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Autore: Lady Po    07/04/2015    0 recensioni
Cosa ne sappiamo dell'amore? Siamo in grado di riconoscerlo? Camilla ha mille quesiti e un cuore diviso tra l'amore fraterno che la lega alla sua migliore amica Sara e l'amore tumultuoso, scriteriato e arrogante che nutre in gran segreto nei confronti di Mariano, il ragazzo venerato da anni dalla persona a lei più cara. Sarà in grado di tenere a bada i suoi istinti o cedendovi distruggerà ogni cosa? L'amore a volte può essere buffo, ma può anche far male da morire.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Chapter 1

Tirava un vento gelido quella sera per le vie di Colonna. La Chiesa e il teatro della piccola piazza avevano quasi un’aria spettrale al chiaro di luna. Stavo maledicendomi per essere stata così incosciente da essermi fatta convincere ad uscire con quel tempaccio. A mia difesa posso assicurarvi che Sara, la mia migliore amica, era un osso duro; difficilmente le si poteva rifilare un no come risposta.

«Ho mal di piedi e sono terribilmente stanca» mi lagnai scansando una delle tante buche per terra. Prima o poi avrei dovuto inviare una lettera di reclamo all’amministrazione comunale per il terribile stato in cui versavano le strade di Colonna. Ma chi le inviava più le lettere? Pensai un secondo dopo sarcastica. Sarebbe stato più facile e veloce caricare su Facebook un bel collage di tutte le buche grandi come crateri vulcanici e taggare il sindaco. Non era il mio stile, ma avrebbe fatto maggiore scalpore. In migliaia avrebbero condiviso il mio post e ben presto sarei diventata un simbolo per questa città. Tzè, che pessima idea. Io non ero nemmeno iscritta su Facebook. Trovavo snervante tutto quel meccanismo del mi piace o non mi piace più, del condivo o non condivido, del pubblico pubblico o del pubblico ristretto. Insomma, non se ne sarebbe fatto niente.

«Cami, quante volte dovrò ripeterti di non frignare? Hai 26 anni, per diamine!» esplose Sara, gesticolando come era solita fare. Il lungo cappotto di panno si alzo e ricadde seguendo il movimento delle sue braccia che mimavano la più completa disperazione. Che cosa potevo farci se odiavo stare sui tacchi? Mi facevano sentire molto goffa e per niente femminile. Non ero grassa, ma non slanciavano la mia figura, quindi li ritenevo un inutile e dolorosa tortura.

«Ho tutto il diritto di frignare. Stiamo girando a vuoto da due ore e la temperatura è artica» risposi, battendo i denti. Mi ero scocciata di stare dietro ai suoi capricci. Avevo acconsentito ad uscire sperando che potesse incontrare quel bell’imbusto di Mariano Iacobucci e farci finalmente due chiacchiere. Sempre che il soggetto in questione glielo avesse permesso. Sara lo pedinava ovunque, ma lui non la filava di striscio. Erano anni che gli moriva dietro, nutrendo false speranze ogni qual volta che il bello&impossibile si trovava a meno di un metro da lei. Personalmente non mi piaceva quel tipo. Troppo pieno di sé e dei suoi averi. Uno st***zo in camicia, in pratica.

«Abbi pazienza Cami. Sento che siamo vicine a lui» cinguettò la mia amica, tamburellando le dita su una BMW nera. Non avevo idea di che macchina possedesse quel tipo, ma avrei scommesso la mia modesta casa che fosse quella davanti a noi. E pochi minuti dopo, con la benedizione della mia umile dimora, Mariano e la sua combriccola di spacconi uscì dal pub e si diresse verso di noi. O meglio, verso il macchinone tirato a lucido davanti al quale sostavamo.

Iniziai a provare un’immensa vergogna man mano che quei tizi si avvicinavano e indietreggiai di qualche passo. Che parlasse Sara! In fondo era lei la fautrice di quel piano sgangherato. Il rumore dell’apertura centralizzata mi fece sobbalzare e quasi non caddi all’indietro. Udii qualche risata provenire proprio dal gruppetto di boriosi. Quella situazione iniziava a pesarmi sul serio.

«Salve fanciulle. Possiamo esservi utili?» esordì il bello&impossibile girandosi a favore degli altri due sbruffoni.

Okay, stavamo rasentando il ridicolo e quelle occhiatine maliziose non mi piacevano per nulla.

«Beh, ecco, noi…» iniziò Sara che sembrava avesse subito una paralisi alla lingua.

«Ecco…»

La mia amica sembrava tramortita, mentre quegli energumeni se la ridevano sotto i baffi.

«La nostra macchina è in panne. Ci servirebbe il numero del carro attrezzi!» m’intromisi, cercando di salvarci la faccia da quell’insanabile brutta figura.

«Sai, esiste una cosa chiamata internet dove puoi cercare il numero del tuo amato carro attrezzi. Pensa, è proprio sul cellulare!» esordì un brutto ceffo dalla lingua biforcuta, provocando l’ilarità generale. Avevo avvertito Sara che il suo piano non era ben congegnato, ma lei non mi aveva dato ascolto, tanto per cambiare. La conoscevo dal primo superiore, quando lei era già tosta e io una bimba impaurita dal mondo. Eravamo agli antipodi caratterialmente, ma nonostante ciò dopo ogni litigio tornavamo ancora più amiche di prima. Sara non mi ascoltava mai: lei era quella testarda, io quella accondiscendente. Era arrivato il momento di prendere in mano la situazione e mostrare un po’ di carattere.

Afferrai la borsetta che tenevo stretta stretta (manco ci fosse qualcosa di valore dentro) e tirai fuori il vecchio cellulare di nonna Teresa. Ora che ci pensavo, persino mia nonna si era fatta ammaliare dalle novità introdotte dagli smartphone. Mi aveva chiesto anche di scaricarle il telefono verde. All’inizio non avevo capito a cosa si riferisse, poi per logica capii che facesse riferimento all’applicazione whatsapp. Era ridicolo ai miei occhi, ma le volevo bene e l’accontentai destreggiandomi tra le mille diciture del mercato delle applicazioni: il famoso play store.

In cambio avevo ottenuto il suo vecchio Nokia 3220 ancora in perfetto stato. Ero felice di averlo ricevuto a gratis. Non avevo mica soldi da spendere per quelle scemenze, io!

«Riesci a cavare qualcosa da questo?» dissi, esponendo il mio gioiellino d’antiquariato alla mercé di quei tre balordi. Rimasero tutti a bocca aperta nel costatare che al mondo esistesse ancora qualcuno ad usare un non-smartphone.

Leggevo incredulità nei lori occhi, ma non me ne poteva fregare di meno. Sara tossicchiò parecchie volte, più imbarazzata che mai. In questo momento ci stavamo invertendo i ruoli e per lei era una cosa del tutto nuova. Ma non è pur sempre vero che c’è una prima volta per tutto?

«Dani, lascia perdere. Non voglio grane! Chiama il carro attrezzi per queste tizie e andiamo» capitolò il bello&impossibile. Queste tizie? Quello scimmione stava oltrepassando il limite. Antipatico, maleducato e viziato. Quando terminai tutti i peggiori epiteti possibili e immaginabili, mi resi conto che la Panda di Sara non era mai stata meglio. Non avevamo mica bisogno di un carro attrezzi per davvero!

«Sentite, è meglio che ve andiate. Non abbiamo più bisogno del carro attrezzi» dissi coraggiosamente. Sara sopirò di fianco a me, conficcandomi una gomitata nel fianco per manifestare il suo dissenso. Credeva che avessi sbagliato? Poteva pensarci lei a riparare questo disastro. Il bello&impossibile guardò gli altri due stralunati e si passò una mano tra i capelli con quell’atteggiamento da maschio superiore che stava iniziando ad infastidirmi parecchio.

«Dovreste spostare le vostre mongolfiere dalla mia auto per poter aprirla e andare via. Chiederò i danni, se trovo qualche ammaccatura alla fiancata» disse e in via definitiva i miei nervi saltarono.

Furiosa mi avvicinai a lui di scatto. Con tutti i tacchi (no, non erano 15 cm), dovetti reclinare il viso verso l’alto per poter guardare negli occhi quello sbruffone.

«Non ti pagherei nemmeno un centesimo per quella tua stupida macchina. Dovresti tirartela di meno, capellone» urlai come uno scaricatore di porto, prima di girare i tacchi e trascinare Sara lontana da quella follia.

Lo scimmione rimase immobile dondolandosi sui talloni, mentre gli altri ci apostrofavano con i peggiori appellativi. Oh mio Dio, ero stata veramente capace di tenere testa a qualcuno? Mi sentivo euforica per quella nuova esperienza e me ne andai gongolando come non avevo mai fatto in vita mia.

***

Il citofono suonava all’impazzata e la cosa sembrava non importare a nessun anima viva. Dov’erano finiti tutti? Possibile che l’unico momento di riposo che avevo doveva essere interrotto dal quel fastidioso rumore?

«Maaaa suonano al citofono!» tentai di fare scarica barile ancora una volta per liberarmi dall’oneroso compito di strascinarmi fuori dalle coperte. No, non c’era nessuno a casa Filippi. Eppure ero certa che mia sorella Tata (no, non come il negozio di scarpe, derivava da Roberta) fosse nella sua stanza.

Calzando le mie ciabattone di Pippo (un po’ troppo infantili per la mia età, ma che importava?), mi diressi come un automa verso il citofono.

«Chi è?» esordii, con la voce baritonale. Oddio, chi mi avrebbe ascoltato dall’altro lato non avrebbe avuto una piacevole sorpresa.

«Sono Sara, idiota. E’ da un’eternità che provo a chiamarti! Che fine hai fatto? Sono le cinque, dovevamo studiare insieme e poi andare a fare aperitivo in quel pub…quello di bello&impossibile». Parlò così in fretta che il mio cervello non elaborò in tempo tutto quello che aveva blaterato. Era possibile che avessi udito bello&impossibile?

«Sali, scema» risposi laconica e con voce meccanica. Sara si materializzò al mio fianco in un baleno, quasi che arrivare in meno di trenta secondi le garantisse una medaglia d’oro alle olimpiadi. D’altronde era molto agile la mia amica. Il suo corpo minuto le garantiva la leggiadria che a me mancava. Io ero più alta di lei, ma le mie ingozzate di cioccolato (rigorosamente al latte), mi avevano lasciato in eredità due fianchi che nemmeno il maniglione antipanico dell’ospedale reggeva il confronto. A parte la mia forma fisica a “pera”, non ero eccessivamente grassa. Ero formosa, come amava definirmi il primo fidanzatino dell’età adolescenziale.

«Non credi di aver dormito abbastanza? Così non puoi studiare e va a finire che non ti laureerai mai di questo passo!» mi salutò con affetto la nana.

«Parli proprio tu che sei a più tre materie da me!» la rimbeccai, fiera di quello (se pur minimo) stacco.

La carriera universitaria non era tra gli argomenti che preferivo. Ormai ero fuori corso da parecchi anni e non riuscivo più a raccapezzarmi tra i libri. Avevo perso lo smalto e la grinta iniziali per strada, e non mi era rimasto che un insulso istinto di sopravvivenza: dovevo farcela per i miei.

«Colpita e affondata! Allora ti prepari??? Così usciamo. Ho saputo che B…»

«Non starai dicendo sul serio, vero?» la interruppi bruscamente, prevedendo i suoi loschi piani. «Non mi farò più coinvolgere nei tuoi stupidi teatrini ammazza reputazione. Te lo devi scordare quello lì. Ficcatelo bene in testa: è uno str***o patentato e non ti merita» recitai, come nel migliore dei manuali “salva amica rincretinita” . Con una calma sfrontata che non aveva precedenti, Sara mi superò dirigendosi verso la mia stanza. Non mi guardava, ma sapevo cosa stesse per fare. Le sue abili manine tirarono dal mio armadio un paio di jeans a caviglia e una maglia a righe bianca e blu. «Le All stars che ti ho regalato l’anno scorso ci staranno da Dio, metti quelle» aggiunse, infrangendo il muro del silenzio. Incredibile, non si arrendeva mai. Nemmeno di fronte al mio palese diniego, aveva messo da parte i suoi folli piani di conquista. Era pazza di Mariano Iacobucci e non si sarebbe fermata di fronte a niente. A volte ammiravo la sua determinazione. Al suo posto mi sarei arresa parecchio tempo prima, ma il mio carattere non meritava alcuna menzione particolare.

«D’accordo» mi arresi, «che sia l’ultima volta. Non voglio più vedere quei tizi» aggiunsi fissandola in cagnesco. La vidi esibirsi in una risatina compiaciuta che mi fece mettere il broncio. Mi venne l’impeto poco ortodosso di sollevarla dal pavimento e gettarla per aria, cosicché capisse che non ero la sua personale dama di accompagnamento. Ma tutto ciò che feci fu vestirmi di fretta, e truccarmi ancora più velocemente. Il mio trucco base era formato da poche gocce di fondotinta, un ombretto nero sfumato sulle grandi palpebre oculari, una linea di eye-liner e l’immancabile mascara nero volumizzante. Perché tra i miei tanti difetti, non potevano mancare ciglia cortissime e poco folte che mi toccava rimpolpare con quell’impiastro color inchiostro per dare un tono allo sguardo altrimenti spento.

«Sei molto bella» mi continuava a ripetere Sara. Odiavo quando cercava di comprare il mio sorriso con dei complimenti infondati. Sapevo di non essere un mostro e di avere un aspetto ordinario e pulito, ma esseri belli è tutta un’altra cosa. Da piccola in molti si complimentavano con mia madre per le mie sembianze da bambolina; ero una bimba paffutella dalla pelle lattea e gli occhioni marroni e buoni. Dopo una manciata d’anni passati ad arraffare complimenti a destra e a manca, era arrivato il periodo buio. Alle scuole medie, complice qualche kilo in più, l’apparecchio ai denti e gli occhiali tondi e dorati, venni presa di mira per la prima volta dal sesso maschile che crudele e meschino mi appellava ogni giorno “brutto anatroccolo”, nemmeno fossi deforme! Da allora persi qualsiasi sicurezza in me stessa per almeno tre o quattro anni. Avevo imparato a convivere con quella triste realtà e non ne facevo una tragedia, non apparentemente perlomeno. L’arrivo alla scuole superiori combaciò con la perdita dei kili in più e la ridistribuzione delle mie forme. Finalmente poteva vantare un corpo femminile e qualche occhiata di apprezzamento da parte dei ragazzi più grandi.

Mi resi conto che era insensato vagare con la mente fino a quei giorni, dovevo pensare al presente e al fatto che stessimo per raggiungere uno dei pub più in voga di tutta Colonna e stessi per rivedere quell’essere immondo.

«I complimenti non ti salveranno da una morte lenta e dolorosa» recitai, prendendo in giro Sara per smorzare la tensione che si era creata. Non mi piaceva avercela con lei, poco dopo infatti tornai a sorriderle come sempre.

«Eccolo» sussultò lei, stringendomi la mano con una forza inaudita. Sperai con tutta me stessa che il bello&impossibile non si accorgesse di noi e invece si voltò incuriosito a guardarci dall’alto del suo metro e ottantacinque. Beccate!

«Le tizie di ieri sera… dite un po’, non mi starete mica pedinando voi due?!»

Quel tono allusivo mi fece salire la bile alla gola. Dietro quei ray-ban ultimo modello si intravedevano due occhi a mandorla agghiaccianti, quasi ipnotici. Non avevo mai avuto cura di approfondire il contatto visivo con lui, e l’effetto che quello sguardo ebbe su di me non mi piacque per nulla. La morsa che sentii allo stomaco era una sensazione nuova, inesplorata e tale doveva rimanere.

«Vola basso, amico. Non gira tutto intorno a te. Colonna è un paese piccolo e ci ritroviamo a frequentare gli stessi posti, purtroppo» aggiunsi senza celare un pizzico di soddisfazione per avergli levato dalla faccia quel sorrisetto da ebete.

Che ne poteva sapere lui che la mia amica era un stalker e che io ero sua complice in questa intrica vicenda che si perpetrava ormai da anni?

Il bamboccio si avvicinò ad un centimetro dal mio viso e all’ultimo secondo deviò in direzione del mio orecchio.

«Sei carina quando cerchi di fare la scorbutica a tutti i costi. Se non fossi con il moscerino qui di fianco, t’inviterei a bere qualcosa insieme» sussurrò piano.

Aveva una voce calda e composta ed emanava un buon profumo.

Dio mio, che pensieri inappropriati! Mi ci volle qualche secondo per riprendere il controllo del mio corpo. La pelle d’oca si era estesa su tutte le braccia e me ne vergognai come una ladra. Sara aveva assistito immobile a tutta la scena, domandandosi cosa mi avesse detto di così sconvolgente da tingere le mie guancie di un rosso vivo. Di solito non vantavo un colorito sano; avevo più l’aria di uno zombie che di un essere umano.

«Lasciaci passare» gracchiai.

Certo, le sue parole mi avevano scosso, ma non potevo permettere che avessero il sopravvento su di me.

Scrittrice a rapporto: Un pizzico di follia non ha mai fatto male a nessuno giusto? Questa storia è la mia piccola follia perché dovrei studiare, e fare tante altre cose tra cui continuare un'altra storia a cui tengo tanto. Ma si sa, quando la vena creativa chiama, non c’è verso di farla smettere. Non usarmi -le due facce dell’amore- è una storia che nasce come un’autoironica analisi della vita di una ragazza tipo. Le complicazioni e i problemi la tramuteranno in qualcosa di più serio, ma vi prometto di mantenere uno stile leggero e piacevole.

Vi invito a pormi qualsiasi quesito e lasciarmi i vostri pareri, sono sempre stimolanti.

Un abbraccio virtuale a tutti!

   
 
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