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Autore: DigitalGenius    10/04/2015    4 recensioni
Garfield arrossì lievemente. Non poté evitare che il cuore gli si fermasse, nel guardarla, anche se non era la vera Raven.
«Allora, cosa ti porta qui?» gli domandò lei sorridendo.
Garfield dischiuse le labbra per risponderle. All’improvviso tutti i suoi piani, tutti i discorsi a cui aveva pensato per riportare Raven tra i Titans, sembravano inutili. Chinò lo sguardo e strofinò per terra una suola della scarpa.
Sentiva quegli occhi addosso a sé e quello sguardo lo trafiggeva.
«Dov’è che sono le altre emozioni? Potrei parlare con alcune di voi?» esordì all’improvviso agitando le punte delle orecchie.
Coraggio scrollò le spalle. Il sorriso le si spense mentre si avvicinava al bordo del precipizio su cui si trovavano. «Loro non verranno» annunciò rassegnata. «Si vergognano»
«Perché dovrebbero?» le domandò il ragazzo seguendola. «Sono sempre il buon vecchio Beast Boy, credevo di piacere almeno alla metà di loro»
«Tu ci piaci» lo tranquillizzò lei nel vederlo quasi nel panico. Gli sorrise. «Diciamo che non sono pronte ad incontrarti. O almeno non lo sono la maggior parte di loro»
«Perché?» domandò Garfield mogio. «Perché loro no e tu sì?»
«Perché?» ripeté lei. «Perché io sono il Coraggio»
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Raven, Robin, Starfire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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COME UNA MARATONA DI FILM IN TV


Il rimbombo dello scattare della serratura della prigione risuonò per tutta la cella, svegliando Garfield di prima mattina. Il ragazzo pareva aver preso il suo arresto quasi come una vacanza. Non aveva provato a scappare, né aveva sventolato ai quattro venti di essere uno dei Titans, fino a quando non l’avevano scoperto da soli, costringendolo a sfilarsi l’anello per la perquisizione, ed anche allora era rimasto docile quando lo avevano dotato di un braccialetto che annullava i suoi poteri. Aveva appreso con un sospiro che avrebbero contattato la torre per informare gli altri membri della squadra dell’accaduto e, dopo aver ringraziato gli agenti per la premura, si era steso sulla schiena e si era addormentato quasi a comando.
Era stato abbastanza tranquillo, ma nel notare il sole oltre la finestrella che era sulla parte alta della parete non poté che provare un lieve senso di irritazione nei confronti degli altri, quando aveva capito che era già mattino.
Era pur sempre rimasto in gattabuia per tutta la notte!
Lo scortarono all’ingresso, dove trovò ad aspettarlo Robin, vestito di tutto punto della sua calzamaglia nera e rossa. Lo fissava cupo da sotto la maschera, ma Garfield era felice di non doverlo guardare negli occhi, perché era certo che il suo sguardo avrebbe potuto ucciderlo senza neanche il bisogno di un potere sovrannaturale.
Gli parlò prima che potesse lamentarsi della sua condotta: «Amico! Mi hai lasciato dentro una notte intera! Non potevi venire ieri stesso?»
Ma Robin non diede segno di pentimento. «Avrei potuto lasciarti dentro per sempre» borbottò. «Hai idea di quello che ci hai fatto passare? Un Titan dovrebbe essere un modello per la comunità, non farsi arrestare! Non dovremmo essere la giustizia, non un intralcio ad essa!»
Garfield fece roteare gli occhi. Non aveva voglia di discutere, ma doveva ammettere di essere d’accordo con l’amico. «Lo terrò a mente, sì. Ora possiamo per favore andare a fare colazione? Ho avuto l’impressione che volessero giustiziarmi tramite digiuno» tentò di scherzare, ma subito il sorriso gli si spense. Robin non dava affatto cenno di divertirsi. «Ok, hai vinto. Mettimi pure in punizione» concluse. Non aveva voglia di litigare e non vedeva l’ora di mettere qualcosa sotto i denti e farsi una bella doccia. Sorrise all’agente che si avvicinava per restituirgli i suoi oggetti personali e, come prima cosa, infilò in tasca il suo anello di copertura. Attese che gli sfilassero il braccialetto che gli annullava i poteri, poi riprese la giacca ed infilò il portafogli nella tasca dei pantaloni.
Il silenzio ostile di Robin iniziava a diventare irritante, mentre lo scortava fuori, verso la sua moto. Garfield sapeva che avrebbe aspettato che fossero lontani da orecchie indiscrete, prima di dirgli ciò che stava pensando. Infilò il casco e si sedette dietro l’amico, che mise in moto e si infilò nel traffico di Jump City.
Erano fermi ad un incrocio quando il Ragazzo Meraviglia decise di interrogarlo. «Perché hai impedito che la polizia la prendesse?»
Le orecchie di Garfield si piegarono, mentre lui trovava il modo migliore per parlargli di Lilith. «Lei non è cattiva, non meritava di essere arrestata»
«Ha distrutto mezzo museo, l’altra sera» gli ricordò Robin con calma. «E mi hanno raccontato che ti ha attaccato in pieno centro senza una ragione apparente»
Garfield tossicchiò. «Ecco, vedi, una ragione c’era. Stavo parlando con Raven e le ho detto delle cose veramente brutte; Lilith l’ha saputo e si è arrabbiata perché Rae c’era rimasta male»
«Perché tutti decidono di parlare con lei alle mie spalle?» domandò Robin, indispettito. Lanciò un’occhiata all’amico e poi ripartì con le altre auto quando il semaforo fu verde. «In realtà» disse alzando la voce «quello che vorrei veramente sapere è perché Raven non viene a parlare direttamente con me. Lei non ci vuole tra i piedi, Garfield, credevo che te lo fossi messo in testa, finalmente.» sbuffò, inclinandosi per voltare a destra e raggiungere una traversa familiare.
Garfield lanciò un’occhiata stanca all’ingresso dello studio dello psicologo del gruppo. «Oh! Dai!» sbottò nervosamente. «Non un’altra volta!»
«Non riesco più a parlare con te, Garfield» ammise preoccupato Robin. «Ma so che hai bisogno di parlare con qualcuno».

Era raro che le tende, in camera di Koriand'r, fossero tirate. Per questo anche quella mattina il tiepido calore del sole attraversava la spessa finestra della Torre Titans fino a raggiungere il letto della giovane, riflettendosi sulla pelle scura della caviglia di lei, che era sfuggita alla stretta morsa delle coperte.
Il lieve respiro assopito le gonfiava il petto lentamente, mentre sorrideva mesta. Aveva dimenticato per alcune ore i dubbi ed i contrasti che avevano agitato la squadra nell'ultimo periodo, e quando si sarebbe svegliata ed avrebbe potuto gioirne quelli sarebbero tornati a punzecchiarla dispettosi, ricordandole in ogni momento di veglia quanto la famiglia che tanto amava stesse rischiando di sgretolarsi. Non sapeva cosa avrebbe potuto fare se davvero fosse accaduto, se quelle persone che tanto amava avrebbero deciso di separarsi come granelli di sabbia spostati dal vento. Ma per ora, dormendo, non ci pensava, e così sarebbe stato fino al risveglio.
La creatura interruppe le sue riflessioni e sorrise. Era l'alba e non aveva voglia di stare lì per tutto il giorno. E poi non sapeva neanche quanto fosse pattumiera la sua futura vittima. Abbandonò il cartoncino in ombra che aveva occupato nell'ultima ora, sotto la scrivania nell'angolo, e si avvicinò caproni al grande letto che era dall'altra parte della stanza. I movimenti fiacchi e la schiena china gli permisero di restare lontano dalla luce solare, anche se questa non gli avrebbe causato altro che una piacevole sensazione di tepore sulla pelle. Ma non era a quel tipo di piacere che la creatura mirava.
Sollevò un braccio, arrampicandosi cautamente ai piedi del letto, mosse la testa con curiosità, facendo scorrere gli occhietti neri come l'abisso sul profilo della ragazza. Non aveva ancora avuto l'occasione di osservare il volto, preferendo limitarsi a studiare quella camera fin troppo femminile ed allegra, ma ora non aveva più scuse o ragioni per tergiversare, e non era neanche quello che voleva.
Allungò le mani raggrinzite verso di lei e queste iniziarono lentamente a prendere la consistenza di mani umane, sbatté gli occhi e lasciò che l'oscurità si concentrasse nel mezzo di una pupilla artificiale, la pelle si colorò di un tenue rosa carne ed i capelli neri dal taglio sbarazzino gli andarono ad incominciare il volto. Era già dentro al sogno, e Koriand'r rinchiuse le palpebre assonnata per poi sorridergli.
«Dick» sussurrò flebilmente.
In quel mondo onirico artificiale non c'era alcun problema tra loro, nessun battibecco o incomprensione in sospeso. Koriand'r poteva permettersi di essere sé stessa e di avere il come aveva sempre voluto. Non c'erano catene, nessuna costrizione.
Solo quello splendido, malefico sogno.

Garfield entrò imbronciato nella sala d’attesa. Scrutò di sfuggita il proprio riflesso nel vetro della finestra che dava sulla strada e proseguì oltre. C’erano momenti in cui non si riconosceva a causa l’assenza del colorito verde sul suo volto e sulle sue mani scoperte. Era come essere fuori dal proprio corpo, ed in quel momento poter essere sé stesso era l’unica cosa che avrebbe potuto farlo sentire meglio.
Richard teneva le mani nelle tasche dei pantaloni e lo guardava dall’ingresso, aspettando che lui si facesse avanti ed entrasse nell’ufficio. Lanciò un’occhiata anche alla segretaria che era al suo fianco: «Prego, entri pure» gli disse senza sollevare lo sguardo dalle cartelle «Il dottore la sta aspettando»
Garfield sbuffò, fece un cenno con la testa a lei ed all’amico e si diresse alla porta trascinando i piedi per terra, entrando seccato senza neanche guardare in faccia l’uomo che lo aspettava dietro la scrivania.
«Dottor Brennan» salutò cupo sfilandosi l’anello olografico ed infilandolo in tasca. Riprese immediatamente il suo colorito verde acceso, si buttò sul lettino mettendosi comodo e accavallando le caviglie, aspettando in silenzio che lo psicologo iniziasse a parlare.
«Allora, Garfield» iniziò lui immediatamente «quando il tuo caposquadra ha detto che ti avrebbe portato qui non mi ha spiegato quale fosse esattamente il problema»
Il mutaforma batté ripetutamente gli artigli sulla finta pelle del lettino – si era assicurato che fosse pelle finta la prima volta che era stato in visita lì, alcuni mesi prima. Aveva passato molto tempo in quell’ufficio, così come i suoi amici, dopo la scomparsa di Raven. L’abbandono della ragazza aveva provocato parecchi disagi emotivi all’interno del gruppo.
«Problema» borbottò sottovoce il ragazzo. Fissava un dipinto appeso di fronte a lui, proprio accanto alla libreria. L’aveva guardato talmente tante volte, nelle sue prime visite, quando preferiva restare a fissarlo e si rifiutava di parare di ciò che provava veramente, che avrebbe potuto riprodurlo quasi a memoria. Non che avesse davvero voglia di ridisegnare uno stupido paesaggio di mare.
«Immagino che avrà visto il notiziario, ultimamente. L’avrà saputo, lei non mi sembra affatto stupido» sbottò Garfield digrignando i denti.
Il dottor Brennan non si scompose, fece scattare la penna un paio di volte. «Ho visto il notiziario, si»
«Robin è convinto che il ritorno di Raven distruggerà la squadra»
«E lei la pensa così?» domandò lo psicologo prendendo appunti senza alzare lo sguardo.
Garfield scattò in piedi, affilò lo sguardo e strinse le mani sul bracciolo fino a ad aprire degli squarci sulla finta pelle.
«No, certo che no!» disse mettendosi a sedere «È Raven accidenti! Continuo a ripeterlo anche a Robin. È a lui che servirebbe lo strizzacervelli, è sempre convinto che ci sia qualcosa sotto, che qualcuno trami contro di noi, ma non capisce» deglutì strofinando le suole delle scarpe contro il poggiapiedi. Dopo un sospiro si lasciò cadere ancora una volta contro lo schienale della poltrona e puntò gli occhi verso la finestra, lo sguardo si fece vacuo ed il volto si addolcì, seppure il ragazzo non stesse sorridendo. «Lui non capisce che io devo credere in Raven. Non posso fare altrimenti, ne ho bisogno»
Il dottore sollevò lo sguardo e non riuscì a trattenere un sorriso, picchiettò la punta della penna contro il blocco su cui aveva preso gli appunti fino ad allora e si sporse verso di lui sulla sedia: «Quindi non è davvero convinto della sua posizione» concluse. Garfield si voltò a fissarlo e lui spiegò: «lei mi sta dicendo che crede a Robin ma ha bisogno di negarlo»
Garfield sussultò e picchiò con un tonfo la mano sul bracciolo «Ma lei da che parte sta?»
Il dottor Brennan si sfilò gli occhiali e li poggiò sul tavolino davanti a sé, ignorando la domanda. «Mi faccia solo capire, signor Logan. Ricorda quello di cui abbiamo parlato in una delle sue prime sedute? Ricorda quello che abbiamo detto riguardo ai suoi sentimenti?»
Garfield fece leva sui gomiti e rimbalzò un paio di volte sulla poltrona «E come potrei dimenticare?»
Seguirono alcuni secondi di silenzio in cui il ragazzo sperò che il discorso morisse lì.
Invece il dottore domandò: «Cos’ha provato dopo averla rivista?»
Il ragazzo si sollevò, poggiò i piedi per terra ed i gomiti sulle gambe. Lo guardò negli occhi, poi sollevò il volto verso il soffitto per ammettere anche a sé stesso: «È stato quasi irreale. C’era quel ragazzino, Jeremy, e lei è comparsa dal nulla e l’ha difeso. Quando mi ha guardato in faccia, quando mi ha ringraziato per aver impedito che si ferisse… non sapevo che cosa pensare. Non sapevo neanche se quello che vedevo fosse vero. Se lei fosse reale»
Il dottor Brennan annuì comprensivo. «Cosa pensa, Garfield? Cosa la spaventa?»
Lui si grattò una guancia, agitandosi un istante. Poi si ristese. «Quei ragazzini, i suoi fratelli, sembrano importanti per lei. Io la capisco, se venissi a sapere all’improvviso di avere un fratellino o una sorellina anche io vorrei occuparmene. Vorrei aiutarla, ma non riesco ad avvicinarla. Ho provato. Io e Koriand’r abbiamo pensato che avvicinando prima i ragazzini forse potremmo convincere tutti e tre a trasferirsi alla torre»
«Parlami un po’ delle tue impressioni su questi fratellini ritrovati, allora»
«Lilith è ok» esclamò Garfield entusiasta. «Mi sta simpatica, andiamo d’accordo» deglutì «Jeremy, lui potrebbe essere… non un problema, ma sembra che sia più difficile trattare con lui. Però possiamo farlo. Voglio dire, basta provare. Sembra che abbia delle difficoltà a controllare la rabbia. Ma parlandoci, meditando, si può sistemare, lei non crede?»
Il dottor Brennan sollevò lo sguardo e lo fissò. «Mi stai chiedendo se questo è possibile, Garfield, oppure mi stai chiedendo il permesso?»
«Non posso negare che mi piacerebbe avere una guida, dottore. La Guida per riportare Raven a casa, o quello che sarebbe. Ma mi rendo benissimo conto che la vita è fatta di scelte e sono queste a definire il nostro futuro» dichiarò il ragazzo. Fissò il dottor Brennan serio, sfidandolo a contestare ciò che aveva detto. Tempo prima era stato lo stesso dottore a dirgli quelle ultime parole, quando la fuga di Raven lo aveva tormentato al punto da renderlo quasi uno zombie.
«Garfield. Lei si rende conto che questa è una scelta di Raven, vero?».
Garfield sollevò lo sguardo piccato. Dischiuse le labbra per rispondere a tono e le parole gli si bloccarono in gola quando colse con la coda dell’occhio un movimento oltre la finestra dello studio. Sbatté gli occhi per mettere a fuoco l’imponente mostro che camminava per le strade della città, un paio di elicotteri della polizia già gli ronzavano attorno e al ragazzo ora pareva anche di sentire le grida dei civili giù in strada. «Ma che» iniziò, incapace di concludere la domanda. «Godzilla?»
Il dottore seguì il suo sguardo e strabuzzò gli occhi a sua volta, il comunicatore Titan iniziò a squillare all’improvviso e Garfield lo sfilò dalla tasca e lo aprì. La voce di Cyborg era seria, quando annunciò metallicamente:
«Mostri in centro, ti aspettiamo lì»
Garfield scambiò uno sguardo con il dottore «Sembra che la seduta sia finita, per oggi».

L’asfalto scorreva veloce sotto le ruote della moto di Robin mentre lo sguardo del ragazzo era puntato per aria, verso la creatura distante solo poche traverse. Le grida della gente erano tutt’attorno a lui, le persone si affollavano in strada abbandonando le auto ferme sulla strada intasata e zigzagando tra esse per allontanarsi dalla zona di percolo e mettersi in salvo. Invadevano totalmente la carreggiata e presto Robin avrebbe dovuto abbandonare la moto per evitare di investire qualcuno.
Fu solo allora che il ragazzo notò i piccoli, sfuggenti velociraptor che saltavano dai marciapiedi ai tettucci delle auto cercando di afferrare le loro prede. I piccoli mostri gorgogliavano, agitavano le code, piegavano le zampe per saltare di cofano in cofano e si sporgevano per azzannare le teste dei civili. Uno di loro saltò davanti ad una donna dai capelli grigi che arrancava sorreggendosi ad un bastone, le tagliò la strada e le fece perdere l’equilibrio balzandole addosso e gettandola per terra e, prima che Robin potesse fare qualunque cosa, fece scattare la mascella ed inchiodò il capo di lei contro l’asfalto, affondandovi i denti e strappando la carne dalle ossa con un movimento rapido del collo. Il sangue iniziò a zampillare imbrattando l’asfalto ed allargandosi in una grande pozza scarlatta, mentre il velociraptor sollevava il capo per masticare.
Dall’altro lato della strada un poliziotto tendeva le braccia stringendo la pistola tra le mani, trivellò di colpi un altro velociraptor che puntava una ragazza, permettendole di fuggire e rifugiarsi all’interno dell’ufficio postale assieme ad alcuni altri civili.
Saranno al sicuro, pensò Robin. Strinse le dita attorno ai freni e spostò in avanti la ruota anteriore della moto, saltando giù e lasciandola slittare sull’asfalto. Ignorò il botto della carrozzeria che investiva in pieno un o dei dinosauri, spiaccicandolo contro il fianco della prima auto abbandonata dell’ingorgo, rimasta con gli sportelli aperti nel mezzo della strada dopo una sterzata che l’aveva spedita contro un cassonetto ora rovesciato sul marciapiede pochi metri più in là.
Rotolò per alcuni metri finendo steso di schiena, sollevò le ginocchia ed usò le gambe e le braccia per darsi lo slancio e rialzarsi. Rimase fermo al centro della strada con i piedi paralleli e le mani strette a pugno solo per un istante prima di scattare in avanti e pararsi tra un predatore e due anziani spauriti. Gli occhi strabuzzati dei due spiccavano sul volto ricoperto di rughe ed i capelli avevano acquisito una nuova sfumatura di bianco.
Gettò un disco esplosivo sul marciapiede e l’urto lo fece esplodere. Lo scoppio rimbombò per la strada spaventando due dei dinosauri più vicini che arretrarono. Robin fece cenno ai due anziani di mettersi al riparo e loro si allontanarono sorreggendosi a vicenda in direzione di un gruppo di agenti che arrivavano da una traversa.
Afferrò un Birdarang e portò indietro la mano, per poi farla scattare in avanti e lanciare l’arma contro il predatore che già piegava le zampe e si preparava ad avventarsi su di lui. Il Birdarang lo colpì al collo tranciandolo di netto, l’animale fece mezzo giro su sé stesso e con un rantolo crollò al suolo, a metà tra il marciapiede e l’asfalto, schizzando di sangue la vetrina di un negozio.
Quando il Birdrang tornò indietro Robin lo afferrò, lo rimise al suo posto ed estrasse il suo bastone pieghevole, impugnandolo con tanta forza da non lasciar scorrere il sangue nelle dita.
Saltò sul cofano dell’auto che aveva davanti, fece una capriola per aria e colpì sul muso il velociraptor che, tra le auto, spalancava le fauci per affondare i denti nel suo cranio, sbattendolo contro il fianco dell’auto. Gli sportelli si incrinarono e i finestrini si infransero invadendo l’abitacolo mentre quello scivolava per terra stordito. Ma fu solo una frazione di secondo, prima che quello si riprendesse e si rialzasse con le zampe tremanti e pronto a reagire. Si voltò verso il ragazzo sbattendo la coda contro l’auto e muovendosi con difficoltà nello spazio angusto, piegandosi per venirne fuori. Robin lo colpì ancora e saltò indietro.
Colse un movimento con la coda dell’occhio e si voltò, scoprendo di averne un altro alle spalle. Era sul tettuccio di un autobus, il suono dei suoi artigli che incidevano sulla carrozzeria lo fece rabbrividire.
Si voltò facendo scorrere lo sguardo tra le auto proprio nel momento in cui il primo dinosauro gli saltava addosso, si fece scudo con il bastone per impedire ai denti affilati dell’animale di raggiungergli il volto e tenne le gambe piegate e le suole delle scarpe premute contro il suo petto per distanziarlo.
Sentì il tonfo del dinosauro che saltava dal tettuccio dell’autobus a quello dell’auto pochi metri dietro di loro, poi il velociraptor che aveva addosso spostò la testa indietro per liberarsi del bastone e fece scattare la mascella con un gorgoglio di soddisfazione, mentre le grida della gente intorno si facevano più spaventate e meno importanti.
Robin serrò le palpebre, ma non sentì mai i denti della creatura affondare nella sua carne.
La tigre dai denti a sciabola si mosse con tanta rapidità da sembrare solo una chiazza verde scagliata contro il dinosauro. Lo spinse contro l’altro e tutti e tre sfondarono il parabrezza e ruzzolarono all’interno sfondando i sedili e graffiandoli. Pezzi di stoffa e brandelli di spugna svolazzarono mentre i velociraptor si agitavano e si allungavano agitando la coda per sollevarsi dal grumo di plastica e metallo che i sedili erano diventati.
Changeling riprese sembianze umane e, dal centro del corridoio, li fissò a pugni stretti. Un canino affilato gli spuntava dal sorriso tra le labbra strette e, con il capo inclinato da un lato e lo sguardo affilato li studiò bene.
Seguì con la coda dell’occhio Robin, che lanciava due dischi elettrici su uno spinosauro, vide quello dibattersi infastidito dalle scosse prima di emettere un rantolo e scrollarsele di dosso agitando il corpo possente. La coda colpì un segnale di divieto di sosta, che si piegò arrivando addosso al dinosauro e colpendolo in testa. Ricadde di lato, comprimendo con il suo peso le tre auto più vicine.

Che fortuna, pensò Changeling. Poi riportò gli occhi sui due velociraptor e sorrise loro. Uno dei due era di nuovo in piedi e gli si avvicinava a piccoli passi osservandolo con occhietti luminosi, l’altro si alzò in quel momento ed urtò contro un sedile solo leggermente incrinato prima di tornare fermo sulle proprie zampe. Il più vicino dei due scattò in avanti, Changeling sollevò il bacino e spostò le gambe in avanti, facendosi leva con le braccia e stringendo le mani attorno agli schienali dei sedili che aveva alle spalle. Mutò in un canguro e saltò, colpendo con forza il dinosauro sul muso, quello finì addosso all’altro con un grugnito di protesta.
Changeling mutò in una scimmia e si arrampicò fuori dal veicolo, saltò sul tettuccio e, dopo aver fatto un altro salto, prese le sembianze di un elefante. Quando vi ricadde sopra il tettuccio si compresse, incastrando le due creature all’interno del pullman.
Saltò giù e raggiunse Robin, passando da cofano a cofano, guardando con occhi strabuzzati ed il volto teso gli elicotteri che ancora volavano attorno a Godzilla e continuavano a sparargli addosso.
Gli sguardi di entrambi erano puntati contro il cielo, quando quattro pterodattili emersero dal profilo degli edifici e si scagliarono contro gli elicotteri. Una serie di proiettili raggiunsero uno di loro, forandogli la membrana dell’ala in diversi punti. Lo pterodattilo batté ripetutamente le ali, finì girato di schiena e precipitò verso il basso atterrando con un tonfo e con un grido gracchiante su un grattacielo.
«Non ho assolutamente idea di chi li abbia scatenati» ammise Robin, il volto teso e le gambe stabili.
Un secondo pterodattilo si scaglio contro le pale di uno degli elicotteri, questo fu sbalzato all’indietro e perse quota. Changeling e Robin s’irrigidirono e trattennero il fiato prima che, sfrecciando velocemente nel cielo, Starfire lo afferrasse e lo trattenesse, portandolo a terra dolcemente.
Changeling deglutì. «Control Freak» disse.
«Come lo sai?» gli chiese Robin. Poco distante Cyborg puntò il suo cannone contro lo pterodattilo che planava con il becco spalancato verso Starfire. Il fumo si sollevò dalla carcassa fumante che precipitava tra gli edifici, lontana dalla loro vista.
Garfield storse il naso con un rantolo, poi si voltò verso Robin. «Oggi c’è una maratona dinosauri su AXN Sci-fi. Godzilla, Jurassic Park. Mi spiego?»
Robin sbuffò. «Tu occupati di Godzilla, dirò a Cyborg di localizzarlo»

Gli agenti formavano tre fitte file lungo tutta la larghezza della strada ed avanzavano tenendo gli scudi davanti a loro, formando una barricata. Cyborg, davanti a loro, sorresse il braccio teso, prese la mira con il cannone. Il tirannosauro fece scattare le zanne, voltò il muso nella sua direzione, gli occhi puntati addosso a lui. Cyborg sparò, colpendolo sul muso ed ustionandogli la parte destra. Una sferzata della sua coda ribaltò una motocicletta abbandonata scagliandola contro un banco di frutta e le cassette piene si rivoltarono sulla strada lasciando rotolare per terra ortaggi e frutta.
Il tirannosauro batté una zampa per terra e la strada tremò, costringendo i poliziotti ad ondeggiare sulle gambe malferme per non cadere per terra. Il suono del comunicatore avvisò il Titans del messaggio in arrivo.
«Ho bisogno che mi localizzi Control Freak» gli disse Robin. Il tirannosauro si tese verso di lui e aprì a mascella, mettendo in mostra i denti ed alitandogli addosso. Cyborg tese anche l’altro braccio, caricò entrambi i cannoni. «Sono un momento occupato, sai»
«Se trovo Control Freak fermo tutto questo» aggiunse Robin.
Cyborg sospirò. «Dammi un secondo» gli rispose. Sparò dritto al petto del tirannosauro, che fu scagliato indietro e collassò sull’asfalto con un rantolo.
Il ragazzo rilassò i muscoli, mentre una squadra speciale si avvicinava a controllare che l’animale non si rialzasse. Li vide estrarre delle reti di metallo e stenderle sopra di lui, agganciandole alla base. Distolse lo sguardo e si voltò nella direzione opposta.
«Ok, cosa ti fa pensare che ci sia dietro Control Freak?» chiese sollevando lo sguardo. Sentiva il ronzio delle pale degli elicotteri che giravano ad alta velocità sopra di lui, il rombo dei passi di Godzilla che avanzava sulla strada principale e la terra che tremava sotto il suo peso.

«Garfield dice che questi dinosauri e Godzilla vengono fuori da una maratona in tv»
Una seconda serie di ruggiti si aggiunsero ai primi ed il botto di due immensi corpi che si scontrano gli arrivò alle orecchie tanto forte da fargli vibrare il petto. Cyborg cercò uno spiraglio tra due grattacieli e scorse Godzilla con il muso sollevato. Garfield aveva preso le sue stesse sembianze e affondava i denti nel suo collo.
Il ragazzo distolse lo sguardo e picchiettò l’indice contro il mento. «Umh» fece schioccare la lingua «Qualunque cosa abbia usato per portarli nella realtà deve richiedere molta energia»
«È esattamente quello che pensavo anche io».

Sfrecciò sotto uno pterodattilo, diede le spalle al terreno e si spostò all’ombra del dinosauro. Si infilò sotto di lui, spalancando le braccia e salendo di quota. Si premette contro il suo petto e strinse le braccia attorno al lungo collo guizzante di muscoli, frenando il suo volo e facendo resistenza per trascinarlo a terra. Piegò le ginocchia e colpì con due calci paralleli l’attaccatura dell’ala, incrinandone le ossa. L’animale si agitò, le ali persero forza e si afflosciarono ai lati. Starfire lo accompagnò piano a terra, depositandolo nel centro di un incrocio. Lo pterodattilo si dimenava spaventato, sollevava il muso verso il cielo e gridava dal dolore e dalla paura.
La giovane sfrecciò via; la voce del capitano dei corpi speciali sovrastò il grido dello pterodattilo «La rete!». I soldati si mossero in sincrono e si disposero in cerchio attorno al dinosauro. Due punti di un lato della rete erano agganciati a due fucili in mano a due soldati, che sollevarono le armi verso il cielo e, all’ordine: «Ora!» del loro capitano spararono. L’estremità della rete sfrecciò in aria, formò un arco nel cielo e ricadde dall’altro lato, i soldati sollevarono le braccia e la afferrarono al volo, tirandola a terra e bloccandola.
Lo pterodattilo scalciò, tese il collo e si agitò liberandosi da un lato. Il soldato che reggeva quel pezzo di rete fu sbalzato all’indietro e ruzzolò sull’asfalto urtando il palo del semaforo. Starfire planò al posto del soldato ed afferrò la rete, bloccandola. Costrinse il dinosauro ad abbassarsi e assieme alla squadra speciale strinse la rete fino a quando non fu immobilizzato.
Bloccarono la rete, il capitano si voltò verso di lei e le disse: «Grazie» ma lei era già volata via, verso l’ultimo pterodattilo. Gli sorrise e volò attorno ai due Godzilla, quello vero stava mordendo Garfield a una spalla e lo tartassò di Starbolt fino a quando non lo lasciò andare.

Ciò che era rimasto del caos e del traffico di quella mattina erano le auto abbandonate sulla carreggiata, con gli sportelli aperti, a tratti ammaccate. Le impronte dei velociraptor erano impresse sui cofani, alcuni finestrini infranti e l’asfalto macchiato di sangue.
Le sirene delle ambulanze e della polizia giungevano ovattate sulla strada principale, gli elicotteri sorvolavano le aree adiacenti. Se non fosse stato per il chiasso degli allarmi Robin avrebbe potuto pensare di essere finito in una bolla ai confini della realtà.
Fuori da quella zona di mostruosa calma i cittadini combattevano ancora l’invasione; sentiva le grida, vedeva con la coda dell’occhio l’enorme massa verde scontrarsi con quella grigia e spingerla indietro per impedirle di guadagnare terreno.
Teneva il localizzatore davanti al volto e controllava continuamente la direzione, mentre girava attorno all’imponente edificio di mattoni che ospitava alcuni negozi di videogiochi, di elettronica e un supermercato.
L’ampio marciapiede era diventato una cascata d’acqua per via di un idrante rotto pochi metri più in là e la carcassa di un velociraptor era abbandonata nella pozza, ancora scossa a tratti dalle scariche elettriche di un cavo della tensione caduto lì accanto.
Le scintille piovevano sull’asfalto, rendendogli impossibile avvicinarsi ulteriormente al punto da cui proveniva il segnale.
Sbuffò, agganciò il localizzatore alla cintura e strizzò gli occhi per scrutare l’interno del negozio di elettronica attraverso la vetrina infranta. I vetri erano all’esterno, gli scaffali del negozio erano rovesciati per terra e la merce disseminata in direzione della vetrina, buttata per terra da qualunque cosa si fosse precipitata fuori facendo quel disastro.
Potrebbe essere stato il velociraptor morto qui. Pensò Robin calcolando la distanza che lo separava dall’interno del negozio. Sfilò l’arpione dalla cintura, lo sparò contro l’infisso della vetrina e poi si aggrappò alla corda per oltrepassare la pozza d’acqua restando sospeso per aria. Giunto a metà si diede lo slancio con le gambe e lasciò la presa per scivolare oltre la parete aperta, piegando le ginocchia ed atterrando agilmente sul pavimento del negozio. Una lampada oscillava precariamente pendendo dal soffitto, sganciata da un lato, e dovette scostarla di lato con una mano per potersi immettere nella corsia centrale, l’unica abbastanza sgombra da permettergli di avanzare senza il rischio di inciampare ad ogni passo.
Riprese in mano il localizzatore e seguire il puntino luminoso lo condusse alla porta sul retro.
Se non è qui sarà sopra di me o sotto di me, devo solo trovare un modo per arrivarci.
Una scalinata buia lo aspettava oltre la porta e scendeva fino a perdersi in quello che doveva essere uno scantinato di cui non riusciva a distinguere i contorni. Impugnò la torcia e strinse il bastone tendendolo in avanti come difesa, mentre scendeva cauto un gradino per volta man mano che li illuminava.
Arrivato in fondo alla rampa trovò una serie di scaffali affiancati e ricolmi di pacchi ancora imballati tra i quali si formavano stretti corridoi per il passaggio dei magazzinieri. Un ronzio persistente gli faceva vibrare la pianta dei piedi dal fondo di una di esse, la seguì fino a trovare sul pavimento una grata divelta e quando vi si sporse vide il criminale che cercava, intento a gioire e ad agitare le braccia sollevate sopra la testa mentre guardava un notiziario da un piccolo apparecchio poggiato sopra un tavolino.
Al centro della stanza c’era una grossa consolle coperto di tasti lampeggianti e manopole, sul lato era accostato alla parete un altro tavolo con un bizzarro macchinario composto da una piattaforma e due braccia in ferro che sorreggevano due coni ricoperti da bracciali di ferro puntati l’uno contro l’altro, qualcosa rigettava luce azzurrina e ondeggiante sul pavimento da una terza parete che da dov’era Robin non poteva scorgere.
Spense la torcia, la riagganciò alla cintura e poggiò i palmi sul bordo del tombino per far leva sulle braccia, issarsi e infilarvi le gambe dentro. Scivolò giù senza problemi ed atterrò sul pavimento ricoperto di muffa con un tonfo, stringendo il manico del bastone che portò davanti al volto e brandì contro Control Freak: dal punto in cui era atterrato l’unica cosa che li separava era la consolle lampeggiante ed se si fosse sporto abbastanza avrebbe potuto sfiorare il criminale, ma non sarebbe riuscito ad avere una presa ferma su di lui da impedirgli di divincolarsi.
«Arrenditi adesso. Richiama i tuoi animaletti e lascia che ti sbatta in prigione una volta per tutte» gli disse. Control Freak smise di ondeggiare e si voltò, ancora con le mani sollevate e sorridendogli, i tasti fosforescenti illuminavano le sporgenze del suo viso formando cupe ombre nere nell’incavo degli occhi, da cui emergeva il luccichio degli occhietti assottigliati dalla smorfia del volto. «Ti stavo aspettando» disse agitando i fianchi un’ultima volta in una inquietante imitazione del ballo della giraffa ubriaca. Fece un cenno alle sue spalle ed il ragazzo ne seguì lo sguardo verso la parete che non aveva ancora visto per scoprire una serie di vecchi schermi impilati uno sull’altro, da cui si vedevano la strada da cui era venuto ed il negozio da cui era sceso, più diverse zone in cui gli agenti di polizia ancora affrontavano alcuni dinosauri e una pessima inquadratura laterale dei Godzilla.
Colse con la coda dell’occhio un movimento di Control Freak e si avventò su di lui scavalcando la consolle, ma il dito di lui era già calato su uno dei bottoni e lo strano marchingegno con la piattaforma ed i due coni che stava addossato alla parete si accese ed iniziò a ronzare mentre i due finivano per terra avvinghiati. «Non vedevo l’ora di farti vedere questo!» rise Control freak. «Anche se sono certo che BeastBoy l’avrebbe apprezzato di più»
Robin estrasse un paio di manette e gliele infilò ai polsi, poi riprese i comunicatore e contattò Cyborg. «Il nostro amico, qui, sta tirando fuori qualcos’altro dalla televisione» gli disse, inquadrando l’agglomerato di triangoli di luce gialli ed arancioni che si scontravano e scivolavano tra loro incapaci di trovare un equilibrio. «Sapevo che non avresti capito» lo schernì Control Freak «Tu sei più un tipo da polizieschi»
«Spegni quell’affare» disse Cyborg. «Ci deve essere un pannello di controllo, trovalo e ti dirò come fare»
Robin sorrise «Ce l’ho davanti» disse, poggiò il comunicatore sul bordo ma quello volò verso l’agglomerato di luci e ne venne inghiottito.
«Dannazione!» esclamò Robin scatenando uno scoppio di risa in Control Freak.
«Se avessi visto il telefilm sapresti dell’attrazione magnetica! Sarebbe stato più divertente se ci fosse stato BeastBoy, qui» disse riprendendo fiato.
Sbuffò, cercò il filo della corrente a cui a consolle era collegata e lo tagliò in due interrompendo l’alimentazione. Le luci dei tasti si spensero, l’agglomerato di luci si allargò come se stesse per esplodere, poi si contrasse, si allargo ancora ed in fine implose scintillando e svanendo senza lasciare traccia di essere mai esistito.
«Non capisci!» esclamò Control Freak agitando le gambe per sollevarsi da terra. «Non potrai mai apprezzare la magnificenza di questo telefilm e la genialità delle sue creature del futuro!»
«Me lo farò spiegare da Changeling - ora si fa chiamare così - dopo che ti avrò sbattuto in cella, o in manicomio» ribatté Robin con un sorriso nel vedere attraverso gli schermi i dinosauri che svanivano. Spostò la sua attenzione sul piccolo schermo in disparte sintonizzato sul telegiornale e si godette la vittoria dei Titans attraverso gli occhi dei giornalisti. Vide Starfire accennare un sorriso alla telecamera con volto pallido, la vide fare una smorfia e resistere alla forza di gravità più che poté prima di perdere i sensi e scivolare giù tra i grattacieli in caduta libera.



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Tatatatan! Indovinate chi torna dopo un’eternità?
Lo so, lo so, mi sono fatta attendere. Giuro che sono mesi che cerco di finire decentemente questo capitolo, ma non riuscivo a farmelo piacere ed ho dovuto riscrivere alcuni pezzi più volte. Spero che il risultato sia almeno decente e che la lunghezza (è il capitolo più lungo che io abbia mai scritto in vita mia, ne sono certa) sia valsa la pena dell’attesa.
Cioè, gente… Sono quasi 10 pagine di word, di solito ne scrivo 4, massimo 6 XD


Baci, Genius

  
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