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Autore: _Deadly_Poison_    10/04/2015    0 recensioni
Lui accoglie le anime erranti, le aiuta a trovare la loro forma materiale, e spera di aiutarle a riportare il corpo alla vita. A volte ci riesce, altre meno... Se uno straniero arriva inaspettatamente nel vostro villaggio, non cacciatelo via: può essere il Portatore di Anime.
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ehi, ci sei? Perché non mi vuoi parlare? Ho forse fatto qualcosa di sbagliato? Ehi…»

Non lo sapevo nemmeno io perché, ma non mi andava di rispondere. Rimasi chiuso nel mio mutismo per tutto il tragitto e anche lui smise di farmi domande dopo un po’.

Guardai dal finestrino della carrozza in legno. I cavalli avevano rallentato il passo. Avevamo viaggiato a lungo, non riconoscevo quei posti. Eravamo partiti dal villaggio prima che Palla di Fuoco si accendesse e adesso si stava già spengendo. Fra non molto, Luce Fredda avrebbe preso il suo posto nel cielo, e il mondo, sotto il suo incantesimo, si sarebbe addormentato. Non tutto il mondo, io no, non dormivo come si deve da parecchio tempo.

Mi sfregai gli occhi, bruciavano. Feci lo sbaglio di chiuderli per un attimo. Lui era lì, non aspettava altro.

«Ho l’intenzione di tenerti intrappolato qui, nel tuo subconscio, finché non mi dirai cosa ti prende. Mi tieni il muso e io voglio sapere perché. Pensavo fossimo amici» si lamentò lui.

La mia mente e anche il mio corpo, diventavano troppo stretti per due. Un po’ come vivere in dieci, in un monolocale con un solo bagno. Non è fattibile a lungo andare. Mi mancavano i miei spazi.

«La prossima volta che decidi di baciare una ragazza, dovresti chiedere almeno il mio parere al riguardo. Dopotutto, sono IO a metterci la faccia, ti stai approfittando del mio corpo» sbuffai nervoso.

Era andato tutto bene, fino alla nostra partenza quando lui aveva deciso (de testa sua) di salutare Lena con un bacio. La mia Lena, quella che io amavo in silenzio da sempre. Aspettavo solo il momento giusto per confessare l’amore che provavo per lei, ma lui aveva rovinato tutto.

«Cosa? Sei arrabbiato perché ho realizzato quello che tu avevi immaginato tante volte? Credevo di farti un piacere!» rispose irritata la voce dentro di me.

«Sai che me ne faccio dei tuoi “piaceri”? Tu fai il bravo e aspetta tranquillo che arriviamo alla destinazione. Al resto ci penso io.»

«Non pensare troppo, sento già puzza di bruciato» commentò ironico. «Molto probabile un corto circuito, visto che hai sovraccaricato il tuo cervello. Pensare è una cosa che fai di rado.»

Digrignai i denti così forte che sentì una scheggia staccandosi dal mio molare già malridotto. Mi sarebbe costato una visita dal Guaritore, al mio ritorno… ammesso che ci sarebbe stato uno.

«In tutta la mia vita, non ho mai incontrato un’Anima irruenta come te. Mai!» gli urlai sforzandomi di svegliarmi. Non riuscendo, mi rifugiai in un angolo remoto della mente, dove lui non mi avrebbe trovato. Ci sono parti di me che gli Ospiti non conoscono, per fortuna, e lì posso stare in pace, da solo.

Mi chiamo Kad-Killal,  sono il Calice della tribù della Valle del rubino. Diciamo che posso ricevere un’altra anima dentro di me, per un breve tempo. Io le aiuto a ritrovare il loro corpo, oppure, trovo loro uno che le ospiti. A volte, si staccano dalla forma materiale e si smarriscono nel mondo dei vivi. Succede di solito quando il corpo subisce un trauma forte oppure, quando si cede alle promesse lusinganti di Rostab – Colui che non ha un volto. A lui serve il corpo libero per poter insinuarsi della mente e nel cuore, e così le Anime vengono scacciate via.

Quest’anima l’avevo tenuta troppo dentro di me, ecco perché entrambi eravamo agitati, ma il viaggio sarebbe presto giunto alla fine.

Prima di partire, Coloro che vedono lontano, mi avevano detto che l’Anima apparteneva ad un membro della tribù dell’Aquila, ed era lì che stavamo andando. Palla di Fuoco si sarebbe risvegliata un’altra volta, e allora io sarei arrivato al loro villaggio. Avevo tempo si riposarmi, speravo che l’avesse fatto anche il mio coinquilino.

Aprì gli occhi quando un raggio di luce toccò il mio viso, e cercai di riprendere il controllo sul mio corpo. Il mio stomaco brontolò indignato ricordandomi che avevo saltato la colazione.

Stesi le gambe, stirachiandomi a lungo, poi frugai nella sacca in pelle ricamata che mi ero portato dietro da casa. Impacchettate in un pano, trovai striscioline di carne di manzo essiccate e le divorai in un batter d’occhio. Bevetti qualche sorso di acqua per lavare via il sapore dalla bocca. Adesso sto meglio!

Fuori, il paesaggio era cambiato. Le pianure e le colline basse, si erano trasformate nella notte, in montagne alte e minacciose che si ergevano fiere nel cielo limpido di cristallo.

«Ci siamo, queste sono le nostre terre

Senti la trepidazione nella voce del mio Ospite. Sorrisi. La rabbia di prima, era svanita e io ero tornato a sentimenti migliori. Il Grande Spirito mi aveva affidato un compito importante e volevo essere all’altezza.

La carozza si fermò all’improvviso ai piedi della montagna. Scendiamo alla prossima fermata, grazie, pensai guardando disperato il bianco accecante della neve. Non volevo scendere, ma dovevo. I cavalli nitrirono innervositi. Il loro viaggio finiva, il mio ancora no. Il resto del cammino lo dovevo fare a piedi.

 Presi il mio giubbotto foderato con pelliccia di lupo e scesi. I miei stivali sparirono ingoiati dalla coperta soffice di neve. Una folata di vento mi sferzò il volto, facendomi pentire di essere sceso dall’abitacolo caldo e sicuro della capsula. Slegai i cavalli. Sarebbero tornati a casa da soli, ne ero sicuro.

«Maledizione! Non potevi far parte di un’altra tribù? Odio il freddo, odio la neve» dissi scrutando l’orizzonte in cerca del villaggio che non voleva venire allo scoperto.

 «Non lo ascoltare, Spirito Bianco, non sa quello che dice» sentì il suo pensiero arrabbiato nella testa.

Feci finta di non sentire. Agganciai la mia sacca, tirai su il cappuccio del giubbotto e infilai i guanti. Non intendevo morire assiderato in quelle terre straniere.

Alzai lo sguardo fissando una cima con pendii dolchi, non molto lontana da dove mi trovavo.

«Lassù, dobbiamo arrivare lassù

Un respiro profondo, e l’aria fredda mi bruciò i polmoni, facendomi annaspare. Come facevo ad arrivare in cima alla montagna?

Decisi di mettermi in cammino, tanto no avevo scelta. Dovevo sfruttare la luce di Palla di fuoco il più possibile. Avevo fatto soltanto qualche metro quando scivolai cadendo a faccia in giù. Mi veniva da piangere.

«Ti ricordi quando mi hai trovato

L’anima mi parlava con voce calma, piena di comprensione che mi diede conforto. Annuì.

«Ero confuso, non capivo cosa stesse succedendo, e tu mi hai tranquillizzato dicendomi di fidarmi di te, che mi avresti aiutato. Ora io ti dico: fidati di me! Ti guiderò io.» Fece una pausa. «Segui le orme degli animali. Loro conoscono i sentieri sicuri della montagna

Mi scrollai di dosso la neve e ripresi a camminare. Io non ero un cacciatore, non sapevo prendere l’orma, ne seguire le tracce, ma intendevo fare del mio meglio. Avanzavo con difficoltà e più, salivo, più sentivo la gola bruciare. La pelle del viso tirava e, presto, non mi sentì la punta del naso. Lacrime fredde scendevano dai miei occhi. Perché Palla di fuoco se ne stava a guardare senza dare calore? Che mondo strano.

Gli alberi nei loro abiti immacolati, sussurravano al mio passaggio e il vento portava il loro mormorio in alto, affinché lo potesse udire tutta la montagna.

Da lontano, giunse fino a me l’ululato di un lupo.  Un brivido percorse la mia schiena. Il lupo era l’animale totem della mia gente, io ne portavo sulle spalle la pelliccia e, al collo, una zana bianca.  Erano appartenute al maschio alfa del branco.

Quando lo Spirito dell’Universo l’aveva chiamato a lui, Quenray, la nostra strega, le aveva prese e le aveva date a me. Aveva bruciato le sue carni e con la cenere mi aveva cosparso dalla testa ai piedi, invocando la sua protezione su di me.

Mi vennero in mente le parole che Quenray canticchiava sottovoce, inginocchiata alla testa dei fratelli che lasciavano questo mondo. “Il lupo apparirà davanti a te. Prendilo come tuo fratello, perché il lupo conosce l’ordine delle foreste. Egli ti condurrà per via piana verso il paradiso…”.

Il Paradiso può attendere, non ho intenzione di andarci oggi, pensai arrampicandomi su un versante ripido con poca vegetazione. Avevo bisogno che mi guidasse nel mondo dei vivi. Alzai gli occhi al cielo e, con la testa appoggiata alla schiena liberai un ululato disperato, che si spense piano, piano nella vale.

Rispondimi, ti prego. Arrancai ancora con le gambe tremanti, incespicando nelle radici.  Gli alberi si diradavano e riuscì a intravedere il vuoto alpino che si apriva dinanzi a me. 

Nessuna risposta. Mi prese lo sconforto.

«Continua verso est, non ti fermare» mi incitò l’Anima.

Guardai Palla di fuoco e cambiai direzione. «Spero che tu abbia ragione, altrimenti morirò, e le nostre anime vagheranno in eterno tra questi monti.» La mia voce uscì spezzata e flebile.

La foresta finì, e io mi ritrovai in una distesa di neve interminabile; un punto minuscolo che disturbava il bianco perfetto del paesaggio. Camminavo piano, trascinando le gambe che non volevano sapere di muoversi. Respiravo attraverso la sciarpa di lana che avevo al colo, tentando di scaldare l’aria prima di ispirarla. Di tanto in tanto dovevo girarla, perché il mio respiro umido la gelava. Mia sorella me l’aveva infilata con forza nella sacca. Le ringraziai, mi faceva molto comodo.

«Parlami di te, raccontami della tua gente» chiesi con un filo di voce. Le forze mi abbandonavano, mi serviva qualcosa su cui concentrarmi per rimanere sveglio e cosciente.

«Quando ero piccolo mi persi nella foresta» iniziò lui. «Ricordo che avevo una paura tremenda, e che cominciai a piangere e a urlare a squarcia gola.» Lo sentì ridacchiare. «Quando mio padre mi ritrovò, io le fuggì incontro chiamandolo più forte che potevo. Lui mi diede uno schiaffo tremendo e mi guardò fisso negli occhi. Non capivo perché l’avesse fatto, forse perché mi ero perso? Glielo chiesi tra le lacrime.» Si fermò per un attimo, poi ricominciò. «Mi disse che urlando, avevo disturbato la pace della Foresta, che avevo messo in pericolo la mia vita, attirando su di me l’attenzione dei Predatori. Potevo essere ucciso

«Non ci vuole una grande intelligenza per capirlo» commentai senza pensarci. «Cos’è questo rumore?» domandai raddrizzando la schiena.

«La montagna. È viva. Il vento è il suo respiro, lo senti?»

Lo sentivo eccome. Flagellava la pelle scoperta del mio volto senza pietà, infierendo su di me, ma quel rumore non aveva nulla a che fare con il vento. «Shhh, ascolta!»

Un rumore basso che man, mano cresceva in intensità, come se una mandria di cavalli selvatici stesse per travolgerci.

«Scava! Scava!» urlò terrificato nella mia testa.

«Cosa? Con che?»

«Con le mani, veloce. Una valanga ci raggiungerà tra pochi istanti.»

Eh?! Inginocchiai e iniziai a ruspare la neve più veloce che potevo. Il cuore mi batteva all’impazzata, minacciando di saltare dal petto. Mi girava la testa per lo sforzo.

«Entra dentro, adesso! Poggia la fronte a terra, vicino ai ginocchi. Devi fare in modo da mantenere l’aria là sotto.»

Mi rannicchiai nella buca e feci come diceva lui, riparandomi la testa con le braccia. Un attimo dopo, un fiume di neve mi investì con rabbia omicida. Rimasi sepolto sotto una coltre spessa e pesante che mi impediva qualsiasi movimento. Non riuscivo a sentire altro che il martellare del mio cuore e il respiro affanoso. 

Cercai di calmarmi, consumavo troppo ossigeno, e c’era già poco là sotto. Imposi al mio cuore di rallentare il suo ritmo pazzesco, e mi diede ascolto. Quanta neve avevo addosso?

Fuori, era tornato a regnare il silenzio, come niente fosse, mentre io annaspavo nel buio. Moriremo qui, pensai. Non sentivo più le dita dei piedi, mi facevano male le gambe e anche le mani erano congelate, nonostante i guanti.

«Non ti addormentare, rimani sveglio!» gridò l’Anima.

Io non volevo dormire, ma le palpebre cadevano pesanti nonostante io cercassi di tirarle su.  Non avevo idea di quanto tempo fosse trascorso da quando la neve mi aveva seppellito vivo, ma ad un certo punto, colsi dei rumori che provenivano dallo spazio sopra di me. Un fruscio che si avvicinava sempre di più, sempre più forte.

Nel mio cuore si accese un barlume di speranza. Sorrisi. La mia salvezza arrivava tardi, ero già partito per la terra dei miei avi.

Mi svegliò il respiro caldo che si infrangeva sulla mia guancia marmorea. Una lingua calda tocco il mio viso. Sopra di me, un lupo cercava disperatamente di farmi riprendere i sensi. Spalancai la bocca cercando aria.  Ripresi conoscenza.

Avevi sentito il mio richiamo… Ringraziai il Grande Spirito per averlo mandato da me, e ringraziai la nostra strega per aver affidato la mia sorte al lupo.

Mi alzai con fatica. Quel fiume bianco aveva portato via con se tutte le mie forze, ma ero vivo. Tremavo e battevo forte i denti.

«C’è mancato poco per spedirci tra le ombre» disse l’Anima.

Sì, c’era mancato davvero poco. Cercai con lo sguardo il nostro salvatore. Il lupo mi fissò con i suoi occhi grigi e io ebbi come l’impressione che mi aveva visto dentro il cuore.

Vai avanti, ti seguo, risposi al suo pensiero.

Il lupo iniziò a correre verso il crinale. Cercavo di non perderlo di vista, anche se non era facile stargli dietro. I muscoli delle gambe erano intirizziti e non sentivo più tutte le dita dei piedi.

Una colonna di fumo si alzava leggiadra dalla foresta sottostante. Il vento mi passo accanto bisbigliando qualcosa, come se chiedesse scusa per il suo impeto di prima.

«È il mio villaggio!» Sentì un’esplosione di pura gioia dentro di me.

Quando arrivai vicino e i cani iniziarono ad abbaiare, il mio amico lupo si ritirò ringhiando tra i cespugli, poi mi guardò, e tornò correndo a grandi falcate da dove era venuto.

Uggiolai piano. Grazie.

Non feci in tempo a finire quel pensiero che un dolore sordo alla testa mi mandò nel mondo de sogni.

 

 

   
 
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