Crossover
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Autore: michiredfox    24/12/2008    1 recensioni
Il male esiste da sempre, dalla creazione dell'intero universo... due mondi diversi, eppure così simili, quello degli uomini e quello dei cyborg, sono chiamati ad una nuova lotta contro di esso... (il merito di questa fic va interamente a Costigan, io ho solo coadiuvato alcune parti).
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nota: tutti i riferimenti ad una macchina del tempo, ad una precedente missione dei cyborg nell’antico Egitto, al personaggio di Hathor ed a quanto vi si correla sono innesti narrativi con la fanfiction “Viaggio nel tempo”, inclusa nell’antologia online “Michela’s Fanfics” di cui alla pagina web http://nuke.cyborg009.it/Fanfiction/tabid/56/Default.aspx facente parte del sito “Cyborg009 – il forum italiano”

 

L’architettura sobria ed imponente della grande stanza da letto era immersa nella debole luce azzurrata che filtrava dalle finestre illuminate dalla luna di un altro luogo e di un altro tempo. Era la stessa luna che stava illuminando anche la villa del Professor Gilmoure sul promontorio, nello stesso momento e millenni dopo. Nel grande e semplice letto bianco, con le testiere di marmo adorne del simbolo del cerchio alato, due fanciulle dormivano abbracciate. Enoah, che potremmo definire “principessa”, anche se non lo era nel senso esatto del nostro modo di intendere il termine, aveva permesso a Nesia, sua sorella minore, di dormire con lei. Tutto intorno al letto, le dodici ancelle di Enoah dormivano abbandonando con molta libertà su cuscini di seta e piccoli divani le membra affusolate appesantite da gioielli spiraliformi. Avevano capelli neri ed ondulati, la carnagione ambrata e gli occhi leggermente a mandorla. Nesia aveva solo quindici dei nostri anni, ed aveva paura. Sapeva quale momento si stava avvicinando. Aveva paura dello Spettro Nero. Sapeva che sarebbe toccato ad Enoah affrontarlo e che lei avrebbe dovuto aiutarla. La luce era più forte, ma a volte permetteva il male. Era necessario meritare i suoi doni servendola e lottando; la sua protezione non era gratuita ed i suoi disegni a volte insondabili. Le menti del loro popolo erano grandi, ma non potevano avere la presunzione di sondare totalmente quel campo di energia senziente che permeava qualsiasi cosa. Forse sarebbe stata la fine.

“Sì” stava pensando Enoah, che aveva gli occhi chiusi ma non stava dormendo “solo forse!”

C’era una possibilità: Françoise Arnoul ed i suoi guerrieri del futuro. Grazie alla “macchina del tempo” dello studioso che guidava i guerrieri in rosso, Françoise Arnoul aveva viaggiato nel tempo ed aveva incontrato Hathor, che possedeva un frammento di quello stesso Cristallo che Myoltecopang custodiva nel Tempio della Luce. Grazie alla capacità del Pensiero Collettivo del suo popolo, che permetteva una lettura piuttosto precisa dei nodi temporali, Enoha sapeva che Hathor era una sua discendente, e sapeva che la sua famiglia aveva conservato il frammento che Hathor aveva donato a Françoise Arnoul. Nella linea temporale di Françoise Arnoul, Myoltecopang era caduta e lo Spettro Nero si era dissolto mentre infrangeva il cristallo. Una nuova umanità aveva ripopolato il mondo molto tempo dopo, ma lo Spettro Nero, ricacciato ai confini dell’universo,  stava tornando. Aveva servi che lavoravano per questo. Tre gemelli, non del tutto umani, ed i loro biechi seguaci.

Enoha Zhem Rendang III, così potremmo pronunciare il suo nome completo adattandolo ai nostri organi vocali,  si sciolse lentamente dall’abbraccio di Nesia, che rimase addormentata, ed uscì sul balcone della sua stanza. I suoi piedi non facevano alcun rumore mentre le trasmettevano il dolce tepore dell’ardesia del pavimento. L’immensa Myoltecopang la accolse. Il suo sguardo percorse le acque argentate dai raggi di luna del grande fiume che scorreva fra gli edifici a piramide, solcato da leggere imbarcazioni. Le vie erano segnate dalle file di fiammelle arancioni dell’illuminazione ad olio. Lontano, a delimitare l’orizzonte visivo, le immense mura circolari di basalto nero parevano reggere la cupola del cielo stellato. Poi volse lo sguardo verso l’immensa piramide a terrazze del Tempio della Luce, sormontato da un obelisco che reggeva un immenso cerchio alato di marmo, cristallo e ossidiana. Vedendolo, Enoha fece il saluto rituale e si guardò il palmo della mano destra, che ne aveva tatuato uno identico. Poi poggiò le mani sul parapetto, e lasciò che il vento le facesse ondeggiare la scintillante chioma nera.

“Come sei bella, Myoltecopang!” pensava “Bella come le fanciulle addormentate nella mia stanza. Bella come la mia sorellina, che amo più di me stessa!”

La giovane Nesia, che si era svegliata, la raggiunse sul balcone. Enoah ne percepì la presenza senza voltarsi, riconoscendone l’aura psichica. Con passo leggero, l’adolescente le si avvicinò e l’abbracciò. Enoha ne lesse la paura e l’ansia mentre la stringeva. La guardò in viso. Aveva i tratti e la carnagione del suo popolo, aveva i caratteristici capelli neri, ma gli occhi azzurri, rarissimi fra loro. I lineamenti delicati erano però identici a quelli di un volto caro al piccolo Ivan. Nesia aveva il volto che avrebbe avuto Françoise, se fosse nata a Myoltecopang anziché a Parigi.

 

 Il Dolphin era in volo ad altissima quota, e sarebbe giunto in Giappone nell’arco di sei ore. Il pavimento della sala operatoria di bordo era sospeso su un supporto cardanico abbinato a stantuffi idraulici regolati da giroscopi che mantenevano sempre orizzontale il pavimento, quali che fossero i movimenti dell’aeromobile.

Una ragazza coperta da un lenzuolo bianco era sdraiata sul lettino illuminato da una batteria di lampade.

“Romy! Oh mio Dio, Romy!”

Ken le aveva afferrato la mano.

Françoise, vestita da infermiera, cercò di calmarlo.

“Non preoccuparti, le occorre solo un po’ di riposo. Ha ripreso i sensi da poco. Non ha lesioni gravi, solo qualche leggera contusione. E’ una ragazza forte!”

Il Professor Gilmoure, anche lui in tenuta medica, guardò bonariamente Ken per tranquillizzarlo.

“Tranquillo, ragazzo. Le ho somministrato solo un leggero calmante”

Romy mosse leggermente il capo e strinse leggermente la mano di Ken.

“Dove…Ken…dove sei…dove sono?”

“Sono qui, Romy! Sei uscita di strada”

“E’ vero, sì…Sono in ospedale? Mi ci hai portato tu?”

“Beh…sì”

“Sono uscita di strada…oh santo cielo! E’ vero! Quell’esplosione! Gli alberi che si spezzavano mentre cercavo di frenare, poi …oh, Ken!”

Romy si alzò di scatto e lo abbracciò.

La sua voce vibrava di commozione.

“Ken, oh Ken, ho temuto di…”

“Di?” chiese Ken mentre la stringeva a sé.

“Di non rivederti più…Ken, ho pensato a te un istante prima dello schianto…ti amo, e va bene, lo ammetto! Ti amo contento? Accidenti a te, meriteresti altri schiaffi, ma non ho la forza di tirarteli…”

Romy pareva ridere e piangere al contempo.

Françoise arrossì e si fece da parte, fingendo di riordinare dei medicinali.

Il professore uscì dalla sala.

Ken la guardò intensamente, per un lungo istante, poi le rispose con voce ferma e vibrante. Era la voce di un uomo forte che ha finalmente preso una decisione.

“E tu meriti questo!”

Romy capì, chiuse gli occhi e gli porse le sue labbra.

Ken la baciò. Romy lo ricambiò a lungo, ed infine gli sorrise. Poi si lasciò andare, chiuse lentamente gli occhi e si addormentò.

Françoise sorrideva, dolcissima.

Ken depose Romy con delicatezza, e guardò il volto da cherubino di quella splendida infermiera, che parlò con un filo di voce appoggiando la sua mano su quella di Ken.

“Vieni, lasciala riposare”

Ken si lasciò guidare da lei.

Françoise lo fece uscire e lo rassicurò.

“Stai tranquillo, veglierò io su di lei. Torna in plancia. Immagino che avrai molte domande da fare”

Ken obbedì. La squadra dei Cyborg ed il professore lo stavano aspettando. Ken guardò Shimamura e Link, poi Geronimo e tutti gli altri. Infine parlò.

“Voi sapete chi sono. Non ho una doppia vita, e so che io e Romy vi dobbiamo l’unica che abbiamo. Per questo vi ringrazio con tutto il cuore. Scusate, ma dopo quello che abbiamo condiviso, credo di avere il diritto di saperlo. Potete spiegarmi chi siete veramente?”

 Fu Albert Heinrich a rispondere, con divertita amarezza.

“Siamo l’ultima generazione di armi intelligenti”

 

 

Romy si era svegliata. Lo aveva fatto in un letto morbido, con indosso una camicia da notte, ed aveva visto i raggi del sole entrare dalla finestra. Aveva sentito il canto dei gabbiani e lo sciabordio della risacca. Non era in ospedale, come sarebbe stato logico supporre, ma in un’abitazione privata dall’arredamento elegante. Ebbe un moto di sorpresa quando vide una ragazza bionda in uniforme rossa che le sorrideva gentile.

“Buongiorno e benvenuta nella nostra casa, signorina Romy, o meglio, Lady Wells. Io sono Françoise Arnoul”

“Piacere” rispose Romy “dove mi trovo?”

“Nella casa del Professor Gilmoure, Lady Wells”

“Puoi chiamarmi Romy, Françoise. Sei francese?”

“Sì, milady…cioè …Romy”

“Dimmi Françoise…posso darti del tu?…dove ci troviamo?”

“In Giappone”

Romy era incredula.

“Ma come…poche ore fa ho avuto un incidente a Daytona. Ricordo che Ken mi ha soccorso. Ricordo un’infermeria…..come posso trovarmi in Giappone?”

“Grazie al velivolo della nostra squadra. Il Fantasma Nero voleva ucciderti Romy, insieme a Ken”

“La Black Shadow?”

“La Black Shadow ne è parte. Deve il suo nome proprio al Fantasma Nero. La squadra Cyborg è intervenuta e vi ha portato in salvo con il nostro velivolo, il Dolphin. Ora vi trovate nella nostra base”

“Leggi molta fantascienza, Françoise”

“La fantascienza a volte è profetica. Fra non molto, ti dimostreremo che non si tratta di fantascienza. I media sono evasivi sulla nostra guerra segreta contro il Fantasma Nero, ma è tutto reale. Adesso come ti senti, Romy?”

“Bene, grazie”

“Se vuoi fare colazione, puoi scendere di sotto con me. Puoi indossare quegli abiti. Sono miei. Hai press’a poco la mia taglia, il che significa che sei una bella ragazza!”

Romy sorrise a quella facezia.

“Ti ringrazio. Ken è qui?”

“Sì, è qui anche lui”

“Come sta?”

“Bene. Sai, ci ha aiutato a salvarti rischiando la vita sotto il fuoco nemico”

“Veramente?”

“Sì, Romy. Ken è di sotto con noi. Te lo chiamo o preferisci scendere?”

Romy aveva deciso di scendere, ed aveva indossato la gonna al ginocchio e la camicetta di Françoise. Lei le aveva spazzolato i capelli e li aveva fissati con un cerchietto. Romy la lasciò fare. Quella giovane francese le piaceva. Era dolce, raffinata e gentile.

Scese in salotto.

Seduti ad una lunga tavola imbandita, sette uomini di differente età si alzarono deferenti al suo ingresso. Indossavano la stessa uniforme rossa di Françoise. Ken era insieme a loro. Romy riconobbe a capotavola  l’anziano professore che si era preso cura di lei insieme a Françoise.

Fu il professore a prendere la parola.

“Buongiorno e benvenuta fra noi, Lady Wells”

“Benvenuta!” esclamarono coralmente tutti i cyborg.

“Vi ringrazio tutti, amici. So di dovervi la vita. Grazie di cuore. Sono davvero commossa dalla vostra accoglienza. Siete dei veri gentiluomini. Permettetemi di stringervi la mano”

Uno ad uno, i Cyborg le strinsero la mano affusolata presentandosi. Essendo anche lei un pilota, riconobbe meravigliata Joe e Jet. Ringraziò anche il professore per averla curata. Romy aveva nel sangue la cortesia raffinata e spontanea della ragazza nobile di lignaggio e di animo. I suoi modi erano aristocratici, ma privi della più piccola traccia di alterigia.

“Accomodatevi, Milady, e servitevi pure” disse il Professor Gilmoure.

Bretagna le offrì la sedia con un gesto deferente. Romy lo ringraziò con un inchino e poté sedersi vicino a Ken.

“Bene, mia cara, immagino che avrete molti interrogativi in merito agli eventi delle ultime ore”

“A dire la verità… parecchi, professore. Sento di trovarmi fra amici, sia miei che di Ken, ma la mia comprensione dell’accaduto termina qui”

“Vedete, milady…..”

“Potete chiamarmi Romy, professore”

“Grazie, Romy. Ecco…..prima di rispondervi è necessario che io chiarisca chi siamo, la ragione delle nostre uniformi e quella del nostro intervento nella vicenda che vi ha visto coinvolta. Come ho già spiegato al signor Hayabusa, per dimostrare ciò che vi diremo, sarà necessario fornirvi alcune prove concrete. Vi faremo visitare parte dei nostri laboratori. E’ superfluo che io vi chieda di promettermi che manterrete il segreto, sia per la nostra sicurezza che per la vostra. Ditemi, Ken, tra quanto l’ingegner Sayonji farà ritorno in Giappone?”

“Tre, forse quattro giorni”

“Bene, terminata la colazione, inizieremo il nostro “giro turistico”, e parleremo anche dei vostri amici della Black Shadow. Poi contatteremo l’ingegner Sayonji, e gli chiederemo di raggiungerci. Dovremmo poter stabilire il contatto verso le diciotto, ora locale. Nel frattempo, sarete nostri graditi ospiti”

 

Quando il videotelefono squillò, Yamato corse a rispondere immediatamente, seguito da Sakura.

“Ken!” esclamarono all’unisono, quando videro il suo volto sullo schermo.

“Ciao, Yamato! Ciao Sakura! C’è Sayonji?”

“Altroché!” rispose Yamato “Ha detto che ti sta aspettando a braccia aperte!”

“Dove sei, Ken? Non sei più rientrato! Eravamo in pensiero! Mio fratello si è arrabbiato!”

“Mi trovo in Giappone, Sakura”

“In Giappone? E come ci sei arrivato? Ken, cosa sta succedendo?!”

“Vi spiegherò tutto, te lo prometto Sakura, ma adesso, per favore, corri a chiamare Sayonji, è di vitale importanza che io gli parli”

“Volo!” rispose la ragazza.

Ken vide entrare il volto di Sayonji nello schermo.

“Hayabusa! Carissimo! Sarà meglio che tu mi dia spiegazioni soddisfacenti!! Dove diavolo sei?”

“In Giappone”

“Cosa??!! E come ci sei arrivato, eh?!”

“In volo…..” rispose Ken, spinto dall’emozione ad una sincerità che il suo interlocutore avrebbe interpretato come follia.

“In…in volo?!”

“Ecco….vede… come dire… mi ci hanno portato Shimamura ed i suoi amici insieme alla mia macchina….”

“Non dire scemenze Hayabusa! Che diavolo stai combinando?! Guarda che sto parlando seriamente! Ho letto i giornali del mattino. Parlano di una gara clandestina nelle vicinanze, di una sparatoria ed una retata della polizia. Ne sai qualcosa, per caso?”

“Ehm…ingegnere…forse è meglio che parli con chi può davvero spiegarle”

Sayonji vide entrare nello schermo il volto del Professor Gilmoure.

“Si ricorda di me, ingegnere?”

Sayonji ebbe un istante di perplessità, poi il suo volto si illuminò.

“Voi siete quel cibernetico, il Professor….Professor…Gilmoure… se non vado errato!”

“Non errate, ingegner Sayonji. Ricordate la nostra vecchia collaborazione?”

“Sì, anche se sono passati parecchi anni. Si trattava del mio progetto per una biposto trasformabile, predisposta per l’integrazione con i suoi dispositivi! Siete poi riuscito a realizzarla?”

“Sì, ingegnere. Immagino che il collegamento fra me ed il suo pilota la incuriosisca”

“Immaginate bene, Professore!”

“E voi avete diritto ad ogni spiegazione, ingegnere, ma non è il caso di parlarne per telefono”

“Perché?”

“Perché non credereste a ciò che vi direi, a meno che non vi mostri ciò che ho già mostrato al vostro pilota. Fra quanto tornerete in Giappone?”

“Tre o quattro giorni, professore”

“Bene! Venite nel mio laboratorio, e capirete perché non posso parlarne ora. So che siete un uomo di mente aperta, ingegnere, disposto a credere a ciò che viene dimostrato razionalmente, anche se insolito. Vi svelerò segreti che riguardano probabilmente anche il vostro grande amico Ayab. Ken mi ha fornito il codice di chiamata della vostra telescrivente. Vi comunicherò le istruzioni per raggiungerci ed il numero a cui contattarci. Abbiamo recuperato il veicolo di Ken ed anche quello chiamato “Maestà Reale”. Sarebbe opportuno che ci raggiungeste con il vostro trasporto volante, Ken mi ha detto che lo chiamate “Big Carry”. Per adesso, non chiedetemi di più. Fidatevi di me, e, mi raccomando, mantenete il riserbo assoluto sul nostro appuntamento. Ora devo interrompere la comunicazione. Anche l’etere può avere orecchie. Arrivederci, ingegnere.”

“Arrivederci, professore”

Sayonji vide lo schermo diventare nero. Il riferimento alla “Maestà Reale” lo aveva lasciato di sasso. Anche se Hayabusa era riuscito a farne una delle sue, valeva la pena di prendersi il disturbo di andare in fondo a quella faccenda.

 

Romy era di fronte al platano che ombreggiava l’ingresso della villa, ed osservava il cerchio alato intagliato nella corteccia. Era incuriosita da quel simbolo. Decise che ne avrebbe  chiesto al professor Gilmoure. Ken apparve sulla veranda, e la vide contemplare assorta il grande albero.  Si avvicinò e la chiamò. Romy lo abbracciò e lo baciò delicatamente, a lungo, stringendosi al suo petto forte, inebriandosi del suo calore. Ken la prese a braccetto e scesero la scala che portava alla spiaggia.

“Allora, ti sei ripresa dallo stupore?”

Il Professor Gilmoure aveva mostrato loro l’hangar del Dolphin, i Cyborg avevano dato dimostrazione dei loro poteri, ed ognuno di loro aveva raccontato a Ken e Romy la sua storia. Romy era rabbrividita.

“Sì, Ken. Dio mio, non avrei mai immaginato di essere coinvolta in qualcosa del genere. Credevo che la Black Shadow fosse semplicemente una scuderia sleale. Ora ho capito. Se penso di averne fatto parte, mi viene male. Credo che il professore abbia ragione. Mi avrebbero usato come cavia…cielo…Ken…ho paura…che orrore! Non lasciarmi sola, amore mio!”

“Non sei sola, Romy, e non la sarai mai più, te lo prometto. Ti eri accordata con Ayab perché non avevi nessuno su cui contare. Ora ce l’hai. E’ solo mia la colpa se ti sei sentita abbandonata”

“Sai, Ken, ora sono certa che quei maledetti siano responsabili della morte di mio padre”

“Se è per questo sono responsabili anche della morte del mio, e di quella di mio fratello”

“Vedi Ken…io speravo di poter salvare la casa automobilistica della mia famiglia, ed al contempo di verificare i sospetti sulla morte di mio padre…invece erano loro ad aver teso un tranello a me. Se non fosse stato per Joe e gli altri, ed anche per te…sai, Geronimo mi ha detto che per soccorrermi hai preso parte alla sparatoria tenendo la mia vita in maggior conto della tua…mi ha detto che il suo amico “Falco che Corre” ha abbattuto due nemici combattendo al suo fianco…se penso al pericolo che abbiamo corso…”

“Già, ma quei vigliacchi non avevano fatto i conti con i nostri nuovi amici! Non mi importa se in parte sono macchine. Ci sono persone che li chiamano mostri: Ayab non ha parti meccaniche in corpo, ma il vero mostro è lui, insieme a tutti quelli che sono dietro di lui. Joe e gli altri, per me sono esseri umani, punto e basta!”

“Hai ragione, Ken”

Quando furono vicini alla linea della risacca, Romy si tolse le scarpe. Era a gambe nude. Fece qualche passo avanti e lasciò che il mare le bagnasse i piedi.

“Quale sarà il nostro futuro ora, Ken?”

“Romy, che ne diresti di proporre a Sayonji di prenderti come pilota? Io e Sakura gli parleremo. So già di avere Sakura dalla mia parte. Conosco Sayonji abbastanza da sapere che accetterà. Ha conosciuto tuo padre e ne ha mantenuto un’immensa stima. Riguardo alla tua abilità, gli spiegherò che durante la nostra sfida sei stata alla mia altezza, il che lo impressionerà. Andrà su tutte le furie quando saprà della gara clandestina, ma ci sono abituato. Non è la prima delle “hayabusate” che gli combino”

A sentire quel termine, Romy rise di cuore immaginandosi le scene. Ken continuò.

“E non dimenticare che, oltre a te stessa come pilota, porterai anche la “Maestà Reale”. Stai certa che, non appena la vedrà con i suoi occhi, se ne innamorerà come io di te”

Romy sorrise. Quell’improvvisa ventata di ottimismo la rese euforica. Gli corse incontro con i capelli rossi al vento e gli gettò le braccia al collo.

“Oh Ken, ti prego! Dammi un bacio!”

Ken non poté rifiutare.

 

Joe e Françoise stavano guardando Ken e Romy dalla cima della lunga scalinata che portava alla spiaggia. Da quando erano usciti di casa, i sensori di Françoise avevano vegliato su di loro.

“Certo che è sorprendente quanto abbia impiegato Ken a capire di essere innamorato di Romy” commentò Joe.

“Certo che questa predica proviene da un pulpito piuttosto strano” replicò Françoise, sorridendo sorniona.

Joe non replicò, come se non avesse sentito.

Albert si avvicinò.

“Ragazzi, dovrei fare alcune domande a Romy, l’avete vista?”

“Ehm, sì” fece Joe “credo sia occupata” e gli indicò la coppia abbracciata.

“Ah, allora aspetto”

Quando l’abbraccio si sciolse, Romy raccolse le scarpe ed i due si misero a passeggiare tenendosi per mano.

“E’ davvero urgente, Albert?” fece Françoise, melliflua.

“Sì, purtoppo” replicò Albert, mesto, mostrandole la foto di Hilda “Credo che Romy possa darmi qualche informazione utile, ed ogni istante che passa può complicare le cose ancora di più”

“Oh!” replicò Françoise “Scusami, Albert”

“Tranquilla! E’ tutto ok. Mi dispiace disturbarli, ma è per una buona causa”

Joe gli sorrise.

“Vai pure. Sono certo che capiranno. Romy sarà felice di aiutarti, se potrà”

Albert discese la scale e si fece loro incontro.

“Salve, Albert!” lo salutò Ken.

“Buongiorno”  fece Romy con un sorriso.

“Buongiorno ragazzi. Perdonatemi se vi chiedo di potervi rubare pochi minuti, ma potreste essere di grandissimo aiuto sia a me che a tutta la mia squadra, ed anche a voi stessi”

“Chieda pure, Albert, e non si preoccupi. Vi dobbiamo la vita, e non lo dimenticheremo mai” rispose Romy con sincera gratitudine.

Albert mostrò loro la sua foto di Hilda, quella con la dedica.

“Riconoscete questa donna?”

Gli occhi di Romy mandarono un lampo.

“Certo! E’ un’agente di Ayab. E’ stata lei a mettermi in contatto con Baron”

“Quello con il cappello a cilindro?” chiese Albert

“Sì, lui!”

Ken intervenne.

“Anch’io l’ho vista. E’ stata lei a dare il via alla gara di ieri notte”

“Abbiamo preso contatto con la polizia della zona che, come sapete, a seguito dello scontro a fuoco ha effettuato una retata. Purtroppo non era fra i fermati. E’ riuscita a dileguarsi” rispose Albert.

“E’ lei ad organizzare le gare clandestine ed anche quelle ufficiali che vedono coinvolta la Black Shadow” puntualòizzò Romy “Chiedo scusa, Albert, ma come fa ad avere questa foto, che oltretutto pare vecchia di anni, e questa dedica firmata “Hilda” a chi è rivolta?”

“A me” rispose Albert con voce profonda e malinconica

“Voi…voi l’avete conosciuta? Si chiama Hilda?”

“Conoscete la mia storia, ve l’ho raccontata. Non vi ho detto tutto, però. Quando forzai il blocco la mia fidanzata era con me sul camion. Quando, ferito, riuscii ad estrarla dal camion rovesciato, credetti fosse morta fra le mie braccia, mentre la sorreggevo. Poi persi i sensi e non seppi più nulla di lei. Quando ripresi conoscenza nella mia….forma attuale, fui certo della sua perdita, ma forse adesso…Romy, lei ha fatto parte della Black Shadow e potrebbe sapere qualcosa che mi aiuti a liberarla. Se potessi portarla qui, nel laboratorio del professore, potremmo capire se si tratti di lei e se sia possibile farla tornare…beh, non come prima, ma almeno salvare il suo spirito e darle una seconda possibilità, come è accaduto a me. Nella mia condizione di cyborg, ho potuto rendermi utile in occasioni in cui, ripensandoci, sono contento di esserci stato. E poi, forse, potrei riaverla con me, anche se non sarebbe proprio la stessa cosa…La prego, Romy. Mi dica ciò che sa”

“Sì…sì Albert…le dirò tutto, anche se non credo sia molto..”

“L’avete incontrata spesso?”

“Sì, ma abbiamo parlato ben poco, al di là dei dati tecnici. Non c’era dialogo fra noi. Il castello è annesso ad un autodromo che consente di assemblare percorsi differenti attraverso un centro di automazione via rete che ricombina elementi prefabbricati di pista attraverso sistemi macromeccanici. Si tratta di una struttura prevalentemente sotterranea. Era lei ad occuparsene. Una volta l’ho sentita parlare con Baron di “collegarsi al computer centrale con l’interfaccia ad innesto cerebrale ””

“Vi ha mai detto il suo nome?”

“Mai, si faceva chiamare “lady x” e non era loquace. Parlava con uno strano accento tedesco, però. Di questo sono certa”

“Avete notato una certa fissità nello sguardo?”

“Sì, pareva una bambola. Solo una volta le vidi un’espressione sofferente in viso”

“Aveva l’abitudine di arrotolarsi una ciocca di capelli intorno all’indice?”

“Sì, lo faceva spesso!”

“Era questa donna ad allenarla, Romy?”

“Era lei a darmi le caratteristiche dei percorsi. Programmava tutto in ogni minimo dettaglio, con velocità ed efficienza sorprendenti. Esaminava le mie prestazioni scientificamente e comunicava tutto a Baron. Si occupava anche della manutenzione della Maestà Reale”

“Avete idea di dove si potrebbe cercarla?”

“Supporrei il castello di Ayab”

Ken intervenne

“In effetti è logico! Avranno iniziato a preparasi per la gara di Tortica, esattamente come noi, e se era lei a gestire il loro programma di allenamenti, l’avranno sicuramente messa al lavoro. Non hanno potuto impossessarsi della Maestà Reale, quindi il loro capo-ingegnere, il dottor Mephist, dovrà cercare di riprodurla basandosi sugli studi che quella donna ha effettuato. Albert, se si tratta di lei, ora è un cyborg, ed avrà in memoria tutte le informazioni di cui Mephist ha bisogno. Ne hanno bisogno anche per Tortica. Fin quando sarà preziosa, sarà al sicuro. Ayab non la toccherà.”

“Romy, potreste fornirci informazioni in merito al castello di Ayab?”

“Vi dirò tutto ciò che ricordo”

“Permettereste anche al piccolo Ivan di sondare la vostra mente, se fosse necessario per riportare a galla qualche dettaglio importante?”

“Sì. Devo sdebitarmi con voi, ed ho capito cosa voleva farmi quella gente: ciò che hanno fatto anche a quella povera ragazza…Albert, per quello che può valere, credo proprio che lei abbia ragione. E’ lei. Spero solo che possiate far riemergere quella vera…”

“Grazie, Romy. Fra due ore il professore sarà disponibile a raccogliere le informazioni che lei ci fornirà”

“Lo farò con tutto il cuore, Albert”

“Grazie”

 

I tre gemelli entrarono in fila nella sala dall’altissimo soffitto, diretti ai loro scranni dall’alto schienale. Indossavano una semplice veste monocolore da monaci, che recava sul petto un  tridente stilizzato con le punte rivolte verso l’alto. La sincronia dei loro movimenti era troppo perfetta per essere umana. Dava l’impressione che quei tre corpi fossero comandati da una sola mente, una mente cibernetica il cui hardware, messo a nudo, era diviso in parti uguali nelle teste calve dei tre gemelli.

Shiva indossava una tonaca blu, e la parte destra del suo volto era artificiale.

Brahman indossava una tonaca nera, e la parte centrale del suo volto era artificiale.

Visnu indossava una tonaca rossa, e la parte sinistra del suo volto era artificiale.

Quando si voltarono all’unisono verso l’ingresso della sala, le parti cibernetiche formicolanti di luci dei loro volti erano disposte in modo da potersi incastrare tenendo ferma quella al centro ed avvicinando le altre due. I capolavori del dottor Gamo si sedettero come i giudici di un tribunale e, dall’alto della loro cattedra sopraelevata, abbassarono simultaneamente gli sguardi sull’alta figura corazzata che li aveva attesi.

Shiva parlò per primo.

“Benvenuto, barone Ayab, anche a nome dei miei fratelli”

“Vi ringrazio, reverendi fratelli. So che essere ricevuto direttamente da voi è un raro onore e privilegio” rispose deferente Ayab, dietro la celata dell’elmo che copriva il suo volto. Nel suo tono cortese vibrava una nota di crudeltà affilata che non riusciva a mascherare.

“A che punto siete con la preparazione della gara di Tortica, Barone Ayab?” chiese Brahman

“Entro trenta giorni l’autodromo sarà terminato. Nel frattempo potrete iniziare ad utilizzare i nostri cantieri per infiltrare le vostre squadre di scavo e procedere con il vostro…esperimento. Nel frattempo, la Black Shadow diverrà leader dell’automobilismo mondiale, e potremo sfruttare il nostro successo per investire i proventi delle nostre…attività riservate…. nell’industria automobilistica”

“Abbiamo saputo che quei maledetti cyborg traditori hanno salvato Ken Hayabusa e Romy Wells recuperando le loro macchine, Barone. Peccato; al dottor Gamo sarebbe piaciuto lavorare su Romy Wells. Pensate che questo intoppo possa crearvi difficoltà?” domandò Visnu.

“Nessuna, fratello Visnu. La Maestà Reale avrebbe potuto esserci utile, e quel Ken è sempre stato una spina nel fianco, ma il nostro progettista capo, il Dottor Mephist, mi ha proposto i progetti di macchine da corsa che, utilizzate con le…. diciamo opportune strategie… compenseranno il problema.”

“Molto bene, Barone Ayab. Se vi servirà la collaborazione del Dottor Gamo o di altri nostri scienziati, non esitate a chiedere. I preparativi per la nostra spedizione archeologica segreta come procedono?”

“Sono praticamente ultimati. Stiamo già iniziando a caricare i camion nella rimessa dei sotterranei del mio castello. Ovviamente abbiamo provveduto a camuffarli con marchi commerciali fasulli. Abbiamo anche organizzato la spedizione dei materiali nello Yucatan. Troverete ciò che cercate, ed anche io avrò ciò che sogno”

“Il nostro signore è soddisfatto di lei, Ayab” disse Brahaman con la sua bocca rettangolare, aprendo e chiudendo due file di denti da robot. Sembrava che fosse un teschio ghignante a parlare. Gli altri due fratelli annuirono con espressioni grifagne. “Grazie al suo aiuto, sarà presto fra noi”

“Lo conoscerò?”

“Il mondo intero lo conoscerà, Barone, e per chi lo ha servito le ricompense saranno infinite. Andate ora, e tornate vittorioso. Nel frattempo, informateci di ogni sviluppo”

“Vi porgo i miei omaggi” rispose Ayab con un breve inchino. L’uomo corazzato diede loro le spalle ed uscì dalla sala.

Dopo che i battenti si richiusero, i tre fratelli rimasero immobili. Dal soffitto discese il cono di luce tremula di un proiettore olografico. Mostrò un orribile planetoide nero, una repellente massa cancerosa di tenebra nera e malata. Una massa pulsante resa ancora più detestabile dall’aura di intelligenza innaturale che pareva emanare anche da una semplice immagine riprodotta. I tre fratelli la contemplarono avidamente. La voce lebbrosa che si diffuse nell’atmosfera cupa della sala avrebbe fatto svenire una persona sensibile. Loro la assimilavano come una musica celestiale.

“Padre!” dissero in coro, con un’emozione che pervadeva i loro volti ibridi e maligni.

“Figli miei, la vostra devozione sarà finalmente ricompensata. Potrò avere il mio trionfo. Il popolo del cerchio alato me lo negò molto tempo fa, ma per me il tempo non ha valore. Tornerò, però dovete trovare e distruggere ciò che rimane di quella civiltà di telepati che si oppose a me e che venerò la Luce in cambio di una vita banale e tranquilla. Ora si trovano in una differente linea temporale, dove riuscii a confinarli prima che il loro maledetto fascio di energia mi rilanciasse ai confini di questo universo. Però le rovine del Tempio della Luce sono rimaste nella vostra linea temporale. Ne sono certo, vi ho indicato l’area, quella che chiamate “Tortica”, ma non posso individuarlo con precisione. So che vi state muovendo voi per me. Non dovete fallire!”

“Ci siamo organizzati per obbedirti senza fare domande, tuttavia siamo curiosi: perché temi tanto quelle vecchie rovine di pietra, padre?” chiesero all’unisono i tre fratelli.

“So che un frammento di quel maledetto cristallo è ancora in circolazione, e quello solo può bastare a convogliare di nuovo contro di me la potenza della Luce, e questa volta potrei esserne distrutto. Ho potuto prendere contatto con voi solo di recente, perché la distanza era troppa per i vostri strumenti. Sarebbe stato opportuno avvertirvi prima, ma non è stato possibile. Sono comunque certo che il preavviso che vi ho dato basterà. So che una donna di nome Hathor possedeva il frammento, e la sua linea spazio-temporale si sovrappone al flusso di energia di una macchina del tempo. Il frammento si trova ora nel vostro tempo. Significa che qualcuno ha incontrato Hathor tornando indietro nel tempo, è entrato in possesso di quella maledetta pietra ed è tornato nel presente. Qualcuno potrebbe ripetere il rituale del popolo del cerchio alato”

“Chi, padre?”

“Non lo so, figli miei, ma se quella maledetta sgualdrina di Myoltecopang riuscisse a contattarlo… in lei la Luce scorre potente… troppo potente… il rischio di una sortita del nostro nemico è troppo alto… trovate e distruggete le rovine del Tempio della Luce! Che il tridente dello Spettro Nero spezzi il cerchio alato! Solo così avrete il potere assoluto! Senza la Sala del Cristallo,  la pietra è inutile. Avrete questo mondo, e dopo, l’universo, e dopo ancora saremo padroni di tutte le linee temporali! Ci occuperemo di Myoltecopang e della sua dolce principessa in un modo che neanche lei potrà immaginare… la lasceremo per ultima, trasformeremo tutto il suo popolo in mostri e lei dovrà guardare! Mi vendicherete! Sarete dèi insieme a me! Giocheremo con tutte le stupide creature viventi in nome dei nostri sogni superiori. Luce e tenebre, male e bene, non saranno che semplici giocattoli nelle nostre mani. Qualsiasi creatura senziente, umana o artificiale, si prostrerà nel terrore. Imparerà il vero significato del dolore, delle torture, delle guerre, del vizio, delle stragi, dell’odio. Avete lavorato bene in tutte queste direzioni preparandovi a questo momento, figli miei. Non mi dimenticherò dei vostri servitori umani, perché compenso sempre chi mi serve. Vi manca solo questo esame finale. Sconfiggete definitivamente il cerchio alato, e nulla più ci resisterà. Mi sto avvicinando sempre più, dopo secoli di viaggio nei neri abissi del cosmo. Sarete voi a distruggere l’ultimo ostacolo”

“Sarà fatto, padre!” risposero in coro.

L’immagine scomparve.

 

L’immensa mole turrita del castello di Ayab sfidava il cielo notturno da un massiccio roccioso erto e scabro, di cui pareva l’ideale prosecuzione. Viste dal basso, le sue guglie più alte si stagliavano contro il disco lunare come lance conficcate. L’enorme altopiano ospitava anche un autodromo a ridosso di quella fortezza merlata e numerose strutture sotterranee. Seicento metri più sotto, un canale anulare isolava il massiccio dalle brulle montagne circostanti. Il solo collegamento con la terraferma era un ponte a pilastri che, emergendo dall’acqua, collegava due tunnel ben camuffati. Per attraversare quel canale di notte nuotando sott’acqua ed eludendo gli squali-robot del Fantasma Nero per intraprendere subito dopo la scalata in arrampicata libera di una parete di roccia tanto alta occorreva una buona ragione. Albert Heinrich l’aveva. Anche Piunma e Bretagna, suoi compagni in quell’escursione, l’avevano. Per maggiore mimetismo, indossavano tutti e tre la versione nera delle uniformi dei Cyborg. Arrivati in cima dopo due ore di scalata, i tre  cyborg si acquattarono nell’oscurità ai piedi delle mura del castello. Il cerchio di luce di un riflettore li sfiorò e proseguì. Bretagna aveva il compito di entrare nel castello assumendo la forma di un pipistrello. Doveva poi assumere le sembianze di Baron, far entrare 004 e 008 ed individuare Hilda, sperando che fosse lei.

Le indicazioni di Romy avevano permesso ad Ivan di individuare l’appartamento  di quella donna all’interno del castello. Se si fossero nascosti nelle sue stanze, sarebbe stata lei stessa a recarvisi per dormire. A quel punto l’avrebbero narcotizzata ed Ivan avrebbe potuto teletrasportarli all’esterno.

Sembrava facile. A parole lo era.

004 era a capo della missione. Il Professor Gilmoure, dopo aver parlato a lungo con Romy e Ken in merito ad ogni possibile informazione utile sul castello di Ayab e sulla Black Shadow, gli aveva concesso di andare e di guidare l’operazione. Albert lo aveva ringraziato con tutto il cuore. Mentre si preparava, Françoise andò da lui e bussò. “Nota:

“Albert, posso entrare?” Françoise si ricordava di quando Albert era venuto a parlarle mentre era intenta a truccarsi da egiziana per prendere parte alla missione nel passato che le consentì di incontrare Hathor ed entrare in possesso della pietra che la famiglia di quella ragazza Hyksos si era tramandata per generazioni,. Avevano parlato della missione, Françoise gli aveva confessato di avere timore di un viaggio nel tempo, e poi avevano parlato di Hilda e di Joe.

“Françoise, sei tu! Entra pure, bambina”

“Albert, io…volevo…ecco… ricordi quello che mi dicesti quando venisti a trovarmi mentre mi preparavo ad entrare nella macchina del tempo?”

“Sì, bambina” le rispose sorridendole.

“Sai Albert, ho sempre portato dentro di me le bellissime parole che tu mi dicesti allora a proposito di Hilda: “è molto meglio incontrarsi, amarsi e poi perdersi che non incontrarsi affatto”. Non ti ho mai detto che, leggendo “I Miserabili” di Victor Hugo, vi trovai una frase praticamente identica alla tua che diceva “meglio avere amato ed avere sofferto, che non avere mai amato”?”

“E’ una frase bellissima”

“Bella come la tua, Albert… ricorda che io ti sarò vicina, sia che tu ritrovi almeno in parte la tua felicità con lei, sia che questo tentativo fallisca. Se fossi fredda e cinica ti direi di non sperare troppo, così un insuccesso non ti farebbe soffrire più di tanto, ma so che non puoi metterci altro che il cuore. Se dovessi perdere Joe e mi si prospettasse la possibilità di riabbracciarlo, come cinica sarei una frana. ”

“Tu non potresti mai esserlo, Françoise”

“Vorrei venire con te, Albert”

“Ti ringrazio, ma un’azione di infiltrazione come questa richiede il minor numero di elementi possibile. Dovremo passare totalmente inosservati. Saremo tre soli: io, 007 e 008. Ne ho discusso con il professore. E’ la cosa migliore”

“Albert, se alla fine di questa prova gioirai, gioirò con te. Se soffrirai, ricorda che non sarai solo nella tua sofferenza”

“Grazie, mia piccola ballerina”

Françoise lo aveva abbracciato con forza e poi era fuggita per nascondere le lacrime.

In quella pausa nell’oscurità, ai piedi di quel muraglione, Albert ripensò per un istante a Françoise. Poi pensò ad Hilda, e diede l’ordine convenuto attraverso la trasmittente interna.

“Vai, 007”

“Ricevuto!”

Bretagna divenne un globulo indistinto, che si consolidò in un pipistrello. Spiccò il volo, superando il muro di cinta. L’immensa e contorta mole gotica del colossale maniero si spiegò in tutta la sua sinistra possenza. La luce della luna la illuminava parzialmente, rendendola ancora più spettrale. Le profondità buie che dividevano gli edifici ammassati secondo un disegno architettonico elaborato con gusto perverso davano l’impressione che le fondamenta delle costruzioni interne fossero più in basso rispetto a quelle delle mura. Orrende sculture di demoni mostruosi e scheletri erano avvinghiate a torri, cornicioni e facciate. La torre a pinnacolo che ospitava il colossale orologio del castello aveva la sommità modellata come una roccia scabra. Chine su di essa, decine di scheletri di bronzo immortalati nell’atto di aggredirla con i loro scalpelli si animarono improvvisamente, scandendo all’unisono la mezzanotte con le loro martellate. Avevano rubini rossi nelle orbite, che rendevano satanico il loro ghigno crudele. Una folle, magniloquente ed ingegnosa necrofilia si associava ad un sfacciato sfoggio di potenza descrivendo bene l’animo di chi aveva voluto una simile costruzione d’incubo. Guardare quel castello era come guardare dentro Ayab.

Il pipistrello sparì in un angolo buio, e da quello uscì un perfetto duplicato di Baron, che si mise a camminare con nonchalance sugli spalti. Gli uomini armati di ronda gli fecero il saluto, incontrandolo. Bretagna attese che le sentinelle si allontanassero e si avvicinò ai merli del bastione. Fissò un gancio al parapetto e lasciò cadere la fune che vi era attaccata. Albert ne afferrò l’estremità e salì. Piunma lo seguì. Poi, senza fare alcun tentativo di nascondersi, i tre presero a camminare per gli spalti. Il guardiano che li vide nella telecamera riconobbe Baron e si tranquillizzò. Con lui c’erano due uomini in nero che non conosceva, ma ultimamente tutti si erano abituati al viavai di sconosciuti in nero. Gli uomini del Fantasma Nero andavano e venivano di frequente dal castello di Ayab, da quando erano iniziati i preparativi per la gara di Tortica, e gli scavi segreti che la gara stessa doveva coprire. I guardiani di Ayab sapevano di non dover fare domande. I tre cyborg sapevano che quel trucco non avrebbe funzionato a lungo. Dovevano dileguarsi nell’intrico del castello ed agire. Raggiunsero una scala che scendeva dagli spalti. Dovevano raggiungere l’edificio centrale. La donna che cercavano aveva il suo appartamento al terzo piano, angolo ovest.

“Scendiamo!” ordinò 004 con la trasmittente interna.

Il terzetto discese la scala fino ad una piccola strada lastricata. Sentirono il passo pesante di altre due sentinelle. La sorveglianza era elevata. Le lasciarono andare. Albert valutava la situazione. Bretagna avrebbe potuto continuare a far loro da guida come sulle mura, facendoli entrare dalla porta principale, ma un qualsiasi controllo d’identità li avrebbe traditi. Sicuramente c’erano sentinelle e telecamere al portone dell’edificio, ed era probabile che fosse stata istituita almeno una parola d’ordine per entrare.

Albert ebbe un’idea.

“007, entra da una finestra, vieni all’ingresso con le sembianza di Baron e dà ordine di lasciarci entrare”

Bretagna ritornò pipistrello e svolazzò inosservato intorno alla facciata dell’edificio. Trovò una sola finestra aperta ed entrò. Era un bagno, ed era chiuso a chiave.

“Sono entrato 004, ma ho di fronte una porta chiusa a chiave”

Albert valutò il rischio, poi gli disse di forzarla. Bretagna si mise al lavoro con un grimaldello e fece scattare la serratura. Entrò in un corridoio buio e si diresse verso le scale. Quando fu a pianterreno, diede il segnale via radio a 004 e 008, che uscirono allo scoperto e si diressero verso il portone dell’edificio. Le guardie diedero l’altolà e puntarono le armi. Contemporaneamente, Bretagna si fece avanti con le sembianze di Baron, garantendo per loro. Alle guardie apparentemente bastò. 004 e 008 seguirono 007 su per le scale. Aveva funzionato, ma non avevano idea di dove fosse il vero Baron. Il rischio aumentava ad ogni istante.

  Raggiunsero l’appartamento indicato da Romy, ne forzarono la porta e vi entrarono. Era vuoto.

004 contattò la base.

“Professore, qui 004, siamo entrati. L’appartamento è vuoto. Rimaniamo ad aspettare. Ivan è pronto per teletrasportarci?”

“Affermativo” confermò il Professor Gilmoure.

Sembrava questione di tempo. Era stato facile. Troppo.

La limousine nera di Baron, accompagnato da “Lady X”, il loro obiettivo, fece il suo ingresso nel castello e si fermò di fronte al portone dell’edificio in cui i tre cyborg si erano infiltrati.

Le sentinelle, stupefatte, videro scendere lei e Baron. Poche frasi concitate e l’allarme echeggiò in tutto il castello. Ad un ordine di Albert, i tre si arrampicarono sul tetto. Albert si sporse dal cornicione e la vide. Guardie armate stavano convergendo sul posto. Iniziarono ad entrare di corsa nell’edificio. Il rumore di passi e porte sfondate si avvicinava.

Albert reagì con decisione.

“008, fai fuoco insieme a me in modo da disperdere le guardie al portone. 007, trasformati in un uccello da preda e catturala!”

Albert armò la mano a mitragliera e fece fuoco. Il laser di Piunma le diede man forte. Nella confusione che seguì, Bretagna saltò dal cornicione, si trasformò in un’aquila ed afferrò “Lady X” per le spalle. Lei gridò terrorizzata mentre 007 la posò sul tetto. Albert la bloccò, la guardò negli occhi e le chiuse la bocca con la mano.

“Ferma! Non muoverti e non ti sarà fatto del male”

Lei prese a tremare. Aveva un’espressione attonita sul viso. Mormorò con un filo di voce “No… no… no… illogico… illogico… tu sei cancellato… morto”

Piunma si inginocchiò dietro un riparo e puntò il laser verso la porta che permetteva di salire sul tetto. Contattò 004.

“Stanno arrivando, 004”

“Ivan, teletrasporto!” comunicò disperatamente 004.

Quando le guardie irruppero sul tetto, lo trovarono vuoto.

 

 

 

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NOTA: Questa fic è stata scritta in collaborazione con COSTIGAN, a cui deve essere attribuito pienamente il merito della trama, io mi sono limitata a coadiuvarlo nella stesura ed a completare alcune parti. Pertanto la fanfic è da considerarsi scritta da due autori: Costigan e Michiredfox. Grazie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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