo ficcanaso?» scherzò Odd.

«Non sto parlando dei ragazzi! Anche noi eravamo dei ficcanaso.»

«E allora di chi? I professori saranno tutti diversi, il preside è cambiato... oh, hai paura di rivedere Elisabeth?» Odd stava cercando di buttarla sullo scherzo, ma entrambi erano consapevoli della tensione.

«Perché dovrei avere paura?» borbottò Ulrich.

«Tutti hanno paura di vedere la gente pazza.»

«Non è pazza.»

«Nooooo» Odd ridacchiò. «C'ero anch'io quando a Natale si è presentata a casa di Jeremy ed è svenuta sulla soglia. Emma e Chris non la smettevano più di piangere.»

«Sono passati dieci anni! E suo padre era morto da poco.»

«Si è pazzi per sempre! Ed era la mia macchina quella con cui l'abbiamo portata all'ospedale. Il suo profumo non se n'è andato per un mese, Melanie credeva che fossi stato con un'altra.»

«Odd...»

«L'hanno imbottita di farmaci psico-di tutto finché non è rimasta così intontita che ci ha fatto ciao-ciao con la mano quando siamo entrati. Aveva un sorriso da ebete irripetibile. Vorrei aver fatto una foto! Me la stamperei sulla maglietta e la indosserei per andare a parlare con i professori.»

Ulrich non poté trattenere le risate.

«Taci Odd» riuscì a dire.


ʘ –


Chris era steso sul letto, immobile, lo sguardo fisso sul soffitto, ad aspettare il suono della sveglia.

Non aveva chiuso occhio. Era abbastanza sicuro che neanche Franz l'avesse fatto, ma nessuno dei due si era voltato a guardare l'altro.

Non sarebbe mai riuscito a prendere sonno. Non dopo quello che aveva visto.

Una cosa era sentirsi raccontare che Rebecca era stata rapita da degli essere a dir poco inquietanti e anche meno umani, un'altra era averlo vissuto. Aver sentito quelle voci, o meglio, quei versi. Aver percepito quelle presenze. Aver sentito il loro fiato sul collo.

C'era qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto questo, lo sentiva.

Nella fabbrica si era sentito ansioso, anche se se ne rendeva veramente conto solo adesso, ma una volta superata la barriera si era sentito al sicuro, protetto. Come aveva quasi fermato loro, la barriera avrebbe fermato chiunque altro, giusto?

E invece erano stati attaccati proprio lì, a pochi passi dalla scuola.

Gli venne la pelle d'oca.

La sveglia sul comodino di Franz suonò e subito fu spenta. Si alzarono entrambi con movimenti meccanici.

Franz sembrava essere da tutt'altra parte. Il suo sguardo dorato era vago e distante.

Chris non vece nulla per richiamarlo alla realtà, sospettava che si sarebbe sentito anche peggio. Si vestì in fretta e uscì senza aspettarlo.

Secondo i piani, Franz sarebbe dovuto rimanere in camera.

Scese le scale lentamente, forse troppo lentamente, per dare il tempo agli altri ragazzi di raggiungerlo e non arrivare per primo a mensa.

Si sedette al solito posto, davanti al solito vassoio. Guardò il cibo con astio.

Si costrinse a bere il latte. Le mani gli tremavano e la tasta per poco non gli cadde.

Ogni suono, ogni voce che si andava ad aggiungere alle altre, somigliava ad un sibilo o ad un ringhio. Le immagini si confondevano. Sembrava di essere di nuovo nella foresta.

Si ritrovò a fissare il biscotto che teneva tra le mani con il cuore in gola.

Non fare lo stupido, si disse, adesso alzi la testa e non c'è nessuno!

Lo fece. Dopo due respiri profondi.

Scandagliò velocemente la mensa con lo sguardo. Individuò Carlotta che si andava a sedere ad un tavolo pieno di ragazzi, accanto al fratello, seguita a ruota da Emma.

Avevano dormito, ma non sembravano troppo in forma. Di sicuro, comunque, lo erano più di lui.

Ci avrebbero pensato loro a mettere in giro la voce che Rebecca era sparita.

Continuò la sua panoramica e lo sguardo gli si fermò fuori dalla finestra. Alcuni ragazzi erano usciti all'esterno per vedere i danni causati dal temporale. C'era anche il professore di ginnastica.

Fu allora, con calma e normalità, che Rebecca passò davanti alla finestra.

Non ricordava di essersi mosso, ma era in piedi.

Quella era Rebecca, non c'erano dubbi. Solo lei aveva i capelli rosa e solo lei poteva essersi fatta degli chignons così perfetti. Solo lei aveva quegli occhi azzurro-argento.

All'inizio era così sorpreso che non si accorse di nient'altro.

Poi, man mano che Rebecca avanzava senza essersi accorta minimamente di lui, notò che accanto a lei camminava Anna Zuz, la ragazza dai ricci sanguigni e gli occhi color prato con cui condivideva la stanza. Non faceva che parlare, come sempre. Chris aveva già avuto modo di conoscerla – stavano nella stessa classe – e di capire che era meglio evitarla. Se ne stava sempre all'ultimo banco, da sola, a fare commenti inopportuni e battute un po' stupide che tutti ignoravano.

Chiacchierava in continuazione, praticamente da sola. Rebecca annuiva o scuoteva la testa ogni tanto, come se facesse solo finta di ascoltarla. Però la seguiva.

Si andarono a sedere in uno dei pochi tavoli da due che c'erano.

Da dove era, Chris non poteva sentirle, ma vedeva le labbra di Anna muoversi senza sosta. Rebecca restava in silenzio, come al solito, ma sorrideva e rispondeva con qualche smorfia.

Di nuovo, non si rese conto di essersi mosso finché non si trovò a pochi passi da loro.

«Becky?» chiamò.

La ragazza non si girò, non diede segno di averlo sentito, era troppo impegnata a seguire i discorsi di Anna.

Percorse praticamente ci corsa i pochi passi che lo separavano dal tavolo. «Rebecca?» disse di nuovo, con più determinazione.

La ragazza voltò la testa e incontrò il suo sguardo. Per qualche istante non fecero altro che guardarsi negli occhi. Chris si sorprese della calma quasi indifferente che lesse in quelli dell'amica.

«È un tuo amico?» chiese Anna portandosi dietro l'orecchio un ricciolo rosso scuro.

Rebecca tornò a guardarla e annuì sorridendo leggermente.

Chris rimase interdetto.

Quell'espressione non apparteneva a Rebecca, ne era sicuro. Era tipico di lei stare zitta e comunicare affidandosi alle espressioni del volto, ma non così. Si teneva sempre in disparte, ma perché nessuno venisse a disturbarla, non perché non voleva essere notata, non era da lei farsi piccola sulla sedia. Non era da lei quello sguardo mesto al posto delle sue solite occhiate.

Lei non era timida. Non lo era mai stata in vita sua.

Chris prese un sedia da un tavolo vicino e si sistemò accanto a lei. Continuava a fissarla, senza sapere cosa dire né cosa pensare.

Guardò Anna. «Era in camera stamattina?»

«Che domande! Certo che era in camera, sempre davanti a quel computer. È stata un'impresa catturare la sua attenzione, ma alla fine ce l'ho fatta. Ho capito. L'importante è non toccarla e non farle domande aperte.» Si rivolse direttamente a Rebecca. «Avresti potuto dirmelo subito, così saremmo andate d'accordo dall’inizio.»

Rebecca sorrise timidamente e annuì, poi tornò a tamburellare con le dita sul tavolo, altra abitudine che non aveva mai avuto.

Non aveva nessun vassoio davanti a sé, né sembrava intenzionata a prenderne uno.

Neanche Anna ce l'aveva, ma questa non era una novità, era sempre troppo impegnata a chiacchierare per mangiare, persino a pranzo. Chris si chiese distrattamente come facesse a non morire di fame. Era magra, ma non eccessivamente.

Tentò di catturare lo sguardo di Rebecca, ma lei si ostinava a tenerlo basso, come se non volesse essere guardata direttamente.

Chris sollevò un sopracciglio. Allungò una mano verso il suo braccio quasi senza accorgersene e lei lo ritrasse all'istante.

Chris rialzò gli occhi e questa volta la inchiodò con lo sguardo.

Quella non era Rebecca, ne era sicuro. Lei non rifiutava il contatto fisico, erano gli altri a stare alla larga da lei – per diffidenza soprattutto– non il contrario. Quell'espressione non era sua, quella postura non era sua. Persino il fatto che sembrasse aver fatto amicizia con una come Anna non era da lei.

Chris allungò la mano di scatto, riuscendo ad afferrarle il braccio. Entrambi spostarono lo sguardo su quel contatto fisico, entrambi stupiti, anche se per ragioni diverse.

Chris non allentò la stretta, ma la saggiò. Era come se la stesse tenendo direttamente con le ossa, come se la propria carne fosse inconsistente per la sua pelle. Come se dovesse arrivare in profondità per poterla toccare davvero.

Nel punto in cui lo stringeva, il braccio di lei era diventato leggermente trasparente. Poteva vedere le proprie dita che vi affondavano per un pezzo.

Sgranò gli occhi tornando a guardarla. «Cosa sei?»

Lei non rispose, ma nel suo sguardo si leggevano la confusione e il panico.

Anna rimaneva in silenzio, ad osservare la scena.

«Che cosa sei?» chiese più forte, urlando sopra il frastuono della mensa. I ragazzi più vicini si voltarono a guardarli.

«Dov'è Rebecca?»

Lei – non sapeva neanche come definirla – scosse la testa nervosamente, l'espressione sconvolta, come a dire che non lo sapeva e che non c'entrava niente.

Chris scattò in piedi, trascinandola.

«Chris adesso basta!» esclamò Anna riprendendo vita all'improvviso. «Si può sapere che ti prende? Noi stavamo tranquillamente parlando, poi boom, arrivi tu e la aggredisci. Ma che ti salta per la testa? Siamo in un luogo pubblico, non puoi fare come ti pare...»

Chris la ignorò e spinse lei contro il muro.

«Chi sei? Che cosa è successo a Rebecca?» urlò con tutto il fiato che aveva.

Tutti nella mensa si zittirono e si voltarono a guardarlo, come se fosse pazzo.

Anna si alzò e circumnavigò il tavolo avvicinandosi. «Chris, lasciala andare! Subito.»

Non seppe nemmeno lui perché lo fece.

Fu un istinto innato, qualcosa che scattò dentro di lui. Così come era stato certo che la barriera intorno alla scuola lo avrebbe protetto, in quel momento era sicuro che quella ragazza magra e non molto alta, con quei ricci rossi che sembravano viticci vivi e quegli occhi verdi che parevano spiritati, fosse un pericolo, qualcosa da cui avrebbe dovuto proteggersi.

Prima ancora di averlo deciso e quantomeno pensato, strinse la presa sul braccio della finta Rebecca e con la mano libera assestò un pugno sulla mandibola di Anna.

Non sentì né l'impatto né nessun suono, ma lei indietreggiò e dalla gola le uscì uno strano verso acuto, più simile ad uno stridio metallico che a un grido di dolore. Si portò una mano sulla mandibola, ma più per coprirsela che per altro. Indietreggiò lanciandogli delle occhiate piatte e spiritate allo stesso tempo.

Chris non ebbe tempo di riflettere su quell'azione insensata. Strinse la mano sulla finta Rebecca che stava tentando di divincolarsi e correre via. La sbatté di nuovo contro il muro.

«Dov'è Rebecca?» strillò, e non era più in sé. Degli istinti più forti avevano preso il sopravvento.

«Lasciami» disse lei, con un tono neutro anche se molto flebile che mal si accostava con la sua espressione.

«Dov'è?»

Dei ragazzi si stavano alzando dai tavoli, dei professori si avvicinavano e dei mormorii si diffusero velocemente.

«Stern» lo chiamò il professore di ginnastica, ma lui lo ignorò.

Sbatté di nuovo la ragazza contro il muro, ma lei non sembrò neanche accorgersene, lo attraversò con la schiena e Chris sentì sulle proprie mani l'impatto con la parete.

«Stern, che succede?»

Il professore lo afferrò per le braccia trascinandolo indietro.

Chris si divincolò, ma la presa dell'uomo era troppo salda. Cominciò a scalciare.

«Non è lei!» urlò. «Non è Rebecca!»

«Che sta dicendo?» chiese qualcuno alle sue spalle.

Si voltò e vide Ludovic a pochi passi di distanza, circondato da dei compagni di classe.

«Non è Rebecca! È un'impostora! Non è neanche umana.»

«Che gli prende?» domandò un ragazzo facendo d'istinto un passo indietro.

«Io...» Ludovic non sembrava confuso, solo indeciso su cosa dire. «Deve avergli detto qualcosa...»
«Ludovic, ma ci sei? Ha preso a pugni l'aria.»

Ludovic lo guardò con espressione forzatamente neutra. «Ero girato» farfugliò.

«Non c'era nessuno a quel tavolo, si è alzato e ha strillato al nulla. Non c'è nulla lì.»

Chris guardò davanti a sé, senza smettere di dimenarsi. Rebecca, o chi per lei, era ancora lì, la schiena contro il muro e lo sguardo fisso su di lui, agitata e incredula.

Non poteva essere un'allucinazione, anche Ludovic l'aveva vista.

«Cosa sei?» strillò di nuovo, anche se con meno rabbia.

Lei aprì la bocca per parlare, ma se disse qualcosa, lui non la sentì. Lo avevano già trascinato fuori.


ʘ –


Lentamente, cominciò a riprendere coscienza del proprio corpo.

Era rannicchiata in posizione fetale su una superficie inconsistente.

Era come galleggiare nell'acqua: c'era gravità, ma attutita, e avvertiva pressione da tutte le direzioni.

Rimase immobile.

Ad un certo punto si accorse che non stava respirando. Spaventata, ispirò all'istante.

Non sentì niente. Né odori, né l’aria attraversarle le narici e poi la gola, o i polmoni gonfiarsi – se non molto vagamente, così vagamente che avrebbe potuto essere un ricordo.

Si portò una mano al petto, sul cuore. Non lo sentì battere. Ma non come se fosse fermo, come se fosse semplicemente troppo lontano per poterlo sentire.

Tenne gli occhi chiusi e chiamò all'appello tutti i muscoli del proprio corpo. Ogni cosa era al proprio posto, non sentiva dolore.

Il suo cervello lavorava più velocemente man mano che si svegliava del tutto.

Era una bella sensazione quella di essere sospesa nel vuoto.

Dietro le sue palpebre chiuse regnava l'oscurità. Le sollevò. E non vide assolutamente nulla. Né il nero delle tenebre né il bianco della luce.

Era semplicemente il nulla.

Non vedeva neanche il proprio corpo.

Schioccò le dita, ma non le giunse nessun suono. Né sentì le proprie dita sfiorarsi, anche se era consapevole che lo avessero fatto.

In qualunque posto si trovasse – ammesso che il nulla potesse definirsi “posto” – i sensi normali non avevano nessun valore lì, erano come spenti.

Chiuse di nuovo gli occhi. Almeno, in questo modo, vedeva il nero.

Forse, però, lì si sviluppavano altre percezioni. La gente parla spesso di un sesto senso, anche se lei non ci aveva mai creduto.

La gente, però, diceva anche che quel sesto senso era legato al cuore, all'istinto e a volte ai sentimenti. No, non poteva essere il cuore. L'istinto era legato ad una parte irrazionale del cervello e così anche i sentimenti.

Forse era lì che doveva cercare, nel cervello.

Si concentrò.

Per molto tempo non sentì nulla, ma non si arrese. Non c'era molto da fare e lì le normali regole della fisica sembravano inesistenti. Sembrava che il tempo non potesse scorrere né fermarsi, ma che saltellasse sul posto. L'energia andava e veniva, ma non diminuiva.

Cosa c'era intorno a lei?

Fu la cosa più strana e allo stesso tempo più naturale che avesse mai fatto. Fu come far uscire il proprio cervello dal cranio e permettergli di srotolarsi tutt'intorno.

Avvertì una specie di gravità dentro di sé, in corrispondenza del suo cervelletto. La controllò e la mosse, così come avrebbe chiuso una mano a pugno dopo essersi ripresa da uno svenimento. Poi la lasciò espandere, così come avrebbe disteso le dita.

La sentì irradiarsi in tutto il suo corpo, risvegliarne una parte dormiente e sepolta e infine risucchiarla.

Un battito le risuonò nel petto così all'improvviso che le fece quasi male e la lasciò ansimante.

Impiegò diversi minuti per riprendere il controllo. Ritrovò quell'energia pulsante, ma questa volta la lasciò lì dov'era.

Tornò a concentrarsi.

Avvertiva nell'aria l'elettricità statica e solo dopo diverso tempo si rese conto che proveniva da lei.

Si re-impadronì del proprio cervello costringendolo a tornare al proprio posto e qualunque sensazione fuori dalla norma scomparve.

I suoi sensi si riaccesero.

«È qui» sentì dire ad una voce.

«Bene» rispose cordialmente un'altra, molto più vicina.

Aprì gli occhi di scatto, ma l'accecante luce azzurra la costrinse a richiuderli.

«Ben arrivata» disse la seconda voce. «Ci dispiace per l'incidente di Fuori.»

Non sentiva ancora nessun odore, ma registrò un leggero ronzio simile a quello degli apparecchi elettrici. Era stesa su qualcosa di duro, freddo e regolare, un pavimento.

Socchiuse leggermente gli occhi.

«Dove sono?» chiese, e subito si interruppe perché la propria voce suonava strana in confronto alle altre, un po' sibilanti.

«Sei a Cartagine, capitale di Lyoko.»



  
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