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Autore: Locked    12/04/2015    3 recensioni
Questa FF partecipa al Glee Big Bang Italia.
"Perché essere anime gemelle significa molto di più che amarsi per tutta la vita."
Questo era esattamente il genere di frasi melense che Kurt Hummel avrebbe creduto di poter ritrovare nella carta spiegazzata di un cioccolatino di San Valentino - o in una versione arrangiata della proposta di matrimonio del proprio fidanzato Blaine Anderson, insomma.
Non avrebbe mai potuto immaginare quanta verità una simile frase potesse effettivamente nascondere.
Dal testo:
[Dopo una lotta – impari, a detta di Blaine – contro gli scatoloni ricolmi di vecchi oggetti inutilizzati che ‘continuano ad uscire fuori dal nulla, Kurt!’ la sua testa riccioluta riemerse dal ripostiglio con un vecchio lettore di videocassette nelle mani e una luce brillante negli occhi.
“Okay, Kurt, potresti spostarti? Non ho posto per sedermi.”
“Blaine.”
“Ho capito che non volevi alzarti, ma se per favore potresti scorrere—“
“Blaine quei due-- i due sullo schermo, siamo noi.”

"Oh mio Dio."]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note iniziali:
Okay, dunque, vorrei ringraziare Anna_Vik e Klaineintheheart per le splendide recensioni! Cercherò di rispondervi presto! Purtroppo questo è un periodo un po' complicato per me - tra tutto quello che succede a scuola e a casa - e sto avendo numerose difficoltà anche solo a trovare il tempo per scrivere. Spero passi il prima possibile, sinceramente. 
Also, mi duole annunciarvi che questo è il penultimo capitolo - o per meglio dire l'ultima "lifetime". Ci sarà l'epilogo, la prossima settimana, e già mi piange il cuore. *sobs*
Tra l'altro, sappiate che vorrei prendere ciascuno di voi cinquanta che seguite questa storia e abbracciarvi stretti stretti. Grazie dal profondo del mio cuore. <3
Enjoy!
(Oh, angst, come mi eri mancato! ;-;)




 
Teach me how to love
 
Ogni cosa ha una sua fine.
E’ semplice, tutto sommato. E’ qualcosa di naturale; scontato, quasi. Una legge lineare e nitida che srotola la matassa aggrovigliata del caos dell’universo, riducendolo a qualcosa di razionale. Ma non è vera per Blaine.
Blaine ha diciotto anni, quando il suo cuore muore un po’ e la sua vita smette di finire.
 
*
 
Sono le sei del pomeriggio di un nebbioso quindici ottobre, quando Blaine realizza che odia la sua vita – forse dovrebbe chiamarla esistenza, visto che gli sembra di aver smesso di vivere molto tempo prima. Sta solo andando avanti per inerzia – un po’ di più. Detesta vedere negli occhi degli umani quella luce, che forse è solo un’ombra. Quel velo impalpabile che accarezza le iridi e le rende un po’ più grigie, un po’ più spente – la luce del dolore.
E detesta ancor di più sapere di essere stato lui a procurarla, in qualche modo. Ha trascorso la sua intera ed inutile esistenza a strappar via l’ultimo respiro di ogni persona, vagando di corpo in corpo solo per accarezzare con lo sguardo gli ultimi attimi di vita – o forse i primi di morte – di troppi uomini, troppe donne, troppi bambini. Ed è ridicolo che se ne dia la colpa ogni volta, perché non è lui a decidere quando. Non è lui a decidere perché. Blaine semplicemente deve, e si odia ad ogni respiro un po’ di più.
Sono le sei del pomeriggio di un nebbioso quindici ottobre, quando Blaine si accartoccia contro il tronco ruvido di un albero cercando di reprimere i singhiozzi – non sei neanche capace di piangere – contro l’incavo del polso. Di solito non va ai funerali delle persone che vede morire davanti ai propri occhi – fa ancora più male. Ma stavolta è diverso; è come se fosse obbligato, come se non potesse farne a meno. Si alza in piedi e accosta le ali alle proprie spalle, racchiudendole in un bozzolo scuro.
Le detesta. Sono tutto ciò che lo contraddistingue, tutto ciò che gli ricorda costantemente chi è— cosa è; e sono così grandi e nere che sembrano racchiudere in se stesse la profondità della notte e ogni sfumatura del dolore. Sono sempre lì, e non c’è modo di poterle nascondere.
Non che conti molto, comunque.
E’ tutto così ingiusto, così sbagliato, e Blaine ha smesso di essere forte da troppo tempo.
Un bambino di appena sette anni si è appena accovacciato sulla tomba; ha la mano sinistra stretta a quella del padre in una morsa che sa di cosa sta succedendo e di ho paura ho paura ho paura e l’altra sospesa nell’aria, a qualche millimetro dal marmo freddo della lapide grigiastra, a tracciare i contorni del nome inciso nella roccia lucida – Elizabeth Owen-Hummel.
Il cuore di Blaine batte un po’ più flebilmente contro la sua cassa toracica – era sua madre.
Una singola lacrima solca la guancia rotonda del bambino e gli occhi azzurri diventano appena più trasparenti oltre le ciglia umide. E’ il padre a farlo alzare, stringendogli dolcemente la piccola mano nella sua che sembra gigantesca. “Kurt, andiamo.”
Kurt.
Blaine non ha appena distrutto la vita del piccolo Kurt, ma sente nel suo cuore che è come se l’avesse fatto.
Il bambino si asciuga le lievi scie umide sul suo viso e annuisce, alzandosi in piedi e spazzolandosi via la terra dai pantaloni di velluto blu. Sono rimasti solo loro due e Blaine, nascosto dietro di loro da una quercia gigantesca, in quella radura costellata di lapidi come un parabrezza troppo pieno di gocce di pioggia dopo un temporale.
Quando Kurt e suo padre si girano per andare via, gli occhi e il cuore pieni di sofferenza vivida e pulsante, Blaine si sente spezzare; accartoccia le braccia contro il busto, sfiorando con le dita le piume scure delle ali – sono così morbide e soffici da sembrare qualcosa di dolorosamente estremamente puro, contro le sue mani.
Il bambino si stringe contro il papà, avvicinandosi alla sua coscia, e Blaine vorrebbe solo andare lì ed abbracciarlo – non puoi, non puoi, non puoi –, ma si limita ad osservarli scomparire lungo il sentiero sterrato grigiastro che porta fuori da quel dannato cimitero. Kurt si volta per un’ultima volta indietro, per guardare la tomba di sua madre, perché non vuole andarsene, Blaine non lo sa; e lo vede.
Gli occhi del piccolo Kurt e di Blaine s’incrociano per un attimo e quelli del bambino si spalancano, le pupille che quasi risucchiano le iridi trasparenti come le lacrime che ha ancora incastrate tra le ciglia. Kurt incespica nei suoi stessi piedi e Blaine racchiude ancor più prepotentemente le ali nere dietro le sue spalle, consapevole che non è abbastanza.
Ma Kurt non urla, non scappa. Non inizia a piangere. Reclina un po’ la testa e gli regala un sorriso acquoso – Blaine pensa se solo sapesse.
 
*
 
Quanto può valere un anno, per chi possiede un’esistenza che non finisce? Quanto possono contare poche centinaia di giorni, minuscole briciole di eternità? Blaine si è sempre lasciato scivolare il tempo addosso, come acqua calda nella doccia d’inverno, per secoli; si è abituato a non provare più nulla, a non sentire, a non riporre speranze e a non aspettare – a non vivere.
E adesso torna a respirare ogni quindici ottobre.
Vede la vita di Kurt scivolargli lentamente davanti agli occhi, a frammenti, ogni anno. Come in una fotografia, imprime a fuoco ogni ricordo di quelle minuscole mezz’ore che gli sono concesse ogni trecentosessantacinque insulsi giorni nelle sue retine e non sa neanche perché lo sta facendo.
Si gode il calore del sorriso un po’ sofferente che Kurt dona a sua madre, affonda nei suoi occhi così azzurri da far invidia al più limpido cielo di primavera, custodisce dentro di sé le immagini sfuocate di un sorriso argentato dai fili dell’apparecchio, dei centimetri d’altezza conquistati ad uno ad uno e di un bambino che diventa ragazzo.
Kurt ha diciassette anni, quando incontra di nuovo lo sguardo di Blaine.
 
*
 
Blaine aveva immaginato grida – forse occhi spalancati e richieste di aiuto. La sua mente aveva scavato a fondo in ogni minima alternativa, ogni piccola sfumatura di qualsiasi reazione che un umano avrebbe potuto avere di fronte alle sue ali – di fronte a lui.
Evidentemente, ogni essere umano è una categoria che non comprende Kurt.
Kurt che si alza in piedi, dopo aver lasciato una carezza impalpabile sulla lapide fredda ed aver scacciato briciole di lacrime dai propri occhi, e lo vede. Blaine è appoggiato al tronco di quell’albero che dopo tutti quegli anni sa così tanto di casa, e lo sta semplicemente guardando.
Ti prego, non scappare non scappare non scappare.
Non prova neanche a nascondersi – sa che è solo una questione di istanti – e aspetta urla che non arrivano.
Kurt lo studia per un attimo – gli occhi grandi e vigili e il respiro un po’ incastrato in gola – e resta in un silenzio profondo. Blaine permette che il suo sguardo gli scivoli addosso, che si appigli al proprio corpo fragile e piccolo, alla curva delle proprie spalle, alla forma inconfondibile delle ali e resta lì, impotente, a scavare nei suoi occhi che sono così blu e non te ne andare, non te ne andare, non te ne andare.
“Io—“ Non dovrebbe parlare. Lo sta solo spaventando ancor di più.
“Ehi,” Kurt mormora, ed è un po’ senza fiato.
“Scusami, io non—Non scappare.” Glielo ha detto. Corri, corri, corri. Vai via da me.
“No.” Kurt sorride; è bellissimo. “No, io non— non me ne vado. Solo—“
“Vorresti.”
Kurt scuote la testa e sia avvicina; le ali di Blaine tremano contro la sua schiena. “Ho già visto qualcuno come te. Anni fa. Io non— non ho paura.”
Restano in silenzio per un attimo – un silenzio carico di dovresti e di lasciami affogare nei tuoi occhi – e metabolizzano.
Ad un certo punto Blaine parla, e le sue parole sembrano dolorose alle sue stesse orecchie. “Solo chi ha guardato la morte negli occhi è in grado di vedere quelli come me,” sussurra e poi deglutisce. Gli occhi di Kurt brillano, letteralmente, per un istante; il sorriso sulle sue labbra diventa appena più flebile, appena più amaro. “Esatto. Ho superato quello, non potrei mai aver paura di te.”
 
*
 
“Mi chiamo Kurt.”
Blaine resta in silenzio.
“E tu? Qual è il tuo nome?”
“Blaine.” La parola gli rotola sulla lingua ed è così strano – è da troppo tempo che qualcuno non gli domanda come si chiami.
“Blaine,” Kurt sorride. “Ci vediamo domani?”
 
*
 
Il giorno dopo Kurt porta un giglio sulla tomba di sua madre e trova Blaine seminascosto dalle fronde del solito albero. Gli sorride – ed è un po’ come se gli stesse tendendo la mano – e lo saluta.
Blaine sorride in risposta – afferra la sua mano.
 
*
 
“Sai, ci sono leggende su— quelli come te.” Kurt lo guarda con aria incerta, come se avesse paura di offenderlo – e a Blaine quasi viene da ridere, perché dopo tutto ciò che gli è stato urlato contro, questo è come tornare a respirare –, ma  legge solo curiosità nei suoi occhi e continua a parlare. “Io— non ho mai saputo in cosa credere, ma sapevo che qualcosa, di tutto quel mucchio di storie, era vero.” Attorciglia le dita attorno ai fili d’erba accanto a lui ed incrocia un po’ di più le gambe.
Blaine chiude gli occhi – è come se sentisse il bisogno, per un attimo, di concentrarsi – ed espira. “Tu … uhm, puoi chiedere— se vuoi.”
Un mucchio di domande affollano la mente di Kurt, ma solo una preme sulle sue labbra. “E’— è vero che portate via le anime delle persone che muoiono?”
Il sorriso di Blaine si spegne. “Noi— non proprio. Ci chiamano gli ultimi respiri, perché … è quello che facciamo. Portiamo via gli ultimi respiri delle persone.”
Gli occhi di Kurt si allargano – sembrano ancora più celesti, così – e sembra sul punto di dire qualcosa. Si mordicchia le labbra appena screpolate agli angoli e prende un respiro profondo. “Tu hai portato via anche l’ultimo respiro di mia madre, non è vero? E’— è per questo che io mi ricordo di te. Al funerale.”
L’ossigeno si incastra nei polmoni di Blaine per un frammento di secondo. Poi lo guarda negli occhi; non c’è rancore. Non c’è rabbia. C’è solo una distesa infinita di rassegnazione e di qualcosa di più radicato ed indefinibile.
“Non ce l’ho con te.”
Solo a quel punto Blaine annuisce.
 
*
 
“Noi viviamo in eterno.”
Blaine glielo dice una mattina grigia di novembre, il fantasma delle luci delle stelle che ancora aleggia nel cielo e quello della pioggia che pizzica contro le narici. Kurt si sente un po’ mancare.
Sono seduti sotto le fronde del loro albero – ed è ridicolo, perché sono in un cimitero, e non si sono mai sentiti più vivi di così – a fissare il cielo che sa di nuvole, le ali nere di Blaine che sfiorano appena i polsi di Kurt. “Voi—“
“Già.”
E tutto è un po’ più reale – un po’ più tangibile. E tutto fa un po’ più male.
E’ come se gli ingranaggi nella mente di Kurt iniziassero a girare tutti contemporaneamente, creando nient’altro che un caos ordinato. “E’ per questo che— tu sei sempre tu?” Le ciglia di Blaine ombreggiano gli incavi dei suoi occhi, mentre annuisce – qualcosa di amaro intrinseco nei suoi movimenti. Se lo aspettava – a tutti fa paura l’eternità, dopotutto.
Quel che Blaine non si aspetta è la domanda che Kurt gli offre dopo, delicata e mormorata nel fruscio del vento. “Non ci sono alternative?” E c’è qualcosa di così dolce e tremendamente ingenuo nella sua voce, che Blaine non può letteralmente fare a meno di sorridere con gli occhi appannati di lacrime. “Ci sono— leggende,” dice, sospira un po’ più forte tra i brividi. “Alcune dicono che ad un certo punto si cessi semplicemente di esistere. Altre che basti l’amore per riportarti in vita.”
Kurt lo guarda negli occhi per un po’ – sembra non volersi accorgere delle lacrime che minacciano di straripare dai suoi occhi – ed allunga la mano mentre trema appena. La posa a palmo aperto su quella di Blaine e per un attimo entrambi trattengono il fiato – è come se la loro pelle si risvegliasse. Blaine allaccia lo sguardo a quello di Kurt e non riesce ad impedirsi di piangere – sentieri tremolanti e bagnati gli si dipingono sulle guance e non fa nulla per trattenersi.
Insegnami come si fa ad amare.
 
*
 
E’ una sera di dicembre troppo fredda, quando Kurt trova Blaine accartocciato a terra contro la porta della propria casa, le ali tremolanti ripiegate flebilmente attorno al corpo.
“Blaine!” Il ragazzo apre lentamente gli occhi, l’ambra delle sue iridi sembra giusto un po’ più solida del solito, un po’ più cristallizzata, e Kurt sa, lo sente, che c’è qualcosa che non va.
“Blaine, Dio— stai bene?” Corre verso di lui lungo il vialetto e gli si accovaccia accanto – le sue mani sono così gelide. “Non—“ Blaine sussurra, sembra impossibile anche solo parlare—  “Non sento più niente, Kurt,” gli bisbiglia a bocca socchiusa e voce incrinata.
Kurt riesce a sentire, distintamente, una voragine di terrore scavarsi nel proprio petto e il respiro gli si incastra in gola. “No,” mormora. “No—no, no, no, no, Blaine, ascoltami. Non te ne andare. Non te ne puoi andare.” Gli stringe convulsamente in una mano le dita gelide e con l’altra gli accarezza il collo – Blaine sussulta un po’, ma forse se l’è solo immaginato. Ignora prepotentemente le lacrime che gli pizzicano all’attaccatura delle ciglia e tira su col naso.
“K-Kurt,” soffia Blaine, e pensa baciami, baciami, baciami. Baciami, prima che me ne vada.
“Blaine,” Kurt piagnucola e spalanca gli occhi.
E’ folle.
Lo sai.
Lo so.
Non pensa a nulla, quando preme le unghie contro i palmi delle mani e si sporge in avanti. Scivola accanto al corpo di Blaine e lo racchiude tra le braccia con una dolcezza che non sa neanche di poter possedere – e poi semplicemente lo bacia – ad occhi chiusi e labbra soffici, col cuore in gola e i brividi lungo la spina dorsale.
E’ come morire e rinascere un po’. Come piangere e ridere e vivere e vivere e vivere, e Blaine sospira contro le sue labbra, prima di socchiudere un po’ le proprie ed accarezzargli una guancia con le nocche ghiacciate.
Resta con me.
Non so se sono capace di lasciarti andare.
E poi improvvisamente, mentre lo bacia, Blaine freme. Strizza le palpebre in migliaia di pieghe sottili e le sue ali si sollevano un po’, poi un crack rimbomba nelle loro orecchie e si fa tutto un po’ più opaco.
Stringimi più forte.
Non ti lascio andar via.
Kurt solleva il busto e circonda le spalle di Blaine con le braccia – più vicino, più vicino –, fino ad intrecciare le gambe con le sue – ancora più vicino, ti prego – e stringerlo contro il proprio petto. Le mani tracciano involontariamente un sentiero sconosciuto sulla sua schiena e oh—
“Le tue ali.” Blaine sembra risvegliarsi da un sogno troppo vivido e le sue palpebre svolazzano un po’.
“Blaine— le tue ali, oh mio Dio—“ Kurt ha le guance e le labbra arrossate ed è bellissimo. Bellissimo e sconvolto, mentre indica la sua schiena; Blaine contrae appena i muscoli e — sembrano più leggeri. Si tasta lievemente la pelle coperta da un sottile strato di stoffa e non trova nulla.
Sembra così bello per essere vero che per un attimo si impedisce di crederci.
E poi percepisce il proprio battito cardiaco farsi un po’ più nitido e il mondo più colorato; sbatte le palpebre e respira. Kurt lo guarda con gli occhi grandi e le ciglia che svolazzano, le labbra dischiuse e le lacrime che gli disegnano linee pasticciate lungo la curva delle guance – è così bello che fa male.
“Sei—“
“Sì. Sono … vivo.”
Blaine accarezza con la lingua quelle parole – anche la sua voce sembra diversa – e sente di stare per piangere, perché è troppo, e troppo in fretta e non sa se il proprio cuore è più abituato a vivere così tanto.
Kurt fa scorrere la mano nelle scanalature tra le sue dita e lo bacia un’altra volta – lo bacia perché può, perché vuole, perché a volte non sono importanti i perché.
Sei sempre stato abbastanza.

 
   
 
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