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Autore: gleebrittanastories    08/04/2015    1 recensioni
Argentina-1979
Dal testo: "Avete presente nei film, quando il protagonista va a sbattere contro una donna bellissima che puntualmente ha seimila cose in mano che si spargono nei cinque metri circostanti? E, nel mentre raccolgono il tutto, hanno il tempo di parlare e di innamorarsi e tutto sembra così facile e bello e destinato ad essere facile e bello per sempre? Beh, per me e Santana non è stato neanche lontanamente così. Nella nostra storia d'amore non c'è stato tempo per l'amore anche se è quello che ci ha fatto andare avanti."
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Britt ti prego, tu sei l'amore della mia vita.

Aveva usato quelle parole, esattamente quelle. Mi rimbombavano nella mente.

Parole bellissime, soprattutto dette da lei. Da lei che era l'amore della mia vita. Tutto perfetto, no? No.

I problemi principali in quel momento erano quattro. No, tre dato che Santana con una strana manovra mi aveva tolto le manette. Innanzitutto mi ero persa, questo perché ero scappata da Santana che, prima di farmi quella dichiarazione, mi aveva detto di avermi tradita. Questo perché rischiavano la vita e aveva sentito il bisogno di dirmi tutto. Ecco spiegato "il casino" di cui parlava mentre cercava Puck quando era entrata nel salone. E spiegava anche la confidenza con la barista, Dani. La motivazione fu che si sentiva da sola, lì a Buenos Aires.

Pensieri disordinati come la mia mente quando va in confusione.

 

Santana e io ci incamminammo per mano. Eravamo in una terrazza. Chiusa la porta verniciata di bianco alle nostre spalle avanzammo verso una ringhiera arrugginita.

"Avevo preparato questa via di fuga molti anni fa, quando avevo scoperto quel piccolo appartamento appartenente ai miei genitori. L'avevo anche testata, all'epoca arrivavo qui senza il fiatone" ammise con un po' di amarezza.

Pensai alla giovinezza di Santana, la sua vita familiare tranquilla prima di essere travolta. Immaginai il suo periodo successivo, da sola, a vagare per i tetti della periferia cercando alleati e vie di fuga.

"Ora c'è un punto un po' pericoloso ma passato saremo al sicuro" mi limitai ad annuire, ero nelle sue mani.

Si sporse dalla ringhiera e ci saltò sopra con la sua incredibile eleganza, rimanendo in equilibrio come una pantera su di un ramo, pronta a balzare sulla preda.

Smisi di fantasticare quando lo fece davvero, spiccò letteralmente il volo fino ad aggrapparsi ad un cornicione. Poi, precariamente aggrappata a una ventina di metri dal suolo, appoggiò il piede su uno spuntone e scavalcò un muretto basso che delimitava il tetto. Tutto questo con la mia pesantissima borsa a tracolla in spalla. Quando fu sopra ripresi a respirare. Cosa si aspettava, che facessi lo stesso?

Evidentemente sì, dato che mi fece segno di raggiungerla. Io scossi energicamente la testa.

"Salta sul cornicione, ti prendo io" mi cercò di persuadere.

Scossi di nuovo la testa terrorizzata. Avevo paura del vuoto e le mie braccia non erano esattamente affidabili.

"Britt, ce la puoi fare altrimenti non ti farei rischiare"

La prospettiva di andare in carcere con la pena aggravata non mi sembrò nemmeno tanto male. Mi immaginai in una cella, al sicuro. Poi riflettei che la polizia non era esattamente affidabile, diciamo pure senza scrupoli.

Salii sulla ringhiera che cigolò pericolosamente, mi dovetti tenere saldamente con entrambe le mani.

"Senti Britt, è un argomento che avrei trattato con calma ma a questo punto devo dirtelo. Tutto è così temporaneo"

Mi sembra un ottimo momento, di affrontare un discorso serio, ora che sto per lanciarmi su un tetto. Ottimo.

"Mentre ero qui senza di te mi sono sentita così sola. Sono andata nel bar sulle alture. Io e Dani ci conosciamo bene, diciamo che abbiamo dei trascorsi. E ecco... ti ho tradita"

Ora, io sono in equilibrio precario a venti metri di altezza e la mia ragazza ammette di avermi tradita?

"Non è successo niente alla fine, mi sono fermata in tempo però mi dispiace così tanto Britt" urlò quasi. Non eravamo molto distanti ma il vento interferiva in quella conversazione inverosimile.

Dovetti scendere, balzai all'indietro incespicando. Santana mi aveva tradito, quasi tradito. E ora io avrei dovuto seguirla ciecamente? Guardai in basso, delle scalette proseguivano verso il basso. Ci saltai senza pensarci due volte. Proprio mentre le stavo scendendo sentii la voce di Santana.

"Britt ti prego, tu sei l'amore della mia vita" mi arrestai. Per un momento riflettei su quelle parole. Io ero l'amore della vita di San. Poi mi riscossi, evidentemente no o non mi avrebbe fatto quello. Ripresi la discesa, stavolta sentii un altro suono. Il rumore di una porta sfondata. Svoltai in una specie di arco, sotto di me la città si stava risvegliando lentamente. Ammirai per un attimo i numerosi fiori che qualcuno curava in quel giardinetto improvvisato che terminava in una piccola porta. Provai ad aprirla ma come c'era da aspettarsi era chiusa. Tornai indietro ma sentii delle voci, se i due agenti si erano sporti era meglio rimanere lì dietro. Nonostante tutto sperai con tutta me stessa che Santana si fosse nascosta in tempo.

 

Mi obbligai a tornare alla realtà. Mi ero rannicchiata nell'aiuola alla sinistra della porta per un tempo che non riuscii a determinare. La mia percezione di quello che stava succedendo era compromessa da tutti quei pensieri. Ormai gli agenti dovevano essere tornati indietro a perquisire il resto dell'edificio o almeno così sperai. Mi alzai con le braccia graffiate dai rami di un arbusto, ero uscita di casa in maniche corte per ovvi motivi ma l'estate era ormai agli sgoccioli.

Rabbrividii per il freddo e sicuramente anche la paura. Paura dell'ignoto. Sarei sopravvissuta senza di lei? Dove dovevo andare? All'ospedale? L'avrei raggiunto senza essere arrestata? Erano molte le domande senza una risposta ma dovevo agire. Riguardo all'ultima domanda la risposta era probabilmente no, per una bianca come me è difficile non dare nell'occhio in America Latina. Soprattutto all'epoca quando il turismo non era esattamente fiorente.

Ma non ebbi il tempo di riordinare le idee perché Santana fu più veloce. Me la trovai davanti, doveva aver sceso le scalette con la sua solita silenziosità.

"Ti prego" la frase subordinata era sottintesa.

"San, come..." non riuscii a terminare a mia volta.

Vidi i suoi occhi diventare lucidi, la vidi trasformarsi ancora una volta nella sua versione indifesa. Ma quella volta non provavo il disperato bisogno di accorrere in suo aiuto. Anzi, il suo sguardo implorante mi irritò. Non riuscivo a far prevalere il mio amore nei suoi confronti per quanto lo volessi. Sì, nonostante quello che mi aveva ammesso, avrei voluto solo poterla perdonare e fidarmi ciecamente di lei. Ma ormai l'unica cosa che sentivo era il distacco che si era formato. Ero arrabbiata, quelle parole erano troppo belle per essere vere. Non potevo illudermi di essere l'amore della vita di qualcuno che mi aveva tradita. Nella mia testa si susseguivano pensieri sempre uguali che giungevano sempre alle stesse conclusioni, come in circolo.

Guardai Santana, con occhi diversi rispetto al solito. Non riuscivo a decidere come comportarmi con lei, non feci trapelare nulla dal mio sguardo. Semplicemente la osservai, in silenzio, come se la vedessi per la prima volta. In lontananza solo i suoni ovattati di Buenos Aires e il vento forte di quella mattinata.

"Vieni con me" fu quasi una supplica.

Cos'altro avrei potuto fare? Dipendere da lei mi infastidì per la prima volta, mi resi conto che da quando l'avevo conosciuta non avevo fatto altro che farmi salvare da lei. Mi ero solo illusa di fare lo stesso provando a farle superare i suoi complessi. Stavo pensando troppo.

Sembrò esitare, se prendermi o no per mano come sempre. Poi però, dopo avermi studiato, optò per rinunciare. Risalì verso la terrazza e scavalcò la ringhiera, feci lo stesso come un automa. Ripeté la stessa impresa atletica e mi aspettò dietro il muretto. Saltare o non saltare, impulsività o riflessione. Vecchie divisioni che tornano a galla.

Poi, semplicemente, saltai. Sentii l'adrenalina durante il volo, vidi con la coda dell'occhio la preoccupazione di Santana e il suolo così distante. Poi arrivò il contatto ruvido con l'edificio. Le mie mani scivolarono sui alcuni centimetri fino ad aggrapparsi alla leggera sporgenza finché quello non fu l'unico sostegno. Ero ancora viva, meglio di come avevo pensato. Le braccia però erano praticamente già allo stremo. I polsi segnati dalle manette avevano cominciatoa a sanguinare. Guardai in basso e appoggiai il piede allo spuntone di ferro, procurando un po' di sollievo agli arti superiori.

Prima ancora che potessi ragionare su come compiere l'ultimo balzo un braccio forte mi afferrò e mi portò fin sull'ambito tetto. Mi rialzai ma non rincontrai gli occhi nerissimi della latina che stava già armeggiando con l'abbaino.

 

Non dormii per nulla. Anche se il posto era carino, quasi romantico. Ci trovavamo in una soffitta, Santana mi aveva accennato che fosse abbandonata e l'aveva scelta come tappa finale della via di fuga.

"Qualcuno conosce questo posto?" le chiesi, fredda.

"Puck, è con lui che prendo le decisioni"

"Come definiresti il tuo rapporto con lui?" infierii liberamente, sapendo che Santana odiava parlare di se ma non poteva darmi altri motivi per essere arrabbiata con lei.

"In ordine amici, scopamici, fratelli" la sua schiettezza mi colpì positivamente. Per la prima volta parlavamo senza mezzi termini.

"Credevo fossi lesbica" al quel commento si limitò a sbottare un sorriso, non capii come l'aveva presa.

"Diciamo che non ce l'aveva tatuato sul braccio quando sono nata" rispose poi, sarcastica. Capii.

Eravamo semisdraiate sotto la finestrella sul tetto, dalla quale entrava la luce della luna piena. La stessa luce che nascondeva le stelle vicine e proiettava la mia ombra e quella di San sul pavimento in legno.

Rabbrividii ma più che il freddo sentii la sete e la fame. E la scomodità, della soffitta e della situazione.

"Mi dispiace" sentii dire al mio fianco. Per quanto fosse vero non bastava a togliermi dalla mente l'immagine di Santana e Dani.

Scossi la testa, inutilmente, e quando mi voltai non la vidi più. Poi sentii qualcosa di pungente passare intorno alla mia testa e ricadermi sulle spalle. Lo presi, era un maglione molto grande. Sembrava nero ma forse non c'era abbastanza luce per stabilirlo.

"Grazie" sussurrai mentre me lo infilavo completamente. Era molto caldo e comodo. Mi voltai verso la latina, ne indossava uno simile ma più chiaro, forse bianco, in cui aveva aveva fatto stare anche le gambe magre. Anche lei era uscita di casa leggera. Guardava per terra, avvolta in quell'enorme maglione, illuminata dalla luna. Era una visione spettacolare, senza dubbio. Piano piano sentii qualcosa dentro di me sciogliersi.

"Me li ha dati Quinn da tenere qui in casi come questi, credo appartenessero a suo padre" disse senza staccare gli occhi da terra e io ascoltai senza staccarle gli occhi di dosso. Sentivo che qualcosa mi sfuggiva, stavo sbagliando qualcosa.

"Dì qualcosa" questa volta guardandomi negli occhi. Non si riferiva ai maglioni.

Ma io continuai a tacere, muovendo nervosamente le mani a contatto con quella lana allo stesso tempo ruvida e morbida.

"Continuavo a ripetermi Brittany se n'è andata, mi ha lasciata sola, non riuscivo a smettere di pensarlo nonostante sapessi che tu mi ami" disse ancora, per poi aggiungere a bassa voce "O almeno mi amavi" tristissima.

Il processo di demolizione dei muri che avevo creato dentro di me era quasi terminato. All'apparenza poteva sembrare il contrario, che lei mi avesse lasciata da sola a New York. Ma la verità era che aveva ragione, io l'avevo lasciata sola dopo averle giurato e promesso più volte che non l'avrei mai fatto. Io l'avevo fatta andare via dalla sua città per poi ignorarla, io l'avevo fatta tornare indietro sola. Era stato un periodo complicato, troppo. Avevo commesso degli errori perché avevo messo l'amore in secondo piano. Proprio quando l'avevo trovato ed ero corrisposta. Persino mio padre, nella breve permanenza a casa, aveva notato i nostri sguardi capendo tutto. E io ancora sottovalutavo la forza di quello che stava succedendo?

Basta. Dovevo smettere di pensare troppo e agire male. Mi avvicinai a gattoni e mi misi sopra di lei. La sua serietà compromessa dal solletico provocato dai miei capelli sul suo collo.

"Mi dispiace" disse ancora una volta.

"Lo so" ribattei sincera.

Stava per ribattere qualcosa ma le poggiai l'indice sulle labbra.

"Shh" le dissi, finalmente serena.

Mi abbassai lentamente e, dopo aver spostato la mano, la baciai delicatamente.

Una, due, tre volte e lei rispose, sciogliendosi a sua volta. Intrufolò le sue mani nel mio maglione, avvinghiandosi e provocandomi dei brividi. Mi appoggiai su di lei, notando piacevolmente che nessuna delle due avesse il reggiseno. Tanto più che i reggiseni dell'epoca erano della trappole infernali.

E così, finalmente, io e lei capimmo l'importanza di amarci in quella situazione. Sì, perché quello ci avrebbe fatto andare avanti nonostante tutto e quella notte ci fu chiaro. Sotto le stelle e la luna piena, in una soffitta, latitanti, nude sui morbidi maglioni.

/ Come promesso, eccolo! Spero vi sia piaciuto /

  
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