Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: hay_ley    08/04/2015    0 recensioni
Mi affacciai incerta su tutto ciò che il destino mi aveva riservato.
Il vetro opaco non mi permetteva di guardare al di là della luce.
Nessuna sagoma si interponeva tra me e lei, nessuna ombra si proiettava sul pavimento. Riuscivo a sentire il battito regolare del suo cuore. Mentre mi avvicinavo, l’intensità del nostro legame si accresceva, nutrito dal mio amore incondizionato.
Esitai mentre sfioravo la maniglia fredda.
Avrebbe resistito ancora il mio cuore ormai silenzioso già da un po’? Cosa c’era ad attendermi dall’altra parte? Mi vestii di tutto il coraggio che possedessi per affrontare le mie paure e lui mi strinse la mano, pronto a sostenermi in qualsiasi situazione.
Incapace di trattenermi ancora, sfidai la sorte…incontrando tutto ciò che avrebbe segnato indelebilmente il nostro futuro.
"Dedicata ad una persona che non potrò mai avere la possibilità di conoscere."
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Charlie/Renèe, Emmett/Rosalie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Nulla Oltre Noi


Edward mosse le labbra in maniera impercettibile per sussurrare qualcosa a Renesmee.
«Guarda che così non vale!» si lamentò Emmett, contrariato, senza nemmeno voltarsi.
«Come se servisse!» rise lui mentre Renesmee aveva già abbattuto il re nero.
«Scacco matto!» sorrise, soddisfatta. Aveva imparato a giocare a scacchi da quando era piccola e approfittava di ogni situazione per sfidare chiunque. Edward scese le scale ridendo e si avvicinò a Renesmee, scompigliandole i capelli; la prese in braccio e la fece sedere sulle sue ginocchia. Lei guardò Emmett, contrariata.
 «Zio, ma non è leale se mi lasci vincere!» si lamentò. Ormai sembrava avere più o meno sei anni fisicamente, nonostante non ne avesse lontanamente nemmeno la metà...ma sapere che quando avrebbe compiuto sette anni avrebbe smesso di crescere, intorpidiva l’angoscia che tormentava i miei pensieri. Non avrebbe mai potuto godere la sua infanzia, anche se non era mai stata una veramente una bambina per via della sua grande intelligenza, intelligenza che Edward aveva profuso in lei.
«Oh, ma lui non ti ha lasciato vincere, sei tu che stai diventando troppo brava!» si complimentò Edward ed Emmett alzò gli occhi al cielo. «Si, si...come no» rispose Emmett, infastidito. Non accettava la sconfitta. Non si rassegnò nemmeno dopo l'ennesimo tentativo di sconfiggermi a braccio di ferro. Anche quel giorno Edward rise e gli consigliò di sfidarmi fra un centinaio di anni. Emmett lo incenerì con lo sguardo e se ne andò. E quel pomeriggio, dopo aver perso la partita a scacchi contro Renesmee si alzò e chiamò Rosalie. Edward rise e Renesmee alzò la mano per battere il cinque con Edward che la guardò incuriosito.
«Me l'ha insegnato Jacob» spiegò, alzando le spalle. Jacob, chi se no? Edward rise e le diede il cinque.
«Bravo, papà» si complimentò lei, con aria di superiorità. Scoppiai a ridere.                                             
La mia piccola brontolona di nemmeno un anno si prendeva gioco del padre ultracentenario. Erano tenerissimi insieme! Da quando era nata non riuscivo a credere come avessi potuto fare a meno di lei prima. Tutta la mia vita non avrebbe mai avuto senso senza di lei, come se la desiderassi più di ogni altra cosa al mondo, con una sola eccezione: Edward. Non avevo mai pensavo di poter desiderare altro oltre lui perché mi faceva sentire completa e non sentivo alcuna necessità di avere un figlio, anzi. Ero stata a malapena capace di crescere me stessa durante la mia vita da umana. Ma Renesmee non era una figlia qualunque: lei era la figlia di Edward, la nostra bambina, un dono che non avremmo mai potuto prevedere; solo quando la vidi nascere capii che non poteva esistere nulla al mondo di più prezioso di lei. Rimasi incantata a guardarla. Scese dalle gambe di Edward e si avvicinò alla libreria, in attesa che qualcuno la aiutasse. Edward si avvicinò e la prese in braccio per sollevarla; lei prese un libro e corse sul divano per sedersi.
«Posso leggerti qualcosa, papà?» gli mostrò il libro impaziente e quando lessi il titolo, sussultai. Edward se ne accorse.
«Di nuovo Romeo e Giulietta? Shakespeare ha scritto tanti altri libri, sai?» la canzonò.
«Si, ma questo è il più romantico e il mio preferito. Voglio leggere questo» rispose senza possibilità di replicare. Era testarda come me. Quando si metteva qualcosa in testa, era impossibile farle cambiare idea.
Edward mi guardò sconfitto. Sapevo avrebbe ceduto. Renesmee lo guardava con i suoi occhioni dolcissimi e luminosi; gli stessi che con una scia di speranza avrebbero condannato chiunque ad ogni sua richiesta. Edward sapeva bene perché “Romeo e Giulietta” era diventata improvvisamente l’opera che gradivo di meno. Non era la storia in sé che odiavo, ma ciò che inevitabilmente mi ricordava la morte, i Volturi, le ultime parole di Edward prima di lasciarmi, il suo quasi suicidio e la mia lotta contro il tempo in una città sconosciuta, il loro arrivo l’inverno precedente e la paura di perdere per sempre nostra figlia. Sarebbe mancato pochissimo e tutto sarebbe finito in tragedia. Sospirai, ringraziando il cielo che le cose fossero andate diversamente.
Renesmee iniziò a leggere e apparve Esme dalla cucina. Il suo volto era commosso e se avesse potuto, avrebbe pianto. I suoi occhi diventarono oro liquido mentre stringeva le sue mani una nell’altra, prima di portarle sulla bocca, quasi nascondendo il suo stupore. Esme era così: una donna straordinaria nonché una madre affettuosissima, dolcissima e adorabile. Amava tutti noi come se fossimo davvero suoi figli. Sapevo che un giorno l’avrei chiamata mamma ma non suonava affatto strano. A differenza di mia madre, lei lo sembrava davvero. Renèe non è mai stata una persona affidabile e responsabile. Le volevo bene e il nostro legame era indissolubile, ma non c’era mai stata un'occasione in cui riuscisse a comportarsi in maniera responsabile. Era la mia migliore amica e le avevo sempre raccontato tutto. Non avevo mai sentito il bisogno di nasconderle nulla...mai prima d’ora. Un nodo mi strinse la gola. Se Edward non fosse totalmente perso nell’ascoltare Renesmee, probabilmente avrebbe pensato che fosse la sete a bruciarmi la gola. La sua espressione era come quella di Esme...per entrambi sarebbe potuto crollare il mondo e non l’avrebbero minimamente sentito. 
«Bella, a cosa pensi?» in un istante fu dietro di me e mi spinse sul divano. Mentre stavo cadendo, ero padrona di ogni singolo secondo e a velocità disumana mi girai prima che potessi avvicinarmi al tessuto di pelle del divano; mi sedetti tranquillamente, come se mi fossi voluta sedere volontariamente. Se fosse successo quando ero ancora umana, sicuramente mi sarei ritrovata di faccia nel divano prima ancora che me ne rendessi conto. Accavallai una gamba sull’altra, facendo finta che nulla fosse accaduto. Lui rise.
«Spaccone!» lo rimproverai.
«E dai, Bella! Mi mancano i tuoi momenti di instabilità motoria. Era divertente afferrarti l’istante prima che toccassi il suolo. Inizio a sentirmi inutile se non sono più il tuo vampiro guardiano...» finse di lamentarsi. Di risposta gli lanciai il cuscino beige che avevo accanto. Edward lo trattenne con la mano prima che gli colpisse il viso. Renesmee scoppiò a ridere. Edward e io non smettevamo di guardarci negli occhi, poi scoppiammo a ridere anche noi.
«Amore, inizi a diventare violenta... dovrei avere paura di te!» mi sussurrò all’orecchio, poi rimise a posto il cuscino. Esme chiamò Renesmee per la merenda. Erano già le cinque? Edward mi prese per mano e mi guidò nella nostra casetta.
«Ho una sorpresa» disse; poi curiosò nell'armadio e infine posò una busta bianca sulla mia mano. Io rimasi imbambolata.
«Non la apri?» chiese perplesso.  Le mie dita agili aprirono con precisione quel regalo inaspettato...ebbi un déjà-vu di un momento umano simile, affatto piacevole. Scossi la testa per cacciarlo via. Guardai Edward con stupore.
«Allora? Sei contenta?» dalla sua espressione dedussi che lui era al settimo cielo. Anche io ero felicissima...felicissima e sorpresa. Più sorpresa che felice.
«Wow è fantastico!» erano dei biglietti per il concerto degli Hurricane, uno dei miei tanti gruppi musicali preferiti. Non sapevo sarebbero venuti a Seattle in tournee! Vidi la data.
«Ma è stasera?» esclamai.
«Esatto!» aggiunse compiaciuto.
«E non potevi dirmelo prima?» il mio tono sfiorava la paranoia.
«Ma che sorpresa sarebbe stata?» rispose, ridendo. Le sorprese non mi erano mai piaciute, anzi. Quando ero umana mi infastidivano parecchio: ero abituata a tenere sotto controllo tutto ciò che mi capitasse nel corso della vita. Tutto tranne Edward. Da quando ero diventata immortale invece, avevo deciso di lasciar correre. Non potevo passare l’eternità con l’ansia di tenere tutto sotto controllo...o potevo? Nah, era di gran lunga meglio lasciar perdere.
«Già, hai ragione» risi anche io.
«Non preoccuparti per Renesmee. Resterà con Esme e Carlisle e noi ci divertiremo come due teenagers al concerto!» era trionfante anche se sapevo benissimo che non gli interessava più di tanto del concerto. Non capivo il motivo di tutto il suo entusiasmo.
«Finalmente sarà l’occasione per stare un po’ da soli... come ai vecchi tempi» ecco la vera ragione del suo trionfo! Effettivamente dopo la trasformazione, non eravamo mai usciti da soli e il concerto era un’occasione perfetta.
«Si!! E’ fantastico Edward!» sorrisi felicissima poi andai a vestirmi. Tutta la mia insicurezza e l’indifferenza nei confronti del mio aspetto fisico mi avevano abbandonata per sempre insieme ai battiti del mio cuore. Non avevo timore di indossare qualcosa che da mortale non avrei mai preso nemmeno in considerazione di comprare. Nel mio armadio, anzi, nella mia cabina armadio, trovai un vestito di pizzo e pelle nera. Lo abbinai ad un paio di decolté nere con il cinturino e una giacca sottile. Mi sistemai i capelli velocemente e legai la ciocca sinistra con una piccola treccia dietro la testa. Per il trucco optai per ombretto scuro e rossetto chiaro. Mi guardai allo specchio. Oddio...che n’era stato di Bella Swan? Sarà che ci avevo preso gusto e iniziavo ad amare quello stile, sarà che il mio fisico da vampira era diventato irresistibile... mi piaceva terribilmente questo outfit. Scesi le scale sicura di me, anche se alle scarpe con il tacco non mi ero ancora abituata. Non era un problema, tuttavia, perché ero perfetta in ogni cosa che facevo, esattamente come Edward.
«Mamma, sei bellissima stasera!» Renesmee mi guardò stupita. Alice fu contentissima di vedere che avevo apprezzato quel vestito che le piaceva tanto. Tutti sembravano sorpresi e gioiosi. Emmett diede una gomitata a Edward e lo guardò con malizia. Alzai gli occhi al cielo ed Edward rise, spingendo il fratello. 
Fu proprio Edward a sorprendermi: era stranamente silenzioso; per tutto il tragitto da casa fino alla macchina mi cinse il fianco, sfiorando con le sue labbra la mia fronte.
«Dammi una ragione per cui dovrei mettere a tacere l’impulso di aggredirti all’istante!» disse non appena entrammo in macchina. Il suo silenzio era giustificato dal fatto che stesse cercando le parole giuste da dire…o stava veramente cercando una ragione per non saltarmi addosso. Sorrisi compiaciuta. Anche a lui non era passato inosservato il mio vestito nuovo.
«E perché dovresti farlo?» lo stuzzicavo.
«Mi tenti, signora Cullen» confessò.
«Non vedo cosa ci sia di sbagliato nell’essere attratti dalla propria moglie» sorrisi maliziosa mentre intrecciavo la mia mano alla sua. Lui scosse la testa, ridendo.
«Come devo fare con te?» disse a sé stesso.
«Cosa intendi dire?» finsi ingenuamente di non sapere assolutamente a cosa alludesse.
«E’ una fatica guidare e arrivare…al concerto. Sei una tentazione, non è giusto. Nessuno dovrebbe essere così attraente» si lamentò.
«Questa penso di averla già sentita!» risi e guardai l’orologio.
«E’ necessario che ti concentri sulla guida…siamo già in ritardo!» finsi di essere preoccupata per l’inizio del concerto. In realtà eravamo in netto anticipo, come sarebbe potuto essere diversamente con Edward?
«Non provarci, eh! Non sono nemmeno le sei! Saremo lì in perfetto orario» disse offeso. Poi lo guardai torva e lui scoppiò a ridere.
«Mi sono mancati questi momenti…» sbirciava la mia espressione.
«Anche a me» sorrisi. Non avrei mai immaginato che alludesse al mettermi paura.
Spinse improvvisamente l’acceleratore superando di oltre 50 km/h il limite di velocità e facendo ruggire il motore. L’avrei voluto picchiare volentieri ma decisi di non dargli quella soddisfazione. D’altronde, anche se avesse distrutto la sua macchina, non mi sarei fatta un graffio. Mi guardò stupito e abbastanza deluso.
«Pensavo ti saresti spaventata e…»
«…riempito di insulti?» lo interruppi, compiaciuta.
Lui rise.
«Beh, no. Per quanto mi riguarda puoi superare anche i 300 km/h» però subito mi pentii di aver detto così. Non mi piaceva andare veloce. Lui scrollò le spalle e continuò a velocità normale. Mi strinsi al suo braccio e appoggiai la testa a lui.
«Magari un’altra volta» disse deluso.
«Ci conto, eh!» ammiccai, cercando di recuperare il suo entusiasmo. Lui mi guardò stupito e io risi.
«Anche perché il massimo che può succedere è prendere una multa per eccesso di velocità, no?» lo guardai trattenendomi dal ridere. Davvero credeva non avessi più paura della velocità? Mmm, non gliela davo a bere così facilmente.
«Tu non hai più paura di andare veloce? Non ci crederei nemmeno se lo vedessi!» rise fragorosamente e io mi allontanai da lui infastidita, incrociando le braccia.
«Amore, non riesco a leggerti nel pensiero ma non significa che non ti conosca abbastanza» disse, riprendendomi la mano. Glielo concessi solo perché aveva ragione. Non dissi nulla.
«Davvero hai deciso di non rimproverarmi se vìolo il codice della strada? Povero Charlie…ha sprecato tanti anni per insegnarti le regole e ora? Dov’è finita la figlia dell’ispettore Swan?» mi guardò di lato, per scorgere le mie reazioni. Io sospirai, ignorandolo.
«Ok, ammetto di essermi sbagliato. Hai vinto tu...sei cambiata e non hai più paura» quelle parole mi spaventarono. Non volevo che lui pensasse fossi cambiata…ero sempre me stessa. Era sempre stata la mia più grande paura: dopo la trasformazione temevo di non piacergli più perché non arrossivo più, non avevo più i miei occhi marrone cioccolato, non ero più calda. Lasciai che questo pensiero scivolasse via. Non volevo rovinare una serata fantastica. Mi strinsi di nuovo al suo fianco, spaventata.
«No, non farlo mai più…non sono cambiata affatto» ammisi. Mi sorprese con una risata.
«E secondo te, non lo sapevo?» mi guardò intensamente.
«Guarda la strada, stupido!» sbottai alla fine. Com’era prevedibile, rise ancora.
«Un giorno o l’altro mi farai morire, Bella!» esclamò, divertito. Io non ci trovavo nulla di divertente. Era il solito fenomeno da baraccone. Che antipatico! Eppure era proprio per il suo modo di essere che lo amavo.
Quando arrivammo a Seattle, vicino la discoteca dove ci sarebbe stato il concerto c’era già la fila. Mi sentivo come una ragazzina. Attendemmo con ansia l’arrivo alla biglietteria. Cercai di trattenere la mia felicità ma fu impossibile. Fui presa dallo stesso tipo di contentini che invadeva Alice quando decideva di dare una festa.
«Amore mio! Grazie, grazie!» lo baciai velocemente mentre superavamo l’ingresso della grande sala.
«Ehi! Se avessi saputo che saresti stata così contenta ti ci avrei portato prima!» sentivo il suo respiro sul mio collo.
«Non preoccuparti! Sono felicissima di essere qui anche ora» gli presi la mano e la feci dondolare insieme alla mia.
C’era tantissima gente e una confusione enorme. Il palco era troppo piccolo per accogliere una band musicale: era pieno di strumenti e fili. Il microfono con la base si trovava al centro mentre ai lati c’erano due chitarre disposte simmetricamente rispetto al microfono. In fondo avevano sistemato la batteria e altri strumenti vari. Guardai Edward eccitata, e lui mi rispose baciandomi sulla fronte. Rimasi delusa e lo guardai arrabbiata. Lui inclinò la testa incuriosito, così io lo tirai a me in maniera poco elegante e lo baciai. Lui ricambiò il bacio ma a malincuore staccò le mie labbra dalle sue.
«Bella, non ora» ridacchiò. Io incrociai le braccia dietro la schiena e gli sorrisi con aria colpevole.
«Dai, non fare quella faccia. Dopo il concerto sono tutto tuo!» disse poggiando un braccio sulla mia spalla e stringendomi a lui.
Riuscimmo a sistemarci tra le prime file e quando spensero le luci, le grida di altri fans annunciarono l’imminente arrivo degli Hurricane. Edward mi teneva per il fianco, come se temesse ancora per la mia incolumità. Era ridicolo, ma anche dolce. Per questo glielo lasciavo fare. Ci travolsero a ballare e fui stupita quando anche Edward iniziò a dimenarsi in quella danza assurda. Ovviamente lui era perfetto in tutto ciò che faceva. Lo tirai dal braccio.
«Certamente non è lo stile di danza che preferisci» il rumore della musica era altissimo ma lui avrebbe sentito lo stesso.
«Ogni tanto è bello cambiare, no?» sorrise.
Mentre ballavo un ragazzo si spinse verso di me e mi spostai all’ultimo momento, prima che mi venisse addosso.
«Scusami!» disse cercando di intraprendere una conversazione. Al mio fianco Edward lo guardò malissimo ma lui sembrò non farci caso o meglio, lo ignorò completamente. Ballando si avvicinò sorridendomi. Io mi allontanai, guardandolo indignata.  Ma lui non si arrese.
«Ehi, bellezza! Ti va di bere qualcosa?» chiese indicandomi con lo sguardo il bar. Lo guardai a dir poco schifata ma rispose Edward per me.
«E’ già impegnata» smise di ballare.
«Mmm…capisco. Non c’è bisogno di preoccuparsi tanto, eh!» guardò Edward con disprezzo e se ne andò.
«Oh, sì che c’è da preoccuparsi, vile codardo» lo seguì con lo sguardo.
«Amore…» dissi sfiorandogli la guancia con delicatezza. «Torniamo a ballare? Mi stavo divertendo tanto…» bastò guardarlo dolcemente per farlo sorridere.
Tornammo a ballare, anche se stavolta non mi mollava neanche un istante. Mi teneva abbracciata a sé senza perdermi di vista. All’improvviso squillò il suo cellulare.                 «Amore, tutto bene? E’ successo qualcosa?» chiese, preoccupato. Lo guardai con aria interrogativa e mi disse che era nostra figlia. Con una mano si copriva l’altro orecchio per coprire i rumori. Era strano che con il nostro super udito non riuscisse a sentire. Risi.  Mi passò il cellulare. Allungai la mano incerta e preoccupata. Cos’era successo? L’espressione rilassata sul volto di Edward mi tranquillizzò.
«Vuole soltanto darti la buonanotte!» sorrise.
«Renesmee, sei ancora sveglia?» guardai l’orario. Erano quasi le undici e mezza.
«Ancora per poco, mamma. Jacob si è addormentato e ho preso il suo telefono per chiamarvi prima che mi addormentassi anche io» spiegò. Caspita! Aveva ragione Edward a non sentire nulla! Non capivo se fosse Renesmee a parlare a voce bassa o la musica troppo alta.
«Ho capito, sta tranquilla. Ci vediamo quando ti svegli. Buonanotte, amore mio» immaginai di stringerla tra le mie braccia. Mi mancava tantissimo.
«Buonanotte, mamma. Ti voglio tanto bene. Mi ripassi passi papà, per favore?» restituii il cellulare a Edward che si allontanò perché la musica era diventata ancora più forte.
Rimasi ferma, con lo sguardo fisso in attesa che Edward tornasse da me.
«Bella Swan?» mi sentii chiamare. Non avevo visto nessun altro che conoscessi. Smisi di muovermi e di respirare mentre i miei muscoli si contrassero dall’agitazione.  La musica era diventata un tiepido suono in lontananza, attenuata dal silenzio dei miei pensieri. Mentre mi voltai, sembrava che il tempo avesse deciso di suddividersi in tanti piccoli granelli che scandivano ogni singola nota musicale prodotta dagli strumenti.
I capelli neri e mossi e lo sguardo simpatico ma riservato, potevano farmi tornare in mente una sola persona.
«Angela!» esclamai, cercando di addolcire lo sguardo terrorizzato.
«Che bello vederti, Bella! Come stai?» disse tutto d’un fiato, abbracciandomi. Secondo la nostra versione eravamo a Dartmouth a studiare.
«Bene...e tu?» sorrisi sinceramente.
«Tutto bene! Ben mi ha regalato i biglietti perché è il mio gruppo preferito… però non penso che lui gradisca questa musica» rise indicando Ben in lontananza.                                             «E tu sei con Edward?» mi voltai per vedere se avesse finito di parlare al telefono, ma non lo vidi più. Dove si era cacciato? Per un istante temetti che fosse andato alla ricerca del ragazzo così temerario da sfidare un vampiro.
«Sì, si sarà cacciato da qualche parte» ammisi, alzando le spalle.
«E’ strano trovarti qui! Sai, a volte mi manca un po’ il liceo…mi mancate tu, Jessica e gli altri» disse con malinconia.
«Già… mancano anche a me. Come va l’università?» cambiai discorso.
«Io mi sono iscritta alla facoltà di comunicazione con l’indirizzo giornalistico, mentre Ben ha scelto la facoltà di arti digitali. Non sono pesanti le lezioni e gli esami sono relativamente semplici. Parlando di università, ovviamente, è tutto più complicato rispetto al liceo…però sotto certi aspetti è molto interessante. E tu ed Edward?» chiese timidamente. Impiegai un po’ di tempo per risponderle però il mio cervello lavorava molto più velocemente rispetto a quello umano…non si sarebbe accorta della mia incertezza nella risposta.
«Lui ha scelto medicina…io lettere» chissà, in un futuro parecchio lontano mi sarebbe piaciuto insegnare al liceo. Avevo preso da mia madre la passione per quel lavoro.
«Wow, sembra bello» gridò per coprire il volume della musica.
«Già» lo sarebbe stato davvero?
«Comunque se ti va, ci allontaniamo un po’ dalla musica» “ci allontaniamo così posso cercare Edward” avrei aggiunto. Angela annuì con la testa e mi fece strada.
«Allora…quando ripartite?» chiese imbarazzata.
«Beh, non saprei. Siamo venuti qui per stare un po’ in famiglia» mentii.
«Anche se saremo distanti quasi cinquemila chilometri, mi andrebbe di sentirti…se ti va!» domandò, esitante.
«Certo! Ti do il mio numero» risposi istintivamente, senza nemmeno sapere perché. Mentre lei scriveva svelta il numero al cellulare non potetti fare a meno di pentirmi di quella scelta. Un'altra persona a cui volevo bene e alla quale avrei dovuto dire addio.
«Oh, Bella! Sono così felice di vederti! L'università è anche molto impegnativa e mi dispiace non poter aiutare mia madre con i miei fratelli. E’ frustrante non riuscire a fare entrambe le cose» ammise triste.
«Eh, purtroppo in una piccola città come Forks è impossibile riuscire a coordinare tutto» ironizzai. «Ma vedrai! Sono convinta che riuscirai a fare tutto per il meglio. Ti conosco bene» ammiccai.
«Lo spero. Sapessi quante cose sono cambiate e…» si interruppe quando arrivò Ben.
«Bella? Sei tu?» Ben sembrava sorpreso.
«Si, sono io» gli sorrisi.
«C'è anche...Edward?» disse quasi indeciso se parlare o meno.
«Certo! E' qui in giro… sarà meglio che torni da lui…» usai Edward come scusa per dileguarmi.
«Aspetta, sto andando a prendere da bere...volete qualcosa?» chiese.
«Si, dell'acqua» rispose Angela.
«E tu, Bella?» gridò per superare il volume della musica e io risi, consapevole che avrei sentito lo stesso.
«No, come se avessi accettato» pensai fosse opportuno alzare il tono della voce ma proprio in quel momento la musica calò. Per fortuna, nessuno si accorse del mio mezzo urlo. Ben sparì verso il bar e io approfittai per salutare Angela. Non volevo sembrare scortese o maleducata, ma volevo raggiungere Edward.
«Beh, è stato bello rivederti» disse Angela con un tono malinconico. Sapevo che si sarebbe voluta intrattenere di più. Non era il tipo che parlava molto o si confidava con tutti; così prima di pensarci sul serio dissi: «Ci vediamo domani se ti va...così mi racconti tutto per bene». Gli occhi di Angela si illuminarono. Era felicissima e non avrei avuto bisogno di leggerle nel pensiero per capirlo.
«Certo! Solo io e te, vero?» la sua espressione troppo contenta mi ricordava Alice. Dietro la stessa espressione, però, sembrava nascondersi un velo di tristezza. C'era qualcosa che la preoccupava? Forse riguardo Ben? L'avrei saputo il giorno seguente.
«Per forza! Come ai vecchi tempi» esultai e lei mi strinse la mano; lessi nei suoi occhi lo stupore nel trovare la mia mano così ghiacciata e...diversa, ma lei non ci diede peso, anzi...mi abbracciò ancora più forte,
«Verso le undici va bene?» chiese. Io annuii e lei mi salutò con un mezzo sorriso. Poi si allontanò. Andai alla ricerca di quel teenager scatenato di mio marito.
Mi buttai tra i fans sfrenati e ammassati come un gruppo di casalinghe assatanate, alla presentazione di un nuovo detersivo multiuso. Edward non era nemmeno lì. Mi allontanai, svelta, prima di essere travolta in quel bagno di sudore. Sbuffai, innervosita. Avevo verificato io stessa la difficoltà nel sentire Renesmee al telefono ma non era un motivo per andare fino in Alaska per sentirla! Mi avvicinai al bar: c’era tantissima gente che si lamentava della lunga attesa e la povera ragazza da sola dietro al bancone si dimenava senza tregua, nel tentativo di soddisfare tutte le richieste dei clienti.
«Dolcezza, ti sei persa per caso? O sei scappata dal lupo cattivo?» mi voltai incredula, guardando con repulsione quel ragazzo così impertinente. Era assurda l’insistenza di certi esseri umani!
«In un certo senso sì…sto cercando mio marito» agitai la mano sinistra, mettendo in mostra la fede. «L’hai per caso visto?». Mi guardò terrorizzato. Di certo non per il mio aspetto vampiresco.
«Sposata!» sussurrò a mezza voce con ribrezzo. Poteva il matrimonio spaventare qualcuno più di un vampiro? La risposta era: evidentemente sì. Indietreggio senza voltarsi: aveva la schiena incollata al bancone del bar e si muoveva seguendo il suo contorno. Rimasi seriamente perplessa e sorpresa dalla sua reazione. Pensavo fosse un ragazzo coraggioso! Tutte le “buone” impressioni di cui aveva fatto sfoggio qualche tempo prima, fallirono miseramente, lasciandolo indifeso. Lo guardai incamminarsi nella direzione opposta, con una certa fretta. E io che credevo di essere strana da umana! Sorrisi compiaciuta pensando al potere del matrimonio. Incrociai le braccia dietro la schiena e mi voltai.
Ero così presa dai miei pensieri che non mi resi conto che dietro di me ci fosse qualcuno. E non me ne resi conto finché la punta del mio naso non si schiacciò contro il suo petto. Scrollai la testa, tornando al presente. Lui mi afferrò dai polsi e mi tirò a sé.
«Bella, ma dov’eri finita?» chiese, ridendo.
«Io?» dissi innervosita. «Ti ho cercato da tutte le parti…che fine hai fatto tu?!» il mio tono era ancora arrabbiato. Aveva deciso di giocare a guardia e ladri?
«Ero vicino alla porta perché qui non prendono i telefoni…ecco perché riuscivamo a malapena a sentire Renesmee. Ma lei non sentiva quasi nulla di ciò che dicevamo noi…Comunque che ne pensi? Andiamo via o vuoi rimanere qui?  Vuoi conoscere il tuo nuovo amichetto?» chiese alludendo al tipo che avevamo incontrato.
«Veramente… credo che non voglia più avere a che fare con me» confessai mentre Edward mi spingeva già verso l’uscita. Era così impaziente di tornare a casa? Io avrei preferito rimanere ancora un po’ di tempo da sola con lui.
«Wow, cosa l’avrà mai spaventato? Forse il mio comportamento… o il mio sguardo esauriente?» chiese retorico.
«In realtà…» lo contraddissi «E’ stata questa a spaventarlo…anzi, terrorizzarlo, direi» indicai la fede, ridendo.
«Che? Non dirai sul serio?» domandò sorpreso.
«Sono serissima, Edward!» lo guardai con presunzione. Scoppiò a ridere piegandosi sulle ginocchia.
«Gli umani sono assurdi…e anche stupidi!» mi aprì la portella della macchina. Mi sedetti senza perderlo di vista. Anche dopo la trasformazione non potevo fare a meno di trovare Edward attraente come prima, più di prima. Il suo tenero volto da eterno diciassettenne lo rendeva fragile e vulnerabile. Non era più il mio guardiano protettore, non doveva più lottare contro la sua stessa natura per starmi vicino. Non eravamo più il vampiro e l’umana. Eravamo semplicemente Edward e Bella.
Entrò in macchina e si allacciò la cintura, ma prima che mettesse in moto presi il suo volto tra le mani e lo avvicinai al mio. Sentii il suo respiro caldo e inebriante sul mio volto. Mi morsi un labbro e poi lo baciai dolcemente. Edward ricambiò il bacio e si allontanò ridacchiando. Rimasi a guardarlo, incredula che si fosse allontanato da me.
«Amore, dobbiamo andare. Siamo in ritardo» mise in moto la macchina.
«Dove?» inclinai la testa, incuriosita.
«Un’altra sorpresa» sorrise compiaciuto.
«Ma…» lo guardai incredula.
«Sono troppo stanco per riaffrontare un lunghissimo viaggio di ritorno. Non vorrai mica che metta a rischio le nostre vite, vero?» scherzò. Cercai di immaginare cosa avesse in mente.
«Ovviamente, non mi dirai nulla finché non saremo arrivati» ipotizzai.
«Ovviamente no» mormorò, appagato.
Avevamo lasciato il luogo del concerto già da un po’ e le stradine buie e circondate dalla foresta non mi fornivano alcun indizio. Rimasi in silenzio mentre Edward giocava con la mia mano.
«Curiosa, eh?» .
«Abbastanza... E’ una serata piena di soprese».
«Ben detto» cos’altro aveva in “agguato”?
Scorsi delle luci in lontananza.
«Si, è lì che ci dirigiamo» rispose, forse guardando la mia espressione corrugata.
Un hotel? Probabilmente il più costoso hotel di tutta Seattle. Edward non si smentiva mai.
Arrivammo quasi verso l’una. Era tardissimo ma qualcuno del personale era ancora in piedi. Edward parcheggiò davanti all’ingresso dove c’era un signore sulla quarantina, alto e magro, ma non certo dal corpo atletico. Indossava uno smoking leggero con una targhetta quadrata dorata che luccicava sotto la luce della luna. C’era scritto il nome dell’hotel.
«Il personale del Blue Royal Hotel vi dà il benvenuto» ci accolse, educato.  Mi aprì la portella e poi si diresse verso Edward, che gli diede le chiavi della macchina per parcheggiarla.
Aspettai che Edward mi raggiungesse e ci dirigemmo verso la hall dell’albergo. Le porte di ingresso erano di vetro, automatiche e scorrevoli. Appena entrammo il profumo delle fresie e delle rose ci avvolse. L’illuminazione era soffusa, concentrata principalmente sulla giovane receptionist dietro il bancone.  Avrà avuto una ventina di anni o qualcuno di più. Era bassina e robusta, con i capelli biondo scuro, quasi castano. Aveva un’aria stanca, appesantita probabilmente dall’ora. Appena ci vide arrivare, sorrise educatamente. A differenza delle altre donne, che guardavano Edward senza preoccuparsi minimamente di apparire come delle ebeti, lei sembrò completamente persa nei suoi pensieri. Chissà se anche io da umana avevo un aspetto da stupida come loro!
«Benvenuti, siete i signori Cullen, giusto?» guardò frettolosamente lo schermo del computer. Era lì che forse segnavano le prenotazioni.
«Suite 354, quinto piano» ci diede una carta dorata che ipotizzai essere la chiave della suite. Una suite? Guardai con aria interrogativa Edward, mentre lui si dirigeva con nonchalance verso l’ascensore. Il pavimento era rivestito di moquette a trama quadrangolare mentre quella che rivestiva le scale era di un rosso scuro. Anche il corrimano della scala era decorato con elementi floreali, riprese nelle colonne sottili intorno a noi. Nelle stesse erano incastonate delle piccole teche che contenevano vasi preziosi e urne decorate, illuminate da un piccolo faretto posto in alto. Edward mi prese per mano e mi guidò. Premetti il tasto per chiamare l’ascensore. Anche l’ascensore rispecchiava in pieno lo stile elegante ed elaborato dell’albergo. Era molto grande, con una superficie a specchio su tutti i lati. Anche i pulsanti che indicavano i singoli piani erano decorati e inseriti in piccoli cunei. I numeri erano in rilievo rispetto alla superficie liscia del cuneo. Quando Edward spinse il numero cinque si illuminò, dissolvendosi solo man mano che giungevamo in alto.                                            La nostra stanza era in fondo al corridoio. Mi muovevo lentamente, leggendo i numeri sulle porte. Guardavo persa a sinistra e a destra; poi arrivammo finalmente davanti alla nostra stanza.
«Prego…» mi porse la chiave.
Non appena aprii la porta il tepore della stanza mi accolse dolcemente, insieme al profumo dolce della vaniglia e altri odori che non riconoscevo. Osservai la stanza, rimanendo immobile dallo stupore. Edward ridacchiò e mise una mano dietro la schiena per guidarmi.
«Non vorrai rimanere qui fuori…vero?» chiese incerto. Non risposi, ancora incantata dalla bellezza di quel posto, così esotico, armonioso ed elegiaco. Intrecciai la mia mano a quella di Edward e mi diressi lentamente nella suite.
L’ingresso era illuminato dalle tiepide fiamme delle innumerevoli candele panna e rosa antico disposte sui mobili. Di fronte a noi c’era una vetrata enorme che dava sul balcone. Fuori era buio. L’intera città di Seattle luccicava ai nostri piedi. Avanzai verso il balcone. Feci scorrere la finestra e mi affacciai sul grande terrazzo. Mi voltai per vedere se Edward fosse dietro di me. Lui mi guardò sorridendo. La leggera brezza mi scompigliava i capelli e il cielo era terso, impreziosito da sfumature violacee che valorizzavano le stelle luminose e la luna piena che splendeva proprio sopra di noi. Mi affacciai al balcone, contemplando il silenzio circostante. Chiusi gli occhi per appagare quel senso di pace.
«Ti piace?» sussurrò Edward.
«Mmm…non troverò mai le parole per descrivere questo posto, né come mi sento. E’ fantastico, Edward! E’ così…tranquillo, rilassante. E’ come se fossimo al di sopra del mondo. Questo posto sembra…magico»!
«Suggestivo, vero?» sentivo il suo respiro tra i miei capelli.
«Già. Quasi…sovrannaturale!» cercai il termine giusto.
«Proprio come noi» rise.
Gli misi le mani intorno al collo e mi avvicinai per baciarlo. Lui mi strinse a sé per un tempo che mi parve infinito.
«Vieni…» mi prese per mano.
Ero rimasta così incantata dal paesaggio da non rendermi conto del resto della stanza. In realtà, di stanze ce n’erano tre: tutte erano illuminate dalla luce soffusa delle candele profumate; quella attigua era la camera da letto mentre l’ultima era il bagno. Contro qualsiasi previsione, il bagno era più grande della stanza da letto. Colpa dell’enorme vasca da bagno o meglio, piscina che ne occupava i due terzi.
«Wow…è incantevole!» mi mancavano le parole. Non so se era merito del profumo delle candele, della loro luce o di tutta l’atmosfera che irradiava quel posto, il tepore calava sulle palpebre che faticavo a tenere aperte. Quasi come una sensazione di stanchezza e la voglia di dormire…ma non ero affatto stanca, né sarei mai potuta esserlo: era la quiete assoluta, o imperscrutabilità dell’anima, come l’avrebbero definita i filosofi.
Era da poco spuntata l’alba e le candele esalavano i loro ultimi attimi di luminosità. La luce del giorno illuminava lo stesso posto, donandogli un’atmosfera diversa. Era sempre soave e rilassante, ma non era più magica come qualche ora prima.
«Buongiorno, amore» mormorò Edward, stiracchiandosi come se si fosse davvero appena svegliato. Alcuni istinti umani sopravvivevano a tutto ciò, ricordandoci che eravamo ancora parte di ciò che siamo stati.
«Buongiorno dormiglione!» gli balzai addosso e lo baciai.
«Dormito bene?» chiese ridendo.
«Mai dormito meglio! Fermarci una notte a Seattle è stata la decisione più saggia che tu abbia mai potuto prendere» risposi soddisfatta. Lui rise.
«Ti amo, lo sai?» mi sfiorò il viso.
«Ti amo anch’io» sorrisi e fu lui a baciarmi.
«Mmm…penso che sia ora di andare» si alzò.
«Di già?» mi lamentai.
«Come di già?» si mise a ridere. «Bella, sono quasi le sette e oggi, come puoi vedere sarà una splendida giornata di sole» indicò la finestra. «Inoltre, dobbiamo avviarci se vogliamo essere lì prima che Renesmee si svegli» aggiunse mentre abbottonava la camicia.
«Impossibile…sarà già sveglia al nostro arrivo» lo tirai verso di me sul letto.
Mi baciò, giocando con una ciocca di capelli fuori posto, poi mi guardò e mi sistemo i capelli, sfiorandomi il viso. Si alzò sistemandosi le maniche della camicia e continuò ad allacciare i bottoni della camicia.
«E va bene, ho capito. Andiamo!» rinunciai, alzandomi. Mi fu vicino in un istante.
«Amore, mi piaci tanto quando fingi di essere arrabbiata» rise.
«Non sono arrabbiata» dissi seccata. Non lo ero davvero, soltanto non mi andava di ritornare a casa, con tutti gli altri. Mi mancavano le notti in cui rimaneva a dormire da me quando vivevo ancora da Charlie.  Solo io e lui. Un’altra parte di me, invece, non vedeva l’ora di tornare a casa. I miei pensieri erano focalizzati sul volto tenero di Renesmee: mi mancava tantissimo! La prima cosa che avrei fatto tornando a casa sarebbe stata stringerla a me. La mia piccola brontolona che cresceva velocemente.
Edward mi cinse il fianco e ci dirigemmo verso la reception. Mi chiesi se non fosse troppo presto perché il personale fosse già in piedi.
Con mia sorpresa, la ragazza della sera prima era al suo solito posto, come se non si fosse mai mossa da lì. I vestiti la tradivano: non erano gli stessi del giorno prima e il suo volto aveva anche un’aria più fresca e riposata.
«E’ stato di vostro gradimento il soggiorno?» chiese educatamente mentre Edward le restituiva la chiave della stanza, insieme alla sua carta di credito. Mi chiesi quanto gli fosse costata una serata simile ma poi lasciai perdere. In fondo non mi interessava davvero; quando si parlava di soldi non era mai un problema per lui.
 «Tutto perfetto, grazie» rispose con altrettanta gentilezza Edward. Io mi limitai a sorridere.
«La vostra auto sarà qui a momenti…Richard è già andato a prenderla» spiegò.
«La ringrazio, arrivederci» salutò Edward.
«Arrivederci» gli feci eco.
«Salve, buona giornata» rispose la ragazza, sorridendo.
Dopo qualche minuto arrivò il signore della sera prima con la nostra auto. Anche lui ci salutò gentilmente e ci ringrazio per aver scelto il loro hotel. Edward ricambiò il saluto con un sorriso.
«E si ritorna a casa» sospirò, allacciandosi la cintura.
«Eh, già» concordai.
«Ehi! Cos’è quell’espressione triste?» mi guardò cupo.
«E’ stata una bella serata» sorrisi, cercando di eliminare ogni segno di tristezza. Non volevo che pensasse fossi triste, non lo ero. Ero malinconica della fantastica serata passata con lui in quel posto fatato. Sembrava fossimo in un altro universo.
«Certamente rientra nella lista delle serate più belle della mia esistenza! Una specie di “primo” appuntamento da quando sei come me» sogghignò.  
Rimasi immobile, fissando il vuoto. Appuntamento! Oddio, Angela! Mi ero completamente scordata che ci saremmo viste in tarda mattinata. Se fossimo stati fortunati entro le undici sarei stata a casa. Pregai che non ci fosse traffico.
«Bella, va tutto bene?» chiese, preoccupato.
«Si, si. E’ che mi sono completamente dimenticata di avere un appuntamento oggi!» dissi.
«Un appuntamento? Con chi?».
«Ieri ho incontrato Angela, era anche lei al concerto» spiegai.
«Angela Weber?» mi guardò, sorpreso.
«Si, era con Ben. Sembrava triste per qualcosa. Forse le cose con Ben non vanno bene. Voleva intrattenersi con me a parlare ma avevo notato che voleva fossimo da sole perché quando Ben si avvicinò lei lasciò cadere il discorso. Così le ho detto di vederci oggi» mi rattristai.
«Hai fatto bene a dirle di vedervi. A che ora avete appuntamento?».
«Verso le undici» ricordai.
«Saremo a casa per quell’ora, non preoccuparti» mi tranquillizzò. «Sai che è più o meno grazie a me ed Emmett se Ben e Angela stanno insieme?» ridacchiò.
«Cosa?» chiesi stupita.
«E' una storia lunga...volevo ringraziare Angela in qualche modo perché era l'unica persona dalla quale potevo tenerti d'occhio senza dover rischiare di farmi saltare i nervi. Era sempre obiettiva e dolce. Ti vuole bene davvero» disse.
«Lo so, è una ragazza fantastica...anche io le voglio bene» sorrisi e lui mi si avvicinò quasi per baciarmi. Io lo interruppi chiedendogli la storia.
«Scavai tra i suoi desideri e scoprii che era innamorata di un certo Ben e per una strana coincidenza anche lui era innamorato di Angela ma temeva di non piacerle perché è più basso...che stupidi gli umani...si fermano davanti a così poco» si fece grande e io gli diedi un colpetto con il gomito senza fargli nulla, ovviamente.
«E dai, non puoi negare che sia così. Magari si lascerebbero scappare la persona della loro vita solo per un piccolo ostacolo come l'altezza...mentre c'è qualcuno che lotta contro la sua natura per non uccidere l'oggetto del proprio amore» rise. Poi riprese a raccontare la storia.
«Chiesi ad Emmett di aiutarmi con la mia messa in scena...» scosse la testa ridendo.
«E lui cosa disse?» lo guardai, incuriosita. Rise fragorosamente al ricordo.
«Testuali parole?» chiese, ancora ridendo. Io annuii.
«Chi sei tu e cosa ne hai fatto di mio fratello?» imitò Emmett con aria quasi terrorizzata. Poi risi e la sua dolce e melodiosa risata si unì alla mia.
«Ogni tanto seguiva il copione, ogni tanto improvvisava. Ovviamente attraverso i suoi pensieri riusciva a prendermi in giro per via della grande cotta che mi ero preso nei tuoi confronti; però il nostro piano funzionò. Iniziammo a parlare di Angela attirando l'attenzione di Ben, che ovviamente, non voleva prendessi minimamente in considerazione l'idea di avvicinarmi a lei. Dissi anche che lei era interessata ad un tipo di nome Ben Cheney e lui sembrò davvero sorpreso...così decise di darsi da fare...tecnicamente però è anche merito tuo perché hai convinto Angela ad invitarlo al ballo» aggiunse.                                        
«Wow, siamo una coppia diabolica insieme...» dissi con aria colpevole.
«Già...penso che dovremmo lavorare insieme, collega» meditò.
«Pronta all'azione! Qual è il piano?» gli tenni il gioco.
«Per oggi, ho già portato a termine un piano che coinvolgeva te personalmente» scandì le ultime due parole lentamente. Risi e lasciai che il mio sguardo si disperdesse sugli alberi che costeggiavano la nostra strada. Nonostante potessi vedere benissimo anche di notte, la luce del sole donava vigore a tutto ciò che illuminava. Pensai al lungo viaggio di ritorno che ci aspettava, rannicchiandomi sul sedile, con il mio volto rivolto verso Edward. Lo guardavo incantata mentre guidava con disinvoltura.
«Smettila di guardarmi!» finse di essere infastidito.
«Non posso, mi dispiace!» obiettai e lui scoppiò a ridere.
«Rientra forse nelle clausole prematrimoniali?» domandò ironico.
«Divertente Edward! Davvero divertente…» dissi acida.
«Caspita, Bella…tu metti a dura prova il mio autocontrollo!» confessò e io lo guardai compiaciuta mentre giocavo con la sua mano. Mi scocciavano i viaggi lunghi, così mi appoggiai allo schienale del sedile e giocai con i miei capelli.
«Ti amo» disse di punto in bianco.
«E’ anche grazie a questo se adesso siamo qui!» commentai, divertita.
«Certamente! Soprattutto grazie a questo!» fu d’accordo.
«Ti amo anch’io…ora, oggi, domani e per tutti i giorni a venire!» giurai.
Lui cercò la mia mano e la intreccio alla sua. Mi persi nelle linee bianche, tratteggiate e consecutive che dividevano la strada in due corsie. Scorrevano veloci sotto il mio sguardo, mentre ci allontanavamo, seguiti dall’alba di un nuovo giorno.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: hay_ley