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Autore: Fenio394Sparrow    12/04/2015    3 recensioni
{Lo Hobbit|| OC|| Arya!Centric || Movieverse|| Long|| Prequel! Winter is Coming}
{«State sorvolando sulle condizioni in cui lascerete andare, signore.»
Thranduil la guardò stupito, senza capire dove stesse andando a parare Arya. «Non so quale considerazione abbiate riguardo gli uomini, signore, o delle bambine che si accompagnano ad un gruppo di nani, ma vi assicuro che io non sono stupida, e questo accordo mi puzza d’imbroglio. Ci lascerete liberi, certo, ma magari nel mezzo della foresta e senza viveri né armi e saremo alla mercé dei ragni in meno di un giorno, e tanti saluti alla nostra impresa. Perciò penso che vi convenga alzare un po’ la posta, Sire, perché io non faccio beneficenza e i miei servigi non sono a poco prezzo.» Arya sorrise amabilmente.}
Genere: Avventura, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di Sette Regni e una Terra di Mezzo'
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||Di storte e lingue straniere||

A mia sorella, che si è presa una storta pure lei.
Non rompere e resta a casa, che io mi devo alzare alle sei.



Erano  rare le volte in cui Thorin Scudodiquercia ammetteva di essersi sbagliato, e quando accadeva le persone si meravigliavano di lui, come se non potesse sbagliare o ammettere di aver sbagliato. Come se non fosse una persona e sbagliare non gli fosse concesso. Ma un buon re deve essere in grado di riconoscere i propri errori, anche a costo di chinare la testa e abbassare lo sguardo. Non gli piaceva farlo, ma era giusto.
Non si sarebbe mi aspettato di dover chiedere scusa al loro Scassinatore e alla ragazza. Il mezz’uomo non faceva altro che lamentarsi ed evitarli, restando un po’ sulle sue, mentre la ragazzina … bè, già il fatto che una donna che se ne andasse in giro così discinta – quei pantaloni erano incredibilmente aderenti e quella casacca così sbracciata – solo l’idea che un soggetto simile si unisse alla loro Compagnia era un’assurdità. Invece Gandalf si era messo in testa di portarli entrambi, come se il viaggio non fosse stato abbastanza lungo e pericoloso di suo! Aveva chiesto spiegazioni allo Stregone, obiettando che non potevano portarsi appresso un altro peso morto, ma era stato irremovibile: Arya sapeva delle cose, anche se poteva averle dimenticate, cose molto importanti riguardo alla loro missione. Per la segretezza della loro impresa doveva essere tenuta sotto controllo, perché avrebbe potuto ricordare e parlare.
«Inoltre» aveva aggiunto serio: «Potrebbe modificare il corso degli eventi. E’ molto pericolosa.»

«E perché dobbiamo portarcela dietro, se è così pericolosa?» aveva ribattuto lui, cercando di farsi valere. Non credeva davvero che quello scricciolo potesse rappresentare una vera minaccia, anche se Gandalf ne pareva davvero convinto. In ogni caso, le avrebbe provate tutte pur di levarsela di mezzo.
«Preferiresti che cambiasse qualcosa a mille leghe di distanza da noi o in un posto dove il danno sarebbe circoscrivibile, dove si potrebbe rimediare? E poi sembra una ragazza deliziosa, non vedo il perché di tutta questa ostilità, Thorin»
«E il mezz’uomo?»
Su di lui Gandalf non aveva proferito parola, guardando lontano. E così se li era ritrovati in mezzo. Aveva fatto di tutto per far si che non stessero fra i piedi più del necessario, ma avevano resistito più del previsto, contrariandolo non poco. Quando erano caduti nella trappola dei goblin era convinto che li avrebbero persi per primi, a partire dal mezz’uomo che, infatti, era sparito. Era stata la ragazza a sorprenderlo, nell’oscurità delle grotte. Aveva parlato con una sicurezza poco comune: parole intrise di disprezzo, gesti carichi di risentimento, modi decisamente avventati. Anche lo Scassinatore lo aveva sorpreso, appena fuori delle grotte. Strano per delle persone così giovani ed indifese sorprendere lui, Thorin Scudodiquercia.

Ricordava la rabbia e l’impotenza che aveva provato – l’odio che lo stava consumando- quando Azog era giunto a loro sul suo bianco mannaro, mettendo in pericolo non solo Thorin stesso, ma tutta la Compagnia, colpevoli solo di essersi uniti a lui in quell’impresa. Era stato sciocco, certo. Aveva lasciato che la voglia di vendetta offuscasse il suo giudizio: aveva pagato caro quell’errore, ritrovandosi a terra in balia della belva, prossimo all’incoscienza. Prossimo alla morte. Stava già volgendo le sue preghiere a Mahal per i suoi amici quando un urlo e due figure indistinte lo avevano scosso dal torpore in cui stava cadendo. Il loro Scassinatore aveva ucciso l’orco che stava per finirlo, trucidandolo con la sua piccola spada illuminata d’azzurro. Si era a malapena accorto che il suo capo non poggiava più sul terreno scosceso, ma su qualcosa di morbido, caldo.
Arya aveva un tocco gentile ma tremante, insicuro. Gli stava parlando, realizzò dopo, ma a quel punto le forze vennero meno e precipitò nel baratro dell’incoscienza. Ricordava di aver pensato vagamente ad un’imprecazione prima di chiudere gli occhi.

Quando aveva ripreso coscienza l’alba era sorta da un pezzo. Sembrava che tutti fossero in apprensione per lui, anche se Arya sembrava proprio sul punto di scoppiare a piangere, con Bilbo che le stava accanto apprensivo. Quei due non erano nani, non erano parte della Compagnia, non erano in grado di badare a loro stessi, eppure non si erano fatti scrupoli a correre in suo aiuto, a rischiare la propria vita per quella degli altri nani. Non era riuscito ad impedire al suo cuore di fidarsi di loro, di affezionarsi a loro. Ci avrbbe pensato la Compagnia a quei due, se ne sarebbero presi cura e li avrebbero protetti. Erano parte del loro gruppo, lo erano a tutti gli effetti.
Dopo quell’abbraccio durato molto tempo, avevano convenuto che era meglio spostarsi in basso e riposarsi un paio di giorni per riprendersi dalle peregrinazioni degli ultimi tempi. Dopotutto erano ancora scossi, chi più e chi meno, e Thorin contava che subito dopo si sarebbero messi in marcia a velocità sostenuta, quindi pensò che un paio di giorni di tranquillità potevano permetterseli. Ovviamente Arya doveva rovinare i suoi piani.
L’altura era circondata da una vegetazione generosa e ancora verde, anche se si avvertiva l’imminente arrivo dell’autunno nell’imbrunire precoce di alcune foglie. Scendere non era stato affatto semplice: il sentiero ricavato dalla roccia era incredibilmente stretto e scosceso, liscio e ripido, e in alcuni punti spariva del tutto, perciò erano costretti ad arrampicarsi e cercare appiglio nella nuda roccia. Chiunque avesse costruito quelle strade aveva proprio bisogno di una lezione di architettura di base: erano un insulto alla sua abilità di nano. Per un po’ andò tutto bene, scesero con calma, lui e Dwalin per primi, ordinando agli altri di metterei piedi dove li mettevano loro, e con quel sistema erano riusciti ad arrivare più o meno indenni alla fine della parete di roccia. Avevano stabilito che sarebbero scesi in coppie: Arya e Bilbo si calarono assieme fino a quando la ragazza non perse la presa e cadde. Aveva lanciato un urlo stranissimo, di una sola emissione vocale, abbastanza acuto. Sembrava uno strillo più di sorpresa che di paura. Per fortuna Dwalin aveva avuto la prontezza di prenderla al volo, impedendo all’unica ragazza del gruppo di sfracellarsi al suolo. Ma la storta se l’era presa, ed Oin e Gandalf avevano consigliato una decina di giorni di riposo, visto che la sua caviglia era molto gonfia e non riusciva ad appoggiarsi col peso.

Arya lo aveva guardato mortificata, abbassando, una volta tanto, lo sguardo. «Scusa» aveva mormorato colpevole.
«Non basteranno due giorni di riposo?» chiese Thorin.
Oin, dopo varie volte che Thorin lo ripetè, scosse la testa: «No, è meglio di no. Guarda in che stato è la caviglia. Se non si riposa potrebbe peggiorare e forse arrivare alla zoppia. La buona notizia è che non se l’è rotta.»
Thorin aveva sospirato, sconfitto. Ormai l’avevano accettata a pieno titolo nel gruppo, quindi dovevano tenersela così com’era: canterina e goffa. «Ti porteremo noi» stabilì stancamente Thorin: «Vedi di non peggiorare.»
La prese lui stesso e la portò in un punto riparato dal vento, dove si stabilirono per i due giorni successivi. Non notò l’acuto rossore sulle guance della ragazza, ma ringraziò il cielo che non avesse iniziato a parlare perché aveva capito che quando cominciava non la smetteva più.
«Grazie» mormorò lei quando la depose a terra con delicatezza.
Scosse la testa in un gesto incurante: «Sei meno pesante di quanto sembri»
«Perché, quanto sembro pesante?» si allarmò la ragazza: «Tanto?»
«No.» E chiuse lì il discorso.
 
Arya dal canto suo si sentiva incredibilmente a disagio e stupida. Come aveva fatto a cadere anche quella volta? Era stata attenta, aveva osservato i punti dove mettere i piedi, li aveva messi dove li avevano messi loro. Ma ad un certo punto le mani avevano iniziato a tremare e nonostante avesse amato quelle ore di interminabili scalate – il vento fra i capelli, la nuda roccia sotto le dita, il sudore che le bagnava la fronte- il suo corpo aveva ceduto, tradendola. Aveva stretto compulsiva la mano di Dwalin, respirando profondamente. Quando l’aveva messa a terra commentando bonariamente di stare più attenta, una fitta lancinante l’aveva fatta cadere, stringendosi la caviglia. Responso: brutta storta.
Era diventata di peso. Si era ripromessa di non farlo, e invece alla prima montagnetta da scalare cadeva e si infortunava. Era molto intelligente da parte sua, sì. Perlomeno Dwalin l’aveva redarguita bonariamente –quindi non era arrabbiato con lei, vero? Arya sperava ardentemente di no.
Sistematosi, ognuno aveva iniziato a rilassarsi come più gli confaceva. Fili e Kili, poco distanti da lei, facevano un casino tremendo, ma dopotutto erano Fili e Kili, non poteva aspettarsi niente di meno. Bofur stava intagliando qualcosa nel legno, fischiettando a bassa voce un motivetto allegro. Anche gli altri si erano sistemati: perfino Thorin e Dwalin stavano chiacchierando con tranquillità seduti su una roccia. Arya sorrise, sentendo una sensazione di calore all’altezza del petto, e osservò come il cielo, che virava nei tenui colori del crepuscolo, non le fosse mai sembrato più radioso e bello di così.

Ori si avvicinò a lei, strappandola dalla contemplazione della volta celeste: «P-posso sedermi?»
Arya gli sorrise, spostandosi un po’ più il là: «Certo che puoi, non c’è nemmeno da chiedere»
Il nano si sedette ed Arya notò con dispiacere che erano alti uguali, anche se lui risultava più .. corposo, massiccio. Non che lei fosse mai stata magrissima, ma in proporzione sembrava più minuta, come al solito. Doveva essere una cosa caratteristica dei nani, la stazza più robusta. Sentì una stretta al cuore ricordando la fine nefasta del libro, ma scosse la testa e allontanò il pensiero dalla sua mente. Era brava a non pensare alle cose brutte. Ori sembrava sul punto di parlare, ma si interrompeva spesso, abbassando lo sguardo e arrossendo. Le faceva un sacco di tenerezza, dopotutto quando il re dei goblin lo aveva minacciato gli aveva fatto scudo con il proprio corpo. «Puoi parlarmi, sai? Non mordo mica»
Ori annuì, prendendo finalmente parola: « Come sei arrivata qui? Ti piace la Terra di Mezzo? D-da dove vieni? Se vuoi puoi non rispondere» abbassò lo guardo, timido.

«Non credo che tu conosca il mio Paese. E’ molto molto lontano da qui. Nemmeno io so quanto. Non so come sono arrivata qui, mi ricordo solo stavo andando a casa di …» tacque, aggrottando le sopracciglia. Stava andando a casa di chi? «Io … non ricordo … Vabbè, ero uscita di casa e poi mi ritrovo in quella grotta puzzolente con tutte quelle spade -hai visto quella di Thorin? Ma che figata che è! Cioè, ma l’ha vista? Wow, io l’ho anche presa in mano! Però pesa un sacco … E cosa stavo dicendo? Ah, sì, vengo dall’Italia.»
Ori –che si era spaventato per la velocità con cui stava parlando la ragazza- azzardò un’altra domanda: «Che lingua parlate lì?»
Arya non aveva notato che il nano aveva tirato fuori il suo diario e che alle sue parole aveva iniziato a scribacchiarvi sopra.
«Italiano, anche se abbiamo tanti dialetti che sono lingue a parte ..» fece, cercando di sbirciare da sopra la sua testa.
«Mh, ecco perché questo accento. Però parli benissimo il comune. Come mai?»
Arya aveva notato che mano mano che Ori entrava nel suo elemento – lo studio, a quanto pareva- perdeva la timidezza, mentre una quieta cortesia e una dolce tolleranza facevano di lui una buona compagnia. Arya alzò le spalle: «L’anno scorso io e una mia compagna di scuola siamo andate un anno in America, a San Diego, in una famiglia. I figli di chi ci ospitava sono venuti da noi, così loro imparavano l’italiano e noi l’inglese … Senti un po’, posso vedere quello che hai scritto?»
Ori, che intanto stava prendendo appunti sul diario, si bloccò di colpo e la guardò in un modo che la ragazza non seppe decifrare. Notando che però Arya sembrava davvero interessata glielo concesse, mormorando un superfluo “fai attenzione”.
Arya tutta contenta aprì il diario alla prima pagina, affilando subito lo sguardo.

Girò pagina e un’espressione stupita le si dipinse in volto, espressione che divenne sempre più confusa mano a mano che continuasse a leggere. «Non ci capisco niente.» ammise alla fine: «Che alfabeto è?»
«Il nostro alfabeto. E’ normale che tu non lo capisca» rispose Ori: «E’ il Khuzdul» mormorò a voce bassa.
Arya si avvicino un po’ per sentire, mormorando a sua volta: «Perché stiamo sussurrando?»
«Perché … perché Dwalin se la prende molto su certe cose. Tu adesso … v-vuoi che ti insegni il Khuzdul, vero?»
Arya era impressionata. Gli rivolse uno dei sorrisi più ammaliatori che aveva: «Me lo insegnerai vero?»
«No» rispose Ori. La fermezza nella voce del nano la spiazzo, destabilizzando il suo sorriso. Ori non era mai sembrato più sicuro di così. Per recuperare un po’ di dignità e non lasciarsi quell’espressione da pesce lesso in faccia Arya gli domandò perché.

«E’ uno dei nostri segreti più importanti, Arya. E’ l’identità di ogni singolo nano nella Terra di Mezzo. Non è solo un idioma o un metodo di riconoscimento … è il nostro stesso essere. Quando Mahal ci creò non ci rese fantocci nelle sue mani. Ottenemmo la conoscenza e la vita. Il nostro libero arbitrio. Non possiamo condividere qualcosa di così profondo e intrinseco della nostra natura.» le spiegò Ori.
«Oh» mormorò Arya, affascinata.
La sera stava lasciando il passo alla notte, il falò che avevano acceso creava strane luci e ombre sui loro visi. Arya li osservò quasi con timore reverenziale. Chissà cos’altro nascondevano con così tanta gelosia, i suoi amici. Quei nani esercitavano un fascino ammaliatore su di lei: voleva conoscerli tutti, voleva sapere le loro storie, i loro sogni e le loro aspirazioni, voleva saperli suoi. Suoi amici, compagni, suoi fratelli. Quell’atteggiamento possessivo era puerile da parte sua, ne era consapevole. Ma Arya era sempre stata una persona gelosa, anche quando era Marina, la ragazza che andava a scuola con la metro. E chiunque osasse nuocere all’oggetto della sua gelosia andava incontro alla sua ira. In quel momento sentì di odiare Smaug, i goblin, perfino gli elfi di Gran Burrone, che li avevano guardati con una sufficienza e superiorità immotivati. Non avevano il diritto di farlo. Né Smaug, né i goblin, né quegli stupidi elfi del cazzo. Stupidi elfi del cazzo? I nani stavano esercitando una brutta influenza su di lei, questo doveva ammetterlo.
«La vostra lingue sembra senza vocali … è stato difficile impararne due? Di lingue, intendo» chiese Arya.
Ori scosse la testa, sorridendole: «Tutti i nani della Terra di Mezzo sono bilingui, così si può parlare anche con gli Uomini. Anche gli elfi lo sono.»

«E’ una lingua così aspra la vostra … Sembra quasi senza vocali» mormorò sovrappensiero Arya.
«Più che altro le parole che tu hai sentito sono imprecazioni» rispose lui.
Arya girò pagina, un sorriso le spuntò sulle labbra: «Però, che bella grafia, Ori.»
Il nano arrossì leggermente: «Grazie»

Lesse quel piccolo appunto che aveva scritto in inglese, e anche se erano indicazioni sul tempo di qualche giorno prima, le fece piacere vedere qualcosa che capiva. Le diede un po’ di speranza: forse sarebbero davvero potuti diventare uniti, anche più di com’erano già. Si soffermò sulla grafia dell’amico, che era molto ordinata e perfettamente leggibile: un po’ piccola ma lineare. Quella di Arya era spigolosa e disordinata; quando scriveva qualcosa controvoglia, tipo gli appunti di filosofia, diventava illeggibile e si dilatava enormemente, non sapeva nemmeno lei perchè. Girò pagina e un sospiro sorpreso le sfuggì dalle labbra, gli occhi spalancati dalla sorpresa: «Ori … ma l’hai disegnato tu?»
Un Bilbo sorridente li salutava dalla carta, impresso con incredibile precisione dai tratti precisi di Ori. Sembrava pronto per una passeggiata, con il bastone in mano e lo zaino in spalla. Quei riccioli così realistici le mettevano voglia di arruffare i capelli al ritratto. Nella pagina seguente Dwalin la fissava arcigno, le sopracciglia aggrottate e i tatuaggi minacciosi.  Restituì il diario ad Ori con un sorriso ammirato. Il nano era arrossito e mormorò un “vado da mio fratello” lasciandola lì. Arya lo salutò con la mano, posando la testa sulla parete di roccia alla quale si sosteneva. La sua gamba destra giaceva distesa sull’erba pregna dell’odore della sera, mentre la sinistra era piegata. Se non si fosse presa quella storta, sarebbe stata a gambe incrociate.
 
Il corpo penzolava inerte dal ramo, la corda stretta sul collo spezzato del cadavere. Arya si domandò vagamente se avesse sofferto prima di morire. Ondeggiava piano, appena sospinto da vento. Aveva i capelli lunghi e neri, la pelle bianca, quasi azzurra, ed era voltato, in modo che non potesse vedere il viso. Sullo sfondo notò un’unica vetta solitaria, appena imbiancata dalla neve. Anche le sue dita erano bagnate di nevischio. Arya sorrise, sfiorandosi le dita. Quando rialzò gli occhi sul cadavere trovò due occhi azzurri che la fissavano, la bocca sanguinante e mangiata dai vermi. Sotto il corpo –non capiva se fosse femmina o maschio- il sangue profanava la neve, non più sottile, ma alta, morbida. Una cappa di gelo l’avvolse, e il vento cominciò a spirare freddo sulla sua pelle, offuscandole la vista. Gli occhi della morte si spalancarono, allungando una mano verso di lei. Le parlò.
«Arya»

Arya aprì di scatto gli occhi, alzandosi repentina. Era abbastanza sicura che quella montagna solitaria fosse la loro meta, ma non comprendeva il corpo che aveva visto. Cosa rappresentava? Si passò una mano fra i capelli, provando a mantenere la calma. Nonostante nel suo sogno gelasse e la temperatura reale fosse abbastanza fredda, era sudata. Dwalin era di guardia, appena oltre il falò. La guardava con la sua solita espressione, quindi non sapeva dire se fosse arrabbiato con lei o meno. Dovette capire dal suo viso che non si sarebbe riaddormentata quella notte e che gli stava chiedendo di venire vicino a lui. Sospirò e venne verso di lei, attento a non svegliare gli altri. Il russare di Gloin svelava che Arya era l’unica ad aver avuto un incubo, quella notte. Senza parlare Dwalin se la caricò addosso, passandole un braccio sotto le ginocchia –Arya si sentì una principessa- e la portò accanto a lui, attento alla caviglia lesa. Non parlò, continuando a scrutare l’oscurità con fare arcigno, alla ricerca di qualche pericolo. Arya si aggiunse alla sua veglia, entusiasta, ma dopo un po’ sbuffò, iniziando ad annoiarsi.
«Non succede niente.» borbottò.
«Meglio così, no?» ringhiò Dwalin, probabilmente disturbato dalla sua voce.
Ad Arya piaceva stare con lui, anche se era così scontroso. Le piaceva proprio lui, punto. Le ricordava suo nonno, che quando era ancora vivo le raccontava della guerra, di come una pallottola lo avesse reso zoppo, o anche di come aiutava i suoi genitori a coltivare la terra. Dwalin durante quelle settimane le aveva raccontato, ogni tanto, delle sue guerre, dell’officina di suo padre, dei lavori che erano in grado di creare i nani lavorando le gemme e i metalli, delle meraviglie delle loro città … erano posti lontani, però la voce di Dwalin, cavernosa e sicura, era un’ottima narratrice. Passarono il resto della notte in silenzio, però fu bello, per Arya. Il nano non sembrava infastidito da lei, e anche solo stare lì – lei che guardava le stelle alla ricerca di costellazioni, lui a fare la guardia- la fece sentire un membro della Compagnia.
 
 
«Bene, sei pronta Arya?» le chiese Kili, piegandosi leggermente. Arya annuì: «Certo!»
La prese in braccio con delicatezza e senza sforzo, sorridendole radioso. Di nuovo, la ragazza si sentì una principessa. Avevano smontato l’accampamento, cominciando a muoversi verso la montagna che svettava all’orizzonte, vicinissima eppure irraggiungibile.






 
Edit del 13/04/2015: modificati font ed errori vari del capitolo.


Ciao ragazzi ;)
Ho modificato il capitolo -scusatemi davvero, ma mi meraviglio di me stessa. Non ho mai scritto niente di così pessimo, così pieno di errori più o meno gravi. A quanto pare il periodo che sto vivendo si riflette nel mio stile di scrittura, ma vedrò di migliorare, ve lo prometto. Io tengo tantissimo a questa fanfiction, e la finirò, dovessi impiegarci cent'anni. E dopo mi dedicherò a Winter is Coming. Coomunque: siamo alla fine di An Unexpected Journey! Dal prossimo verremo catapultati in DoS ed entreremo nel vivo della storia! Oggi niente banner perchè 1) è un capitolo di passaggio e i capitoli di passaggio non ne avranno     2)non avevo banner da appioppare   3) perchè ne avremo uno per ogni film, sì u.u
Volevo dire un sacco di cose ... ah, sì. Questa è la seconda versione sia delle note che del capitolo. Ho tentato di salvare il salvabile.
   
 
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