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Autore: IrethTulcakelume    09/04/2015    2 recensioni
E' vero, anche i principi piangono di fronte al mare. Ma se c'è qualcosa di più vero ancora, è che perfino il mare ha imparato a piangere di fronte a loro.
Un amore che varca i confini tra giusto e sbagliato. Due nemici, finora troppo ciechi per vedere quanto questo confine sia labile. Ma la verità fa male.
La verità uccide.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Achille, Ettore, Patroclo
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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PICCOLA PREMESSA: Chiedo umilmente perdono per il ritardo, ma non sono proprio riuscita a pubblicare prima! In questo capitolo entra in scena un personaggio che sinceramente a me sta simpatico, ma alla mia beta vitadiunalettrice (a cui dedico ovviamente il capitolo) sta abbastanza sulle balle. Ma cosa ti ha fatto? Va be', vi lascio al capitolo, spero che vi piaccia. Chiedo ancora scusa per il ritardo!
 


Capitolo II





Proseguii il mio cammino verso l’accampamento, e appena vi giunsi notai una figura entrare furtiva nella mia tenda. Mi accigliai e affrettai il passo, tra l’incuriosito e l’irato: chi osava introdursi nella mia tenda di notte e, come se questo non fosse sufficiente, in mia assenza?
Mi sembrò quasi di correre, i sandali che percuotevano il terreno sollevando un lieve pulviscolo, e quando arrivai esitai qualche istante di fronte all’entrata: e se non mi fosse piaciuto quello che avrei visto all’interno? Avevo come uno strano presentimento, ma mi dissi che in fondo non c’era nulla da temere.
Entrai scostando di poco la stoffa sottile che copriva l’entrata e mi feci avanti. L’interno era in penombra, appena rischiarato dalla luce della luna che filtrava dalle trame del tessuto della tenda.
Davanti a me, a pochi passi di distanza, la figura di un uomo voltato di spalle, in piedi, le braccia muscolose distese lungo i fianchi. I bicipiti erano appena accentuati dai pugni chiusi, in tensione, come in attesa.
Forse in mia attesa.
- Chi sei? Perché sei nella mia tenda?
Lo sentii ridere lievemente, una risata amara.
- Da quando il grande Achille non è più in grado di distinguere l’amico dal nemico?
Sentendo quelle parole che sapevano quasi di accusa mi irrigidii: riconobbi immediatamente quella voce, ma non capivo il perché di quel tono irrisorio, che sembrava nascondere sotto il sarcasmo un’amarezza più profonda.
- Da quando il suo più grande amico ha bisogno di introdursi nella sua tenda in piena notte?
Patroclo si voltò e camminò verso di me fino a quando i nostri nasi arrivarono quasi a sfiorarsi.
- Amico, Achille? Davvero siamo arrivati a questo punto? Sono diventato un amico. Bene. – Sputò quelle parole con una cattiveria che non gli era propria. Era deluso, amareggiato, stentavo a riconoscerlo: i suoi lineamenti, di solito così dolci, erano deformati in una smorfia quasi di disgusto. Non sapevo cosa lo avesse spinto a parlarmi in quel modo, e reagii nell’unico modo che conoscevo: creando una maschera dietro cui nascondermi, cercando di non fargli intuire la mia confusione. Sono davvero giunto a dover mentire persino a lui?
- E chi credevi di essere? Mi sembri un ragazzino capriccioso.
Alle mie parole, tanto malvagie quanto false, Patroclo scattò in avanti e mi tirò un pugno sulla guancia. Io non feci in tempo a ripararmi e caddi all’indietro, venendo subito sovrastato da lui, che riprese a tempestarmi di colpi: in faccia, sul collo, sul torace. E mentre lo faceva, lo sentii bisbigliare: - Chi credevo di essere? Chi credevo di essere? Mi fai pena.
Inizialmente, non riuscii a difendermi, né a contrastare i suoi pugni. Mi sembrava di essere caduto in trance, mentre Patroclo – Patroclo – mi sferrava un colpo dopo l’altro, come impazzito. Poi mi riscossi, bloccandogli i polsi tra le mani e guardandolo confuso: non capivo cosa gli stesse prendendo.
- Cosa stai facendo?
Lui continuava a dibattersi sopra di me, cercando di liberarsi, ma io non allentai la mia presa ferrea su di lui.
- Amico. – sibilò, quasi risentito.
– Sì, Patroclo. Amico. – Continuavo a non capire dove volesse arrivare con quella messa in scena, non si era mai comportato in quel modo e per quanto mi sforzassi non riuscivo a comprendere cosa avesse scatenato dentro di lui tutta quella rabbia.
Patroclo riuscì a sciogliere la mia presa sui suoi polsi e, accarezzandomi la guancia con una mano mentre portava l’altra tra i miei capelli, si sporse verso il mio viso.
 
Un refolo di vento più forte degli altri mi scompigliò i capelli, portandomeli davanti al viso. Infastidito, tentai di scostarli, ma prima che potessi farlo da solo Ettore allungò la mano sinistra verso di me, portandomeli dietro un orecchio e sfiorando involontariamente la mia fronte.
 
Prima che potessi fermarla, quell’immagine si stampò davanti ai miei occhi, come impressa a fuoco nella mia mente. Chiusi gli occhi qualche istante, forse per scacciare quel ricordo fin troppo vivido, forse per assaporarlo meglio un’ultima volta.
Quando li riaprii, vidi di fronte a me il viso di Patroclo, che si era finalmente addolcito un poco.
- Ti sbagli, Achille. Odisseo è un tuo amico, Aiace è un tuo amico, ma io non sono un tuo amico. Certo, a meno che tu non debba confessarmi le tue ultime avventure tra i letti dei nostri compagni, sono abbastanza convinto di potermi considerarmi ben più di un semplice amico. – Accompagnò le ultime parole con una risata appena accennata, e io gli sorrisi di rimando. Ecco dov’è il problema.
- Mm… le scenate di gelosia per una notte passata fuori dalla mia tenda non le avevo ancora viste in questi dieci anni. – Appoggiai dolcemente la mano sulla sua, ancora premuta sul mio viso.
 
…sentivo ancora la traccia dei suoi polpastrelli sulla mia pelle, quasi fosse impressa a fuoco su di me…
 
Ancora una volta, le immagini di pochi minuti prima in riva al mare mi sopraffecero, e io non potei fare nulla per impedirlo. Tentai di ignorarle.
- Sono sempre stato abbastanza bravo a nasconderlo, ma sono piuttosto geloso di te, e… vedi… in questi giorni ti vedo piuttosto pensieroso. Cerchi sempre la solitudine, sei scostante perfino con me, e non riusciamo più a parlare come prima.
Ridacchiai appena, rispondendogli malizioso: - Certo, scommetto che sono proprio le chiacchierate che ti mancano.
Patroclo mi guardò con uno strano luccichio negli occhi, che erano di una particolare sfumatura di azzurro, molto chiaro, limpido.
 
Ettore si girò verso di me, guardandomi negli occhi, e io sostenni il suo sguardo: avrei detto che avesse le iridi grigio-azzurrine, come il mare sotto la luna piena, ma non potevo esserne certo.
 
Ma anche mentre guardavo quegli occhi che per me erano sempre stati sinonimo di calma, di fiducia, di casa, mi sembrava di intravedere i suoi occhi, indecifrabili, freddi e caldi allo stesso tempo.
Adesso basta, sta diventando un tormento.
Tornai a concentrarmi su Patroclo, sulle sue mani premute sul mio viso, e abbozzai un sorriso dolce, passando una mano lungo la sua schiena.
 – Mm… forse non solo quelle. – Dopo che ebbe detto quelle parole, si abbassò su di me, e fece scontrare le nostre labbra in un contatto tenero, affettuoso, che mano a mano divenne più esigente. Presto le nostre mani iniziarono a vagare sul corpo dell’altro, e la situazione degenerò, sfuggendo al controllo di entrambi. Sono stanco di essere perseguitato dai tuoi occhi, devi sparire dalla mia mente.
Eppure, anche mentre facevamo l’amore – perché di questo si trattava con Patroclo, non semplice sesso, amore – davanti ai miei occhi chiusi si parava l’immagine di Ettore, e quasi mi dovetti trattenere dal gemere il suo nome mentre venivo. Mi sentivo un reietto, un traditore. Mi sentivo sporco.
Patroclo si addormentò tra le mie braccia, ignaro dei pensieri che si agitavano nella mia mente, il respiro regolare a solleticarmi il petto. Così innocente, così puro da riuscire a essere arrabbiato con me solo per pochi minuti. Ecco il ringraziamento di Achille per un amore sincero come il suo: i pensieri rivolti a un altro uomo, a un nemico, perfino durante un momento così intimo. Non ce la feci a guardare il suo viso così disteso e rilassato: mi alzai, cercando di fare meno rumore possibile, come un ladro che scappi da una casa dopo aver rubato qualcosa di immensamente prezioso. Ed era proprio quello che avevo fatto: avevo rubato l’ingenuità di Patroclo, e ora stavo fuggendo dalle mie azioni.
Mi misi una semplice tunica bianca, e andai verso la spiaggia. Mentre camminavo, mi accorsi di essere a piedi scalzi.
Non me ne importava.
Proseguii, e dopo alcuni minuti giunsi in riva al mare, quel mare blu che non mi aveva mai tradito nei momenti di maggiore sconforto.
Piansi.
 
***


Il sole era accecante, si infrangeva sulle migliaia di corpi sudati che si scontravano tra di loro in combattimento, rifulgeva di una luce quasi maligna.
Non riuscivo più restare immobile, avevo un assoluto bisogno di una valvola di sfogo, tutte quelle emozioni contrastanti dentro di me rischiavano di schiacciarmi sotto il loro peso. Quella mattina decisi di tornare a combattere, ma non avrei calpestato il mio orgoglio per la mia debolezza – perché era quello il vero motivo per cui ero finalmente tornato sul campo di battaglia. Ero debole, e l’unico modo che conoscevo per dimostrare – agli altri, ma soprattutto a me stesso – di non esserlo era combattere. In fondo era un pensiero molto egoista: massacrare degli innocenti solo per sfogare la mia rabbia e la mia frustrazione.
Come sono caduto in basso.
Per non farmi riconoscere avevo indossato delle armi semplici, raccattando i pezzi nell’armeria comune dell’accampamento, e avevo coperto accuratamente i capelli sotto l’elmo; quest’ultimo copriva anche buona parte della faccia, che altrimenti avrebbe facilmente rivelato la mia identità. Avevo atteso che buona parte dell’esercito andasse avanti, e poi mi ero buttato nella mischia, iniziando a menare fendenti a destra e a sinistra. Mulinavo la spada rabbioso, incurante di tutte le vite che stavo mietendo in quel mattino sin troppo assolato.
Non seppi dire quanto tempo fosse trascorso: ore, forse. Sentivo le gambe cominciare a farsi pesanti, e i nemici continuavano ad arrivare, come fossero infiniti.
Resistetti. Achille non si lascia sconfiggere dalla stanchezza, men che meno sul campo di battaglia.
Poi, lo vidi: la sua armatura rifulgeva come dotata di luce propria, quasi potesse fare a meno di quella soffocante e opprimente del sole, i capelli appiccicati alla pelle del viso per il sudore. Ettore.
Subito mi assalì la voglia malsana di raggiungerlo e di affrontarlo, e poi di fargli implorare che gli fosse risparmiata la vita sotto i colpi della mia spada: era colpa sua se tutti quegli strani sentimenti stavano facendo a pugni dentro di me per far sentire la loro voce su quella degli altri, era colpa sua se ero tornato sul campo di battaglia, venendo meno al mio voto di ignorare i combattimenti.
Mi lanciai contro di lui e ingaggiammo un feroce combattimento. Non c’era traccia di pietà sul suo viso: si batteva come una furia, era un combattente davvero formidabile, instancabile, stentavo quasi a reggere il ritmo dei suoi colpi implacabili. Iniziai a osservarlo mentre combattevamo, e mi accorsi che alla luce del sole i suoi occhi, che la notte prima mi erano parsi di un azzurro quasi tendente al grigio, sembravano color acquamarina, nettamente in contrasto con la chioma corvina.
Al ricordo di ciò che era accaduto poi, mi sentii cedere: era troppo ripensare a come mi ero comportato, a come mi ero sentito. Ebbi qualche istante di esitazione, e ciò fu sufficiente perché il mio avversario riuscisse a sopraffarmi: mi sbilanciò all’indietro, ma io, afferrandolo per un braccio, riuscii a trascinarlo per terra, facendolo rotolare nel pulviscolo di fianco a me. I nostri visi si avvicinarono per qualche secondo di troppo, e vidi nei suoi occhi la consapevolezza e la confusione: mi aveva riconosciuto. Il tempo sembrò fermarsi: Ettore non riusciva a capire come fosse possibile che io fossi lì a combattere, e perché non indossassi la mia armatura, e io non sapevo se avrei dovuto temere il fatto che avesse scoperto la mia identità.
Mi fissò intensamente ancora per qualche istante quando si sollevò in piedi, la spada nella mano destra, poi il suo viso tornò serio, la sua espressione indecifrabile, e si voltò, andando via e tornando verso la città. Io rimasi come inchiodato per terra da quello sguardo, poi raccattai la mia arma e fuggii.
Fuggii dalla piana troiana, da Ettore, dalla mia rabbia, dalla mia confusione. Perché mi aveva lasciato andare? Ormai aveva vinto, ero completamente alla sua mercé: non sarei nemmeno riuscito a difendermi, sopraffatto dal disgusto che avevo per me stesso. Eppure aveva lasciato che scappassi.
Giunsi alla mia tenda quasi senza accorgermene. Gettai per terra l’armatura e mi strappai l’elmo dalla testa, liberando la mia chioma dorata che andò a coprirmi gli occhi.
Urlai dalla frustrazione. Ma che cosa mi sta succedendo?



Dunque: l'ultima cosa, poi giuro che me ne vado. Volevo farvi vedere come più o meno mi immagino gli occhi dei personaggi (io AMO descrivere gli occhi!)



Gli occhi di Ettore me li immagino più o meno così:




Mentre quelli di Patroclo sono all'incirca così:



Va bene... allora ci vediamo al prossimo capitolo! Ciao!
  
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