Ben
scrutò all’interno della stanza buia con
circospezione, sostando sulla soglia, convincendosi
che questa fosse completamente vuota.
Per questo, quando vide invece la figura che avanzava lentamente verso
di lui,
apparendo da dietro una specie di mobile situato in mezzo
all’ambiente,
sussultò.
«Tom... Tom Kranich?» chiese cautamente, senza
riuscire a nascondere un certo
tremolio nella voce.
L’uomo sconosciuto si fermò di fronte
all’ispettore ed entrambi rimasero per
alcuni istanti immobili a fissarsi.
Poi il prigioniero rispose con un’altra domanda
«Ben Jager?».
L’ispettore annuì e lo sconosciuto gli porse la
mano con un mezzo sorriso «Tom,
piacere.».
Ben rimase a guardare la mano tesa di fronte a lui per qualche secondo
ma non
ricambiò il saluto, era troppo sconvolto per pensare alle
presentazioni e l’uomo
ritirò la mano.
«Semir?» chiese poi, e a Ben sembrò che
questa volta fosse la sua voce ad
essere tremante.
Il ragazzo non rispose, semplicemente spostò lo sguardo alla
sua destra,
indicando con gli occhi una sagoma accasciata contro la parete della
piccola
stanza.
«Oh cielo.» mormorò l’uomo
catapultandosi quindi verso il suo ex collega.
La parete e il pavimento sotto di lui erano sporchi di sangue e il
poliziotto
era ad occhi chiusi,
immobile e pallidissimo, non dava alcun segno di vita.
«Ma cosa è successo?» domandò
Tom sgranando gli occhi nella semioscurità e
schiudendo la bocca in un misto tra sorpresa e preoccupazione.
«È stato colpito da un proiettile durante il
percorso e la pallottola è rimasta
incastrata.» disse in fretta Ben, senza nemmeno chiedersi con
chi
effettivamente stesse parlando «Ho provato a fermare
l’emorragia ma... dobbiamo
trovare una via di fuga.».
«Gehlen non ha progettato una via di fuga.» rispose
l’uomo stringendo la
mascella «Ma dobbiamo inventarci qualcosa.».
Il più giovane sospirò scuotendo il capo
«Cosa?» chiese con le lacrime agli
occhi.
«Ben... possiamo darci del “tu”, non
è vero?» cominciò Tom rialzandosi e
avvicinandosi al ragazzo «Intanto non dobbiamo farci prendere
dal panico.
Pensiamo a qualcosa e intanto cerchiamo di risvegliare Semir, o
riprende
conoscenza adesso o rischia di non svegliarsi
più.».
«Ci ho già provato, ma non sente nulla. Non vorrei
che fosse...».
«No!» esclamò con forza colui che era
stato per tutto quel tempo “ospite” di
Gehlen «Non dirlo nemmeno per scherzo Ben, non è
troppo tardi.».
Quindi l’uomo si inginocchiò di nuovo accanto a
Semir e gli strinse la mano
«Semir... ehi, svegliati Semir, sono io!».
«Non risponde, non...».
«Aspetta.» fece ancora Tom, risoluto
«Semir... sono io, sono Tom. Apri gli
occhi, sono tornato, ora non puoi abbandonarmi tu...
Semir...».
«T-Tom...» farfugliò Semir, come per
magia, schiudendo appena gli occhi «Tu...
tu sei...».
«Io sto bene, collega.» sorrise l’uomo,
sempre tenendogli la mano.
Il turco corrucciò appena la fronte: era vero ciò
che aveva davanti, o era solo
un sogno, un’allucinazione dovuta alla febbre? I suoni erano
ovattati e
distanti, la vista annebbiata.
«T-Tom...» ripeté a fatica, sforzandosi
di non ricadere nelle tenebre.
«Resta sveglio, Semir. Non te ne andare, resta qui... resta
sveglio!» continuò
Tom mentre l’emozione prendeva il sopravvento anche su di lui.
Aveva appena ritrovato il suo migliore amico dopo otto anni e lo stava
perdendo,
di nuovo.
Semir chiuse gli occhi e reclinò la testa su un lato.
18.02.
«Non possono essere lontani, maledizione!»
sibilò a denti stretti la Kruger
girando senza una meta precisa tra i capannoni.
«Normalmente un commissario dovrebbe stare più
attenta ai suoi uomini, Kim.»
fece il capo dell’LKA comparendo alle sue spalle.
«Felice di vederti.» ironizzò la donna
andando incontro all’uomo con sguardo di
fuoco.
«Se sei qui per aiutarmi a cercarli, Constantin, fallo. Ma
non accetto lezioni
da te.».
«Uhm, siamo suscettibili.» commentò
l’uomo con una punta di fastidiosa ironia
nella voce.
Kim incatenò i suoi occhi a quelli dell’altro
commissario e lo uccise con lo
sguardo «Spero davvero che i tuoi uomini stiano
già perlustrando la zona.».
«Certo, già da più di dieci
minuti.» fece l’uomo voltandosi per sottrarsi da
quegli occhi accusatori «Non te la prendere, stavo
scherzando.».
«Non è il momento migliore per scherzare, nel caso
non te ne fossi accorto.»
replicò dura la Kruger «Ho due ispettori e una
bambina nelle mani di un pazzo,
non so se hai compreso la gravità della
situazione.».
«Va bene, va bene, non ti scaldare... continuiamo a
cercare.».
«Vedo che cominciamo a ragionare. Su, muoviamoci.»
concluse la donna voltandosi
di scatto e, la pistola spianata davanti a sé, entrando
nell’ennesimo
capannone.
«No,
no, forza! Semir!» gridò ancora Tom con quanto
fiato aveva in gola.
Ma l’ispettore non sentiva più nulla.
«Non ha quasi più polso...».
«La stanza dove eri tu è chiusa come la
nostra?» domandò Ben girando
nervosamente su se stesso.
«Sì, niente finestre.».
«Meraviglioso.» fece il più giovane
«Quindi non abbiamo un passaggio.».
«Forse sì.» fece una voce sottile alle
loro spalle.
«Principessa!» esclamò Ben sgranando gli
occhi.
Era stata tanta l’agitazione e la disperazione di quegli
ultimi minuti che si
era totalmente dimenticato della bambina, che pallida come uno
straccio,
immobile e con la schiena incollata alla parete, aveva assistito a
tutta la
scena senza emettere un fiato.
Tom lanciò un’occhiata verso di lei, accorgendosi
solo allora della sua
presenza.
Nonostante tutto, gli venne da sorridere: la ragazzina non si ricordava
di lui
quasi sicuramente, ma lui invece se la ricordava perfettamente. Era
cresciuta,
certo, ma era identica a come l’aveva lasciata otto anni
prima. Lo stesso
sguardo, gli stessi lineamenti.
Senza che potesse fare nulla per fermarle, le lacrime gli salirono agli
occhi,
inumidendoli: era così bella! E così cresciuta!
Ancora ricordava il giorno in cui le aveva regalato la sua prima tutina
della
polizia.
Allora era uno scricciolo, adesso era quasi una signorina.
«Principessa, ti ho promesso che tra poco saremo fuori dai
guai e così sarà,
hai capito?» fece Ben con dolcezza, raggiungendo la bambina e
chinandosi vicino
a lei.
Aida annuì, provando a non guardare verso il punto in cui si
trovava il padre
«Zio Ben, guarda!» fece poi indicando il soffitto
della stanza proprio sopra di
lei.
«Cosa...?» si chiese il giovane alzando lo sguardo
«Il... condotto di
aerazione?».
«Ma certo!» intervenne Tom picchiandosi una mano
sulla fronte «Come abbiamo
fatto a non notarlo subito? Il condotto di aerazione, deve per forza
condurre
fuori da questo labirinto di cubi di metallo!».
Ben alzò un sopracciglio interdetto «Né
tu né io passiamo attraverso
quell’apertura, è perfettamente
inutile.».
«No zio Ben, io ci passo.» affermò
decisa Aida, facendo riportare l’attenzione
dei due ispettori su di lei «Posso uscire e chiamare
aiuto.».
«Non se ne parla proprio.» protestò il
poliziotto scuotendo il capo risoluto.
«Ha ragione.» commentò però
Tom «Conosco bene questo posto, dietro al capannone
c’è una cabina telefonica ancora attiva. Se lei
riuscisse a raggiungerla...».
«Ma stai scherzando? È troppo
pericoloso.».
«Zio Ben, ti prego!» supplicò la
ragazzina «Papà sta male, dobbiamo fare
qualcosa. Lasciami andare!».
L’ispettore scosse ancora il capo «Aida,
è pericoloso.».
«Anche rimanere qui è pericoloso.»
ribatté la bambina con una logica
innegabile.
«Ben, è l’unica possibilità
che abbiamo.» mormorò Tom fissando negli occhi il
più giovane.
«È pericoloso, potrebbe esserci Gehlen, potrebbero
esserci i suoi scagnozzi.».
«No, dammi retta, Gehlen se ne è andato ormai da
un pezzo, sa che la polizia è
sulle nostre tracce e si è trasferito in un luogo
più sicuro, non incontrerà
nessuno. Ben, guardami: Semir ha bisogno d’aiuto e ne ha
bisogno ora.».
«Ma è solo una bambina!».
«Zio Ben, io non ho paura.» intervenne di nuovo
Aida, con la testardaggine
tipica del padre «Davvero, il signore ha ragione, lasciami
andare.».
Il signore.
A Tom si strinse il cuore ancora una volta, e in quell’attimo
pensò di capire
perfettamente le remore del nuovo collega di Semir nel lasciarla andare.
Da sola... sarebbe stata così indifesa! Ma non avevano altra
scelta.
«Ti prego, zio Ben...».
Il giovane poliziotto cercò conferma negli occhi azzurri di
quell’uomo che
conosceva da sì e no tre minuti, e dopo che egli ebbe
annuito per
incoraggiarlo, posò le mani sulle spalle della bambina e la
guardò seriamente.
«Principessa, promettimi che farai attenzione.».
«Sì zio Ben. Però davvero, io non ho
paura.».
«Segui il condotto fino alla fine, poi corri alla cabina
telefonica e fai il
numero...».
«... Lo so a memoria il numero del comando.» lo
interruppe la ragazzina con un
mezzo sorriso.
«Va bene... dii che siamo nella vecchia zona industriale, in
uno degli ultimi
capannoni e che papà ha bisogno di un dottore in fretta...
va bene principessa?
Poi, quando hai finito ti nascondi nel posto più sicuro che
trovi e non esci
dal nascondiglio fino a quando non saranno arrivati i nostri colleghi,
va
bene?».
«Va bene zio Ben.».
L’ispettore sorrise con gli occhi lucidi prendendola in
braccio in modo che
arrivasse all’apertura del condotto di aerazione, per fortuna
il soffitto era
piuttosto basso.
La bambina tolse la leggera griglia che lo chiudeva e la
lasciò cadere sul
pavimento, dopodiché si fece dare una spinta da Ben, che la
fece aggrappare
alle pareti del piccolo tunnel in modo che potesse salire senza
problemi.
«Fai attenzione.».
«Stai tranquillo, zio Ben.».
Aida si issò su per il condotto salutando per
l’ultima volta il poliziotto con
un sorriso, quasi fosse lei a doverlo rassicurare e non il contrario.
Poi sparì
lentamente alla vista del ragazzo.
Ben rimase a guardarla mordendosi il labbro, cosciente della pazzia che
aveva
appena permesso che accadesse.
Si asciugò gli occhi con il dorso della mano destra
continuando a fissare il
piccolo tunnel, ormai vuoto alla sua vista.
«Sei forte, principessa...».
L’ispettore tornò quindi a guardare
quell’uomo che sosteneva di essere Tom
Kranich: ora doveva capire.
Questa
volta non dico nulla... a voi i commenti ;)
Grazie
mille sempre a tutti i recensori e a coloro che mi seguono, un bacione!
Sophie
:D