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Autore: evelyn80    08/04/2015    0 recensioni
[Deadliest Catch]
[Deadliest Catch]Per dimenticare il suo matrimonio fallimentare, Michelle decide di intraprendere un viaggio intorno al mondo con la sua automobile, una vecchia utilitaria cui è molto affezionata. A causa di un contrattempo si ritroverà bloccata nelle Isole Aleutine, dove conoscerà l'equipaggio del motopeschereccio Northwestern. I pescatori l'aiuteranno a continuare il suo viaggio, e non mancheranno i colpi di scena.
Storia già pubblicata qualche anno fa con un altro nickname, poi cancellata perché non mi soddisfaceva.
A distanza di anni rivista e corretta. Ispirata al docu-reality di Discovery Channel ed ambientata circa quattro-cinque anni fa.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Con questo mio scritto, pubblicato senza alcun scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei protagonisti di Deadliest Catch, né offenderli in alcun modo.


 

Dutch Harbor

 

Con alle spalle più di un mese di viaggio, dopo aver percorso tutta la penisola iberica, il Marocco fino ad Agadir, aver attraversato l’Oceano Atlantico e gli Stati Uniti da Miami all’Alaska, mi ritrovai a Dutch Harbor, il porto principale delle Isole Aleutine.

Secondo il programma avrei dovuto prendere un traghetto che da Anchorage mi avrebbe portato fino a Vladivostok, da dove avrei attraversato tutta la Russia asiatica per poi rientrare in Europa; ma il problema era che il suddetto programma era andato a gambe all’aria quando, circa due settimane prima, i tecnici della Sector mi avevano abbandonato al mio destino.

Il patatrac si era verificato al momento di ripartire da Miami quando, dopo più di due settimane di forzata immobilità sul traghetto, Saetta Grigia aveva dato segni di non volerne sapere di continuare il viaggio. I meccanici messi a disposizione dallo sponsor si erano subito messi all’opera e ben presto avevano scoperto il "principio d’infarto" che la mia macchina aveva subìto. Non appena lo vennero a sapere, gli organizzatori ritirarono immediatamente il loro benestare alla mia impresa: era logico che una macchina vecchia come la mia avrebbe potuto dare qualche problema, e questo l’avevano messo in conto, ma non certo il fatto che il motore della mia Punto fosse già stato messo a dura prova dalla mia negligenza. Non avevano certo soldi da buttare via, mi dissero sprezzanti, perciò in un attimo mi ritrovai senza sponsor e senza scorta. Anche gli altri, non appena avevano saputo che la Sector si era ritirata, si erano affrettati a chiedere la rimozione dei loro nominativi dalla carrozzeria della mia auto, perciò ero arrivata in Alaska lasciandomi dietro una scia di adesivi e quasi più senza il becco di un quattrino. Quei pochi sponsor che mi erano rimasti – mio padre, mio zio ed altri due loro clienti – mi passavano quel poco che mi bastava per tirare a campare. Dovevo comprarmi i viveri e trovare posti dove dormire – almeno una volta alla settimana avevo pur bisogno di una doccia calda! – per cui quando dovevo risparmiare dormivo in auto e mangiavo poco o niente.

Avevo speso quasi tutti gli ultimi soldi che mi rimanevano per pagare il traghetto dal porto di Anchorage all’isola di Unalaska, dove mi avevano assicurato che forse avrei trovato un traghetto ancora attivo per farmi attraversare il mare di Bering, mentre dalla terraferma il servizio era sospeso fino a primavera. Avrei quindi dovuto richiedere altri fondi da casa per pagare l’attraversata.

Stavo percorrendo la strada in direzione del porto, con lo sferragliare delle catene che mi accompagnava ormai da un paio di giorni, visto che in quel posto dimenticato da Dio era già inverno inoltrato e la neve la faceva da padrone, e già potevo vedere le banchine deserte, a parte un peschereccio bianco, quando Saetta Grigia cominciò a singhiozzare e a saltellare come un canguro.

"Oh no, Saetta, cosa ti prende adesso? Non ti ci mettere anche tu, che non ho soldi nemmeno per comprare un pezzo di pane, figuriamoci per farti riparare!" borbottai, lanciando uno sguardo preoccupato al cruscotto su cui si era accesa una spia rossa. Un secondo dopo il motore si spense e non ne volle sapere di ripartire. Provai un paio di volte a girare la chiave, ma per paura di scaricare del tutto la batteria desistetti ben presto; mi misi il giaccone, scesi, aprii il cofano, diedi un’occhiata al motore senza sapere esattamente cosa o dove guardare, toccai un manicotto con la punta dell’indice come a dire: "Ehi, c’è nessuno?", poi mi raddrizzai, mi grattai la testa e mi guardai intorno. A parte il peschereccio, su cui vedevo un po’ di movimento, intorno non c’era nessuno. Erano le quattro di pomeriggio e già cominciava ad imbrunire. Forse avrei dovuto aspettare la mattina dopo, ma non mi allettava certo l’idea di passare la notte in macchina all’addiaccio: se non riuscivo a mettere in moto non avrei avuto nemmeno il riscaldamento; per cui, dopo un attimo di esitazione, richiusi il cofano e mi incamminai verso le uniche forme di vita presenti in tutta quella desolazione.

 

 

* * *

 

 

Sig Hansen, capitano del motopeschereccio Northwestern, dall’alto della sua timoniera vide spuntare nel crepuscolo ormai incipiente il veicolo più buffo che avesse mai visto. Era un’utilitaria color grigio topo, con un portapacchi troppo grande stracarico di roba e con strani adesivi appiccicati qua e là. Camminava lentamente, alzando nuvolette di neve con le catene. Ad un tratto la macchinetta si mise a saltellare come impazzita prima di fermarsi del tutto.

Soffiò fuori il fumo della sigaretta che stava fumando, scosse la cenere nel portacenere accanto allo schermo del gps e si rimise a seguire la scena con una certa curiosità. Nel frattempo si era aperta la portiera e ne era scesa una ragazza infagottata in un piumino nero. Con un mezzo sorriso sulle labbra la vide aprire il cofano, grattarsi la testa e poi guardarsi intorno, spaesata.

"Da dove viene non lo so, ma di sicuro non è Americana", disse tra sé guardando la targa della macchina. Spense la sigaretta e si voltò di nuovo, appena in tempo per vedere che la giovane si era incamminata in direzione del suo peschereccio.

 

 

* * *

 

 

Mi avvicinai alla banchina dove era ormeggiata la barca e non appena riuscii a leggerne il nome mi bloccai: Northwestern. Quell’appellativo non mi era nuovo: dove l’avevo già sentito? Dopo un attimo di riflessione mi si accese una lampadina: era uno dei pescherecci protagonisti di Deadliest Catch, un docu-reality sulla pesca dei granchi reali in onda su Discovery Channel. A mio marito piaceva, perciò l’avevo guardato anch’io, qualche volta.

"Andiamo bene", pensai: "Un gruppo di gretti pescatori dell’Artico, volgari e maleducati… Mi ci voleva anche questa!".

Ripresi a camminare e mi rivolsi all’uomo più vicino alla murata, un ragazzo di qualche anno più vecchio di me, con corti baffi e barbetta.

"Scusa? Buonasera…"

Quello continuò imperterrito a fare il suo lavoro, ed io insistei.

"Scusa? Posso disturbarti? Avrei bisogno di un’indicazione…"

Come se neanche esistessi, l’uomo continuò imperterrito nella sua occupazione, avvolgendo cime e sistemando boe colorate. Con una faccia degna del Don Camillo di Guareschi televisivo mi misi le mani prima sui fianchi e poi agli angoli della bocca per farmi sentire meglio.

"Oh, ma sei sordo? Mi serve un’indicazione! Dove posso trovare un meccanico?"

Il giovanotto mi lanciò un’occhiata di sottecchi, come se volesse valutarmi, poi mi voltò le spalle e riprese a lavorare.

"Ecco, lo sapevo! Maleducato ignorante!" pensai piena di rabbia. Senza riflettere afferrai una manciata di neve, che era bella ghiacciata, la compattai in una palla e gliela tirai, senza peraltro sperare di colpirlo. Ed invece lo presi in piena nuca. Lo sentii bestemmiare come un turco prima di voltarsi verso di me:

"Ma si può sapere che vuoi? Non rompere, non lo vedi che sto lavorando?"

"Alla buon’ora, il signore finalmente si degna di rispondere! Volevo solo sapere dove posso trovare un meccanico, sono rimasta in panne!" e con la mano indicai Saetta Grigia ferma qualche metro più in là.

"Non ci sono meccanici per auto qui a Dutch Harbor, solo per navi!" e fece per voltarmi nuovamente le spalle ma io continuai:

"Fa lo stesso, credo che i motori a scoppio siano più o meno tutti uguali, a maggior ragione che lei ha quindici anni e non è proprio più una giovinetta. Si accontenterà!"

Lui si raddrizzò e mi guardò, sorpreso:

"Accidenti!"

"Che c’è?"

"O sono io che non sono normale, oppure sono circondato da suonati!"

"Perché? Che ho detto?"

"Ti sei rivolta alla tua automobile come se fosse una persona."

"Sì, e allora?"

"Anche mio fratello si comporta così con questo peschereccio. A volte credo che voglia più bene alla Northwestern che non al resto della famiglia…" aggiunse, pensieroso.

"Allora, questo benedetto meccanico, dove lo trovo?"

"Ci stai parlando!" si soffiò sulle unghie e se le strofinò sul giubbotto, facendomi ridacchiare. "Modestamente stai parlando con il miglior meccanico di tutta Dutch Harbor!"

Un altro giovanotto, di qualche anno più vecchio, che aveva seguito la scena e si era avvicinato a noi, lo apostrofò:

"Cala, cala, fratello!"

"Bè, diciamo il migliore di tutta la Northwestern."

"Cala!" insisté ancora l’altro uomo ed il più giovane sbuffò. "Ok, il secondo dopo mio fratello Sig!"

"Chi è, quello che parla con la barca?" gli chiesi, quasi divertita dallo scambio di battute intercorso tra i due pescatori.

"Sì proprio quello. Comunque, ti stavo dicendo…"

Fu interrotto da un vocione rombante proveniente da un altoparlante:

"Cos’è, si batte la fiacca?! Forza Edgar, non abbiamo tempo da perdere, lo sai che domani all’alba dobbiamo ripartire!"

Non me l’aspettavo e per lo spavento sobbalzai, scivolai all’indietro e caddi a sedere per terra. Il giovanotto che, come capii, si chiamava Edgar, scoppiò a ridere mentre io mandavo la voce a quel paese in Italiano:

"Vaffanculo, tu e tutti i tuoi parenti!" esclamai mentre mi rialzavo da terra, scuotendomi la neve dal fondo dei pantaloni.

Edgar si asciugò le lacrime dagli occhi mentre mi chiedeva se stavo bene.

"Sì, grazie… Chi è quel disgraziato che mi ha fatto spaventare?" mugugnai con il muso lungo.

"È mio fratello Sigurd! Ehi Sig, vieni fuori, ho trovato una più suonata di te!" lo chiamò facendogli cenno di scendere con un braccio.

 

 

* * *

 

 

Sig vide la ragazza avvicinarsi, poi fermarsi per un attimo solo, ed infine ripartire per avvicinarsi a suo fratello Edgar. Lui continuò a lavorare come se niente fosse mentre la ragazza continuava a cercare di attirare la sua attenzione. La vide passare dallo spaesato allo spazientito e poi all’infuriato quando gettò una palla di neve a suo fratello. Scoppiò a ridere nel vedere la faccia inorridita di Edgar prima di voltarsi e seguì attentamente il dialogo muto che avveniva al di là del vetro. Quando vide che suo fratello si stava prendendo troppo tempo libero lo richiamò all’ordine, chiamandolo con l’interfono. La ragazza evidentemente non se lo aspettava, poiché sobbalzò ed andò a finire con il sedere per terra. Rise ancora più forte nel vedere la sua faccia inviperita e la vide sbraitare mentre si rialzava:

"Ho la vaga impressione di essere stato mandato a quel paese!" disse ancora a voce alta, come spesso gli accadeva quando era solo nella timoniera. Lui parlava con la sua barca, e poco gli importava che tutti gli altri membri dell’equipaggio, i suoi due fratelli compresi, lo prendessero per svitato.

In quell’istante vide Edgar che gli faceva cenno di scendere sul ponte, per cui si alzò dalla sua poltrona, si mise la giacca a vento e uscì.

 

 

* * *

 

 

La porta della timoniera si aprì e ne uscì un uomo di una quarantina d’anni, non molto alto ma muscoloso, con una criniera di capelli biondo cenere segnata da un’incipiente calvizie e una barba di due settimane dello stesso colore. Ad una prima occhiata mi fece pensare ad un leone, grande e fiero, mentre scendeva la scaletta e raggiungeva suo fratello Edgar.

"Allora, cosa è successo? Come mai hai smesso di lavorare?" chiese al giovanotto che mi stava di fronte.

Non seppi perché, ma la sua voce calda e leggermente roca mi fece correre i brividi giù per la schiena.

"La signora qui presente ha bisogno di un meccanico. Lo sai che anche lei parla con la sua auto? Forse dopo tutto non sei un caso isolato!"

"Ah ah ah, molto spiritoso… Non farci caso" disse, puntandomi addosso un paio di occhi blu scuro come il mare in burrasca: "Mio fratello non riesce a fare a meno di guardare i difetti degli altri, ma non bada mai ai suoi. Sig Hansen, capitano della Northwestern!"

"Michelle Ranieri, piacere. Lei invece è Saetta Grigia!" dissi, indicando la mia Punto e felice di aver trovato qualcuno che capiva quello che provavo per lei.

Edgar fece una faccia stralunata, poi scosse la testa e si rimise al lavoro, mentre Sig riprendeva:

"Qual è il problema?"

"In realtà non lo so, fino a dieci minuti fa camminava, poi ha cominciato a singhiozzare e si è spenta, ed ora non si mette più in moto…"

"Forse è la pompa della benzina… Potrei dargli un’occhiata, se non fossimo in ritardo. Siamo in piena stagione di pesca e domattina all’alba dobbiamo ripartire."

"Sì, capisco. A me serve solo qualcuno che me la ripari, ma tuo fratello mi ha detto che non ci sono meccanici per auto, qui."

"Diciamo che, da queste parti, ognuno è autodidatta. Quanta fretta hai? E, se non sono indiscreto, cosa ci fa una ragazza da sola in questo posto sperduto?"

"Sto facendo il Giro del Mondo per la Sector… anzi, dovrei dire stavo, perché la Sector mi ha abbandonato a Miami, comunque in qualche modo devo tornare a casa mia…" conclusi la frase quasi mugugnando tra me e me.

"Da dove vieni?"

"Dall’Italia."

Strabuzzò gli occhi. "Italia? E sei venuta fin qui dall’Italia con quella carretta?"

Mi rabbuiai e lui se ne accorse subito. "Scusa, non volevo offendere. È solo che… wow, sono un sacco di chilometri!"

Annuii e gli raccontai per sommi capi la mia avventura, dalla partenza fino a lì.

"Quindi sono rimasta senza più sponsor, o quasi, e pressoché senza un cent! Se anche gli ultimi due finanziatori rimasti mi abbandonano dovrò chiedere la residenza qui! Mio padre e mio zio mi hanno già sovvenzionato anche troppo… Quindi direi che sì, ho abbastanza fretta!"

"D’accordo, ti darò una mano. Non si venga a dire che Sig Hansen non ha aiutato una donzella in difficoltà!"

Con un agile balzo scese sulla banchina, seguendomi poi fino alla mia Fiat.

"Apri il cofano e prova a metterla in moto."

Obbedii, ma Saetta Grigia non volle saperne. Sig si chinò e si mise ad armeggiare. Io scesi e mi misi a guardare le sue mosse, con le mani giunte davanti al petto. Dopo pochi istanti lo sentii esclamare.

"Ah, ecco cos’è… Edgar!" urlò, rivolgendosi al fratello: "Portami la chiave inglese, due fascette e un cacciavite… e anche uno straccio!" Rivolse la sua attenzione verso di me e mi informò. "Si è staccato il manicotto che dal serbatoio va al motore: dovrei potertelo sistemare, anche se ti consiglio di farla vedere da qualcuno più qualificato di me al più presto possibile."

Edgar arrivò con gli attrezzi e dopo un quarto d’ora Sig dichiarò che il problema era risolto:

"Prova un po’, adesso?"

Saetta Grigia andò in moto al primo colpo, diedi gas un paio di volte e quando vidi che non si spegneva scesi esultante:

"Grazie, signor Hansen! Senza di te non so cosa avrei fatto! Quanto ti devo per il disturbo?"

"Non voglio niente, è stato un piacere, e chiamami Sig" disse mentre chiudeva il cofano e si puliva le mani con lo straccio.

Spensi l’auto e lo seguii mentre tornava verso il peschereccio: "No, sul serio, voglio sdebitarmi!"

"E io ti ripeto, sul serio, che non voglio niente."

"Almeno lascia che vi offra una cena, a te e al tuo equipaggio!" buttai là senza riflettere.

"Ma non mi hai appena detto che sei senza un soldo?" mi chiese, con un sorrisetto sornione.

"Bè, sì, ma dovrei avere qualcosa da parte per le emergenze! Per favore…"

Lo guardai con sguardo languido e lui si mise a ridere, una risata roca che mi fece emozionare.

"Ok… Più avanti, sull’angolo, c’è un locale, si chiama Elbow Room. Non ti puoi sbagliare, dato che è l’unico. Chiedi di Dana e di' che ti mando io. Ci vediamo stasera alle nove."

Lo guardai risalire sul ponte, preceduto da Edgar, e lo sentii gridare: "Allora, cos’è questa storia, quando il gatto non c’è i topi ballano? Forza, al lavoro!"

Tornai alla mia macchina, la rimisi in moto ed in un attimo arrivai al locale che Sig mi aveva indicato.

 

* * *

 

Seduto di nuovo nella sua poltrona nella timoniera, Sig continuò a pensare alla ragazza che aveva appena incontrato. Era alta quasi quanto lui, con lunghi capelli color rosso rame raccolti in una coda di cavallo ed occhi verdi molto profondi, esaltati da un paio di occhiali dalla sottile montatura. Era parecchio più giovane di lui, doveva essere sulla trentina a suo giudizio, mentre lui aveva quarantacinque anni.

Scosse la testa per scacciare quell’immagine e cercò di concentrarsi sul suo lavoro, ma l’idea di rivederla per cena in qualche modo lo elettrizzava. Fece scorrere il pollice sulla fede che aveva al dito, pensando al fatto che, quando era partito da casa sua, a Shoreline, quell’ottobre, sua moglie gli aveva chiesto la separazione, perché era stufa della sua vita per mare. Chissà, forse quella ragazza che aveva deciso di fare il giro del mondo era la persona adatta a seguirlo durante il suo lavoro.

Si diede uno schiaffo: "Cosa stai pensando, Sig! L’hai appena conosciuta e già fantastichi di portartela appresso?!" esclamò a voce alta. Poi, con un sospiro, si mise a controllare le sue carte nautiche.

  
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