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Autore: Miele_e_Cianuro    08/04/2015    2 recensioni
"Come mi ami?"
Thranduil si alza, appoggiando un gomito sull'erba, e si volta per osservare il principe Khazad al suo fianco. Una ciocca bionda scivola giù dal suo orecchio e finisce sulle labbra del giovane nano, che la allontana soffiando.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Thorin Scudodiquercia, Thranduil
Note: Lime, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il canto del caprimulgo

 

"Come mi ami?"

Thranduil si alza, appoggiando un gomito sull'erba, e si volta per osservare il principe Khazad al suo fianco. Una ciocca bionda scivola giù dal suo orecchio e finisce sulle labbra del giovane nano, che la allontana soffiando.

Sorride.

"L'amore non si può quantificare, Thorin figlio di Thrain." risponde con un sussurro il Sindar. È molto divertito dalla domanda del suo compagno. Trova che sia una di quelle questioni che tipicamente assillano creature avvolte in un'affascinante giovinezza.

Si china per cogliere un bacio da quelle labbra rosse e piene, ma abbassandosi incontra l'indice di Thorin.

“Non ti ho chiesto quanto mi ami, mio bel re. Ti ho chiesto come mi ami.”

Il principe non sta sorridendo. Non si tratta di una domanda oziosa. Piuttosto, gli ha proposto un goffo gioco di parole, un concetto male esposto. Non per questo, però, può prenderlo alla leggera.

“Si può amare un regno, od una gemma. Si ama la compagna di una notte, la madre, la moglie. Si amano i figli, ed le scintille che si sprigionano dalla forgia. Si ama il fragore delle armi, e la pace di una mattinata passata nell'officina, a cesellare un piccolo idolo. Vi sono amori infiniti a questo mondo, e di essi molti ne ho provati, pur portando sulle mie spalle pochi inverni. Quindi vorrei chiederti: quale amore hai incontrato in me, Thranduil? Cosa ti porta su questo prato, a giacere accanto a me?”.

Parole semplici, che pure alludono a qualcosa di profondo.

Thranduil può capirlo, e si rende conto dall'espressione severa di Thorin che con quelle parole il principe lo ha appena messo alla prova.

Non vi è solo orgoglio nella vita dei Khazad, ma anche amore, profondo e tenace, come quello che lega il muschio e la pietra, l'edera e la corteccia. Essi amano il fuoco, l'arte e le opere che occupano giorni e mesi, amano le gemme e la propria famiglia. Il loro amore non sembra trascurare nulla, una prospettiva che forse essi derivano dal trascorrere sulla terra solo un tempo limitato, seppure piuttosto lungo.

Ed a questo infinito e poliforme amore, Thranduil deve ora rispondere.

Il Sindar abbassa lo sguardo, appoggiando prima le mani poi la testa sul petto del nano. Si prende alcuni istanti per pensare, per ascoltare a fondo il battito del cuore di quella creatura così dissimile ma così vicina a lui. Essi condividono la forza e la volontà, e la solitudine, e la necessità di fronteggiare un fato comune. Eppure, fra loro sempre si frapporranno lievi incomprensioni, leggere come le nubi sul finire dell'estate, foriere di potenziali fratture. Thranduil sospira, e poi chiude gli occhi, rifiutandosi di soppesare troppo le sue parole.

“Ti amo come il canto del caprimulgo.”

“Continua, ti prego.”

Thranduil si solleva un attimo, passando le sue braccia dietro la schiena di Thorin ed inclinando la testa per poter osservare meglio la linea definita del suo mento.

“Ti amo come le sere di fine estate, quando il fluire del tempo sembra farsi stirato e sfilacciato. La trama delle cose diviene allora simile al grido di un gabbiano, violenta e lacerata. Per noi, la voce di quegli uccelli è come il presagio di una morte dolce: una struggente nostalgia malinconica che ci parla delle spiagge dell'Ovest e della terra che ci è stata promessa, ma che mai abbiamo visto. Ho vissuto infinite estati, ed ogni volta che una di esse finiva qualcosa di me moriva di essa.”

Thranduil fa una pausa. Il suo sguardo è roccia azzurra in lontananza.

“Ogni estate che ho vissuto, ho perso qualcosa. Qualcosa di piccolo magari, ed impercettibile, ma potevo sentire che a partire da quel momento la mia volontà non era più la stessa. Per quanto affilata, una spada perde il suo filo, battaglia dopo battaglia. L'acciaio, a suo modo, è eterno. Ma il senso della spada sta soprattutto nel suo filo, non soltanto nel suo acciaio. In un certo senso, non è solo il materiale ma soprattutto la forma a determinare le ragioni della sua esistenza. Io quindi, quando l'estate finisce ed i tramonti si fanno rossi sopra i prati attorno al Bosco Verde, sento che sto perdendo il mio filo. Lentamente, impercettibilmente, ma in modo continuo. E mi chiedo quale sia il mio destino. Se sia quello di perire in una battaglia, difendendo il mio popolo. O forse da qualche parte sta scritto che la mia sorte sia l'amarezza, il cinismo vigliacco di chi divenga uso alla solitudine del potere, e si conservi in eterno come un idolo vivente nella profondità di sale silvestri. Ogni estate che finisce diviene per me il canto di un gabbiano, una sottile nostalgia che smussa la mia volontà di agire, diluendo la mia determinazione in un oceano infinito di tempo. Un liquido oscuro, freddo e profondissimo che lentamente mi lava e mi erode, rendendomi sottile, pallido ed inutile.”

Una sottile inquietudine stringe ora il petto di Thranduil, e le sue parole hanno trasformato i suoi occhi in pozzi glaciali. Thorin abbassa lo sguardo, passando una mano fra i capelli d'oro e tirando il re a sé, verso un lungo ed appassionato bacio.

“Non è facile trovare le parole così”

“Non ti ho mai detto che sarebbe stato facile. Ma non sei solo.”

“Lo so. Ed è per questo che le sto cercando.”

“Ti prego, continua.”

Thranduil annuisce, accoccolandosi sul petto di Thorin con gli occhi socchiusi.

Il suo sguardo è la tiepida bruma che scende dai colli in autunno.

“ Sul finire dell'estate spesso cavalco da solo, sino al limitare del Bosco. Mi prende come un'irrequietezza, una incapacità di seguire il filo dei miei pensieri. E come preso da questo sentimento vago, privo di un nome, mi allontano dal mio regno, da mio figlio, dai miei incarichi. Mi sono chiesto molte volte che cosa io vada cercando in quei casi, e forse lo ho capito soltanto ora. Al limitare del bosco vi sono prati, e cieli sconfinati. Al tramonto il sole sparisce dietro alla massa scura degli alberi, come se fosse infine giunto il momento di ardere quell'antica foresta. E per un attimo ho come il presagio di un tempo che verrà, che è simile a qualcosa che ho già vissuto. Grandi incendi, e la fine di tutto. Mi chiedo: è già successo, o deve ancora succedere? E questa domanda non ha senso alcuno, perché le grida dei gabbiani hanno distrutto tutto. O forse hanno solo bruciato qualche piccola particella di me, ed il vorrei solo piangere, perché non potrò mai più essere lo stesso, e nonostante io sia eterno non sono immutabile. E mi chiedo: dove troverò adesso la forza di continuare, di trascinarmi sotto stelle stanche, fra statue di tempi ormai vaghi, accompagnato dagli spettri di cose passate che saranno perdute per sempre. Ma un attimo prima di sprofondare in un lago di eterno rimpianto sento il richiamo del caprimulgo.

Mi fa un un po' ridere parlartene, perché qualsiasi altro Primo Nato potrebbe trascorrere notti intere a descriverti il volo di un usignolo, ed il suo canto. Ma non è quella la musica che fa per me. Li vedo giacere sui prati, che tengono le loro ali scure contro il corpo. Oppure si levano in brevi voli, neppure particolarmente aggraziati, e si aggrappano ai rami con le loro piccole zampe.

No, nessun Sindar saprebbe pronunciare più di qualche parola su quei piccoli uccelli, sulle loro piume che hanno il colore spento della corteccia dal sole. Ma il loro canto è per me la salvezza. Li odo a centinaia, quando l'estate finisce ed il crudele autunno si appresta. Il loro è un trillo, forte e acuto, ma modulato meravigliosamente. E mi pare che di nuovo tutto abbia un senso.”

Thranduil si sofferma a guardare Thorin, sorridendo. Il suo sguardo è la potenza del sole che scintilla su un ghiacciaio.

“Quelle piccole creature, che ad un primo sguardo sembrano tanto umili, hanno nel loro canto una forza che io posso solo invidiare. Ed ecco che il trillo dei caprimulgi accompagna la discesa del sole dietro alle fronde del Bosco Verde, invadendo valli e fiumi, e mi pare quasi che vada a rinserrare il tessuto stesso della realtà e della storia. Se il grido dei gabbiani è morte, lacerazione e dissoluzione quello dei camprimulgi è l'innegabile violenza della vita, che si rifiuta caparbiamente di non esistere. E, come un presagio che soccorra in tempi funesti, essi tessono canti forti e determinati nel momento in cui l'estate si riduce in cenere.

Penso di poter dire che il loro canto risuona in me, e che le sue vibrazioni mi scuotono. Mi chiedono: sei sicuro di non avere la forza? Sei sicuro che il tuo acciaio abbia perso il filo? Non è ancora giunto il tempo, mi dicono. E mi insegnano che posso amare, ancora ed ancora. Con forza, senza paura. Ed è così che io amo te: come il canto dei caprimulgi.”

Thranduil chiude gli occhi.

“E tu, Thorin figlio di Thrain, come mi ami?”

Il principe sorride, rimanendo in silenzio per qualche tempo.

E poi, dolcemente, inizia a parlare.





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Due o tre notarelle. Non possiedo i diritti per nessuno dei personaggi, che appartengono ai loro legittimi propretari (almeno fino al sette dicembre 2022, data in cui tenterò una scalata finanziaria alla Tolkien Estate e renderò canon l'inserimento di JoJo in Arda). Ispirazioni e varie? Ad occhio Murakami, di sicuro anche Gaiman, poi boh. Io copio sempre molto ma ho l'amnesia della fonte. Almeno così sostiene il mio avvocato. O lo sosterrebbe se esistesse. Di sicuro quello che c'è di bello l'ho copiato, mentre le cose brutte sono mie. 
Che senso ha questo testo? Nasce come studio su un pairing che mi ronza in testa. Probabilmente in vista di una long che non finirò mai perché sono un poltrone, probabilmente perché mi piace il fluff. Ultimamente vivo in modo disordinato.
Dediche, dediche. No, perché se scrivi quattro righe in croce devi per forza dedicarle a qualcuno, in special modo se sono righe in brutto italiano. Mi compro la benevolenza. Abbiate pietà di me.
Quindi dedico a Orlando ( yo genyo) e a Rosebud ( parlavamo di scrivere come si deve). 
Cuoricini&cianuro, 

Miele.

  
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