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Autore: dearwriter    08/04/2015    4 recensioni
Springfield. Clarissa è una normale ragazza di ventun'anni, con una vita apparentemente tranquilla, famiglia, amici, sogni nel cassetto. Tutto comincia a cambiare quando capisce di provare qualcosa di più che semplice amicizia per la sua amica: Serena. Quelle che per lei erano sempre state certezze, diventano vaghe. S'insinua nel suo cuore la possibilità e il desiderio di amare veramente, nel profondo, qualcuno, anche se non del sesso opposto come tutti e lei stessa aveva creduto fino a quel momento.
L'amica, sorella, confidente, diventa il grande amore della vita di Clarissa. Ma può un amore così forte, durare così a lungo? Clarissa sa che la risposta è ' no '. Perché crede che l'amore prenda tutto ciò che dà. E così anche Serena prende tutto quello che può di Clarissa, il suo cuore, la sua anima, ogni cosa. Lei stessa. Sola, ad affrontare qualcosa di ancora più terribile di una delusione e di un cuore spezzato: il cancro.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Dear Serena
 




« Non andartene docile in quella buona notte,
 
I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno;
Infuria, infuria,
contro il morire della luce. »

 
Prologue
 
 
Dicono che quando una persona sta per morire, lo sa.
Una consapevolezza, un brivido che scorre lungo la schiena e lascia del tutto paralizzati, una luce splendente e luminosa. Una luce calda e dolce, come una carezza che cerca di rassicurare, di accogliere nelle sue ali protettrici. Una luce dolce e al tempo stesso amara, perché per quanto bella possa sembrare, irradierà tutto il resto.
Dicono che si sa, quando si sta per morire.
Probabilmente, tutto deve assumere un aspetto migliore. Il cielo non è più soltanto azzurro o velato da nubi che si dissolvono lentamente, non è più celeste o solamente e semplicemente blu. Il cielo risplende, infinito, imponente, sopra gli occhi di coloro che lo guardano con troppa poca ammirazione e, chissà come mai, non riescono a vedere quello splendore che vedo io.
Le foglie non sono più solo verdi, o non lo sarebbero se ci fossero abbastanza alberi da poter scorgere qualcosa di diverso da una strada trafficata, che costeggia un parcheggio, pieno di auto immobili. O così presumo, dato che la tenda tirata mi impedisce di guardare oltre un piccolo rettangolo dalla finestra.
In un certo senso, quella è la mia finestra sul mondo. Un misero squarcio di realtà, da dove i miei occhi che un tempo erano stati colore del cielo possono vedere una parte impercettibile di ciò che succede al di fuori della camera d’ospedale.
Sul comodino ci sono dei fiori. Dei Gigli bianchi, candidi. Dormivo, quando sono stati portati nel loro bel vaso di vetro, ma non ho bisogno di pensarci due volte per sapere che sono un regalo dei miei genitori. Sanno che sono i miei fiori preferiti, perché sono la tipica flora che si trova di fronte alle intemperie e ne esce vincente, si piega ma non si spezza, resiste alle prove più dure, alle temperature più rigide, alle tempeste più violente. Se potessero, i miei genitori mi assocerebbero ad un Giglio, anche se io non sono d’accordo.
In alcune culture, credono che la vita sia soltanto in prestito, che prima o poi, quello che ci è stato con amore donato, deve essere restituito. Altri pensano che spenta una luce, se ne accenderà un’altra, e torneremo a continuare il nostro viaggio, come anime in attesa di comprendere il vero scopo dell’universo.
Mi piace pensarla in questo modo.
E’ come se non stessi andando via davvero, non è la parola ‘ addio ‘. E’ ‘ arrivederci ‘. Naturalmente, per coloro che mi amano non è così. Ed è per questo che ho chiesto di restare sola il più possibile, in queste ultime due settimane. Perché la mia paura più grande è che quando io saprò e sentirò che sto per morire, loro resteranno soli. E non voglio che vedano. Vorrei che fossero ciechi, o che perdessero la memoria in uno strano incidente dell’altro mondo, qualunque cosa pur di non dover affrontare anche questa marea.
Dopotutto, l’ho fatto per loro. Per mia madre, mio padre, i miei nonni, gli zii, i cugini, gli amici. Ho combattuto per tutti loro, perché la verità è che io ero troppo stanca per prendere spada e scudo e lottare contro il cancro. Ma loro avevano bisogno che lo facessi, e non potevo deluderli, non potevo ferirli con quella stessa spada prima ancora che venissero feriti indelebilmente in profondità. Avevano bisogno di speranza, anche se flebile.
Speranza. E’ questo che ci tiene in vita, il più delle volte, ci fa andare avanti, è una ragione per aprire gli occhi la mattina e alzarsi in piedi. Respirare, vivere.
Serena era la mia ragione. Lo è ancora, anche se per poco… La camera mi sembra improvvisamente più luminosa, di una tonalità calda e non fredda come lo potrebbe sembrare un tipico corridoio d’ospedale.
E’ una sensazione strana, quasi di sollievo. Come se mi trovassi improvvisamente sulla cima innevata di un monte, in alto, fino a toccare il cielo con un dito, e qualcuno mi incitasse a lasciarmi andare, perché non cadrò schiantandomi sul fondo, ma spiccherò il volo, librandomi sulle nuvole più candide. Leggera come un uccello, veloce come il vento.
Voglio saltare, voglio provare a volare e sentire la brezza accarezzarmi la pelle, come una volta l’ha fatto Serena. Se chiudo gli occhi, l’aria potrebbe sembrarmi la sua mano morbida e minuta, sulla mia guancia.
Non posso buttarmi, non così, non senza di lei, non sapendo che quando mi sarò lanciata, lei resterà sola. Non voglio che succeda. Lei è piccola e fragile, si comporta da dura, come se niente potesse sfiorarla, giocando a combattere contro chiunque e persino contro se stessa, ma io la conosco. Il suo disperato bisogno d’amore la porta a gesta disperate. Ferisce, perché non può farne a meno. Non è colpa sua e non sa come si fa ad amare in modo diverso. In realtà è fragile, è piccola, vulnerabile ed è così bella quando la guardi… Pensi che non ci sia meraviglia al mondo paragonabile al suo sorriso, quando si accorge che la stai guardando e non capisce. Nessuno riesce a capire quanto sia bella, dentro, nemmeno lei. Ma io so che lo è, l’ho vista e so che la mia Serena è bellissima.
Vorrei dire molte altre cose. Troppe.
Ma non dirò niente… Me ne andrò in silenzio, com’è giusto che sia. La via è costellata di momenti come questo, in cui la consapevolezza della fine è più forte di qualsiasi altra cosa, tranne che dell’infinito amore verso la vita che si sta per lasciare. Magari mi renderò conto anch’io di non averla apprezzata abbastanza, prima, quando avevo tutto il tempo per godermela. Ma per ora questo mi basta.
Senza muovere nessun altro muscolo del mio corpo irrigidito, volto solo il viso verso il comodino. Un accenno di sorriso corre sulle mie labbra secche, mentre gli occhi velati di stanchezza cercano di immagazzinare il più possibile del vaso di Gigli, provando ad immaginare mamma e papà mentre li portavano, mentre mi accarezzavano quel paio di centimetri che è rimasto dei miei capelli biondi, mentre mi davano un bacio sulla fronte.
Con fatica e pesantezza, allungo una mano verso il quadernetto chiuso accanto ai fiori e lo trascino sul mio grembo. La penna al suo interno cade, appena lo apro, e la afferro con dita rigide e poco sensibili. Ho deciso che scriverò, ora. Ho sempre amato scrivere, è sempre stata la mia passione più grande, tra le altre cose, e mi sembra appropriato lasciare un’impronta scritta prima che sia tardi.
Strappo un paio di pagine ed inizio a scrivere…
Scrivo.
Scrivo, finché non rivedo di fronte a me quell’altura e quando la voce mi chiama, di nuovo, io salto. La penna e le pagine restano lì, accanto alle mie mani ma sembrano soltanto un lontano ricordo, perché io sto sferzando il vento caldo, cadendo a fondo con velocità.
Chiudo gli occhi, per la paura istintiva di schiantarmi. Ma non succede.
Quando li riapro, non intravedo neppure il fondo. Sto volando.
Leggera e veloce, tra le nuvole, nell’azzurro, verso la luce.

 
“ Cara Serena… “




⇒ Angolo Autrice.
Salve a tutti! Innanzitutto, se siete arrivati a leggere fino a qui, grazie. 
Pensavo di scrivere questa storia già da un pò, ma mi ci è voluto molto tempo prima di trovare il coraggio di buttarla giù e concretizzarla, ed è molto importante per me.
Non è la solita storia drammatica di una malattia. Sì, tratta questa tematica molto delicata e sì, sarà drammatica. Ma non voglio soffermarmi sulla sofferenza, la tristezza o sul dolore. Sarà più che altro un contesto, uno sfondo. Anche se in questo momento sembrerà qualcosa di duro da mandare giù, prometto che non sarà così!
Essendo solo il prologo non ho molto altro da dire, se non che - altra promessa - mi impegnerò per aggiornare ogni settimana. Posterò un capitolo nuovo ogni Mercoledì, salvo impegni o casi eccezionali. 
Spero che le avventure ( disavventure ) di Clarissa emozionino anche voi, critiche, suggerimenti e consigli sono sempre ben accetti! Per qualsiasi cosa, non esitate a contattarmi, e anzi: mi farebbe molto piacere. 
Per il resto, grazie e buona lettura!
  
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