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Autore: Wendy90    09/04/2015    0 recensioni
Dopo la tragedia che ha sconvolto completamente la sua vita, Diletta Monteri è costretta a trasferirsi dalla sua bella e soleggiata Sicilia alla cupa e nebbiosa Milano per andare a vivere con le uniche parenti che ancora le rimangono: tre zie zitelle e svitate, direttrici di un convitto universitario del tutto fuori dal comune. La povera Diletta si ritroverà catapultata improvvisamente in questa stravagante ed disparata famiglia allargata, composta da una compagna di stanza “un po’ gay e un po’ no”, un aspirante calciatore dalle false speranze, una studentessa modello di medicina senza vita sociale, un arrogante playboy dalla faccia d’angelo e dal tormentato e misterioso “ragazzo con la tuta” della stanza 106. Riuscirà Diletta a ritagliarsi un posto in questo strambo mondo e a cancellare i fantasmi del passato che le impediscono di sorridere e tornare ad essere felice?
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO SEI
 
 
POV LUCIO
 
 

Quando rientro al West Sunrise sono le cinque del pomeriggio.
Non ho studiato un cazzo e ho l’esame tra una settimana.
Sarà meglio che mi sbrighi a recuperare gli appunti delle lezioni che ho perso.

Entro dalla porta del retro del convitto e in cucina trovo la zia Ava e la zia Morgana; la prima è intenta a preparare la cioccolata calda, la seconda a mangiarla direttamente dal pentolino.
Nonostante sia di pessimo umore sento un moto di affetto verso quelle due strambe vecchiette.

Venire a vivere qui al West Sunrise è stata l’idea più azzeccata che io abbia mai avuto.
Avevo bisogno di staccare, di allontanarmi da quella casa, dai miei genitori, dai miei amici. Da lei.
Mia mamma ogni tanto ancora ci prova a convincermi di tornare a casa.
Ma lei non sa.
Lei non immagina nemmeno quello che è successo in quella casa negli ultimi due anni.

Quando le passo accanto zia Ava mi fa un sorriso e mi da una carezza sulla spalla. È sempre stata la mia preferita, la dolce Avalon. Sarebbe stata una mamma fantastica. Ma per tutti noi è un po’ come se lo fosse.

Noto solo ora che appollaiata sullo sgabello della penisola c’è la ragazza nuova, Diletta. Sta soffiando sulla tazza della cioccolata, lo sguardo fisso sul libro tutto sbrindellato che ha appoggiato sul tavolo.

Alza lo sguardo quando la supero per prendere qualcosa da mangiare nel frigorifero. Le faccio un cenno con la mano e lei mi risponde nello stesso modo.

Mi siedo accanto a lei e rimango ad ascoltare la conversazione delle zie, che stanno discutendo su chi secondo loro è l’assassino nella soap opera che guardano tutti i lunedì.

«Vuoi una tazza di cioccolata calda, Lucio?», mi chiede la zia Ava. Senza nemmeno aspettare la mia risposta me ne versa mezzo litro nella tazza.

Mi rassegno a riprendere le calorie che ho appena perso durante la corsa e verso lo zucchero nella cioccolata. Il mio sguardo cade sul titolo del libro che sta leggendo Diletta.

«Cime Tempestose?».

Diletta mi guarda e sgrana gli occhi, come se fosse stupita.
La sua reazione mi spiazza. Sembra sorpresa che le abbia rivolto la parola.
E per un secondo mi chiedo la stessa cosa: le ho già parlato, prima d’ora, vero?

«Già. È uno dei miei libri preferiti», risponde poi, abbassando lo sguardo e ritornando a concentrarsi sulla sua lettura.

Rimango a guardarla, soprapensiero, mentre cerco di non scottarmi la lingua con la cioccolata.
È piccolina, ha il fisico come quello di una ragazzina di tredici anni. Credo che tutta in piedi non arrivi nemmeno a sfiorarmi il petto. Il suo viso è piccolo e la pelle è color avorio. Penso che nemmeno ore e ore sotto il sole cocente potrebbero regalarle un’abbronzatura permanente.

Nella testa mi balena un altro ricordo traditore, è così chiaro che mi sembra di avere la scena davanti agli occhi.

La casa al mare. La nostra piccola spiaggetta privata. Mamma e papà che dormono abbracciati sotto l’ombrellone. Chels sdraiata sul lettino sotto il sole, come una lucertola. La sua pelle che si colora delle graduazioni dorate, lo striminzito bikini nero a coprirle il minimo indispensabile.
Si gira verso di me, portandosi una mano sulla fronte per coprirsi gli occhi.
“Lucio mi spalmi l’olio abbronzante?”
E il suo sorriso, un ghigno, una smorfia.
Il sorriso di chi sa che otterrà ciò che vuole.


La voce della zia Gin fa breccia nei miei pensieri. È appena entrata in cucina e sta parlando al telefono.
«Si, Augusto, ho capito. Ma non puoi fare qualcosa tu? Si...oh, questo è un bel problema. Va bene, dammi dieci minuti».

Diletta alza lo sguardo sulla zia proprio mentre questa chiude il telefono con sospiro.
«Tesoro, mi dispiace tanto. Mi hanno appena chiamato dall’Organizzazione, hanno bisogno di me urgentemente».

La zia Ginevra appare davvero dispiaciuta.
«Non preoccuparti zia, prenderò l’autobus», si affretta a rassicurarla Diletta, alzandosi dallo sgabello e chiudendo il libro.

«Il mio furgone ce l’ha Claudio, bambina, altrimenti ti accompagnavo io», dice zia Ava nello stesso istante in cui la zia Morg esclama «No, tesoro, non puoi prendere l’autobus! Fra poco farà buio e non mi piace la gente che c’è in giro».

«Qual’è il problema?», chiedo io, rivolto alla zia Gin. Lei mi guarda come se mi avesse visto solo adesso e anche Diletta si volta a guardarmi.

Avevo indovinato. È alta più o meno quanto il mio braccio e sembra sorpresa che io parli la sua stessa lingua.
«Diletta deve andare a comprare delle cose per la scuola al centro commerciale», mi spiega la zia Ava.

«Se vuoi ti accompagno io», propongo, scrollando le spalle.
Tanto di studiare per oggi non se ne parla.

Ho bisogno di liberare la mente per un po’ dal pensiero dell’università. E di Rachele.

La zia Gin si apre in un sorriso rassicurato «Sei davvero molto gentile, Lucio, te ne sono grata. Tesoro con Lucio ti sbrigherai in un secondo», aggiunge, rivolta a Diletta, che ancora mi sta guardando in modo strano.
È lo stesso sguardo che di solito si rivolge ad uno sconosciuto troppo amichevole o ad un cagnolino carino che però ti ringhia contro.

Non so perchè ma mi viene da ridere.
«Non ti mangio mica, giuro. Devo comprare anche io delle cose per l’università», la rassicuro, alzando le mani come se fossi davanti ad un poliziotto.

Diletta arrossisce di colpo e borbotta qualcosa che non riesco a sentire. Poi fa un sorriso alle zie, recupera la sua giacca e viene verso di me.
«Non metteteci tanto che stasera c’è la serata pizza. E sapete quanto sono petulanti gli altri al riguardo», ci urla dietro la zia Morgana, mentre usciamo dal vialetto principale.

Diletta mi cammina accanto in silenzio, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli. Le indico la macchina parcheggiata con un dito e sempre senza parlare ci avviamo verso il centro commerciale.

Accidenti.
Non avrei mai pensato di conoscere una persona ancora più silenziosa di me. Non so nemmeno cosa potrei dire per iniziare una conversazione, così mi limito a guidare in silenzio. Quando arriviamo al parcheggio del centro commerciale Diletta si gira verso di me.

«Grazie per avermi accompagnata. Posso tornare in autobus, se hai altro da fare. Prometto che non lo dirò alla zia Morg».
Fa piccolo sorriso e apre la portiera.

«Scusami, ma ci tengo alla mia vita. Non ho niente da fare, vengo con te», mi affretto a dire, immaginando già la scenata che mi farebbero le zie Camelot se tornassi al convitto senza la ragazzina.

Diletta si stringe nelle spalle e con la mano sposta i lunghi capelli neri tutti da un lato.

Quel gesto è per me come un pugno nello stomaco. Per un istante non vedo più Diletta ma Rachele, una delle tante volte che l’ho accompagnata nei suoi giri per negozi.

Mi fermo di colpo, portandomi una mano al petto per cercare di riprendere fiato.

«Ti senti bene?», mi chiede Diletta, guardandomi preoccupata.

Cerco di riscuotermi dai miei pensieri e mi do del coglione da solo. Non voglio che la ragazzina torni a casa pensando che sia uno squilibrato o quant’altro.
«Si, scusa. Arrivo».

Mi affretto a raggiungerla ed insieme in perfetto silenzio entriamo nel centro commerciale.
Al contrario delle mie aspettative, Diletta non si ferma ogni tre secondi a guardare le vetrine dei negozi come penso facciano tutte le ragazze di questo mondo. Tira dritta per la sua strada, puntando immediatamente all’ingresso del supermercato e al reparto di cancelleria. Non riesco nemmeno a starle dietro, talmente cammina veloce.

«Guarda che non ci corre dietro nessuno, puoi anche rallentare», esclamo quando la raggiungo, non riuscendo a trattenermi dal sorridere.
Diletta mi lancia una occhiata di sbieco, metà imbarazzata e metà divertita.

«Devo solo comprare qualche quaderno e qualche penna. Se vuoi, puoi fare un giro nel reparto che vuoi, intento che io scelgo. Non mi va di farti aspettare».

Mi giro a guardarla «Se hai intenzione di sbolognarmi perchè ti devi incontrare con qualcuno puoi anche dirmelo eh! Posso sempre fare il palo per te».

Diletta avvampa per l’imbarazzo e io non posso fare a meno di notare che il rossore si addice in modo tenero alle sue guance bianche.
«Non devo incontrare nessuno. Pensavo solo ti stufassi a strami appresso», borbotta, alzando gli occhi al cielo.

Voltandomi le spalle, comincia a guadare le file di quaderni esposte con cura sugli scaffali.
Ridacchio e mi appresto anche io a trovare un nuovo quaderno degli appunti da usare per le lezioni.

Con la coda dell’occhio però osservo Diletta, tutta intenta a guardare ogni quaderno uno ad uno. Si sofferma su ogni tipo, come se stesse cercando qualcosa in particolare. La vedo fermarsi davanti ai quaderni di solito destinati ai bambini, quelli con gli animali stampati a foto reale sulla copertina.

Silenziosamente le scivolo accanto, cercando di capire quale quaderno ha scelto. Tiene tra le mani tre quaderni e ciascuno di essi ha raffigurati dei leoni. Li guarda uno ad uno, con le sopracciglia aggrottate e lo sguardo concentrato.

«Perchè proprio i leoni?», le chiedo a bassa voce, cercando di non far trapelare la mia curiosità e anche cercando di non spaventarla. È talmente persa nei suoi pensieri che a malapena mi ascolta.

«Piacciono a mio fratello», dice, sempre concentrata sui quaderni che ha in mano, la mente sicuramente lontana mille miglia da qui.

Ha usato il presente, ma la cosa non mi sorprende.

So quello che è successo alla sua famiglia. Le zie Camelot ci hanno informato di tutto non appena hanno saputo che Diletta si sarebbe trasferita da noi al Sunrise.
Improvvisamente provo un moto di affetto per questa ragazza a cui la vita ha portato via tutto.

«Piacciono molto anche a me. Da piccolo ho persino tentato di liberarne uno dalla gabbia allo zoo per portarmelo a casa», mi ritrovo a dire, forse per distoglierla dai pensieri tristi.

Gli angoli della sua bocca si alzano di qualche centimetro «Davvero? Non sei riuscito a liberarlo sul serio, vero?».

«No. Papa è riuscito a fermarmi in tempo. Per farmi smettere di piangere ha dovuto comprarmi un pupazzo e lo zucchero filato», ammetto, stringendomi nelle spalle.

« Marco diceva sempre che da grande avrebbe fatto il domatore di leoni».
La voce di Diletta si incrina e si addolcisce nello stesso tempo. Noto nei suoi occhi un lampo di dolore che nessuno vorrebbe mai vedere in una ragazza come lei.

«E tu invece? Cosa volevi fare da grande?». Non mi rendo nemmeno conto di essere veramente interessato alla risposta.

Diletta punta gli occhi nei miei e per la prima volta mi accorgo di quanto siano belli: di un azzurro quasi trasparente, glaciale, penetrante come il ghiaccio.

«Il Re a cavallo di un Andaluso».
 

*

POV DILETTA

Lucio mi fissa per un momento con gli occhi sgranati. Poi la sua bocca si apre in un sorriso che diventa presto una risata.

«Ok, questa proprio non me l’aspettavo», ride, scuotendo la testa, senza smettere di guardarmi.

Mi stringo nelle spalle, sorridendo anche io « È la verità. Sognavo di guidare un esercito in battaglia».

«A parte il fatto che non ho la minima idea di cosa sia un Andaluso», esclama Lucio, continuando a ridere « non ho mai sentito di nessuna bambina che sogna di essere un condottiero – uomo per giunta – di un esercito. Mi aspettavo come risposta un veterinario, una maestra o una ballerina...».

«Chi vorrebbe mai fare cose così banali a cinque anni?», mi limito a dire, facendo finta di non aver sentito l’ultima parola.

«E io che pensavo che diventare astronauta fosse il mestiere più avventuroso del mondo».

Lucio continua a ridacchiare, palesemente divertito «Non oso chiederti perchè proprio a cavallo di un Andaluso».

«Era il cavallo di Zorro», rispondo prontamente, stringendo a me i quaderni e cominciando a spostarmi verso la parte matite e pennarelli.

Lucio sorride, appoggiandosi a braccia incrociate allo scaffale e mostrandomi la sua fila di denti bianchissimi «Ovviamente».

Mi volto a guardarlo e i suoi occhi incatenano i miei.
Sto per aprire la bocca e dire qualcosa, per cercare di smetterla di fissarlo, quando una voce dietro di noi fa sobbalzare entrambi.

«Lucio?».

Lucio si gira e irrigidisce improvvisamente. Il sorriso gli si spegne sul viso e nei suoi occhi passa un lampo di preoccupazione.
«Mamma? Che ci fai qui?».

La donna davanti a noi è una bella signora elegante dai capelli biondi. Indossa un completo color panna e sembra appena uscita da una rivista di moda.

«Amore mio, cosa ci fai tu qui?», chiede la donna, sorpresa almeno quanto noi dell’incontro. Si avvicina per stringere il figlio in un abbraccio e anche a qualche centimetro di distanza riesco a sentire la fragranza floreale del suo profumo.

«Ho accompagnato Diletta a prendere delle cose per la scuola», risponde lui, guardando al di sopra della spalla della madre, come se si aspettasse di vedere qualcuno.

La donna posa per la prima volta gli occhi su di me e il suo viso perfettamente truccato si apre in un sorriso.
«Piacere di conoscerti, Diletta cara», esclama, staccandosi dal figlio per venire ad abbracciare me.
Rimango spiazzata da questo slancio d’affetto e non riesco a fare altro che balbettare «Piacere mio».

«Oh, sono così contenta di averti trovato qui, Lucio», continua la donna – di cui mi accorgo di non sapere nemmeno il nome. «Volevo passare al convitto giusto un giorno di questi. Visto che non rispondi mai al telefono non sapevo in che altro modo contattarti».

Lucio borbotta qualcosa che non riesco a capire. È cambiato completamente nel giro di qualche secondo. È tornato ad essere il ragazzo taciturno e ombroso che ho incontrato al convitto.

Lo osservo per cercare di capire cosa c’è che non va: i suoi occhi continuano a dardeggiare da una parte all’altra del corridoio in modo quasi frenetico.

«Devi venire a fare le prove per il vestito, tesoro, sai che ci vuole tempo per queste cose e noi siamo già in ritardo». Sua madre continua a parlare come se non si fosse accorta di niente.

«Passo da casa uno di questi giorni, promesso», taglia corto Lucio, guardando la madre con le mani in tasca.

«Mi raccomando, amore, lo sai quanto Kelly ci tenga che tutto sia perfetto», insiste la madre, posandogli una mano perfettamente smaltata sulla spalla.
Mi ricordo solo ora che Milla ieri sera aveva accennato al matrimonio della sorella di Lucio e ricordo anche la reazione che aveva avuto lui al riguardo.

«Certo, certo», risponde Lucio a denti stretti, come se fosse arrabbiato per qualcosa. Forse non ha voglia di perdere tempo per i preparativi del matrimonio? «Sei da sola?», chiede poi alla mamma.

«No, c’è qui Kelly da qualche parte, sta cercando le decorazioni per la cena di sabato sera», risponde lei girando la testa per guardarsi intorno.

Vedo Lucio sbiancare e irrigidire le spalle.
Improvvisamente mi afferra la mano e mi tira a se.

«Scusa mamma, ma ora dobbiamo proprio scappare. Devo riportare Diletta a casa».

«Oh, certo, certo... e ricordati che sabato sera abbiamo la cena con il reverendo! Perchè non porti anche Diletta con te? A Kelly farà sicuramente piacere...oh, guarda, eccola che arriva!».

La mamma di Lucio comincia a sbracciarsi per attirare l’attenzione di una ragazza bionda che sta venendo verso di noi.

«Non abbiamo tempo per aspettare», sbotta Lucio, cominciando ad incamminarsi nella direzione opposta «Ti chiamo io mamma, scusami ma devo proprio andare».

La sua mano è ancora stretta tra lei mie quando la voce della ragazza raggiunge le nostre orecchie.

«Lucio?»



Angolo autrice:
Ovviamente non ho scuse per il ritardo. Spero che ci sia ancora qualcuno disposto a leggermi :( 
Grazie in anticipo a tutti e buona serata

  
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