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Autore: CassandraBlackZone    08/04/2015    2 recensioni
AGGIORNAMENTO: 13° capitolo
[Jeff the Killer]
È impossibile. È una sua complice. L’ha tenuta in vita per uccidere più persone: è un’esca umana. Ci farà ammazzare tutti.
No, è inutile. Ogni giorno cerco di farmi coraggio e provare a raccontare la mia versione, così da smentire ogni sorta di voce, ma non ci riesco. Io vorrei davvero… raccontare cosa successe realmente quella notte di un anno fa. La notte in cui i miei genitori vennero uccisi.
Il mio nome è Elizabeth Grell. Sedici anni. E sono sopravissuta al tentato omicidio di Jeff the killer.
Genere: Azione, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeff the Killer
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Giorno 35
 
Armata di un pennarello bianco indelebile, dedicai venti minuti del mio tempo per scrivere sulla copertina del diario. Mi sentivo come un tatuatore con la sua consueta responsabilità verso la pelle di un suo cliente; cercai di non tremare il più possibile e quindi di scrivere bene il titolo al primo colpo. Della buona musica epica mi accompagnava nell’impresa. Il risultato? Una calligrafia degna di William Shakespeare, oserei dire. Soddisfatta? Altroché.
Purtroppo, non potei nascondere per sempre a nonna Jo la faccenda della terapia, ma per lo meno avevo ragione; fu estremamente felice di sapere che non avrei dovuto più star sotto alle direttive dei medici o, come la chiama lei, della sciacquetta vestita da bomboniera (Sì, parlo di mrs. Tucker). Ovviamente, stetti attenta a cosa dirle e quindi non le parlai di ciò che faccio regolarmente assieme ai ragazzi.
Non avendo più alcuna direttiva da seguire, trovo che ora mi sia più facile esprimermi in queste pagine. Con una certa tranquillità posso descrivere sia la giornata che ogni cosa mi frulla nella testa purché inerente al titolo scelto: Diario di una sopravvissuta. Pensandoci, non cambia poi molto da quello che ho fatto finora, forse… posso avere la lingua leggermente più tagliente ( giusto un po’, senza esagerare).
Tranquillità. Tranquillità. È così strano poter usare questa parola dopo aver passato dei giorni non poi così tanto tranquilli, ma oggi posso dire con certezza che la giornata è passato inaspettatamente liscia.
Dopo esser rimasta nell’anonimato, nascosta dietro ad una colonna di marmo, questa mattina ricevetti il primo complimento dell’anno da Mr. Wright, il professore di letteratura ( nonché il responsabile della mia posizione) per un compito di scrittura creativa; il preside mi si avvicinò all’armadietto per chiedere sia della mia salute che di mia nonna con un sorriso largo fino agli zigomi; per i miei coetanei ero ancora invisibile, ma quell’enorme senso di angoscia al mio passaggio era come scomparso.
«Direi che hanno finalmente fatto funzionare il cervello» fu il commento di Ben, mentre si gustava la sua lasagna :«insomma, dai. Era ora.»
«Ma neanche una settimana fa la mangiavano con gli occhi» intervenne David :«che qualcuno li abbia corrotti? Il sindaco?»
«Vero. È  strano» acconsentì Matt con la bocca piena.
«Ehi. Dovremmo essere felici per lei, non credete? Magari si comportano così perché Jeff non si è fatto vedere.»
«Ribadisco,Ben: neanche una settimana.»
«Ma lo avete sentito il discorso del sindaco ieri? Tutto stracontento, ha annunciato il ritiro del coprifuoco. Il coprifuoco! L’unica ancora di salvezza di questo schifo di città, senza contare che ha fatto togliere anche i poliziotti per le strade.»
«Piano, Ben! Sembri mio nonno Sebastian e credimi, non è una bella cosa. Lui è fuori di testa» ridacchiò Matt.
«Io invece do ragione a Ben.»
«Grazie, Lizzie.»
«Solo perché si è fermato, stiamo pur sempre parlando di un feroce assassino. Questi giorni di inattività potrebbero essergli serviti per riposare, ma domani, o peggio, stanotte stessa potrebbe ricominciare e questo grazie al sindaco.»
L’enfasi con cui dissi quella frase sembrò spaventare i due giovani giornalisti che deglutirono all’unisono, guardandosi l’uno l’altro.
«Ok, Lizzie. Così ci spaventi…» disse David aggiustandosi gli occhiali.
«Non volevo spaventarvi, ma solo farvi capire la gravità della cosa. Noi siamo gli unici a cui sta a cuore questa faccenda e anche gli unici a sapere come si comporta Jeff.»
«Ma dimentichi che noi siamo soprattutto dei semplici adolescenti. Non potremmo fare un granché neanche volendo.»
Su questo David non aveva tutti i torti, e anche se la posta in gioco era molto alta, non potevamo far altro se non rimanere ad aspettare che accadesse un miracolo.
«BÈ , intanto, visto che oggi non abbiamo poi così tanto da fare, potremmo aiutarvi con gli ultimi preparativi per il ballo. Che ne dici, Ben?»
Ben incrociò il mio sguardo e acconsentì annuendo.
David e Matt accettarono con entusiasmo il nostro aiuto e, subito dopo aver pranzato, ci dirigemmo alla nostra amata sala computer, dove ci aspettarono interviste da registrare e da trascrivere a computer.
È proprio il caso di dirlo: è stata davvero una giornata senza alcuna sorpresa indesiderata.
 
Giorno 36
 
Troppo presto. Esultai troppo presto, proprio come fecero il sindaco, mr. Wright e tutti gli altri.
La mia mano trema all’idea di dover scrivere tutto ciò, ma mi ero ripromessa di aggiornare il diario ogniqualvolta si presentasse un fatto singolare o comunque collegato a Jeff , e quello di stanotte è stato più di un fatto singolare.
Senza che io le chiedessi nulla, tornata a casa da scuola nonna Jo mi regalò una nuova videocamera digitale. Te la merita, mi disse semplicemente. Sorpresa, ma felice, la ringraziai per tutta la sera e prima di addormentarmi mi misi subito a studiarla: capii come accenderla e iniziare a registrare, ma ebbi qualche difficoltà a spegnerla. Purtroppo per me, la stanchezza prese il sopravvento appena verso le 22 e mi indusse ad appoggiare lo splendido regalo sul comodino. In pochi minuti ero già nel mondo dei sogni; avevo passato tutto il pomeriggio ad allestire la palestra della scuola come volontaria, i muscoli erano così indolenziti per tutti i festoni che attaccai in bilico su una scala che non riuscivo a rigirarmi nel letto neanche volendo.
Ero completamente bloccata, immobile e incapace di dimenarmi  a tal punto che non potei reagire come volevo, alla vista di un coltello che tagliava una mia ciocca di capelli.
Urlai. L’ombra che teneva in mano la pericolosa lama indietreggiò fino ad andare a sbattere contro la mia scrivania, mentre io mi alzai il più velocemente possibile; annaspava in cerca di aria, alzando le spalle ad ogni respiro per l’enorme fatica che dovevano sostenere i suoi polmoni.
Sforzai più che potevo gli occhi per riuscire a distinguere la figura davanti a me. Un uomo: lo potevo confermare dalla spalle larghe già notate e il tono di voce dai suoi pesanti sospiri, il resto era avvolto dall’ombra sicura delle mie tende.
D’istinto mi girai verso la finestra: era aperta. Mi maledissi per la mia pessima abitudine di non chiuderla, che mi costò un’inaspettata visita notturna.
«Chi… chi sei?» dissi con la voce tremante. Dove trovai la forza di parlare, ancora non me lo spiego, ma una parte di me diceva di non lasciarlo scappare.
«Chi sei?» riprovai, con un po’ più di sicurezza. Uno stupido scherzo di un mio compagno di scuola? Poteva essere plausibile, ciò avrebbe chiarito lo strano cambiamento di atmosfera della scuola: doveva essere per forza così, pensai.
Lui non rispose.
Ad ogni mio tentativo di fare un passo, lui cercò di avvinarsi alla finestra restando bene nell’ombra, finché non imprecò a denti stretti quando una folata di vento alzò la tenda, lasciando che la luce del lampione vicino illuminasse per poco il suo volto.
Cacciai un secondo urlo cadendo a terra alla vista dei suoi occhi privi di palpebre, la pelle biancastra e gli enormi tagli ai lati della bocca: era lui, Jeff the Killer, ed era in camera mia.
«Lizzie? Che succede?!»
«No, nonna! Non entrare!»
Giratami verso la porta, il famigerato killer ne approfittò per raggiungere la finestra, ma non scappò subito,bensì rimase seduto sul traverso per fissarmi.
Accadde di nuovo, come quella sera: entrambi ci guardammo intensamente negli occhi, senza proferire una parola.
Il rumore di un vetro rotto mi fece distogliere lo sguardo. Con l’aiuto del manico del coltello, Jeff aveva fatto un buco sulla finestra dall’estern. E, lasciato cadere sul pavimento un sasso che aveva in tasca, se ne andò chiudendo l’anta.
A pelo,irruppe nella mia stanza nonna Jo con in mano una scopa :«Lizzie? Tutto bene? Ti ho sentita urlare e… oddio, la finestra! Ma chi è stato?!»
«Io… Io non lo so. Ho urlato perché avevo visto… qualcosa muoversi fuori e poi… ho visto il sasso.» pregai con tutta me stessa che il cuore smettesse di battere con violenza sul petto. Cercai di resistere e continuare a mentire. Io… decisi di difenderlo. Decisi di nascondere il nostro incontro usufruendo della sua messa in scena. Perché, mi chiedevo, perché?
«Devono essere stati dei teppisti di strada… maledetti!» ringhiò lei esaminando i vetri rotti sotto la finestra.
«Non… non preoccuparti. Sto bene, davvero…»
L’istinto materno di nonna Jo la portò ad avvicinarsi a me per abbracciarmi. Speravo che la sua voce rassicurante mi potesse tranquillizzare come sempre, ma il terrore che potesse accorgersi del messaggio scritto col sangue posto sulla mia scrivania, assorbì tutta la sua gentilezza.
Troppo lunghi, così recitava.
 
Giorno 37
 
Preciso quanto un orologio svizzero, alle otto e trenta in punto ricevetti un messaggio da parte di Ben: ehi, Lizzie. Dove sei? Assonnata, gli risposi che oggi non sarei andata a scuola, di non preoccupassi e che gli avrei raccontato tutto a voce domani. Due secondi dopo, lui scrisse un ok.
Pur non avendo più sonno, decisi di rimanere a letto fino alle dieci, seduta, fissando quel messaggio: Troppo lunghi. Lo rilessi almeno una decina di volte. Probabilmente lo aveva lasciato lì Jeff a mia insaputa prima di tagliarmi i capelli. Il sangue sul foglio si era asciugato del tutto, dando così l’impressione che fosse scritto con del normalissimo inchiostro; rabbrividii al pensiero di chiedermi di chi appartenesse.
Stanca di starmene a letto,mi decisi ad alzarmi e quindi a controllare i danni dei miei capelli. Fortunatamente, nonna Jo non si accorse che dietro alla nuca mancavano delle ciocche, purtroppo per me, invece, mi trovai nella scomoda situazione di scegliere se tagliarmeli o vivere con un cappello finché non sarebbero ricresciuti( era tangibile una zona in cui erano veramente corti e difficili da nascondere): optai saggiamente la prima.
Alzai lo sguardo per guardarmi allo specchio. Stavo sorridendo. Sorridevo per davvero, all’idea che Jeff the Killer fosse stato in camera la notte scorsa. Che fossi semplicemente nervosa? Una normalissima reazione per non andare nel panico? Sì, doveva essere per forza così e tuttora lo spero, altrimenti dovrei andarmi a cercare una nuova psicologa da assillare e annoiare.
Avendo deciso di non andare a scuola, di tempo ne avevo per andare dal parrucchiere prima che nonna Jo tornasse dal lavoro, ma preferii togliermi il pensiero il prima possibile; avevo bisogno di distrarmi.
Dopo essermi vestita e mangiato velocemente due toast al formaggio, presi cinquanta dollari dai miei risparmi, ero pronta ad uscire, quando una luce rossa lampeggiante attirò la mia attenzione appena appoggiai la mano sulla maniglia della porta. Un ronzio mi invitò ad avvicinarmi al letto, fu allora che la vidi: la mia nuova videocamera digitale che avevo lasciato sul comodino, era rimasta accesa tutta la notte.
Taglio corto. Faccia in fretta. Grazie. Tenga il resto. Fu tutto quello che dissi entrata nel primo parrucchiere che incontrai in centro. Piuttosto che aspettare il pullman, preferii correre per raggiungere la scuola il più in fretta possibile.
Devono assolutamente vederlo, continuavo a ripetermi per spronarmi a correre più veloce. Incredibilmente, raggiunsi la scuola senza problemi, nessuno sembrò essersi accorto della mia presenza e filai dritta verso la sala da pranzo, dove raggiunsi il solito tavolo su cui io e i ragazzi stiamo.
«Ragazzi! Ragazzi! Non avete idea di quello che mi è successo! È  stato… è stato…»
Inutile dire che arrivai col fiatone e nulla di ciò che dissi sembrò esser stato capito da nessuno dei tre, soprattutto perché erano tutti impegnati a fissare la mia testa.
«Un momento… la voce…» iniziò Ben confuso :«Lizzie? Sei tu?»
«Oh, diamine sei Lizzie?!» disse quasi urlando Matt, seguito da David.
«Sì… sono io… fatemi riprendere fiato.»
«Sei così… diversa. Insomma, sembri un ragazzo!»
«Che indelicatezza, Matt!»
«Tranquillo, David. Non mi ha offeso. Anzi, non mi dispiace.»
«Pensavo non saresti venuta a scuola.» continuò Ben, senza togliermi gli occhi di dosso.
«Sì, è vero. Ma ho davvero qualcosa da farvi vedere. È  davvero importante! Ed è una cosa… incredibile!»
Usando un muro vuoto della sala computer come schermo, attaccammo la mia videocamera ad un proiettore e analizzammo il video. Dalle 22, l’ora in cui andai a dormire, fino all’una di notte non successe nulla, finché non arrivò con un salto in camera mia Jeff.
«Oh cavolo è Jeff! È Jeff!»
«Oddio… è davvero Jeff.»
I commenti di David e Matt non mi stupirono affatto, fu più sorprendente vedere Ben inalterato davanti ad una simile rivelazione; nessuna critica o anche una smorfia, nulla.
All’arrivo di nonna Jo, spensi la videocamera.
«Allora? Cosa ne pensate?»
«È … È …fantastico! È magnifico! È la prima testimonianza di un contatto ravvicinato con Jeff the Killer!»
«Ti rendi conto, Lizzie? Ciò che hai per le mani è un materiale preziosissimo.»
«Voi… credete?»
«Se te lo diciamo noi» Matt si mise al fianco di Lizzie :«È  la pura verità!»
«Sì! Dobbiamo assolutamente farlo vedere ad un giornale, vedrai quante richieste di…»
«Non se ne parla.»
L’atmosfera di festa iniziata dai due futuri giornalisti, venne schiacciata dall’autorità di leader di Ben, che subito fulminò con lo sguardo i due amici, facendoli allontanare da me.
«Ma come, Ben. È  una grande occasione! Starai scherzando, spero?»
«Chiamami pure nonno Sebastian se vuoi,Matt, ma vorrei ricordarvi che già la situazione di Lizzie non è una delle migliori e in più volete infangare la sua reputazione con questo video? Non esiste.»
«Ma sei noi spiegassimo tutto, forse loro…»
«Siamo soprattutto dei semplici adolescenti. Parole tue, David.»
Sempre con la fronte aggrottata,Ben, a debita distanza, si mise davanti a me. Mi scrutò dalla testa ai piedi, fermandosi di più sul petto e sul viso. Mi sentii terribilmente a disagio, ma lo lasciai fare.
«Ben, che cosa c’è? Lo so, sono strana coi capelli corti, ma come hai potuto vedere l’ho dovuto fare e…»
«In effetti, non avendo molto seno sembri davvero un ragazzo.»
«Ben!» urlò David.
«E poi sarei io quello indelicato?»
«State tranquilli. Ve l’ho detto. Per me non è un’offesa.»
«David. Matt. Io ora farò delle domande a Lizzie, intanto voi guardatela, molto attentamente.»
I due si guardarono allibiti dalla richiesta dell’amico, ma acconsentirono e mi fissarono.
«Sei pronta, Lizzie?»
«Ho altra scelta?»
Sguardo d’intesa, e iniziammo.
«La notte in cui incontrasti per la prima volta Jeff, che pigiama indossavi?»
«Avevo una maglietta larga di mio padre e un paio di pantaloni della tuta.»
«Al funerale dei tuoi genitori, come ti vestisti?»
«Non ho mai sopportato le gonne. Quel giorno indossai un completo nero con tanto di cravatta.»
«Quindi non hai mai indossato una gonna da quel giorno?»
«Non ho mai indossato una gonna, neanche da piccola. Mi sono sempre vestita come mi vedi ora.»
Ben si fermò a riflettere ed incominciò a gironzolarmi intorno :«Ora che ci penso, anche per la voce potresti benissimo essere scambiato per un ragazzo.»
«Ok, questo mi ha leggermente offeso. Ora ti decidi a dirmi che cosa hai in mente? Mi stai facendo venire l’ansia.»
Ignorandomi, Ben si apprestò a prendere il raccoglitore da dove vi sfilò una foto, senza farla vedere a noi poveri inconsapevoli :«Matt. David. Allora? Notato niente?»
I due scossero la testa senza capire le intenzioni del leader.
«Mi spiace, Ben. Ma proprio non capiamo dove vuoi andare a parare.»
«Ora ho capito tutto.»
Istintivamente mi avvicinai a Ben assieme ai due ragazzi : «Che cosa hai capito?» chiesi impaziente.
Ben si portò una mano fra i capelli, quasi come se non volesse dirlo, soprattutto a me. I suoi occhi urlavano: mi dispiace.
«Ho capito perché ti risparmiò quel giorno, perché cercò di tagliarti i capelli, ma soprattutto… perché pianse.»
A malincuore, Ben alzò un braccio per mostrare la fotografia e l’altro il retro del suo Iphone. I primi a reagire furono Matt e David che imprecarono dietro di me, per non averlo notato subito come Ben, mentre io… rimasi pietrificata davanti prima alla mia immagine riflessa sul cellulare e poi alla fotografia del giovane Liu Woods,nonché fratello minore di Jeff: eravamo due gocce d’acqua.
«Non… non è possibile…»
 
ANGOLO DELL’AUTRICE:
Salve a tutti, occupo questo piccolo angolo per far presente a tutti, o meglio, scusarmi a tutti per il madornale errore. In realtà… non so se ritenerlo proprio un errore, ma se lo è, scusatemi ancora. Dunque: mi hanno fatto notare degli amici che il Liu della mia storia è il fratello minore di Jeff e perciò loro mi hanno, per così dire, attaccata dicendomi che in realtà sarebbe il fratello maggiore. Ma io mi sono difesa in questo modo: decisi di verificare la storia dal sito di Creepypasta è non notai nessun tipo di riferimento riguardo a chi era il minore e chi il maggiore, perciò quando decisi di scrivere questa ff decisi che Jeff sarebbe dovuto essere il maggiore e Liu il minore, ma anche se fosse… insomma… è una, appunto, ff, no? Tutto è possibile. Non dovrebbero esserci dei problemi o sbaglio?
Io mi sono avvicinata al mondo delle creepypasta diciamo da poco, forse il mio errore è stato non aver letto tutte le storie di Jeff fermandomi solo alla prima ( in realtà so più meno anche la storia di Homicidal Liu, che mi è stata raccontata a voce) e quindi… chiedo venia e spero possiate avere pietà di me. Detto questo, spero che nonostante tutto continuiate a leggere questa storia,  perché le sorprese non sono finite qui ;)
A presto e grazie per la pazienza!!
 
Cassandra
   
 
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