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Autore: Altair13Sirio    09/04/2015    2 recensioni
Kate è una tredicenne ribelle e solitaria. Ha pochi amici e non va d'accordo con i suoi genitori. Una notte torna a casa dopo una festa, e durante il suo ritorno a casa succedono cose strane... E' una ragazzina coraggiosa, affronta il pericolo a testa alta, ma ha paura... Una grande paura che la opprime nei momenti peggiori.
Kate è seguita da qualcuno, o qualcosa, e sente la sua presenza e la sua influenza farsi sempre più insistenti, e non ha nessuno con cui confidarsi, nessuno a cui appoggiarsi...
Lei è piccola. E' solo una piccola ragazzina che vorrebbe essere grande, e non può nulla contro i pericoli del mondo, ma ci sarà qualcuno, o qualcosa, a proteggerla, alla quale si affezionerà particolarmente, amandolo e desiderandolo, confidandosi con egli, diventando "sua"... Il suo angelo custode.
Genere: Fluff, Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Monster'
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<< Posso venire a parlare con te? >>
Questa era la domanda che Kate fece al telefono alla sua migliore amica Jennifer. Perché? Le aveva chiesto lei stessa di stare fuori da quella faccenda così incasinata, ma adesso era lei ad andare a chiederle aiuto. Si sentiva sola, impaurita a tal punto da non sapere più cosa volesse veramente. Voleva parlare con qualcuno dell’angoscia che la opprimeva, ma allo stesso tempo non voleva mettere in pericolo nessuno, né sembrare una folle. E l’unica persona che poteva capirla appieno era la sua migliore amica, con cui condivideva tutto, alla quale diceva tutto. Forse Kate voleva semplicemente non restare da sola, cercava qualcuno con cui passare un po’ di tempo, per non pensare ai problemi.
Così Kate, dopo aver riacquistato la calma ed essersi assicurata che non ci fosse nessuno attorno alla casa, chiamò l’amica e le chiese di poterle parlare.
<< Cosa è successo, Kate? >> Chiese Jennifer dall’altra parte del telefono; intuiva che c’era qualcosa che non andava, dal suo tono di voce sembrò allarmata. << Hai una voce strana… >>
Kate aveva una voce sommessa mentre parlava con la sua amica; teneva il telefono vicino all’orecchio destro, e la mano sinistra era premuta sull’orecchio sinistro, come se avesse bisogno di isolarsi dal silenzio che la circondava. Era nel buio, e stranamente quella situazione la costringeva a parlare a bassa voce, come se ci fosse qualcuno che non voleva svegliare. << Devo… Devo parlare con qualcuno… >> Disse in fretta con voce flebile, come se non volesse dire troppo al telefono, temendo quasi che qualcuno stesse ascoltando la loro conversazione.
<< Non capisco Kate! >> Disse sconcertata Jennifer. << Stai male? >>
Kate scosse la testa spostando un ciuffo di capelli di fronte al suo viso; si ricordò che Jennifer non poteva vederla e sussurrò quasi senza voce:<< No… >> Ansimava in preda all’inquietudine, sembrava quasi sul punto di svenire. << Ho solo bisogno di… Di parlare con qualcuno… >>
Jennifer sembrò confusa al telefono; dopo un lungo periodo di esitazione la voce della ragazza tornò nel telefono più sicura di sé:<< Va bene Kate, dimmi dove vuoi che ci incontriamo, arrivo subito… >>
Kate sussurrò un:<< Grazie. >> Di sollievo, seguito da Jennifer che le diceva di indicarle dove andare senza preoccuparsi. Kate esitò guardandosi intorno, nonostante nell’oscurità non potesse vedere niente. << Incontriamoci alla caffetteria dell’altra volta… >> Mormorò debolmente. Jennifer accettò dall’altra parte del telefono. << Ma… >> Kate la fece attendere qualche secondo prima di completare la frase, incerta su come farlo. << Dopo andiamo in un posto dove non c’è nessuno… Un posto sicuro… >>
Jennifer sembrò insicura sul significato della richiesta dell’amica, ma accettò comunque, dicendo che sarebbe arrivata subito. << Non ti preoccupare, Kate. >> Disse cercando di rassicurarla. << Andrà tutto bene. >>
Kate annuì ripetendo più volte:<< Sì. >> Come se non volesse sentirselo dire. Poi chiuse la chiamata e abbassò il telefono, rimanendo a fissarlo con occhi persi; l’ombra la avvolgeva, era avvolta nel suo abbraccio inquietante, e Kate non si sentiva per niente a suo agio in quella situazione, nonostante volesse lei stessa quel buio. Ora la ragazza voleva andare via da lì, casa sua, il posto che avrebbe dovuto offrirle protezione e sicurezza, ora era il luogo da cui voleva fuggire.
Si diresse verso la porta mettendosi il telefono in una tasca posteriore dei pantaloni e aprì la porta girando la chiave nella toppa; lentamente, Kate scostò la porta, e la luce del sole calante del pomeriggio la investì, facendole immediatamente alzare una mano per coprirsi gli occhi. Non sapeva cosa fosse più rassicurante e cosa fosse più inquietante, cosa fosse benefico e cosa le recasse del male: la luce o l’oscurità.
Kate chiuse la porta di casa debolmente, quasi riluttante a lasciare quel luogo sicuro, nonostante avesse appena pensato il contrario; il fatto era che, diversamente dal resto della città, Kate sapeva che a casa sua era ben protetta, o almeno poteva nascondersi senza timore, ma ormai non era più così… Dopo aver visto quelle pagine intatte dopo averle strappate con le proprie mani, dopo aver visto la statuetta di suo nonno intatta dopo averla vista cadere a terra e rompersi in mille pezzi, dopo essersi tagliata con un coltello da cucina e aver visto la sua mano tornare illesa come se niente fosse, allora Kate aveva capito che nemmeno a casa sua si poteva considerare sola… In quanto alla sicurezza, doveva ancora capire se tutto quello che le stava succedeno era un bene o un male

Uscì quindi di casa e si avviò lungo il giardino, mantenendo lo sguardo fisso sulla strada di fronte a sé. Non voleva guardarsi intorno e vedere qualcosa che l’avrebbe spaventata, non voleva fermarsi a parlare con la gente, non voleva fare niente, se non raggiungere la caffetteria alla quale si era data appuntamento con Jennifer il più presto possibile.
Per la strada si sentiva gli occhi di tutti addosso, ma non si fermava a chiedersi perché, non provava nemmeno a rivolgergli occhiate minacciose per farli andare via; il suo sguardo infossato era fisso di fronte a sé, in un cipiglio sull’orlo dell’ira. La ragazza non pensava a niente, ma nella sua testa si formavano automaticamente pensieri di odio su quelle persone che la guardavano e che parlavano di lei da lontano. Perché era così? Aveva qualcosa di strano? Il suo modo di avviarsi li spaventava, o forse era solo il suo sguardo? Oppure era qualcosa nel suo aspetto, qualcosa che non gli piaceva e che quindi consideravano anormale, diverso?
<< ANDATE AL DIAVOLO TUTTI QUANTI! >> Gridò fuori di sé voltandosi verso un gruppo di persone che aveva incrociato sul marciapiede, i quali sguardi si erano posati su di lei sconcertati. Come si era voltata verso di loro, si girò di nuovo tornando a camminare rapidamente verso la sua destinazione, senza curarsi delle loro reazioni. Qualunque fosse il motivo dello stupore dei passanti che la vedevano, a lei non interessava; voleva solo arrivare in fretta da Jennifer per poterle parlare e rilassarsi un po’.
Ma perché voleva parlarle? Le aveva chiesto di restare fuori da quella storia, ma ora era stata proprio lei a chiederle di aiutarla… Era stata la paura a prendere il sopravvento su di lei, o forse cominciava a delirare, come quando era stata male e aveva chiamato Jennifer parlando senza senso… Cominciava a chiedersi se fosse stata una buona idea chiamarla, se non avesse prima dovuto trovare una spiegazione logica a quello che le era successo, senza allarmare la sua amica per niente, magari
… Cominciava a pentirsi di quello che aveva fatto, e sul suo viso di dipingeva un'espressione sempre più triste.
Con questi pensieri e quel viso Kate raggiunse la caffetteria senza nemmeno accorgersene ed entrò con sguardo vuoto sfilando rapidamente tra i tavoli; avvistò Jennifer seduta allo stesso tavolo dell’altra volta e si avvicinò rapidamente ad esso.
Jennifer quando la vide le rivolse un sorriso amico, un sorriso rassicurante, ma subito dopo la sua espressione cambiò, sgomenta, come se avesse visto qualcosa di spaventoso. << Kate! >> Esclamò intimidita spalancando gli occhi. Kate non capì cosa volesse e la guardò con espressione di rimprovero. Jennifer rimase immobile a fissarla per alcuni secondi mentre la ragazza si sedeva.
Kate si sedette scivolando leggermente tra il tavolo e il sedile e abbassò lo sguardo sulla superficie di legno piena di venature scure; nonostante la situazione, si irritò nel vedere che proprio di fronte a lei c’era una macchia di caffè sul tavolo. Poi Kate alzò lo sguardo verso Jennifer, che continuava a guardarla con la bocca aperta.
<< Kate…? >> Chiese piegando un sopracciglio. Kate la guardò interrogativa, sospirando subito dopo. << Che ti è successo? >> Fu la sua domanda dopo che si fu ricomposta.
Kate non capì come potesse sapere che aveva avuto una brutta esperienza; era vero che l’aveva chiamata lei per parlarle e chiederle aiuto, ma Jennifer non poteva sapere che cosa le fosse successo, e allora perché le stava facendo quella domanda? Forse vedeva nei suoi occhi che c’era qualcosa che non andava, oppure la conosceva troppo bene per sapere che c’era un problema. Mentre Kate pensava a questo, la sua amica alzò lentamente un dito, puntandolo contro il suo petto; così, la domanda di Kate ebbe una risposta, molto diversa da quella che si aspettava la ragazzina.
Al centro della sua maglietta c’era una larga macchia di sangue, Kate se n’era dimenticata. Fino a quel momento aveva avuto la testa occupata dal pensiero della sua incredibile guarigione, e si era completamente dimenticata di tutto il sangue che aveva perso e che aveva lasciato in giro per casa… Poteva essere così sbadata?
<< Oh… >> Mormorò la ragazzina piegando la testa in basso e tendendo la maglietta con le dita per vedere meglio la macchia sul suo petto. << Me n’ero scordata… >> Lasciò andare la maglia e cercò di non concentrarsi troppo sulla macchia di caffè sul tavolo. << Non ti preoccupare: è sangue mio. >> Disse in tono rassicurante. Jennifer inarcò un sopracciglio guardando Kate sconvolta. Come faceva a dire quella cosa con quella calma in quella situazione?
<< Cosa? >> Scandì Jennifer quasi sussurrando e avvicinandosi a Kate, cercando di capire qualcosa di quello che stava succedendo. Anche Kate non capì la sua domanda, e allora si ricordò della situazione.
La ragazza sussultò e si guardò intorno. Tutti i dubbi, le sue paure, tornarono a galla. << Che cazzo sto dicendo…?! >> Esclamò trattenendosi e piegando in avanti la schiena. << E’ successo un casino, Jennifer. Un casino! >>
<< Cosa dici? >> Chiese Jennifer guardandola ancora confusa. Kate si guardò intorno.
<< Non lo so. >> Disse. << Non so se posso dirtelo o se posso farlo qui… >> Mormorò continuando a guardarsi intorno nervosa. << Meglio trovare un posto sicuro e parlare con calma. >> Concluse rapidamente alzandosi e allontanandosi dal tavolo. Jennifer la seguì con lo sguardo strabiliata e Kate si girò a fissarla. Fece un rapido movimento con la mano per farla venire e disse tra i denti:<< Muoviti! >>
Jennifer scosse la testa come per destarsi e si alzò in fretta, seguendo la richiesta dell’amica, che fu fuori non appena vide Jennifer alzarsi.
L’amica le corse dietro cercando di farle rallentare il passo, ma Kate continuava a camminare senza guardarsi intorno, fissando lo sguardo di fronte a sé. Si fermò dopo che Jennifer le ebbe tirato il braccio per la terza volta. Si voltò e scandì decisa:<< C’è un posto sicuro dove possiamo parlare? >>
Jennifer si fermò all’improvviso sussultando e riprendendo fiato e la guardò confusa. << In casa mia saremo al sicuro… >> Disse incerta; che cosa poteva dire? Non poteva saperlo perché non sapeva che cosa intendesse Kate per “sicuro”. Da cosa si dovevano nascondere?
<< Ne sei certa? >> Chiese Kate prendendola per le spalle. Jennifer rimase spiazzata da quella domanda; vide meglio il viso della sua amica: era sudata e spaventata, gli occhi spalancati e le mascelle serrate indicavano che era sul punto di perdere la ragione. Le stava succedendo qualcosa di strano, qualcosa mai successo prima, e Jennifer era l’unica persona a cui potesse chiedere un po’ di conforto.
La ragazza annuì decisa. << Sì. >> Disse guardandola dritta negli occhi. La prese per una mano, l’espressione di Kate cambiò in sorpresa quando lo fece. Jennifer cominciò a tirarla e le disse eccitata:<< Devo mostrarti una cosa! >> Sembrò essere cambiata completamente dopo quella risposta.
Kate non capì più niente; mentre la sua amica la tirava correndo lungo il marciapiede con fare gioioso, rivolgendole parole amichevoli e rassicuranti, lei cercava di farle domande, chiederle cosa stesse dicendo. Era già cambiato qualcosa in lei.
Fu con rapidità e senza troppi dubbi o timori che le due ragazze raggiunsero la casa di Jennifer, dove Kate era già stata tante volte. Entrarono rapidamente, Jennifer diede una voce per informare chi era dentro che era tornata e subito dopo arrivò la signora Kutner ad accoglierla; la donna assunse un sorriso gentile quando vide anche Kate assieme a sua figlia. Jennifer evitò con destrezza i convenevoli di sua madre e trascinò Kate al piano di sopra, in camera sua.
Kate stava ancora riprendendo fiato dalla corsa mentre Jennifer chiudeva la porta dietro di loro. Poi raggiunse un armadio sulla destra e cominciò a rovistarci dentro, alla ricerca di qualcosa.
La camera di Jennifer non era piccola; al centro vi stava un letto alto e accanto ad esso c’era un comodino di legno con sopra una abat jour e una foto del padre della ragazza. A terra c’era il parquet scuro, molto simile a quello della camera di Kate. Di fronte al letto, al muro opposto, spostata poco più a destra, c’era un mobiletto con sopra un piccolo televisore e collegata ad esso c’era una console per videogiochi con la quale le due ragazze si divertivano ogni tanto, e sopra quel televisore c’erano alcune mensole sulla quale vi erano disposti diversi giornalini e libri in ordine dal meno al più recente. L’armadio in cui Jennifer stava rovistando in quel momento era accanto a quel mobile, dal lato della porta. A destra, in fondo alla stanza, c’era una finestra che dava la vista su un giardino molto carino da vedere; sotto la finestra c’era una scrivania dove Jennifer studiava, e lì all’angolo della scrivania c’era un computer portatile chiuso.
Kate alzò lo sguardo verso Jennifer girata di spalle e le chiese:<< Che diavolo stai facendo? >> Ancora con il fiatone. Non riuscì a sembrare adirata.
Jennifer si voltò tenendo tra le mani un abito leggero celeste con alla vita una fascia bianca legata da un fiocco dello stesso colore. Kate non capì. << Guarda! >> Disse eccitata la sua amica mostrandoglielo da più vicino. Kate continuava a fissarla con un sopracciglio inarcato, incapace di capire il senso di tutto quello. Jennifer continuò a parlare poggiandosi il vestito sul busto e cercando di vedere come le stava. << Mia madre mi ha portato a fare compere l’altro giorno, e mi ha regalato questa meraviglia! >> Era contenta come un bambino di fronte a un nuovo giocattolo…
Jennifer sorrise voltandosi verso lo specchio e assunse un tono dolce. << Pensavo che dopo tutto quello che ci è successo, dovremmo pensare ad altro e dimenticarci dei problemi… >>
Dimenticarci dei problemi. Kate aveva finalmente capito dove volesse arrivare l’amica; stava cercando di aiutarla a non pensare ai problemi, la stava aiutando. Proprio quello che cercava lei! Kate aveva chiamato Jennifer perché spaventata, non sapeva bene cosa volesse fare una volta incontrata la ragazza, ma non appena la sua amica l’aveva vista, aveva capito subito cosa fare, e aveva preso la situazione in pugno senza far preoccupare la sua amica.
Kate sorrise dolcemente avvicinandosi a Jennifer. << Hai proprio ragione… >> Disse tenendole su l’abito sulle spalle e sorridendole in riflesso nello specchio. << Ti sta benissimo. >>
Jennifer si voltò felice e abbracciò Kate, sapendo di averla rincuorata un po’ comportandosi come sempre, come se tutto quello che le aveva tormentate non fosse mai accaduto; in fondo era questo il compito di un’amica: bisognava supportarsi a vicenda, esserci nei momenti più bui.
   
 
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